Bentornati! Su questo capitolo non
vi anticipo nulla, vi dico solo che è davvero decisivo… In che
senso? Provate un po’ a immaginarlo…
FORSE UN ANGELO
Capitolo 8
- L’alba -
“Mi
hai catturato l’anima e l’hai chiusa dentro te
Io
non posso più resistere, incontrollabile la voglia di dirti che
Ti
vedo ridere, sei così semplice
Indispensabile
sapere che per me sei un angelo…”
Quando aprii gli occhi,
quella domenica, il mio primo pensiero fu che quello era l’ultimo giorno
in cui, in teoria, avrei avuto l’occasione di parlare a Sakura dei miei
sentimenti. Quella sera stessa saremmo ripartiti.
Mi tirai su a sedere. Mi
trovavo in una stanza grande, circolare, con al centro quella che sembrava una
lampada spenta. Non indossavo la mia tenuta notturna, ma nientemeno che il mio
abito tradizionale. Come diavolo ero finito là? Cosa era successo prima
che mi addormentassi?
Poi mi ricordai tutto.
Dopo la festa avevo portato Sakura al faro, e lei mi aveva chiesto di restare a
dormire lassù. Mi voltai a cercarla con lo sguardo.
Non c’era.
Scattai in piedi, di colpo
perfettamente sveglio. La luce del sole, proveniente dalle pareti aperte del
faro, mi investì. Era solo l’alba, ma il sole già splendeva
in modo innaturale nel cielo a oriente, perdendosi in mille sfaccettature di
riflessi sulla superficie del mare, lontano fino all’orizzonte. Mi
affacciai a guardare fuori.
Sulla sporgenza della
scogliera c’era una sagoma umana in kimono rosa.
Mi voltai. La botola da
cui eravamo saliti la notte precedente era aperta. La imboccai e scesi quelle
mille scale d’un fiato, senza nemmeno chiedermi perché avessi
tanta fretta di andare da lei…
Arrivai fuori, nella luce
dell’aurora, e mi fermai accanto al portone del faro, guardando dritto
verso il promontorio.
Sakura era là,
stagliata nella luce, proprio come mi era apparsa la sera precedente. Una
visione. Una brezza leggera le scompigliava i capelli e faceva svolazzare le
lunghe e ampie maniche del suo kimono. Era immobile, concentrata
sull’orizzonte. Rimasi immobile a guardarla, senza più il coraggio
di fare quella dozzina di passi che ci dividevano, quei passi che nascondevano
tutti i silenzi e le paure di parlarle.
Poi, come se percepisse
una presenza dietro di sé, Sakura si voltò nella mia direzione.
Mi vide. E mi sorrise.
Un sorriso d’angelo.
Non c’era più
traccia, nel suo viso, della tristezza e della confusione che aveva mostrato la
sera prima, al laghetto nella pineta. Era serena, addirittura felice. Felice di
vedermi.
«Buongiorno,
Li!»
Mi avvicinai lentamente
fino a trovarmi a solo tre passi da lei.
In quel momento, vedendola
così, capii molte cose.
Non potevo semplicemente
sperare di non soffrire tacendole i miei sentimenti. Non potevo ricorrere a
stupide scuse, per non ammettere che invece avevo solo paura della sua
reazione. Non potevo non dirle che l’amavo, che vivevo di lei, che la
sognavo al mio fianco, che ormai la mia anima apparteneva a lei, lei che mi
aveva catturato quasi come fossi una Carta di Clow…
«Sakura… Devo
parlarti.»
Ecco fatto. Non
c’era più modo né tempo per tirarsi indietro. Questa volta
no.
«Cosa
c’è?», disse lei, in tono vagamente allarmato.
«È successo qualcosa?»
«No… No, tutto
a posto. Ecco, io…» Feci un passo verso di lei, sentendomi il volto
in fiamme, ma non mi curavo più di nasconderlo. «Io… Io
voglio dirti che…» Improvvisamente mi ritrovai vicinissimo a lei.
Sakura sollevò lo sguardo e mi rivolse un sorriso incoraggiante.
L’abbracciai.
Lei si irrigidì un
po’, evidentemente sorpresa e confusa da quel mio gesto così
inusuale, perché non ero mai stato tanto diretto nel manifestare le mie
emozioni… Io stesso non riuscivo a credere a ciò che stavo
facendo, e a ciò che stavo per dirle, ma sapevo che era importante, che
era incontrollabile, che non potevo più fingere. Alla fine, Sakura alzò
le braccia e ricambiò la mia stretta.
«Li, che cosa
c’è?», ripeté pianissimo.
Serrai gli occhi, quasi a
volermi nascondere la vista di ciò che sarebbe accaduto dopo. E
altrettanto piano le dissi quelle parole che da sempre avevo pronte sulle
labbra, ma che mai ero riuscito a tirare fuori…
«Sakura… Io ti
amo…»
Fu come se tutto restasse
sospeso, come se il corso stesso della vita e del cosmo si fermassero, per un
istante lungo come un’eternità.
Gliel’avevo detto
davvero… Per l’ennesima volta in quei due giorni insieme a lei, mi stupii profondamente di me stesso.
Sakura lasciò
scivolare le braccia lungo i fianchi, sciogliendo l’abbraccio, e si
tirò indietro.
Aprii gli occhi e vidi il
suo viso completamente stravolto.
Non mi mossi. Non
c’era altro da fare né da dire. Rimasi semplicemente immobile a
guardarla, rimpiangendo il momento in cui l’avevo stretta a me e avevo
potuto evitare il suo sguardo color giada; ma non distolsi i miei occhi dai
suoi, volevo che sapesse che ero sincero, che quelle parole non le avevo dette
superficialmente, che ci credevo, e che ci credevo da sempre…
Poi Sakura
indietreggiò di un altro passo, quasi rischiando di mettere un piede in
fallo e scivolare dalla cima della scogliera…
Mi guardò ancora
incredula per un altro interminabile minuto, come se non si rendesse pienamente
conto della situazione. Un lieve accenno di rossore le colorò le guance,
rendendola ancora più bella, ma quel rossore certo non era nemmeno
paragonabile a quello che mi sentivo io sul viso. Alla fine distolse lo sguardo
e mormorò poche parole.
«Li… Dobbiamo
tornare in albergo.»
Mi passò accanto
senza sfiorarmi, e si incamminò lungo la scogliera, verso la spiaggia.
Io rimasi lì per un
istante, senza muovermi, senza seguirla con lo sguardo, ma guardando adesso il
mare pieno dei riflessi dell’alba. Quando trovai il coraggio di voltarmi
di nuovo verso Sakura, la vidi già lontana da me.
Ed era davvero
così. Aveva iniziato ad allontanarsi. E non l’avrei riavuta mai
più così vicina come prima.
Mi lasciò
così, di nuovo assalito dai dubbi, a chiedermi se non avevo fatto male a
rinnegare la mia decisione, quella di non parlarle prima di partire per Hong
Kong, e a domandarmi se non sarebbe stato meglio lasciarla come un’amica,
un’amica che se non altro sarebbe rimasta tale per sempre, invece di
rischiare di perdere quell’amicizia di cui avevo tanto bisogno. Mi
lasciò con tutti i motivi per cui mi ero detto che non dovevo
assolutamente dirle quelle due parole.
Ma se da un lato quei
dubbi mi rodevano dentro, dall’altro non rimpiangevo nulla.
Mi incamminai a mia volta
lungo la scogliera.
Ora non mi restava che
andare avanti.
In attesa di darle un
altro colpo.
In attesa di tornare a casa e lasciarla per sempre.
Finalmente siamo dunque giunti al
momento della dichiarazione! Allora, ci tengo subito a dire una cosa:
l’elemento del faro lo si potrebbe interpretare
come uno spunto tratto dal libro e dal film “Scusa ma ti chiamo
amore” (di Federico Moccia). Vorrei precisare
che non si tratta affatto di un plagio, anche se il faro in questa storia
è importante e lo sarà anche in seguito… Solo che mi
sembrava un elemento essenziale per la dichiarazione di Li, perché, come
scritto nel capitolo precedente, un faro “è il posto più
adatto per sentirsi lontani da tutto ciò che c’è
laggiù… per essere se stessi… per sognare”…
Perciò vogliate scusarmi se vi è sembrato che io mi sia ispirata
troppo a Moccia: figuratevi che non è nemmeno
stata una cosa intenzionale…
Comunque, se vorrete vedere come
andranno avanti le cose, vi do l’appuntamento al prossimo capitolo…
A presto!