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Finite le vacanze estive
riprese la scuola, e con essa la solita routine quotidiana fatta di studio,
lezioni, e qualche breve momento di relax.
Eric
ormai si era adattato alla sua classe e al suo ruolo, e per quanto potesse
sembrare incredibile anche con Kaname le cose sembravano essersi riappacificate
almeno un po’.
Sembrava
tutto tranquillo, ma in realtà gli animi di coloro che sapevano erano ancora
turbati da quanto accaduto durante il meeting all’Hotel Aurora, soprattutto
alla luce delle prove raccolte nei giorni successivi all’incontro.
In tutta
la zona circostante l’albergo erano stati rinvenuti degli strani marchingegni
ridotti in pezzi, di provenienza sconosciuta, simili a grosse mine anticarro.
Non era stato possibile stabilire cosa fossero o quale fosse il loro scopo, ma
il ritrovamento dei resti di una specie di campo base in una radura che
dominava la valle aveva dato a tutti la prova che quella anormale ondata di
Livello E era stata appositamente organizzata.
Il
difficile era capirne le ragioni.
Secondo
alcuni si era trattato di un tentativo di mandare a monte l’incontro di
chiarificazione, ma per gli hunter più esperti, Yagari ed Eric su tutti, le
motivazioni erano altre, per quanto il fine potesse essere simile.
«Se
volete sapere come la penso.» aveva detto preoccupato Yagari «Si è trattato di
una specie di prova generale. Un test.»
«O di
una deliberata dimostrazione di pericolosità.» aveva ipotizzato a su volta
Flyer «Chi è stato responsabile di tutto questo ha voluto farci capire che ha i
mezzi e le conoscenze per fare cose fino ad ora reputate impossibili, come
controllare i Livello E.»
«In ogni
caso.» aveva sentenziato il direttore «Il significato di tutto questo è uno
solo. Sta succedendo qualcosa là fuori. Qualcosa di grosso. E quanto accaduto
all’hotel è stato solo l’antipasto. Un assaggio di quello che deve accadere».
Per
questo motivo, gli animi erano particolarmente tesi.
Nessuno
voleva rovinare quanto la riunione aveva generato, e forse anche per questo la
presidentessa dell’associazione aveva ordinato di non svolgere indagini
ufficiali, probabilmente per non alimentare timori e sospetti in un momento
così delicato.
L’arrivo
di Lynette fu salutato con un certo sollievo da parte di Eric. Ora aveva una
persona di fiducia in più ad affiancare Zero ed Emma nella day
class, il che lo faceva stare molto più tranquillo.
Per una
volta, nonostante il senso di pace sospesa che pervadeva l’ambiente, sembrava
che tutto stesse andando per il meglio.
Con
l’autunno arrivò anche il tempo delle nuove matricole, e se la Night Class
poteva dirsi ormai al completo, esclusa Lynette la Day
Class aveva ancora bisogno di qualche altro innesto.
In
particolare si vociferava di due prossime ammissioni, due ragazze stando alle
voci di corridoio, entrambe piuttosto attraenti, e la cosa non aveva fatto altro
che accendere come una lampadina le fantasie perverse di Peter.
Essere
circondato da così tante belle ragazze in uniforme era già un sogno per lui, ma
per quante le avesse attorno non gli bastava mai: ne voleva sempre di più.
Un
pomeriggio era in sala professori, assieme a Yagari, lui per smontare dal
proprio turno nella sezione diurna ed il bel tenebroso per prepararsi
all’inizio di quella notturna, quando delle voci di corridoio tra gli studenti
portarono la notizia che le due nuove reclute fossero infine arrivate, e
avessero già preso alloggio nel dormitorio della Day
Class.
«Se vuoi
scusarmi.» esclamò Peter scappando via come un bambino la mattina di natale.
Recuperato
il binocolo dal suo armadietto raggiunse in pochi attimi il dormitorio diurno,
raggiungendo uno dei suoi tanti punti di osservazione in cima ad un albero sul
lato sinistro dell’edificio.
Non fu
una scelta difficile da prendere, visto e considerato che le uniche stanze per
ragazze con dei posti rimasti liberi avevano le finestre affacciate su quel
lato, e sapendo anche quali erano non ebbe problemi a localizzarle.
Rise
sotto i denti nel vedere che una di quelle due imprudenti aveva lasciato le
tende aperte, e già pregustava ciò che avrebbe visto.
Fu
un’attesa abbastanza lunga, ma ciò che vide comparire ad un certo punto fu più
che sufficiente a compensare il tempo speso ad aspettare.
La
ragazza in questione non si era fatta vedere perché era in bagno, e come aprì
la porta rivelandosi in una quasi totale nudità, coperta solamente da un leggero
asciugamano, Peter rischiò un dissanguamento. Non poteva vederla in faccia per
via dell’angolazione, ma quel didietro così sodo e compatto, e così
superbamente e imprudentemente lasciato per buona parte scoperto avrebbe fatto
la gioia di qualunque feticista.
«Sì,
sì.» disse infilandosi due tamponi nel
naso «Questa sì che è roba buona».
Era così
eccitato che per poco non cadde dal ramo, e posato il binocolo sfoderò la sua
fidata fotocamera con teleobiettivo da 400mm per scattare foto degne della
migliore rivista a luci rosse. Era così acceso dall’idea che impiegò qualche
istante per localizzare nuovamente la finestra giusta, e grande fu la sua già
sovreccitata soddisfazione quando vide il petto della ignota ragazza vicino
come non lo era mai stato.
Stava
per scattare, la bava alla bocca e i tamponi ormai saltati, quando qualcosa
oscurò incomprensibilmente l’immagine; sembrava quasi di stare osservando
l’interno di un lungo tubo, metallico e seghettato.
«Ehi, ma
cosa…».
Per
fortuna era pur sempre un soldato ed un cecchino, e perciò i riflessi non gli
mancavano. Come udì il gracchiare sordo di un tamburo che girava su sé stesso
fece appena in tempo a piegarsi in un ponte da WWE. Il proiettile, uno solo,
non gli perforò la testa, ma sbriciolò il suo gioiello elettronico passandolo
da parte a parte, e lui, per lo spavento, precipitò a terra fracassandosi sul
selciato.
«Ma chi
è che fa scherzi simili…» mugugnò ancora blu per il
terrore
«Non sei
cambiato per niente.» sentenziò una voce dall’alto «Sei sempre il solito
impenitente maniaco».
Peter
spalancò la bocca.
«Questa voce…».
Alzato
lo sguardo, i suoi occhi si posarono su di una lunga e fluente chioma rosso
fuoco, che cingeva superbamente due occhi color smeraldo a loro volta cornice
del volto pulito, ben proporzionato, di una giovane ragazza dai tratti
vagamente anglosassoni.
Aveva il
corpo, su cui dominavano forme generose, coperto da un quadrato di asciugamano,
e in mano teneva un piccolo ma modernissimo revolver ancora fumante.
«Ashley!?».
Era
proprio lei, Ashley Lancaster.
Peter
ricordava ancora l’ultima volta che l’aveva vista, ormai un paio d’anni prima,
nel cortile di un liceo inglese, dopo averla salvata all’ultimo momento da un
attacco di quei Livello E succhiatori di sangue, e per quanto avesse già imparato
a temere il suo carattere talvolta così irruente e di poche parole mai si
sarebbe aspettato di venire accolto a colpi di pistola.
«Criminale!
Ti rendi conto che potevi colpirmi?»
«Figuriamoci.
Uno come te non muore neanche se lo ammazzi».
Rialzatosi,
Peter si arrampicò come un ragno lungo la parete del dormitorio fino alla
stanza di Ashley, che lo guardò con aria di sfida.
«Sono
passati due anni, ma sei sempre lo stesso. Quant’è che ti deciderai a
crescere?»
«Sono io
che faccio le domande. Prima di tutto, che ci fai con una pistola? Non eri
quella che odiava le armi?»
«Un
detective deve sempre avere un’arma con se. E comunque, è caricata con
proiettili speciali anti-vampiro. O forse mi sono dimenticata di avvisarti?»
«Ma
sentila, ogni detective. Ha risolto un paio di casi da scolaretta, e già si
atteggia a nuova Sherlock Holmes.»
«Per tua
informazione, sono stata inviata in Giappone su richiesta del Primo Ministro in
persona. Poi, già che ero qui, ho chiesto a mia madre di fare qualche
telefonata per essere ammessa a questa scuola. Dopo aver saputo tutte quelle
cose sui vampiri mi incuriosiva l’idea di frequentarla.»
«Dì un
po’ ma pensi di essere in uno dei tuoi circoli studenteschi? Qui è pieno di
vampiri.»
«E di
esseri umani. Non vedo cosa ci sia di male.»
«Non
vedo cosa ci sia di male.» ringhiò Peter grattandosi in ogni dove «Questa mi
farà venire l’allergia!»
«Ad ogni
modo, il direttore Cross mi ha incaricato di tenerti d’occhio. Vuole
assicurarsi che tu sia concentrato solo sul tuo lavoro, e ho tutte le
intenzioni di svolgere questo compito con la massima efficienza».
Peter
chinò il capo avvilito. Il suo divertimento era ufficialmente finito.
Però,
per qualche motivo, una parte di lui era quasi felice di aver rivisto Ashley, e
il perché non riusciva proprio a capirlo.
Izumi era in sala musica,
intenta a destreggiarsi con l’arpa celtica.
Emma
gliel’aveva messa in mano perché trovava avesse delle belle dita, lunghe e
sottili, adatte a sfiorare le corde facendole tintinnare giusto quel tanto per
far loro emettere il migliore dei suoni, ma ci era voluto un po’ di tempo per
riuscire a prenderci la mano.
Suonare
le era sempre venuto facile, perché amava la musica e l’aveva coltivata fin da
bambina, anche se non riusciva a ricordare bene il motivo che l’aveva spinta ad
incominciare, visto che nessun altro nella sua famiglia poteva definirsi un
intenditore.
I
consigli di Emma le erano stati molti utili, e grazie a lei aveva potuto
esprimersi come mai nella sua vita, prima nel flauto, sia giapponese che
orientale, poi nel pianoforte ed ora nell’arpa celtica. Ovviamente in nessuno
dei tre era al livello della sua sempai, se non forse
nel flauto, ma Emma non faceva che ripeterle quanto grandi fossero i suoi
margini di miglioramento.
In quel
momento stava eseguendo una partitura che aveva trovato per caso tra una pila
di vecchi fogli già qualche tempo prima, e anche se le ci era voluto un po’ per
memorizzarla ora riusciva ad eseguirla alla perfezione, tenendo gli occhi
chiusi per aiutarsi a tenere il tempo e le note.
Lasciandosi
guidare dal semplice tocco delle corde giunse al termine del testo, e prima
ancora di poter risollevare lo sguardo sentì un singolo batter di mani a
coronamento della sua prima, vera esecuzione all’arpa celtica.
«Sei
brava.» disse una ragazza pressappoco della sua età, forse di un anno più
grande, capelli arancio scuro elegantemente raccolti in una crocchia nobiliare
e occhi blu dolci come quelli di una madre. «Io ho preso delle lezioni, ma non
sono mai stata capace di suonare come te.»
«In realtà
sono ancora solo una principiante.» rispose Izumi un po’ imbarazzata «Devo
impegnarmi ancora molto se voglio sperare di raggiungere un livello appena
decente».
Si alzò
dalla sedia facendosi incontro alla nuova venuta, la quale le porse
educatamente la mano.
Era così
bello guardarla negli occhi: infondeva sicurezza.
«Mi
chiamo Silvye. Silvye Kuznezov. Mi sono appena trasferita.»
«Izumi
Asakura. Felice di conoscerti.»
«Un
giorno mi piacerebbe suonare con te. Sei davvero brava, anche se non te ne
rendi conto.»
«Se
pensi davvero che io sia così brava, aspetta di sentire la mia sempai. Lei è molto più in gamba di me».
Neanche
a farlo apposta in quel momento Emma entrò nell’aula di musica, e prima ancora
di conoscere l’identità della nuova arrivata si accorse subito, solo
osservandola, che doveva essere di origini russe.
«Vengo
dalla Repubblica dell’Est.» disse Silvye stringendo
la mano anche a lei.
Nel
momento in cui la toccò Emma avvertì qualcosa di strano, piegando gli occhi in
una espressione enigmatica, ma cercò di non darlo a vedere.
«Lo
immaginavo.» disse invece «Sai com’è, i russi ormai li riconosco a naso.»
«È stato
un piacere fare la vostra conoscenza. E spero che un giorno mi permetterete di
entrare a far parte del vostro gruppo musicale.» e detto questo se ne andò,
seguita con lo sguardo da Emma
«Qualcosa
non và, Emma-sempai?» domandò Izumi notando la sua
espressione preoccupata
«Sarà
stata solo un’impressione.» tagliò corto lei «Allora? Volevi parlarmi se non
sbaglio. Che cosa c’è?».
Izumi
tergiversò, guardandosi attorno per diversi secondi.
«Ho
riflettuto molto su quello che è successo alle terme, e su quello che ha detto
Nagisa.
Lei ha
ragione. Per tutto questo tempo non sono stata altro che un peso per lui.»
«Un peso
molto piacevole da portare.» ironizzò Emma col suo solito spirito «A giudicare
da come ti guarda.»
«Ha
rischiato di morire per colpa mia! Per proteggermi! Lo capisci, Emma? Ho dentro
di me qualcosa capace di proteggere chiunque mi stia intorno dai vampiri. Io,
una persona come tutte le altre, potrei fare esattamente le stesse cose che fa
Eric. Potrei proteggere le persone, e proteggere me stessa.
Non è
egocentrismo, né ambizione personale. Voglio solo smettere di essere un peso
per gli altri, e fare la mia parte».
Emma
restò un momento sorpresa. Aveva capito da tempo quanto Izumi fosse audace e
caparbia, ma che potesse arrivare a tanto non se lo sarebbe mai aspettato.
«Posso
anche essere d’accordo sulla volontà, ma stai trascurando un dettaglio
importante. Tu non sei Izanagi, ma solo il suo
fodero. Quando si è mai visto un fodero usare l’arma che custodisce? Il tuo
compito è solo quello di tenerla buona per evitare che massacri ogni singolo
vampiro di questo mondo, ma le tue capacità finiscono qui.
Certo,
ti dà indubbiamente delle capacità, come quella di guarire rapidamente da ogni
ferita, ma se lo fa è solo per preservarsi. Perché senza di te, lei
scomparirebbe.
Non la
puoi estrarre. E non la puoi usare».
Di tutta
risposta Izumi alzò il palmo destro, e ad Emma cadde la mascella quando vide un
alone bluastro simile a nebbia comparire
dal nulla tutto attorno alla mano.
Era poco
più di un bagliore, che oltretutto scomparve quasi subito, ma più che
sufficiente a lasciare senza parole persino una hunter navigata come lei.
«Ma cosa…»
«Ha
iniziato a succedere subito dopo il ritorno dalle terme. È ovvio che ogni volta
che qualcuno estrae Izanagi, il suo potere si
rafforza, al punto che ormai il mio corpo non riesce più a trattenerlo.»
«Oh, mio
Dio.» balbettò la Kretzner, per poi sforzarsi di
riacquistare il controllo «E insomma tu che cosa vorresti?».
Di nuovo
Izumi temporeggiò, ma quando tornò a fissare Emma i suoi occhi erano pieni di
una luce che la sua sempai non le aveva mai visto.
«Insegnami
a combattere, Emma-sempai».
Ancora una
volta Emma pensò di aver sentito male.
«Scusa, credo
di non aver capito bene. Tu… vuoi imparare a combattere?»
«Se è
vero che Izanagi diventa sempre più potente man mano
che viene usata, allora significa che più imparerò a controllare il suo potere
maggiore sarà la forza che potrò sfruttare. Hai detto che mi considera solo uno
scudo. Il nostro è un rapporto simbiotico. Finché vivo io, vive anche lei. Allora, se è così, non esiterà a concedermi i
suoi poteri se li userò per difendermi, perché in questo modo difenderò anche
lei».
Emma si
passò una mano sulla fronte come sconsolata.
«Izumi… tu non sei fatta per combattere.» disse quasi con
rassegnazione «Non saresti mai capace di uccidere qualcuno. Non è nella tua
natura.»
«Lo hai
detto tu stessa. I Livello E di fatto sono già morti. Porre fine alle loro
misere esistenze è un atto di gran lunga più umano rispetto al lasciarli
vivere.
E in
ogni caso, io non ho alcuna intenzione di usare questo potere per uccidere. Io voglio
aiutare le persone che ne hanno bisogno. Voglio poter fare la mia parte. Ma privare
qualcuno della vita sarà sempre e comunque la soluzione più estrema, non quella
preferibile. Se esisterà anche una sola speranza di risolvere uno scontro senza
dover privare qualcuno della vita, io non esiterò a correre il rischio».
Emma non
riusciva a capire se quella ragazza fosse molto forte, molto testarda o solo
molto stupida.
Era evidente
che ormai aveva capito che esistevano anche i vampiri pericolosi, eppure una
parte di lei sembrava voler cercare a tutti i costi di convincersi che non
tutti erano malvagi, e che poteva esistere coesistenza.
Probabilmente
Eric si sarebbe tappato le orecchie, ma se lei ci credeva fino a tal punto non
c’era motivo per costringerla con la forza a pensare il contrario.
Giratasi,
si avviò verso la porta, e per un momento Izumi pensò di aver fallito.
«Avanti.»
si sentì invece dire «Vediamo che sai fare».
Izumi
trasalì, poi, al settimo cielo, seguì Emma fuori dalla stanza.
Yori si sentiva sola da quando Yuki aveva lasciato la scuola.
Aveva provato
a convincere sia lei che il direttore che i suoi genitori a far trasferire
anche lei in quel collegio dei monti della Francia, ma per un motivo o per l’altro
non le era stato possibile seguire l’amica, e stando al risultato della sua
domanda di ammissione non le sarebbe stato possibile farlo almeno fino alla
fine dell’anno, il che, rapportando i mesi di studio giapponesi con quelli
europei, le avrebbe lasciato sì e no qualche mese da spendere in compagnia di Yuki.
Troppo poco
per giustificare un simile viaggio, così l’unica scelta era aspettare, nella
speranza che concluso quell’anno di studi Yuki
tornasse.
Nel frattempo
cercava di arrangiarsi come poteva. Si era fatta nominare vicepresidente del
comitato studentesco della Day Class, con Kageyama
alla presidenza, e passava le sue giornate a mediare i vari problemi che
occorrevano talvolta tra gli studenti navigati e i partecipanti al progetto di
scambio.
Ormai erano
quasi otto mesi che quel progetto andava avanti, e bene o male le cose erano
andate sempre bene, ma l’arrivo inaspettato di altre due matricole le aveva
scombussolato i piani.
Trovava impossibile
che due studentesse, oltretutto straniere, potessero riuscire a mettersi in
pari quando mancava meno di un semestre alla conclusione dell’anno.
Da vicepresidente
del comitato aveva intenzione di tenere la media, e con essa il prestigio,
della sezione diurna il più alta possibile, e con la Kreutzner
che ci metteva del suo nell’inanellare votacci uno dietro l’altro non poteva
permettersi altri perdigiorno, soprattutto ora che le prestazioni di Asakura si
erano un po’ abbassate.
I risultati
ottenuti dalle due ragazze agli esami d’ammissione l’avevano tranquillizzata,
ma avrebbe aspettato l’esito dei primi compiti per decidere sul serio.
Neanche a
farlo apposta, attraversando il giardino diretta verso il dormitorio sole Yori si imbatté casualmente in una delle matricole in
questione, Silvye, la ragazza della Repubblica dell’Est.
Era rannicchiata a terra a destra di un viottolo, e le dava la schiena, come
attratta da qualcosa.
In giro
non c’era nessuno, visto che tutte le ragazze si erano già precipitate ai
cancelli della Night mentre i maschi erano corsi nel loro dormitorio a
masticare imprecazioni.
Incuriosita,
si avvicinò.
«Qualcosa
non và?» le chiese, salvo poi scoprire che Silvye
stava guardando solo una farfalla delicatamente posata sullo stelo di una
margherita.
Silvie si
girò verso di lei, guardandola amichevole.
«Scusa.»
si affrettò a dire Yori «Non volevo disturbare.» poi
le cadde l’occhio sulla farfalla.
Aveva le
ali di un colore rosso vivo, quasi sanguigno, e nonostante la presenza di due
umani non sembrava avere alcuna paura, seguitando a lasciarsi guardare senza
quasi muoversi.
«È
davvero bellissima.»
«Solitamente,
le farfalle sono considerate belle e passionali. Agli occhi dei più sono
sinonimo di bellezza, sensualità, sfuggevolezza. È la manifestazione dell’effimero
insito in ogni cosa bella. Tutto ciò che è bello, come le ali di una farfalla,
non dura.
Sarà anche
per questo che, in alcune culture, la farfalla è associata alla morte. Per il
popolo Emishi le farfalle erano le anime delle
creature che attendevano il momento di nascere, ma nella cultura cinese esse
sono in realtà la manifestazione delle anime dei morti».
Silvie si
alzò, volgendosi verso Yori, proprio un attimo prima
che quella delicata farfalla fosse ghermita e divorata da una mantide religiosa
comparsa dal nulla alla base del fiore.
C’era
qualcosa di strano, di magnetico, nei suoi occhi, così chiari e allo stesso
tempo così misteriosi. Yori si rese ben presto conto
di non riuscire ad ignorarli, né, per quanto ci provasse, di non guardarli. Era
come se fossero l’unica cosa esistente in tutto l’universo, l’unico elemento
del creato degno della sua attenzione.
Così come
aveva perso il controllo dei suoi occhi, nello spazio di poco tempo Yori si accorse di aver smarrito anche quello del suo
corpo. La cartellina che aveva in mano cadde a terra, inzuppando dell’umidità
dell’autunno i fogli che si sparsero tutto attorno, la sua bocca si piegò in
una espressione come di stupore, il tutto mentre Silvye
si avvicinava lentamente a lei continuando a guardarla.
«La
mente umana non è poi così dissimile da una fragile e leggiadra farfalla.»
disse carezzandole una guancia «Così meravigliosa, ma allo stesso tempo così
fragile ed effimera.» e detto questo avvicinò le sue labbra a quelle della
ragazza, sfiorandole leggermente, un tocco appena percettibile e fugace come un
bacio rubato ad un’amante fuggevole.
Yori sobbalzò,
ma non si lamentò, né cercò di rifuggire quel contatto mai sperimentato.
Nello stesso momento, Kageyama
procedeva a passo spedito verso il dormitorio luna, con in mano un mazzo di
fiori freschi.
Il brutto
incidente accaduto alle terme gli bruciava ancora, così come gli bruciava l’essere
stato considerato un pervertito guardone dalla sua dolce Ruka.
Voleva farsi
perdonare, e per riuscirci aveva dato fondo al suo fondo cassa, pagando oro per
poter ottenere il bouquet più sontuoso e sfavillante possibile.
Meditava
di andare da lei, porgerglielo e scusarsi, nella speranza che fosse sufficiente
per farsi perdonare.
Non avrebbe
negato quello che aveva fatto, primo perché sarebbe stato inutile, e secondo perché
sapeva di essere nel torto, visto che nessuno lo aveva costretto a sbirciare in
quel buco.
Era talmente
preso dalla paura di quello che lei avrebbe potuto dirgli o non dirgli che
quasi non si accorse di Yori, immobile come una
statua a lato del vialetto che stava percorrendo, un po’ nascosta tra gli
alberi.
«Yori, che ci fai qui? Pensavo fossi già tornata al
dormitorio».
Fece a
malapena in tempo ad avvicinarsi, che quando non le era ancora a portata di
braccio una seconda figura si palesò da dietro di lei, l’espressione
amorevolmente sinistra e le labbra piegate in un sorriso.
Aveva davvero
degli occhi bellissimi.
Nota dell’Autore
Eccomi!^_^
Sono qui!
Sono tornato!
Beh, in effetti è stata un’assenza più
breve rispetto all’ultima, ma un’assenza ciò non di meno. Il che significa che
devo in ogni caso scusarmi, nella speranza che sia sufficiente.
Allora, che ve ne pare?
Con l’arrivo di queste ultime tre figure
abbiamo ormai abbondantemente superato la metà della vicenda, e ci avviamo a
grandi passi verso il clou della storia, fatto di eventi pirotecnici, un po’ di
sano splatter e tanta, tanta azione.
Ancora per un po’ non accadrà nulla di
tutto questo, ma tranquilli, non sarà un’attesa molto lunga.
Ringrazio tutti coloro che seguono questa
storia, nella speranza che le lunghe attese non risultino troppo sfibranti.
A presto!^_^
Carlos Olivera