Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: PeaceS    10/10/2013    13 recensioni
Da un Malfoy ci si deve aspettare tutto, anche che ti renda la vita un inferno per noia. Specie per noia. I Malfoy annoiati, di solito, erano più pericolosi di un Potter arrabbiato. Ma Lily avrebbe dovuto saperlo… le migliori storie iniziano alle tre di notte e in quel momento, la lancetta più piccola, si posò proprio sul tre.
[ ... ]
Perché, se Scorpius Malfoy decide di renderti la vita un inferno e tu te ne innamori perdutamente, mentre la tua migliore amica è nelle mani di un certo Zabini - famoso per essere un porco - e cerca di conquistare un Nott di tua conoscenza anche se - alla fin fine - quel certo Zabini non è molto felice, non puoi fare altro che chiederti perché la vita ha deciso di renderti le cose così difficili.
Insomma, tutto quello, però, avrebbe dovuto aspettarselo: era o non era una Potter?
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy, Un po' tutti | Coppie: Lily/Scorpius
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Angolo Autrice:  
Come sempre, il mio angolo autrice va’ sempre all’inizio e mai alla fine: smemorata come sono – mi gioco la casa e pure la vita – pubblicherei senza scrivervi nulla, dimenticandomi come un idiota dell’angoletto.
Vi sto scrivendo, a discapito delle altre volte, per scusarmi dell’enorme ritardo con cui è avvenuto l’aggiornamento del quattordicesimo capitolo: chi è iscritta al gruppo lo sa’, ma ho avuto un lutto in famiglia e pubblicare – lo ammetto – è stato il mio ultimo pensiero.
Ho cercato di riscattarmi con il contenuto del capitolo, che spero sia all’altezza delle vostre aspettative. E per ultimo – ma non meno importante – volevo ringraziarvi tutte quante per aver fatto raggiungere 3.00 am le cento recensioni! Siete degli angeli e vi amo tutte, indistintamente.
Grazie ancora del sostegno che mi date e la gioia per ogni complimento; rinnovo l’invito – per chi è interessato – ad iscrivervi al gruppo per spoiler e altro e… basta, ho finito qui.
Grazie e buona lettura.
Vostra, Peace <3

 
 
 Capitolo quattordicesimo –
Mine
 
 
 
“Mi ucciderà”
Ronald Weasley piagnucolò quella frase con la bocca tirata verso il basso e gli occhi supplicanti che – spalancati dal terrore – erano fissi in quello che, anni e anni fa, considerava il suo migliore amico. Ora, a quanto pare, i tempi erano cambiati e preferiva che morisse per mano della sua ex moglie.
“Andiamo, Ron… è Hermione, non una pazza psicopatica!
La conosciamo da venti e passa anni ed è stata la tua compagna anche oltre!” lo rimproverò il bambino che per sfortuna è sopravvissuto.
Ron piagnucolò ancora, aggrappandosi alla sua veste da Auror.
“Appunto, è Hermione!” sibilò il rosso a bassa voce, come se lei – dalla stanza accanto – potesse sentirlo.
Harry alzò gli occhi al cielo.
“Merlino, quanto la fai tragica” sbuffò Harry, scollandoselo di dosso con una fiancata e mandandolo a sbattere contro la porta di legno.
“Tragica? Tragica? Tragica?” sbraitò Ronald Weasley, con una vena pulsante sul collo e le orecchie paonazze.
Harry indietreggiò, tossendo ripetutamente e indicando con gli occhi verdi la porta alle sue spalle, che Ron ignorò volutamente, incazzato come una biscia.
“Quella donna è diventata una iena! Mi succhia l’anima, capisci?
Da quando ci siamo lasciati non solo mi ha lasciato a casa di mia madre e si è presa il nostro villino in piena Londra, ma si becca anche metà del mio stipendio… perché i figli a carico ce li ha lei!
Oltre questo, ogni volta che ci troviamo a stretto contatto, quella maledetta non fa che sputare veleno! Eppure dovrebbe essermi riconoscente, l’ho prima lasciata e poi mi sono messo con un'altra!”
Aria gelida e inquietante, un filo di vento accarezzò la nuca di Ron e lo gelò sul posto; come nel film integrale dell’Esorcista, girò il collo a centoottanta gradi e fissò gli occhi azzurri in quelli di Hermione Granger che, a braccia incrociate, lo fissava dall’uscio della porta spalancata.
Oh santo Merlino, pensarono Harry e Ron all’unisono, indietreggiando al cospetto del cipiglio furioso sul volto della loro migliore amica, in netto contrasto con il sorriso soave.
Oh cazzo, ecco, quello faceva più effetto.
“Ho sentito il mio nome… sbaglio o si discuteva di me senza me presente?” cinguettò melensa, atteggiando un sogghigno così velenoso che stecchì i due uomini sul momento.
“Ma no, ti sei sba…” miagolò Ron, zittendosi immediatamente quando Hermione sbatté sul pavimento il tacco centoventi dello stivale di pelle che indossava.
Miseriaccia, se quel tacco sarebbe andato a finire nelle sue parti basse avrebbe fatto molto male. Troppo. E la paura lo fece indietreggiare ancora, piagnucolante.
“Ho forse chiesto il tuo parere, Weasley?” sibilò con la bocca storta in un sogghigno ironico che – appena Draco Malfoy lo vide – lo scritturò come suo prossimo sorriso.
“Herm…” cercò di parlare ancora Ron, mentre Draco si accendeva un sigaro al muschio e si sedeva sulla poltroncina accanto al camino, tutto beato: bah, magari la prossima volta avrebbe nascosto i pop – schiattanti in una delle mensole per l’alcool, così avrebbe anche avuto qualcosa da sgranocchiare.
“Punto primo: gli alimenti, il magigiudice li ha ritenuti giusti dopo che hai sbottato ad alta voce che con la tua fama da eroe magico avresti potuto avere qualsiasi cosa avessi voluto. Anche un divorzio veloce veloce senza alcun giudice che stabilisse o firmasse alcuna carta.
E qui, tresor, ti sei fottuto da solo.
La casa – oltre ad essere intestata a me da quando avevamo diciannove anni – l’ho pagata io, con il mio stipendio da sfigata, come lo chiamavi tu. E se questo ti è sembrata la cosa più terribile, allora non mi conosci ancora bene” e detto questo scosse i capelli e uscì dalla sala con gran stile.
“Merlino, che culo!” ridacchiò Draco, beccandosi un bestemmione da parte di Harry che si stava disperando.
“E ora come glielo diciamo? Cristo, Ron, hai rovinato tutto!” piagnucolò all’amico, che più bianco e immobile non si era mai visto.
Draco li fissò curiosi, continuando a fumare e starsene per i fatti suoi, visto che Asteria lo aveva mollato ancora una volta a casa per andare chissà dove.
“Che devi dirgli?” borbottò, sbadigliando per quell’orario indecente; erano le otto di mattina e già se ne stavano tutti pimpanti a litigare.
E diamine!
“Un infiltrato tra i Mangiamorte ci ha inviato una soffiata. A Hogwarts c’è qualcuno che non è esattamente dalla nostra parte” disse Harry, mentre Draco si alzava lentamente dalla sedia su cui era seduto e lo fissava allibito.
“Che cazzo stai dicendo?” sibilò con voce acre e roca, respirando a fatica.
Harry annuì e Ron si passò una mano tra i capelli rossi, chiudendo gli occhi di scatto.
“E che centra la Granger?” bisbigliò l’Ex Serpeverde, facendosi avanti guardingo, mentre a malapena si accorgevano del camino scoppiettante e del viso che era appena apparso dalle fiamme bluastre.
“Questa persona è molto vicina a Rose” rispose Ron, ingoiando a vuoto e fissando la finestra alla sua destra con la gola secca.
Draco sgranò gli occhi grigi, incredulo.
“Siamo nella merda. E la Granger ci ucciderà tutti” disse Draco, crollando seduto e aguzzando lo sguardo verso il camino.
“Ehi, ehi, chi diavolo è lì?” sbraitò, lanciando un posacenere verso il camino di pietra: ma il volto era già sparito dalle fiamme, cadendo all’indietro nell’ufficio della preside Mcgranitt, quel giorno chiamata urgentemente dal Ministero.
Scorpius guardò Lily con la bocca semi-chiusa, mentre questa cacciava un bestemmione di quelli che avrebbero fatto impallidire Salazar Serpeverde in persona.
“Cazzo!” esplose ancora, calciando con rabbia la scrivania di mogano che – cadendo all’indietro – Scorpius aveva quasi sfasciato.
“Suvvia, Lily. Sii più garbata” sbuffò Severus Piton dal suo ritratto, guardando con rimprovero la furia rossa che camminava frenetica nella stanza circolare.
Silente ridacchiò.
“Chi cazzo è l’infiltrato, ora?” sibilò Lily, guardando i due vecchi presidi con un brutto presentimento. Assottigliò gli occhi bruni con una rabbia nello sguardo che Severus riconobbe subito.
Aveva gli occhi di suo nonno James e anche se erano più scuri, più profondi, il coraggio Grifondoro era tutto lì; il voler combattere per qualcosa di proprio, l’orgoglio di possederlo.
Ah, brutta cosa avere l’animo rosso-oro… sentirlo dentro, conviverci per sempre.
“Studi ancora la magia Oscura?” domandò Severus, fissandola con gli occhi neri determinati e attirando l’attenzione di Scorpius, che spostò il suo su Lily.
Silente divenne serio tutto d’un tratto e la rossa si sedette sulla poltroncina imbottita di fronte al vecchio preside, poggiando il mento sui palmi rovesciati verso l’alto.
L’ufficio della Mcgranitt calò nel più tenebroso silenzio, mentre fuori dalla finestra il sole si spostava verso il centro, suggerendo ai presenti che l’ora di punta era oramai vicina.
“Sì” il sussurro di Lily si udì appena, ma fece tremare le mura e Scorpius al suo fianco, che la guardò senza fiato.
“Mi hai mentito” soffiò Scorpius, stringendo gli occhi grigi in una fessura e fissandola con la bocca serrata.
Si alzò dal pavimento e guardò fuori dalla finestra, scuotendo il capo: discutere con Lily era completamente inutile, oramai lo aveva imparato a sue spese; non capiva o semplicemente non voleva capire e quello era un problema.
Rischiava tanto, troppo in realtà e a Scorpius non andava giù. Non gli piaceva l’idea che continuasse a studiare quella roba: la stessa roba che aveva portato la sua famiglia alla rovina… la stessa roba che aveva traviato persone, portandole dalla parte sbagliata.
“Non ti ho mai detto di aver smesso, Scorpius. Sei tu che hai smesso di chiedermelo” sussurrò Lily, portandosi una ciocca di capelli rosso carminio dietro l’orecchio.
E il sole continuava ad accarezzarle i capelli, il viso, la bocca carnosa nonostante non lo meritasse. Nonostante – in quel momento – nei suoi occhi ci fosse più buio che luce.
Scorpius si passò una mano nei capelli biondi, mordendosi l’interno della guancia fino a sentire male. Fino a non sentire nient’altro che il sapore acre del sangue giù per la gola.
“Nel mio studio, tra la quarta e la quinta mattonella alla destra dell’entrata, c’è un piccolo rialzo… proprio lì ho nascosto un libro incentrato sulla visualizzazione mentale dei pensieri altrui.
È una magia molto particolare – e soprattutto pericolosa per chi la pratica – ma aiuta a visualizzare i pensieri negativi e realistici, cioè intenzionati a ferire gli altri e chi li custodisce” spiegò l’ex professore di Pozioni, sfiorandole il volto con gli occhi neri come l’onice.
Lo sguardo di Lily s’illuminò di una luce folle, quasi astuta e Scorpius capì che sarebbe stato inutile chiederle di rinunciare: proteggere la famiglia, oramai, era diventata la priorità assoluta per lei; ed era stato stupido da parte sua accantonare il pensiero che avrebbe potuto continuare ad abusare di quella magia. Oramai ne era soggiogata.
E contarle le costole nella doccia, attraverso i vestiti, non era di certo un buon segno. Quel corpo piccolo e fragile gli stava inviando segnali da secoli… segnali che aveva ignorato fino a quel momento.
“Anche se non sarai sola in questa ricerca, mia piccola amica” s’intromise Silente, sereno, fissando i due attraverso gli occhialetti a mezzaluna.
Lily lo fissò confusa, ma quello si limitò a poggiarsi un dito sulla bocca e scuotere il capo, divertito.
“Lo scoprirai stasera a cena. Ora va’, la nostra cara Minerva sta per fare ritorno e non credo che le faccia piacere sapere che avete scroccato il camino senza la sua supervisione!” ridacchiò ancora, invitandoli a smammare con la sua solita flemma e garbatezza.
Lily si alzò velocemente e prese Scorpius per mano – che continuava a non fiatare – fissandoli con il solito sorrisetto birichino sulla bocca.
“Ce la faccio comunque” disse, strappando ad entrambi la sicurezza che sicuramente ce l’avrebbe fatta.
Era o non era una Potter?
Uscirono dall’ufficio ancora mano e mano e non arrivarono nemmeno a chiudersi i Gargoyle alle spalle che si ritrovarono faccia e faccia con Dalton e Albus, che da una settimana a quella parte sembravano essere diventati pappa e ciccia.
I due li guardarono sospettosi, ‘manco fossero vestiti di nero e avessero una maschera sul volto.
“Ma che è?” sbuffò Scorpius, mentre Albus aguzzava lo sguardo sulle loro mani unite.
“Ma che è a te! Mollala, Malfoy!” sibilò il ragazzo dai capelli neri, dividendo la stretta con una gomitata micidiale che fece bestemmiare Scorpius in aramaico.
“Schiatta a pecora, Potter!” sbraitò il ragazzo dai capelli biondi, mantenendosi la mano con una smorfia indignata.
Albus e Lily assunsero la stessa espressione schifata.
“Ehi!” urlarono all’unisono e se la rossa gli diede un calcio negli stinchi – mandandolo steso senza fiato – l’altro gli mollò uno scappellotto che quasi gli staccò la pelle dietro la testa.
“Bastardi… sì, pure tu, sei una bastarda!” annaspò Scorpius senza fiato, ancora inginocchiato sul pavimento.
Lily si riavviò i capelli con un gesto secco della mano.
“Ah, che stile, ragazzi. Che stile!” sospirò Dalton, poggiandosi con una mano contro il muro e ammiccando sensualmente verso la Potter.
“Tu non rivolgermi la parola, Zorro della malora” sibilò Lily, spintonandolo e facendolo crollare a gambe all’aria accanto al suo amico di sempre.
“Spero che sanguinerai ogni volta che Malfoy cerchi di traviarti verso il piacere del sesso!” sbraitò Dalton, piagnucolando per l’essere crollato proprio sul suo regale fondoschiena.
“SEI UN CODARDO!”
I quattro si zittirono all’unisono quando sentirono quella frase rimbombare per i corridoi ancora vuoti per le lezioni in corso: Albus si accucciò accanto a Dalton, sintonizzando le orecchie e Lily si sporse alla sua destra per sentire meglio.
“Oh, quanto amo le scenate di gelosia” bisbigliò Dalton, ignorando le braccine di Albus circondate al suo collo: era nauseante il modo in cui stavano attaccati, questo lo dovette ammettere anche Lily che come qualsiasi donna desiderava una storia gay tra due amici per assistere a quell’amore, in quella scuola così piena di pregiudizi, sbocciare ed essere impossibile – certo – ma realizzabile.
“Ti sto dicendo che la Smith non si vede in giro da una settimana e tu mi rispondi che non sono affari tuoi? Ma sei scemo o cosa?!” urlò – e questa volta Lily la riconobbe – la voce di sua cugina Rose.
Dalton s’immobilizzò, allibito e sentì chiaramente il cuore sprofondare.
I suoi sospetti erano fondati… Joe, era successo qualcosa alla sua Joe.
“Che vuoi che ti dica, Weasley? Io e la Smith non stiamo più insieme” rispose Tom e i quattro lo intravidero accanto la rampa di scale, diretto verso l’aula di Artimanzia dopo un ora di buca per l’assenza del professore di Difesa.
“Le serve aiuto, non capisci? Joe è vittima di bullismo e se il mio intuito non m’inganna, la colpa è tutta tua e di quell’altro idiota a cui vai appresso!” disse Rose, furiosa, mentre Dalton ciondolava il capo a destra e sinistra.
Era successo qualcosa a Joe. La sua Joe.
Sentirono un botto – e Albus quasi li fece scoprire crollando su Dalton: Lily riuscì a ficcare un pugno in bocca al ragazzo di colore prima che sbraitasse – sporgendosi insieme agli altri tre per vedere chiaramente Tom sbattere, con una violenza inaudita, Rose contro la rampa di scale.
Erano faccia e faccia e Tom copriva il corpo piccolo e contratto di Rose.
“Porca puzzola, ma da quando è così sexy e violento?” sussurrò Albus, facendosi guardare schifato da quei due e pure sua sorella.
“Guarda che Chrysanta la sorpresa non ce l’ha…” ridacchiò Dalton, suscitando nel metro e quaranta d’uomo tutta l’indignazione possibile.
“Ma vaffanculo, va!” sibilò Al, mostrandogli il dito medio.
“In effetti ha ragione, Potter; ci sono passato anch’io con Chrys e…” iniziò Scorpius, venendo immediatamente zittito da una scarpina di vernice in pieno cranio.
Gemette, crollando nuovamente con la faccia sul pavimento.
“Sta zitto, Tom sta nuovamente parlando” sussurrò Lily, incattivita, guardandolo con uno sguardo così velenoso che, Scorpius, ritenne opportuno crollare nuovamente con la faccia sul pavimento.
“Sì, padrona” piagnucolò, beccandosi pure un “tiè”  da Dalton, che si era vendicato di tutte le volte che lo aveva maltrattato.
“Muori”
“Più tardi, ora subisci tu” ridacchiò Zabini, tutto beato, tenendosi ancora Al a cavalluccio come se non pesasse niente.
“Non. Intrometterti. In. Cose. Che. Non. Sai” sillabò Tom, attirando nuovamente l’attenzione dei ragazzi.
Era a pochi centimetri dal volto di Rose, che lo fissava impassibile: i loro nasi si sfioravano e Tom strinse con entrambe le mani il corrimano di marmo, intrappolandola con il calore del suo corpo.
Con l’odore del suo respiro.
“Nott, non m’intrometto assolutamente in niente, forse non ci siamo capiti” disse Rose, assottigliando gli occhi azzurri in una fessura sottile e poggiando i pugni chiusi contro il suo petto.
“Joe è stata messa in un angolo dallo stupido fan – club eretto per te e quello stupido di Zabini e tu devi fermare questo scempio prima che qualcuno si faccia seriamente male” continuò, combattiva, spingendo i pugni contro il suo torace con forza.
“È tuo dovere!” terminò, facendo spalancare gli occhi di Tom fino all’inverosimile.
Suo… dovere?
“Mio dovere?” ripeté Tom, sbattendo ripetutamente le palpebre e affannando di poco col petto.
“MIO DOVERE?” urlò, facendola sobbalzare violentemente sul posto e tappare la bocca con la mano chiusa a coppa.
Albus allacciò le gambe attorno la schiena di Dalton, stringendoselo contro così forte da fargli temere un soffocamento sia per la paura che gli aveva fatto prendere quello scemo – urlando così forte – sia per la stretta di Al che si era quasi cagato sotto per l’attacco improvviso di Tom.
“Hai ragione… è sexy così!” bisbigliò Dalton, grattandosi il mento e mollando un pizzico ad Albus per fargli alleggerire la presa.
“Annota, Potter: violento è sexy” mormorò, annuendo e lasciando che Al segnasse tutto sul taccuino per essere perfetti.
“State zitti” li riprese Lily, seduta accanto a Scorpius tutta presa dalla conversazione tra quei due.
“Seriamente, Weasley. Hai appena detto che preoccuparmi della Smith è mio dovere?” mormorò Tom, respirando tremolante sulla sua bocca e facendole perdere un battito.
“Sì, l’ho appena detto” rispose Rose, aprendo i pugni poggiati sul suo petto e cercando di spingerlo indietro senza successo.
“Stupida…” mormorò Tom, abbassando il capo e lasciando che alcuni ciuffi di capelli – neri come l’onice – gli coprissero lo sguardo cupo.
Rose lo sentì tremare e quasi le gambe le cedettero nel sentire quel profumo di more e uomo così vicino a sé. Non era mai stata a così poca distanza da un ragazzo che non fosse della sua famiglia e… faceva paura. Ed era qualcosa di meraviglioso.
Stupida!” urlò ancora Tom, colpendo il corrimano con un pugno così forte che Rose poté quasi sentire lo scricchiolio delle ossa.
Si aggrappò alle sue spalle, affannando: le unghia penetrarono nel mantello e nel maglione pesante, lasciando il segno nella pelle della spalla scarna; Tom alzò gli occhi blu su di lei, fissandola con la mascella serrata.
“Non sono affari tuoi” ripeté ancora, mentre lei poggiava i polpastrelli sulle nocche che avevano colpito il marmo con forza.
“Nemmeno più tuoi, a quanto pare” rise Rose, facendo leva sui palmi aperti sulle sue spalle per spingerlo lontano. Tom scese qualche scalino, con la mano sanguinante.
“Tu hai solo paura che qualcuno faccia prima di te… e che lei, nuovamente, non ti scelga con il cuore” sussurrò Rose, passandosi una mano tra i capelli rossi e rendendoli ancora più elettrici.
“E fattelo dire, Nott: sei patetico” finì, dandogli le spalle e superandolo di gran carriera, con il viso rosso e le gambe tremanti.
Una cosa era certa: Thomas aveva il profumo più bello che avesse mai sentito ed era tutto dire. Quegli occhi blu, oltre a metterle soggezione, ora la stavano osservando come se volessero ucciderla… eppure non aveva paura.
Non di lui, non di Tom.
Poteva arrabbiarsi quanto voleva, diventare anche l’uomo più furioso della terra, ma lei lo aveva osservato abbastanza da capire. Da capirlo; quel ragazzo non era capace di fare del male ad una mosca – a dire il vero – e l’unico che era mai riuscito a punire veramente era solo lui stesso.
E faceva male quella constatazione. Tom non era cattivo, era solo incompreso, e fuori posto, probabilmente.
Rose accelerò di passo e appena riuscì a mettere metri di distanza da lui e il proprio cuore, si accasciò contro il primo muro che le capitò di spalle, scivolando sul pavimento con una mano sul petto: Merlino, non le batteva così da secoli ed era la sensazione più piacevole che avesse mai provato.
Aveva appena insultato Nott come niente fosse.
Lo stesso Nott che aveva un profumo meraviglioso.
“Merda!” bisbigliò a bassa voce, colpendosi la fronte con una manata.
Merda! Ripeté mentalmente, dandosi della stupida.
Ma che le saltava in mente? Insultare in quel modo un Caposcuola! Un Caposcuola con un profumo così mera… basta! Doveva riprendere controllo sulle sue facoltà mentali!
Ma era così buono…
“Merda!” disse ancora, sbattendo la testa contro il muro e piagnucolando come una bambina.
Perché – quando si trattava di ragazzi o anche cose che si avvicinassero lontanamente a relazioni fisiche e sentimentali – la sua mente si spegneva e diventava la fotocopia di suo padre?
“Merda!” era anche peggio di quanto pensasse.
Si fermò al primo piano, nei pressi della Sala Grande e piagnucolò nuovamente, perché, cavolo, era una stupida; e al diavolo Joe e il suo voler fare la paladina della giustizia!
Si era fatta gli affari propri per sette anni e proprio ora cominciava a farsi problemi?
“Dimmi dov’è”
Una voce affannosa e, girandosi, Rose incontrò gli occhi azzurri di Dalton Zabini: si mordeva le labbra e sembrava aver corso per… per raggiungerla.
Aveva sbagliato, ancora. Nonostante si considerasse una persona molto intelligente, Rose aveva sbagliato i suoi calcoli.
Non era Tom che doveva fermare e dire quelle cose; non era a lui che doveva dire della condizione di Joe. E lo capì guardando Dalton negli occhi, che si mordeva l’interno della guancia per non urlarle che voleva sapere.
Che aveva bisogno di sapere se Joe stava bene.
E Rose sorrise.
“A lei piace sentirti” mormorò solamente, capendo il perché – ultimamente – avesse trovato Joe solo nel bagno al terzo piano.
A lei piaceva veramente sentirlo e viste le ultime reazioni di Dalton e la sua impossibilità nel mostrarsi in quelle condizioni, si chiudeva in uno dei cubicoli per ascoltarlo anche solo respirare.
Lei lo amava. E anche lui, a quanto sembrava.
“A lei piace sentirmi…” ripeté Dalton, fissandola dapprima confuso. Aggrottò le sopracciglia scure, inclinando il capo, e Rose ridacchiò, socchiudendo gli occhi azzurri.
“A lei piace anche solo sentirti respirare, fumare”  bisbigliò la rossa, facendolo illuminare dalla comprensione.
“Oh” disse solamente Dalton, capendo a volo.
“Dove vai?” urlò Albus, dal corridoio opposto, mentre lui correva verso le scale senza guardarsi indietro.
No, no, quella volta non si sarebbe fatto fermare da nessuno, nemmeno se si fossero presentati i suoi genitori per scusarsi delle loro assenze, dei loro sbagli. E al diavolo l’orgoglio, Tom e tutte le puttanate che si portava dietro!
Lei era sua.
Lei era sua, cazzo e l’avrebbe avuta!
Nessuna paura, ora, nessun schiantarsi al suolo e farsi male. Nessuna insicurezza, solamente Joe e Dalton. Solamente il battito furioso dei loro cuori dopo un solo sguardo.
E corse.
Corse fino a sentire male alle ginocchia, a venire meno nei polpacci, ad esalare respiri piccoli per non sentire dolore al petto; corse scale su scale e quando arrivò finalmente al bagno di Mirtilla, l’ansia subì un impennata che gli strappò il fiato.
Poggiò la mano sulla maniglia e s’introdusse velocemente nella stanza umida e silenziosa: non c’era nessuno, se non il gocciolio insistente dell’acqua; sapeva che lei era nascosta, poteva sentirla respirare – ora come non mai. –
Il suo profumo era sempre stato lì, prepotente, ma nonostante questo non era diventato affatto flebile. Poteva sentirlo sotto pelle, ovunque attorno a sé.
Era lì e lo amò con ogni osso e membra funzionante del suo corpo.
Entrò in uno dei cubicoli e si accucciò sul pavimento dalle piastrelle fredde, rimanendo la porta socchiusa e – con un incantesimo – sbattendo quella principale.
Un respiro e Dalton sentì chiaramente una porta cigolare lentamente, come se qualcuno volesse dapprima accettarsi che il bagno fosse vuoto per mostrarsi.
Due sospiri tremolanti e finalmente sentì dei passi: zoppicava lenta sulle piastrelle, tenendosi il fianco con il respiro affannoso.
Dalton sgranò gli occhi, aggrappandosi al legno della porta con la gola secca e le mani tremanti. Che le avevano fatto?
Come avevano ridotto la sua piccola complessata? Quella ragazza così timida che – all’inizio dei loro incontri – lo guardava e arrossiva… che le avevano fatto? Scosse il capo, mordendosi la bocca fino a sentirla sanguinare e lei, nel mentre, era arrivata dinnanzi ai lavandini.
Si guardava allo specchio e intanto si medicava il braccio escoriato e graffiato a sangue; aveva dovuto cucirsi il labbro da sola – per non insospettire Madama – e, nuovamente, ancora, le avevano fatto l’occhio nero: era così gonfio e verde che – oramai – Joe aveva preso l’abitudine di guardare solo con l’occhio sinistro e non sobbalzare più quando incontrava il suo riflesso.
Non riuscì a trattenere un conato di vomito e cacciò la colazione dritta dritta nel lavandino del bagno, tremando.
Cristo, era così stanca… con due costole incrinate faceva fatica persino a respirare e lei era così stanca di sforzarsi di fare persino una cosa così naturale.
Aprì il rubinetto e si sciacquò velocemente il volto, inghiottendo singhiozzi e lacrime come fiele e bile – non c’era differenza – avevano lo stesso sapore.
Il suo riflesso risultava nauseante persino a se stessa e non centravano nulla i tre graffi sulla guancia – che le deturpavano il volto – o il naso rotto. No. Era il suo sguardo spento ad essere nauseante, i suoi capelli tagliati fin sotto l’orecchio, in segno di sfregio, ad esserlo.
Si asciugò l’unica lacrime che era sfuggita al suo controllo e si maledì, quando, guardando allo specchio vide il volto di qualcuno che non era lei.
“Sei patetica” rise Cecilie, poggiando i fianchi contro lo stipite della porta del primo cunicolo alla sua destra.
“Basta. Basta” bisbigliò Joe, aggrappandosi con le dita violacee al lavandino di ceramica.
Si era rotta una mano. Ed era stanca.
Basta. Basta.
Cristo, era distrutta. L’avevano piegata, spezzata… fatta a pezzi e non ce la faceva più. E non voleva farcela più.
“Ci ho messo un po’ di tempo per arrivare a questo punto, ma sappi che è il mio preferito” mormorò Cecilie, riavviandosi una ciocca di capelli biondo miele dietro l’orecchio e sorridendo come una bambina.
Joe distolse lo sguardo dai suoi occhi azzurri e li puntò nel proprio riflesso, pallido e ferito.
Basta. Basta.
“Basta” ripeté Joe ancora una volta, con voce flebile, stringendo ancora più forte la ceramica tra le dita e ignorando il dolore. E ignorando il suo cuore dal battito flebile.
“Ci ho messo settimane per preparare quella stupida pozione, ma ne è valsa veramente la pena… non credi, Joe?” continuò Cecilie, facendo sgranare gli occhi alla Grifondoro e annuendo, folle, pazza.
“Oh sì, sono stata io. Sai, avevo capito fin dall’inizio che c’era qualcosa in Dalton, quando facemmo l’amore e mi è bastato osservarlo nemmeno due minuti per accorgermi che era innamorato. LUI ERA INNAMORATO!” e urlò letteralmente quella frase, disgustata.
Joe ciondolò il capo, inerme e Cecilie ridacchiò nel vedere i suoi capelli tagliati fino sotto al mento in modo irregolare.
Era stata lei.
Era stata lei.
“E avevo bisogno che lui capisse… che lui capisse il tipo di persona di cui si stava innamorando. Mi è bastato parlare ad alta voce nei corridoi di quest’anello della promessa – che un mio pseudo ragazzo mi aveva regalato – e che legava due persone per tutta la vita per far correre Tom a comprarlo. Poi, lo giuro, hai fatto tutto da sola!
Anche se devo ammettere che farli prendere a botte è stato un tocco di classe: ho allontanato sia Dalton che Tom da te e non ho fatto altro che dire in giro la verità.
La causa del litigio tra i due migliori amici secolari – di due persone che si volevano bene da tempi immemori – e si consideravano l’uno la famiglia dell’altro, eri tu” mormorò Cecilie, divertita, accarezzandosi la gonna della divisa e avvicinandosi lenta, mentre le scarpine di vernice producevano un ticchettio strano, inquietante e angosciante.
“Non è stato divertente, Joe?” sussurrò al suo orecchio, accarezzandole i capelli con dolcezza.
Basta. Basta.
“Basta!” urlò Joe, colpendo con una manata lo specchio di fronte a sé, che si ruppe in mille pezzi.
Basta. Basta.
Basta.
“Allontanati. Ora”
E quella voce sembrò una condanna ma nello stesso tempo una manna dal cielo: era così gelida e fredda che le due ragazze rabbrividirono all’unisono, girandosi verso la fonte.
Dalton calciò così forte la porta del cunicolo dove si era nascosto che questa si scardinò, cadendo con un tonfo sul pavimento e alzando centimetri di polvere.
Era seduto sul pavimento e fissava Cecilie con gli occhi sbarrati dalla rabbia, mentre la gamba era ancora piegata dopo aver assestato il colpo; i capelli neri erano scompigliati, come se li avesse resi elettrici dopo averci passato le mani ripetutamente. Ed era furioso.
E aveva uno sguardo omicida che, di primo acchito, sembrò quello di un psicopatico.
“Forse non mi sono spiegato bene, Cecilie, cara.
Ho detto allontanati da Joe. Ora”  sibilò con voce roca, alzandosi dal pavimento con un colpo di reni e stringendo i pugni fino a farsi sbiancare le nocche.
Tutte quelle notti a darsi la colpa, a darle la colpa… e alla fine era tutta colpa sua. Era stata colpa di quella puttana, che ora lo fissava pallida ed esamine.
L’ammazzava.
Merlino, se l’ammazzava!
“Quante volte ho ignorato questa maledetta ossessione che nutrivi nei miei confronti e che mi ha asfissiato fino all’inverosimile, hm?” iniziò, avvicinandosi lento verso di lei, che indietreggiò e toccò con la schiena i lavandini di ceramica.
Il sangue di Joe gocciolava ancora sul pavimento.
E la sua furia aumentò.
“Quante volte ho perdonato i tuoi attacchi, Cecilie, hm?” continuò, inclinando il capo e sporgendosi verso di lei, mentre Joe si schiacciava al muro e li fissava con gli occhi vuoti. Con il volto colpito e martoriato, distorto dai colpi, dalla tristezza.
L’ammazzava.
Morgana, se l’ammazzava!
“E QUANTE CAZZO DI VOLTE TI HO DETTO DI STARE LONTANA DA CIO’ CHE ERA MIO?” strillò infine Dalton, con gli occhi fuori dalle orbite e colpendo così forte lo specchio alle spalle di Cecilie che creò alcune crepe nel muro e mandò in mille pezzi il proprio riflesso.
Cecilie sobbalzò e Joe li fissò ancora inanimata.
“Perché vuoi che io ti faccia male?” bisbigliò, portando le dita macchiate di sangue al collo pallido della Corvonero e annaspando pericolosamente.
Era tutta colpa sua.
Solo colpa sua.
“Perché vuoi che diventi violento?”
Aveva avuto ragione, Cecilie: quegli attacchi violenti, che facevano male agli altri, avrebbero solamente allontanato chi lo amava da sé.
Strinse le dita così forte al collo che la vide diventare cerea, ma non smesse; continuò a stringere fino a sentirla annaspare, aggrapparsi a lui per supplicarlo di smetterla, ma continuò.
Voleva sentire le ossa scricchiolare sotto le sue dita e i suoi occhi pregarli. Voleva vederla sottomessa, com’era stata Joe quando era stata picchiata; voleva vederla piangere, come tutte le volte che aveva pianto Joe quando l’avevano ferita.
Voleva… voleva…
“Basta” sussurrò Joe, al suo fianco, poggiando la mano sul suo braccio e flettendo le dita sul suo maglione.
Voleva lei.
Era determinata e lo fissava stanca, come se avesse corso miglia; Dalton si staccò immediatamente da Cecilie, che si accasciò sul pavimento, e si voltò a guardarla con gli occhi azzurri spalancati e… intrisi di lacrime.
Stava piangendo. E voleva lei.
“Mi dispiace” bisbigliò Dalton, passandosi una mano nei capelli e coprendosi lo sguardo con un braccio.
Annaspò, singhiozzando come un bambino.
“Non avevo idea… non potevo saperlo… mi dispiace” rantolò, con voce roca, mentre scuoteva le spalle per i singulti di pianto che lo coglievano improvvisamente.
Si piegò su se stesso, sulle ginocchia, e gemette ancora.
“Salazar, ti hanno torturato!” urlò, sentendo lo stomaco contrarsi e il cuore cadere.
Merlino, se cadeva: era una caduta libera che non si arrestava, che continuava a ferirlo e che gli faceva mancare il fiato.
Era tutta colpa sua. Solo colpa sua.
“Dalton, Dalton”  lo richiamò Joe, spostando il braccio dai suoi occhi e inginocchiandosi di fronte a lui, con le mani tra le sue, con il respiro nel suo.
Cecilie era scomparsa, ma non gli importava; voleva solamente sapere se lei avrebbe potuto perdonarlo, se con tutto quello era successo lei poteva ricostruirsi.
“Va tutto bene, Dalton” mormorò Joe, portandosi la mano ferita al viso e sporcandosi le guance di sangue.
E lo consolava lei quando avrebbe dovuto farlo lui.
“Va tutto bene, Dalton. Sei qui, sei qui” continuò, dondolando su se stessa e lasciando – finalmente – che qualche lacrima le accarezzasse il volto.
Sì, era lì.
L’abbracciò di slancio e lei non fiato, aggrappandosi con le mani alla sua schiena, e se la strinse al petto così forte da farle e farsi male.
Sì, era lì. E quella volta in modo permanente.
   
 
Leggi le 13 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: PeaceS