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Autore: Dzoro    11/10/2013    0 recensioni
Angelo è un ex marine veterano della guerra del golfo. Vive in una città americana, da solo, il suo unico amico è un barista di colore. Angelo è un assassino a pagamento. Questa è la sua storia.
Per fan di Cormac McCarthy, Quentin Tarantino e Garth Ennis.
Genere: Drammatico, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Angelo Strano'
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Capitolo breve, ma leggermente in anticipo, enjoy! Non è mai troppo tardi per recensire e seguire. Grazie a tutti, siete grandi!

Dzoro

 

Ps:Ho l’impressione che molti di voi non abbiano letto il capitolo 14 (la macchia sul muro), che ho pubblicato la stessa settimana del 13. Vi consiglio di leggerlo, è un pezzo importante di questo ciclo conclusivo.

 

Sorprese

Gregory Statham aprì gli occhi sul soffitto bianco della sua camera. L’idea che il processo avrebbe avuto luogo entro due ore da quel momento, scacciò via immediatamente il sonno, e tenne spalancati i suoi occhi mentre si alzava. Il suo sguardo vagò sull’altra metà del letto, e le sue mani toccarono le lenzuola, il che era un gesto senza senso, ma non lo sarebbe stato un mese prima, quando quella parte del letto era occupata da sua moglie. Ogni mattina, quando controllava la cassetta della posta, aspettava una lettera dall’avvocato di lei. Non era ancora arrivata.

Si alzò, e trovò i vestiti sulla sedia dove gli aveva lasciati la sera prima. Si passò una mano sul volto, accorgendosi che la barba non era ancora lunga. La pausa in bagno che si prese prima di vestirsi fu breve, quasi del tutto priva dei rituali del risveglio con i quali gli esseri umani riempiono gli attimi subito dopo essere usciti dal letto. Badò solo a lavare bene i denti: suo padre era alcolizzato, e mentre, trent’anni prima, gli urlava contro con il suo fiato pestilenziale, si era promesso di non avere mai un alito come il suo.

Dal momento in cui il nodo della sua cravatta venne stretto, a quando girò le chiavi nella toppa della porta, non passò un minuto. Ne passarono un paio fino a quando le infilò nella toppa dell’auto.

Accese un radiogiornale a volume basso, come al solito non lo ascoltò.

Parcheggiò mezz’ora dopo in uno spazio riservato alla polizia, vicino alla piazzola grigia, con al suo centro una fontana circondata da una panchina, dove alcune impiegate in tailleur bevevano caffè e leggevano il giornale. Lapiazza era sofrastata dall’edificio bianco del tribunale.

Trovò Pelham seduto su di una panchina nell’atrio, piegato sotto la stanchezza. Un cinquantenne calvo e grassottello, che arrivava a stento al metro e sessanta. Erano ormai due mesi che lavorava fianco a fianco con lui, ma non gli riusciva proprio di considerarlo un amico, forse a causa della sua cordialità affettata. Lo raggiunse con la giacca sotto un braccio, e in mano un bicchiere di caffè preso in un bar davanti al tribunale.

- Buongiorno.-

Il piccolo uomo alzò la testa, guardandolo triste da dietro i suoi occhiali a fondo di bottiglia. Era evidente che qualcosa non andava.

- Siamo fottuti, Greg.- disse con voce sommessa.

Statham rimase impassibile, ma sentì una sensazione sgradevole attraversarlo. Era la stessa che aveva provato un mese prima, a cena insieme alla donna che aveva vissuto con lui fino a quel momento, quando lei gli aveva detto che le cose non andavano.

- Che succede?-

- I nostri testimoni. Stanotte sono stati uccisi.-

- Cosa?-

Pelham riabbassò la testa, lasciando sprofondare la conversazione nel peggiore dei silenzi. Statham appoggiò sulla panchina giacca e bicchiere. Si sedette. Aprì e chiuse la bocca diverse volte, cercando di iniziare a parlare. Non ci riusciva. Sentiva il sangue pulsargli nella fronte.

- Non so come abbiano fatto.- fece Pelham, come giustificandosi.

- Non sai come… Cristo, John!- riuscì a dire finalmente Statham - Erano sorvegliati speciali dell’Fbi! Saranno stati una decina d’agenti addestrati.-

- Sette agenti. Sorvegliavano i due testimoni, e la moglie di uno di loro. È stato un massacro da prima pagina, probabilmente un commando addestrato, hanno ritrovato bozzoli di almeno tre armi da fuoco diverse.-

- Ma chi cazzo si credono di essere i Capuzzi? John! È Chiaro come il sole che sono stati loro, a chi cazzo d’altro interessava uccidere quei due contabili? Non posso credere che ora ne usciranno tanto facilmente!-

- Probabilmente no. Ma ora, stamattina la seduta sarà chiusa al massimo dieci minuti dopo l’ingresso in aula, perché semplicemente non ci sarà niente da mostrare. Lo stato aprirà un altro processo contro Santo Capuzzi, per incriminarlo dell’omicidio di stanotte: passerà altro tempo, verranno spesi altri soldi. E non so come finirà. Mi dispiace Gregory, ci hanno fregato.-

Statham non disse nient’altro. Rimase silenzioso, composto, solo i suoi occhi lasciavano trasparire la sua rabbia.

Lavorava da quindici anni nella polizia. Da due mesi sognava di notte il momento in cui Santo e Antonio Capuzzi sarebbero stati messi a marcire in una prigione, in attesa dell’iniezione letale.

- Serve che io resti qui?- chiese alla fine.

- No.-

- Torno a casa.-

- Sì.- mormorò Pelham, a capo chino.

Statham si alzò. Uscì dal tribunale. Entrato in macchina, iniziò a guidare. Quando girò la chiave, l’autoradio si accese su una canzone. Non la spense. Guidò senza pensare a dove andava. Si fermò dopo un paio di miglia davanti ad un negozio di alimentari. Uscì dall’auto e rientrò un minuto dopo, appoggiando sul sedile davanti un sacchetto di carta, dal quale spuntava il collo di una bottiglia. Tornò al suo appartamento.

Entrato in casa, buttò la sua giacca sul divano, tirò fuori dal sacchetto una bottiglia di vodka, e la appoggiò sul tavolo accanto ad un bicchiere vuoto. Lo riempì. Si sedette, appoggiandosi sullo schienale fino ad inclinare la sedia. Da lì, allungando un braccio, poteva raggiungere il divano. Estrasse dalla tasca della giacca il suo distintivo. “Per proteggere e per servire.” Chi aveva protetto? A cosa era servito?

- Siamo patetici.- mormorò.

Lasciò cadere per terra il distintivo. Avvicinatosi al tavolo, prese il bicchiere, e ne guardò il contenuto. I sui denti si digrignarono fino a che li sentì quasi stridere, e la mano si strinse intorno al vetro. Si alzò di scatto, e gettò il bicchiere contro al muro, abbastanza forte da infrangerlo.

Si diresse di corsa nel suo studio: sopra la sua scrivania si trovavano pile di vecchie riviste, tazze di caffè vuote e fogli scarabocchiati e accartocciati, sovrastati da una lavagnetta coperta da post-it e scritte. E un telefono. Prese la cornetta, e la tenne tra l’orecchio e la spalla, mentre strappava dalla lavagna un biglietto, e leggeva il numero scritto sopra. Lo compose.

Chiunque ci fosse dall’altra parte, non lo fece attendere troppo.

- George? Sono Greg. Ho un problema.-

 

La sveglia suonò. Angelo si alzò di scatto, sebbene il suono arrivasse ovattato e distante dalla stanza da letto. Si era addormentato seduto al tavolo della cucina, non ricordava esattamente quando. Probabilmente poche ore prima. Aveva pensato molto, prima di addormentarsi. Pensieri inconcludenti, confusi, probabilmente dolorosi. Il sonno era stato leggero, ma finché era durato gli aveva dato sollievo. Ora, sveglio, si ricordò di Marie, nel suo salotto. Non se ne era andata, l’avrebbe sentita. Infatti la vide subito, sul divano: anche lei si era addormentata e la sveglia aveva fatto il suo lavoro anche con lei. Angelo si alzò, è andò a spegnere la sveglia, nella sua camera. Il letto era rifatto, come l’aveva lasciato il giorno prima. Mentre spegneva la sveglia, lo guardò. Sotto si trovava una delle sue pistole, caricata e pronta per l’uso. Era fissata alle doghe del letto con del nastro adesivo, in modo tale da poterla staccare subito in caso di bisogno. Con quella avrebbe potuto risolvere tutto. Non la prese, tornò in salotto.

Marie era seduta sul divano. Quando comparve, i loro sguardi si incrociarono. Angelo pensò di dover dirle qualcosa, per questo aprì la bocca. La richiuse subito. Aveva ucciso la sua famiglia, e lei lo sapeva. E continuava a guardarlo. Cosa poteva dirle?

- Io…- provò a iniziare una frase, senza sapere come finirla. Lei probabilmente non lo notò nemmeno.

- Grazie.- mormorò lei, così piano che Angelo pensò di aver capito male, e non rispose nulla.

- Grazie di non avermi ucciso.-


 

   
 
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