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Autore: Dzoro    18/10/2013    1 recensioni
Angelo è un ex marine veterano della guerra del golfo. Vive in una città americana, da solo, il suo unico amico è un barista di colore. Angelo è un assassino a pagamento. Questa è la sua storia.
Per fan di Cormac McCarthy, Quentin Tarantino e Garth Ennis.
Genere: Drammatico, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Angelo Strano'
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Tre giugno

 

Erano circa le sei di sera, quando Spencer uscì dalla sua macchina, di ritorno dal lavoro. La sua automobile andò ad occupare il suo posto riservato, nel garage sotterraneo del palazzo in cui si trovava il suo appartamento. Prese l’ascensore, e salì diretto sino al trentesimo piano. Aveva comprato casa sua circa cinque anni prima, uno splendido salotto che si affacciava su Lincoln Park grazie a un enorme vetrata: luce perfetta, dall’alba al tramonto. Era stato quello che gli aveva fatto fare il grande passo e firmare l’assegno. Il passo successivo era stato comprare un grande tappeto indiano e un divano da diecimila dollari, nonché un ripiano di marmo per il bar, poi un altro degli obbiettivi della sua vita era stato da considerarsi ottenuto.

L’ascensore si fermò, e Spencer ne uscì, specchiandosi immediatamente nel marmo pulito dell’atrio. La porta dei vicini era aperta, come al solito: si trattava di alcuni uffici di una società di informatica, che occupava cinque piani del grattacielo. Avere dei vicini del genere dava a Spencer una sensazione piacevole, sapere di poter permettersi un appartamento vicino a stanze affittate da una multinazionale gli dava l’idea di aver ottenuto molto dalla vita.

Vicino all’entrata dell’azienda, si trovava un uomo. Spencer all’inizio non ci aveva fatto molto caso, ma mentre si apprestava ad infilare le chiavi nella sua toppa, la coda del suo occhio indagò ulteriormente su di lui: dietro a quel completo scolorito, si trovava un asiatico di media statura, anche se molto largo di spalle, dagli occhi piccoli e neri nascosti da rughe giallastre, e con una bocca sottile che solcava da una parte all’altra la sua faccia piatta e larga. Vicino ai suoi piedi si trovava una borsa da palestra grigia, con la tracolla consunta. Spencer ebbe due sensazioni: la prima era la stessa che provava ogni volta che doveva incontrare uno degli uomini che avevano a che fare con i Capuzzo. La seconda, che lo stesse guardando. La porta si aprì, e subito i pensieri riguardo all’asiatico svanirono: c’era qualcuno seduto sul suo divano.

- Chi..?- provò a dire, più sorpreso che intimorito: un ospite? Strano, di solito a quell’ora sua moglie non era ancora tornata. Però, l’uomo che stava seduto sul suo divano aveva un aria familiare, e Spencer tentò addirittura per un istante di ricordare dove l’avesse già visto, Prima che qualcuno lo spingesse da dietro, facendolo entrare a forza. L’asiatico era alle sue spalle, e stava chiudendo la porta.

- Avvocato Spencer.- lo salutò Statham, alzandosi dal divano.

- Che succede? Questa è casa mia! Lo sa chi sono?- gli gridò contro Spencer, non senza prima essersi allontanato dall’orribile orientale alle sue spalle, come per paura che potesse colpirlo di nuovo. Ma questo si limitò ad aggirarlo, fino ad arrivare al divano. Teneva in mano la borsa, che fece, una volta arrivato a destinazione, cadere a terra. Si sentì un suono metallico provenire dal suo interno. Statham dandogli le spalle, si mise a guardare fuori dalla finestra. Poi disse:

- Archibald Spencer, laureato in legge a Yalta nel 1993, eredita dal padre lo studio, conduce una brillante carriera di penalista. Stimato da colleghi e opinione pubblica. Nel 2001 fonda un’associazione per dare borse di studio a studenti provenienti dalle classi meno abbienti, che, stranamente, vede tra i suoi massimi sostenitori Antonio “Tony” Capuzzo, noto “affarista”, della nostra città. Bel panorama qui, comunque.-

- La pianti. Che cosa vuole da me?- Spencer gli si avvicinò – Pensa che non l’abbia riconosciuta? Lei era al tribunale. Sergente Statham, giusto? Beh, consideri il suo lavoro come perso. Ha appena fatto il più grande errore della sua vita!-

- In questo momento sono solo il signor Statham. Sono qui in vacanza.- Statham si voltò e spinse Spencer. Dentro il corpo secco di Statham doveva esserci una forza notevole, a giudicare da come Spencer rovinò sul suo divano, mentre si lasciava scappare un gemito spaventato. – E non provi più a minacciarmi. Il mio amico George , qui, ha avuto un adolescenza difficile in Corea del Nord. Ma non si preoccupi, ora riga dritto, finché glielo dico io. Dicevo, apparentemente l’unico legame che la unisce a Tony è quello appena citato, oltre che la sua presenza ad alcune feste organizzate di tanto in tanto nella villa dei Capuzzo. Ma io dico che non è tutto. Io dico che lei è un fottuto bugiardo, e le donazioni di Capuzzo non sono altro che pagamenti per servizi resi alla famiglia. Dico che lei è la puttana dei Capuzzo, un tramite, il passaggio intermedio tra committente ed esecutore. Una specie di preservativo per delitti. Che dice, mi sto sbagliando?-

Spencer lo fissò in silenzio. Aveva riacquistato la calma, ma in fondo non l’aveva mai persa. La sfuriata di prima sarebbe servita contro uno sbirro, pensava a quella situazione come ad un goffo colpo di mano della polizia. Capì allora che si era sbagliato. Doveva misurare le sue parole.

- Senta.- iniziò a dire – Non pensi di essere il primo che mi muove contro queste accuse. So delle attività di Capuzzo, ma non posso rifiutare i suoi soldi. Se finiscono nelle tasche di chi ha bisogno, invece che in droga e morte, non me ne faccia una colpa. Non sono il suo tramite. A quelle feste ci andavo per rappresentare la società. E il resto delle sue accuse sono semplicemente infondate. Nessuno ha mai avuto prove. E anche lei non ne ha. Ora, mia moglie sta per tornare insieme ai miei bambini. La prego, non li spaventi come sta spaventando me. La prego.-

Statham riprese a guardare dalla finestra.

- Le prove, signor Spencer – disse – Servono in tribunale. A me bastano le mie certezze. E il non trascurabile dettaglio, che io ho ragione. E lei, cazzo se non ne ha.- rise, finendo la frase – Due giorni fa, c’è stato un omicidio. Un omicidio brutale, un fottuto massacro. L’unico modo che la famiglia Capuzzo poteva usare per salvarsi il culo da un processo per crimini federali. Non mi dica che non ne sa niente.-

Spencer rimase impassibile.

- Sergente, questo sarebbe il momento giusto per andarsene.- Dopo quelle parole, pianificò di restare in silenzio. Cercavano di intimorirlo, ma non ci sarebbero riusciti. Bastava tacere.

Statham gli si avvicinò, e lo prese per una spalla:

- Mi sa che lei non ha compreso questa nostra situazione. Io so, che lei sa chi ha fatto quel massacro. Lei mi darà i loro nomi. Io li troverò, e li farò sputare una confessione. E allora i suoi amici italiani saranno molto dispiaciuti. Ora, mi dica quei nomi.-

Spencer tacque. Distolse il suo sguardo dagli occhi di Statham, e fissò la porta. Il sergente sogghignò.

- Capisco.- Guardò George. L’asiatico, era rimasto fino a quel momento calmo e in silenzio seduto sul divano. Si alzò, e afferrò Spencer per la giacca, trascinandolo a forza in direzione della finestra.

- Ehi, fermo!- Spencer provò a divincolarsi, ma una mano di George gli si strinse attorno ad un braccio. Era forte, avrebbe potuto spezzarglielo se avesse voluto. Arrivati a pochi passi dalla finestra lo lasciò cadere per terra. Lo alzò di nuovo, abbastanza veloce perché Spencer non facesse resistenza. Poi lo buttò contro il vetro, di testa. Il colpo fece vibrare i pannelli. Spencer sentì il dolore propagarsi dalla testa alla spina dorsale, e poi alla schiena, togliendogli il fiato. Mentre si rialzava da terra ne ritrovò un po’ per emettere un gemito. Sentì di nuovo le mani di George su di lui. Poco dopo, sulla finestra c’era del sangue.

Statham si avvicinò:

- Bei vetri. Resistenti. Quante volte dovremo buttartici contro prima che si rompano? O si spezzerà prima il tuo collo? O la smetterai di essere uno stronzo, e ci dirai quello che vogliamo sentire? Quanto dolore dobbiamo infliggerle ancora, signor Spencer?

- Vaffanculo.- mormorò a terra Spencer, tenendosi la tempia sanguinante.

- Siamo dei veri duri, eh? George.-

George alzò Spencer da terra. Lo alzò senza fatica, come se non pesasse nulla. Lo trascinò un attimo indietro. Questa volta voleva prendere la rincorsa. Questa volta, il vetro si crepò.

- Cazzo George, è in questi momenti che sono contento di essere tuo amico.- Fece Statham, chinandosi su Spencer. Questi si voltò supino, tossendo. Piangendo.

-  E lei vuole essere nostro amico, Spencer?- Gli disse, mentre le loro facce quasi si sfioravano.

Spencer aprì la bocca, e ci vollero alcuni secondi prima che qualche suono ne potesse uscire:

- Andate via…-

Statham scosse la testa.

- George, andiamo in bagno.- George lo guardò senza capire. Statham alzò le spalle – Mi piace il suo tappeto. Non voglio sporcarlo.-

 

La macchina si fermò in mezzo ad un parcheggio deserto, accanto ad una tavola calda lungo la statale. Angelo scese, e si guardò intorno, ma non c'erano poliziotti lì.
- Scendi.- disse rivolto verso la macchina. Marie scese, Tenendo la testa bassa. Non l'aveva mai alzata, durante il viaggio. Non aveva mai nemmeno parlato. Aveva solo seguito gli ordini di Angelo, senza lamentarsi, senza obbiettare. L'aveva seguito prima in macchina, e poi fino a lì. Il perché non cercasse di scappare non era ben chiaro ad Angelo. Non gli era ben chiaro nemmeno ciò che stava facendo lui stesso, ma aveva smesso di chiederselo: sapeva solo che non l'avrebbe uccisa. Ma poi, nient'altro.
Marie non aveva più parlato. Non aveva più parlato dopo quella manciata di parole, appena svegliatasi. E Angelo non aveva risposto. Cosa poteva poi rispondere: “prego”? “Mi dispiace”? Aveva ucciso la sua famiglia, lei lo sapeva, eppure non sembrava arrabbiata, o disperata. Solo triste.
Entrarono nel locale, e aspettarono che arrivasse la cameriera.
- Hai fame?-

Lei scosse la testa.
- Prendo un po' di cose, così se ti viene... puoi mangiare.-
Una vecchia cameriera prese nota  su un foglio, una bistecca e dei pancake, e tornò in cucina, lasciando il tavolo in silenzio. Angelo si mise una mano tra i capelli, rifletté Poi disse:
- Tuo padre... era un contabile di una famiglia mafiosa. Si era venduto all' FBI per testimoniare contro i suoi ex datori di lavoro. Per questo lui… e la sua… la tua famiglia...- Angelo alzò gli occhi vero di lei. Forse incontrò per un attimo i suoi - E te...-
- Ho capito.- disse lei, subito, veloce. Come a dire che l'argomento era chiuso.
Angelo tacque. Cercò altre parole da dire, quel silenzio gli faceva male.
- Quindi... non possiamo stare in città. I Capuzzi non devono sapere che sei viva. Dobbiamo aspettare un po' che le acque si calmino.- Angelo sapeva che erano tutte balle. Sapeva cosa avrebbe dovuto fare. Prendere il primo aereo, andarsene dall'altra parte del mondo. Oppure andare con lei dalla polizia, e ridarle quello che rimaneva della sua vita. Così stava solo prolungando le cose. La stava proteggendo dai Capuzzi, certo, ma loro pensavano che lei fosse morta. Se fosse tornato in città, avrebbe avuto tutto il tempo di metterla sotto la protezione della polizia. Ma lei sapeva. Conosceva la sua faccia. Forse quella di Spencer. Sapeva tutto. Più ci pensava, più Angelo capiva di essere dentro un precario equilibrio, che non sarebbe durato in eterno.
Arrivò la bistecca. Angelo si accorse che nemmeno lui aveva fame. La tagliò. Ne mangiò un pezzo, meccanicamente. Arrivarono i pancakes.
- Perché non mi hai ucciso?- Angelo trasalì: si voltò subito verso la cameriera che si stava allontanando dal tavolo: nessuna reazione, sembrava che non avesse sentito la domanda.
Allora si voltò di nuovo verso Marie.
- Ora andiamo a prenderti dei vestiti. Non posso portarti in giro conciata così.-

- Tu non sei un uomo malvagio.-

- Eh?-

- Non lo sei. Cerchi di esserlo, per fare le cose... che hai dovuto fare.-

Angelo sogghignò.

- Non mi conosci abbastanza.-

- Come ti chiami, signor Salerni?-

Angelo non rispose immediatamente. Erano poche le persone che conoscevano il suo vero nome, e lei sicuramente non poteva essere una di quelle. Ma quando aprì la bocca per parlare, si accorse che era stufo di vivere così. Era stufo di tutte le bugie.

- Peter.- disse – Mi chiamo Peter.-

- Ora ti conosco.- gli sembrò che Marie avesse addirittura accennato un sorriso, pronunciando quelle parole. Lo prendeva in giro.

- Non fare la stupida. Pensi che quello che ho fatto ieri notte sia la cosa peggiore che ho fatto nella mia vita? Non lo è.-

- Peter, non importa cosa hai fatto. Se io ora sono viva, tu non sei malvagio.-

Peter rimase in silenzio. E, all'improvviso, iniziò a desiderare che quello che la ragazza stesse dicendo, fosse vero.

- Mangia un po'. Abbiamo ancora molte miglia davanti.-


Il cutter aprì una linea rossa sul petto di Spencer, facendolo gemere sotto il pezzo di scotch da pacchi che gli bloccava la bocca. C'erano diversi tagli su tutto il suo corpo, che gocciolavano  sulla superfice candida della vasca da bagno, mentre Spencer si dibatteva al suo interno. Gli avevano fatto togliere i vestiti, poi l'avevano buttato nella sua jacuzi. Poi George si era tolto la giacca, e aveva tirato fuori il taglierino.
L'ultimo taglio doveva essere come il finale di una serie di improvvisazioni, George sembrava addirittura soddisfatto. Prese lo scotch, e lo strappò via, sapendo che Spencer non avrebbe urlato in quel momento. Era esausto.
- Basta... Dio mio, fallo smettere.- biascicò Spencer.
- Sei te che lo devi far smettere. E bastano solo pochi nomi, per farlo.-
- Non sta succedendo davvero... Dio, non so nemmeno di quello di cui state parlando...- il dolore si stava facendosi strada nella testa di Spencer: ormai le bugie non uscivano più belle come prima, dalla sua bocca. E Statham se ne accorgeva. Erano a buon punto col lavoro.
Si chinò sulla vasca. Spencer si ritirò in un angolo, il più lontano da lui che potesse.
- Senti, ma non l'hai vista la borsa? Ti sta tagliando con un cutter. Un cazzo di taglierino. Quanta roba pensi non ci sia la dentro? Roba peggiore. Peggio di quella con cui ti sta facendo frignare ora.-
- Per favore...-
- George, continua.-
L'asiatico grugnì, e si chinò sulla borsa. Tirò fuori un paio di grosse tenaglie da meccanico. Entrò nella vasca, e cercò di afferrare Spencer per un braccio. Lui si divincolò, lanciando dei gemiti acuti. La tenaglia andò a piombare sulla sua tempia, privandolo dei sensi. George lo prese per il polso, rimise lo scotch al suo posto, e lo trascinò fino al bordo della vasca. I tagli sul suo corpo, strisciando e allargandosi contro la ceramica, ridiedero coscienza a Spencer. Appena in tempo per vedere il suo polso tenuto fisso da un piede sul bordo, mentre la tenaglia si stringeva intorno ad un unghia. Spencer chiuse forte gli occhi, come se non vedendo gli avrebbe fatto meno male. Ma non fece meno male. Lo scotch tramutò l'urlo in un muggito, mentre l'unghia strappata cadeva per terra.
- Quante storie. Un unghia. Ne hai dieci, Spencer. Hai dieci cazzo di unghie. Come farai altre nove volte? Come farai quando le avrai finite, e ci lavoreremo la tua faccia, le tue dita, il tuo uccello? E la sai la cosa buffa? Abbiamo tutto il tempo del mondo. Per curare le tue ferite, iniziare tutto da capo, e poi metterci dentro del sale.-

Spencer era a terra, rannicchiato come un feto. Singhiozzava.
- Oh, Spencer. Ci spezzi il cuore. Pensavo fossi un duro, te ne stiamo facendo passare di brutte, e non hai ancora detto un cazzo. E ora piangi?- Spencer non lo guardò nemmeno. Statham si irritò. Slacciò la cintura, ed entrò nella vasca.
- Dimmi - lo sferzò, dalla parte della cinghia - quei cazzo - un altra volta - di nomi!-  e ancora altre volte, urlando, fino a che anche a lui mancò il fiato. Rimase in piedi, ansimante,  con le gambe divaricate, e Spencer ai suoi pedi, ricoperto di sangue, scosso da continui tremiti. George lo guardava con una certa soddisfazione, come se ne apprezzasse lo sforzo creativo. Gettò un occhiata sulla borsa, e stava per aprirla di nuovo quando sentirono qualcosa provenire dal soggiorno. Una porta che si apriva. Spencer sentì una voce di donna chiamare il suo nome, e subito si sentì morire. Statham, senza riuscire a smettere di ansimare, guardò la porta:
- Ora immagina, Spencer.- iniziò - Manderò di la George. Con tua moglie. Con i tuoi bambini. Non sei curioso di cosa succederà? Di chi stuprerà per primo? Di come renderà la tua vita un cazzo di incubo, solo perché te, figlio di puttana, non hai voluto dirci quei nomi? Eh?-
Spencer piangeva. Statham gli si buttò addosso, e gli strappo il nastro adesivo dalla bocca:

- Allora?-

- No...- Spencer riusciva appena a parlare - Non puoi farmi questo... Chi sei? Chi sei per fare tutto questo?-

- Chi sono?- Spencer si alzò. George intanto uscì dal bagno - Sono la legge, Spencer. Sono quello che sa cosa è giusto e cosa non lo è. Sono quello che tortura e uccide i pezzi di merda come te, che pisciano sopra tutto ciò che c'è di bello e sacro. E non guarderò in faccia nessuno, ne te, ne la tua troia, ne i tuoi bambini, finché non avrò avuto giustizia.-

Dal soggiorno si sentì arrivare un urlo di donna.

- No!- Spencer voleva urlare, ma dalla sua gola uscì solo un suono strozzato.

- Ora. E' la tua ultima occasione, e la loro. I nomi.-

Spencer fissò i suoi occhi arrossati su quelli freddi, lontani di Statham. Aprì la bocca.

 

- Dove stiamo andando?- Chiese Marie. Indossava una giacca verde militare, dei jeans e un cappellino da baseball. Si erano fermati nel negozio più vicino all'entrata dell'interstatale, e avevano preso le uniche cose che riuscivano a stare addosso alla ragazza. Ora lei sedeva nel sedile davanti, vicino a Peter.

- Da una mia amica.-

- Quella a cui hai telefonato?-

- Sì.-

- E' la tua ragazza?-

- La conosco appena. No, non lo è.-

- Ne hai una? Una ragazza, una moglie?-

Peter non toccava una donna da due anni. Era un periodo in cui i soldi nelle sue mani erano davvero diventati troppi, e avevano iniziato a trasformarsi in eroina. I ricordi erano confusi. Era fatto, nella camera di un albergo. Forse era un albergo. Con lui c'era qualcuno, una donna. Si era spogliata davanti a lui, e gli era salita addosso. Più i ricordi si avvicinavano al coito, più diventavano dei lampi di sensazioni, sequenza brevi e sbiadite come scatti di una macchina fuori fuoco. In uno di essi, nelle mani della donna era comparso un coltello. Peter fino a quel momento aveva pensato di aver rimorchiato la ragazza da un bar, e invece si era fatto fregare. All'epoca aveva già ucciso abbastanza persone da meritare una vendetta. Il coltello era sceso, diretto contro la sua gola. Peter l'aveva riparata con una mano, e il coltello si era conficcato lì. La pistola era nella giacca, ai piedi del letto. Nel lampo di ricordi successivo, era in mano sua. La fronte della ragazza era esplosa in una pioggia di sangue. Peter era venuto in quel momento.

Quella sera, aveva smesso di desiderare.

- No.- Rispose Peter.

C'erano momenti in cui voleva che Marie lo odiasse. Quella ragazza era la grande incoerenza della sua vita. E le persone che aveva ucciso erano un incoerenza in vite di altre persone. Lui le eliminava le incoerenze, era il suo lavoro. Ma non voleva eliminare quella.

- Manca molto?- domandò Marie.

- Non troppo.-

La macchina correva sull'interstatale, verso un qualche luogo.

 

Paul entrò nella stanza spingendo la porta con la schiena, mentre le sue braccia proteggevano goffamente un mazzo di fiori già fatto appassire da un paio di forti raffiche di vento incontrate per strada. L’ospedale era abbastanza lontano dalla metropolitana, e lui non aveva una macchina, dopo essere stato bocciato per la terza volta all’esame di guida aveva rinunciato alla patente.

- Ciao mamma!- Esclamò voltandosi su se stesso, urtando con i fiori un supporto per l’endovena abbandonato in un angolo, e subito evitandone la caduta sorreggendolo con il ginocchio. Sua madre rispose silenziosamente con un sorriso sdentato, muovendo appena la testa, e subito chinandola di nuovo sul petto. Stava sdraiata sul suo letto d’ospedale, con la schiena appoggiata per metà al muro, mentre le sue mani sgranavano un rosario di plastica bianca. Il figlio sistemò i fiori su un comodino, e si sfilò di dosso il cappotto. Lei si segnò, ed appoggiò il rosario vicino ai fiori.

- Come stai mamma?-lei sorrise.

- Grazie per essere venuto.- Glielo diceva ogni volta, dal giorno dopo lo scompenso cardiaco. E lui ogni volta rispondeva:

- Di niente, di niente.- e seguiva un silenzio che Paul trovava imbarazzante, nonostante la madre sorridesse serena, guardando qualcosa in lontananza, apparentemente sulla parete davanti a lei. Poi guardò lui:

-Che bello che sei diventato!-

- Dai, mamma.-

- Che bello essere ancora qui, e vedere il mio bambino così grande!-

Paul sbuffò, e chinò il capo arrossito verso il pavimento.

- Anche il papà sarebbe contento di te.-

“Mamma, sono un perdente, ho un lavoro che non mi piacerà mai e non mi porterà da nessuna parte, e l’unica cosa che avrebbe potuto levarmi da questa situazione non sono nemmeno riuscito a portarla a termine. Scott è morto. E allora? Cosa è cambiato?”

- Papà non è mai stato contento di me.- Mormorò Paul, sperando che la madre non lo sentisse. Forse in effetti non lo sentì, ma una mamma capisce cosa passa per la testa al figlio.

- Ti voleva bene Paul.-

- Mamma, non ne voglio parlare.-

- Paul, se sei qui, è perché qualcuno desiderava che tu ci fossi. Perché qualcuno ti ha voluto bene, nonostante tutto.-

- Nonostante me?-

- Nonostante il male che facciamo.-

Paul guardò la madre, senza più sapere cosa dirle.

- Guardiamo la tivù, okay?- si decise infine, e preso il telecomando accese su un telefilm dozzinale. Lo guardarono insieme per un ora, prima che lei si addormentasse. Paul si alzò ed uscì. Tornato in strada, guardò in alto: mentre veniva lì avrebbe giurato che stesse per piovere. Invece c’era il sole.

 

Se siete arrivati fino all'ultimo capitolo, immagino la storia vi sia piaciuta. Grazie mille! Lasciate una recensione, guadagnerete un sacco di punti e mi renderete contento. So che non a tutti piacerà questo finale in sospeso, ma se siete stati attenti, noterete che la storia è davvero conclusa. Angelo non è più Angelo, la sua nuova vita può iniziare. Però mi piacerebbe raccontare la storia di Peter, quindi restate sintonizzati, forse un giorno avremo un Angelo - Seconda Parte. Grazie ancora, ciao!

Dzoro

   
 
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