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Autore: Rio    05/04/2008    3 recensioni
Non si può fingere di stare bene... vero Pansy?
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Pansy Parkinson
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
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Sta piovendo da oltre un mese qui.
Gocce d’acqua fredde e pungenti come spilli cadono sul mio viso e dentro me.
Questa notte il cielo, nero e senza stelle, mi sta suggerendo di confidarmi con lui, di aprirmi, di esprimergli tutto quello che sento, smettendo di tenermi tutto sepolto nel profondo della parte più nascosta del mio cuore.
Non si può fingere di stare bene, quando dentro una bestia ci sta dilaniando dolorosamente.
Questo rabbioso essere, che con le sue affilate unghie graffia, con i suoi denti aguzzi azzanna, urla e si muove disperato, è la tristezza, che sta inesorabilmente annientando ogni parte di me.
Sto camminando avvolta da un misero impermeabile nero, tale solo di nome. I capelli mi si appiccicano, pesanti, sul volto e sbatto velocemente le palpebre imperlate di pioggia e lacrime, evitando di scomporre le braccia, conserte all’altezza del mio seno. I pantaloni sono sottili, troppo sottili, rispetto a questa temperatura quasi invernale. Sopporto stoicamente il dolore dei miei piedi dovuto all’esagerata altezza dei miei tacchi.
Per la strada sento gli apprezzamenti volgari che gente mai vista mi rivolge. Imperterrita, continuo il mio cammino verso una meta inesistente.
Qualcuno, tra i più socievoli di loro, mi si è avvicinato, mi ha rivolto qualche domanda, ha provato a conoscermi oltre il mio aspetto fisico, ma dopo pochi mesi si è nuovamente allontanato da me.
Ed io l’ho lasciato andare.
Non voglio costringere nessuno a stare insieme a me se non gli è gradito farlo.
Altri, invece, coloro i quali interpretano il ruolo dei più coraggiosi e altruisti, dopo il tempo passato con me, sia esso stato un giorno, un mese o un anno, ritengono di avermi già inquadrato, come si suol dire.
Dio solo sa quanto sbaglino.
Considerano veri i sorrisi facili e l’allegria che dipingo sul mio volto tutte le mattine, sperando che ogni nuovo giorno sia diverso da quello squallido che l’ha preceduto.
Voglio illudermi di poter piacere a qualcuno.
Prego affinchè chiunque mi giri intorno mi sia davvero affezionato.
Ne ho abbastanza di mandar giù bocconi sempre più amari.
Sono stanca di affidare il mio cuore malato, ridotto in mille pezzi, fasciato alla bell’è meglio  in bende grondanti sangue, nelle mani di medici che lo bistrattano, lo rigirano come più garba loro e lo lanciano in bilico su un vecchio tavolo, senza curarsi di raccoglierlo quando precipita sul freddo e duro marmo del pavimento del loro candido e tanto prezioso ospedale.
Ripeto a me stessa che devo essere forte, che posso farcela anche da sola, che, prima o poi, troverò qualcuno il quale mi risolleverà dall’abisso in cui sto cadendo senza neanche più la forza di urlare aiuto e con le mani asciugherà le lacrime che mi rigano le gote, un tempo paffute.
Muta, sono due giorni che piango le mie lacrime, rannicchiata sotto le coltri fredde del mio letto sfatto. Intorno a me solo buio e qualche ombra a tenermi compagnia.
Vorrei essere felice.
Solo questo.
Nient’altro.
Ma, probabilmente, non è il tempo per questo.
Mi dicono di guardare e pensare a chi sta peggio di me. Beh, sapete una cosa? L’ho fatto e, sebbene mi senta una merda a paragonarmi a loro, anch’io sto male. Anche io, come molti di loro non ce la faccio più.
Forse sarebbe ora che qualcuno mi guardasse con più attenzione e meno supponenza.
La gente che mi gira intorno desidera che gli doni sicurezza, sollievo, gioia, appoggio, affetto, forza…ma chi di loro ne darà un briciolo a me?
Io non sono il cristallo nero, duro e infrangibile, che sembro.
Mi sembra di essere l’invitata sgradita di un grande ricevimento in cui tutti, vestiti del loro abito migliore, discutono fra loro allegramente in gruppi da cui io, con i miei jeans sgualciti e la mia maglietta del tutto inelegante, sono tagliata fuori.
La stanza è gremita di gente e vengo spintonata in ogni dove. Non ho la forza di alzare lo sguardo dal pavimento su cui poso timidamente i miei piedi nudi e mormoro scuse a destra e a manca.
Poi, in un impeto di coraggio, alzo il capo e tendo la mano, bramando un amico, qualcuno fidato che la afferri e mi rialzi dall’angolo in cui mi sono rintanata, con le spalle al muro e le ginocchia strette al petto.
Ogni presente mi guarda con evidente disgusto e sprezzo e dopo una lunga occhiata di sufficienza, torna a vivere la sua allegra vita.
Senza di me.
Il cuore nel petto mi batte forte, la testa mi gira. Mi sento sola e abbandonata.
Vedo tutto vorticarmi velocemente intorno, le loro acute risate di scherno e gli indici che mi puntano contro con fare accusatorio.
Serro gli occhi con tutta la forza che mi è rimasta in corpo, celando i miei occhi arrossati, aridi e gonfi, e chiudo a coppa le mani sulle mie orecchie.
Non voglio sentire. Non voglio vedere.
Mi sento un albero secco quasi totalmente spoglio.
Ero felice quando le mie uniche quattro foglie mi tenevano compagnia, ma ora sul mio ramo ne è rimasta aggrappata solo una, la speranza.
Le altre, da sempre state sul punto di staccarsi, si sono affidate al vento, che le ha aiutate a volare lontano da me.
Forse, un’altra primavera arriverà, donandomi nuovi fugaci e istantanei momenti di gioia, portando con sé le compagne di una prossima estate, ma tornerà l’autunno e, dopo di lui, l’inverno a riportarmele via.
Non voglio più rendermi conto di quanto mi abbiano lasciato da sola.
Chiedo solo, a quest’ultima mia foglia, di stringermi forte, prima di abbandonarmi per sempre anche lei.
 
 
 
 
 
 
 
 
Spazio autrice
Quella che avete appena letto è una riflessione sull’ incostante personalità delle persone. Voglio dire, un attimo credi di essere felice, circondato da persone che ami e che ti amano, ma l’attimo dopo ti ritrovi da solo, ad affrontare gli ostacoli che la vita ti pone sul tuo cammino.
Non sempre chi credi ti sarà per sempre accanto, si renderà conto di come stai realmente e, non sempre, sarà disposto a darti la mano che tu non gli hai mai negato.
Ho pubblicato questa shot prima nella sezione “Originali – Introspettivi”, poi ho notato che poteva andar bene anche a un personaggio come Pansy Parkinson, che credo possa rispecchiare la situazione della protagonista di questa mia piccola pazzia.
Grazie per aver letto questo sfogo scritto alle quattro di notte e chiedo scusa se non è piaciuto. Un vostro commentino mi risolleverebbe il morale, la cui posizione attuale è, a dir poco, sotto i tacchi.
Kiss, Rio
  
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