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Autore: LaGraziaViolenta    12/10/2013    14 recensioni
Stufi dei soliti cliché di Harry Potter? Annoiati marci dalle fantastiche avventure sentimental-sessuali di tre generazioni di Serpeverde? Vi sentite smarriti e frustrati di fronte a dei Grifondoro codardi e dei Corvonero dal QI in singola cifra?
Serena Latini è quello che fa per voi. Le avventure di una sfigata Tassorosso alle prese con incantesimi, fanfiction, pony, cucina inglese e delle sue relazioni coi figli dei personaggi che tanto abbiamo apprezzato.
Zuccherosità, storielle amorose e di amicizia, figure da quattro soldi e battute demenziali attendono una povera Tassorosso made in Italy.
Genere: Comico, Demenziale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
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Dove una serie di manipolati eventi fa sì che Serena non abbia un viaggio sereno.
 
 
 
Iniziavo ad avere dei dubbi. Forse avevo fatto male ad accettare la proposta di Jeanie. Dopotutto non si trattava di un’offerta che non potevo rifiutare.
Ma era un po’ tardi pensarci sull’Espresso di Hogwarts.
Di fronte a me Jeanie accavallò le gambe. La treccia dorata le raggiungeva il fianco e si accasciava sul sedile.
«E quindi cosa sei venuta a fare, qui, pulce?»
Jeanie mi lanciò un’occhiata eloquente. Io non sapevo che dire. Mi strinsi nelle spalle.
«Te l’ho già detto, balena, era solo per avvisarti che vado un paio di vagoni più in là. Spero che a Londra tu non sia tanto deficiente da cercarmi in fondo al treno.»
«Bene, grazie per avviso. Ora pussa via.»
«Oh, stronza, vaffanculo.»
«Quattordici anni di buona educazione buttati nel cesso, Candy! Se parli così davanti a mamma non ti rinnoverà mai l’abbonamento in palestra, puoi giurarci! E quel giorno ti riderò in faccia, puoi starne certa!»
Jeanie alzò gli occhi al cielo. Io non sapevo bene che fare. Interromperle, lasciarle continuare, distrarle, ignorarle? Mi morsi il labbro inferiore.
«Mi alleno anche senza palestra, Chels, non sono pigra come te.»
«Smamma, microbo. E togliti quella pittura dalla faccia.»
Candice le fece la linguaccia. «Si chiama trucco, racchia.»
«A scuola non è permesso, ragazzina.»
«A lezione non lo metto, geniaccio che non sei altro.»
«Vai a fare la vampira da un’altra parte.»
«Si chiama gotico, ignorante. E finché non sbrilluccico direi che non c’è da preoccuparsi.»
«Vattene!» Chelsea scattò in piedi, spinse la sorella fuori dallo scompartimento e con un colpo secco chiuse la porta. Alle nostre orecchie giunse un ovattato “impiccati”. C’era da dire che Candice a volte era originale con gli insulti.
«A scuola non è permesso, ragazzina» la scimmiottò Jeanie. «La signorina Shields sta diventando la signorina Rottenmeier?»
Chelsea incrociò le braccia e mise il broncio. «Non so chi sia.»
«Babbanate» fece Jeanie, e sogghignò. «Presente la McGranitt?»
C’era odore di guerra nell’aria. Era meglio disinnescare subito la bomba. Mi sporsi dal mio posto e mi schiarii la voce. Chelsea si girò verso di me. «Posso chiederti una cosa?»
«Basta che non c’entri mia sorella.»
«Oh.» Spostai lo sguardo sul finestrino, a guardare i campi verdi che scorrevano di fianco a noi. Mi rimisi a sedere composta.
Chelsea sbuffò. «Dai, tanto ormai… Dimmi.»
«Ah. Ehm. Se posso… Ecco. Candice ha proprio la fissa per lo sport. Cioè, va bene, ma non mi sembra, come dire… Che le piaccia lo sport in senso magico… Per dire, il Quidditch…»
Chelsea storse il naso. «No, infatti. Ci dedica troppo tempo.»
«E quindi? Lo sport la distrae dallo studio?» la prese in giro Jeanie.
«Anche» fece Chelsea. Si lasciò scivolare in avanti e finì semisdraiata sul sedile. «Da bambina Candice non riusciva ad usare neanche un briciolo di magia. Mai fatto lievitare un peluche, mai aperto la credenza dei dolci chiusa a chiave, niente. I miei credevano che fosse una Maganò, così l’hanno mandata nelle scuole babbane. Per inserirla, capite. Noi non ne capiamo niente di cose babbane, quindi prima si adattava da sola, meglio era. Ma per mia disgrazia quell’arpia si è appassionata alla ginnastica ritmica e da quel momento non ha più finito di sfottermi per il mio peso. Giusto perché lei nello sport riesce bene.»
«Oh.» Iniziai a tormentarmi l’unghia del pollice.
«Quando Candice però ha manifestato segni di magia i miei erano al settimo cielo e hanno pensato che mandarla ad Hogwarts fosse una scelta scontata. Peccato che il piccolo demonio non fosse d’accordo, così ha iniziato a comportarsi da stronza.»
«Oh» ripetei. Non sapevo bene che dire. «E, ehm, quindi non è una Maganò?»
Chelsea sbuffò. «Certo che no. Ma uno dei pochi momenti in cui ha usato la magia da bambina è stato a una gara di ginnastica ritmica. Aveva un nastro rosso e giallo e lo stava facendo girare, e il nastro ha preso fuoco. Dovevi vedere come si sono spaventati i babbani. Eppure è bastato un semplice incantesimo Idrante…» Chelsea si raddrizzò e ruotò il polso. «Candice muoveva il nastro così, e quello continuava a lasciare scie di fuoco. Poi è scattato il… Come si chiama… Il coso dell’incendio. Quello che fischia come un pazzo…»
Jeanie sistemò gli occhiali. «Suppongo sia l’allarme antincendio.»
«Probabile» fece Chelsea. Sbuffò e scivolò di nuovo sul sedile.
«Caspita» sussurrai. Ora capivo perché Candice si allenasse al freddo e al gelo: era molto motivata. Io di certo non l’avrei mai fatto. Sperai che il rapporto tra Jeanie e Lowell fosse meno conflittuale di quello tra Chelsea e Candice. Mi sarei sentita tremendamente in imbarazzo se si fossero messi a litigare davanti a me.
«Piuttosto» intervenne Jeanie, «parlando di fratelli…»
Guardò me. Arrossii. «Io sono figlia unica.»
Chelsea si raddrizzò e tornò seduta composta. Sorrise. «Non fare l’ingenua.»
Spostai lo sguardo da Chelsea a Jeanie, senza capire. Jeanie alzò gli occhi al cielo e si toccò il lobo dell’orecchio.
Capii a cosa alludeva. «Oh! Ehm…»
«Aspetta, aspetta» fece Jeanie. Alzò una mano in aria e rimase immobile, concentrata.
«Cosa?»
«Aspettate…» Jeanie rimase ferma, le sue labbra si schiusero. Sembrava che stesse ascoltando qualcosa. Poi sollevò tre dita. «Figuraccia tra tre…»
«Eh?»
«Due…»
«Figuraccia?»
«Uno…»
Chelsea soffiò col naso. «Oh, piantala!»
«Ehm, scusatemi.»
Mi voltai di scatto. In piedi sulla porta dello scompartimento c’era Albus Potter.
Come direbbero i francesi? Merde.
Jeanie allargò le braccia e assunse un’espressione soddisfatta. «Jeanie ha sempre ragione. Annotatevelo da qualche parte.»
«Come?» fece Albus. Jeanie scosse la mano con aria noncurante.
Ero rimasta talmente sorpresa da non averlo nemmeno salutato. Albus mi guardò. Arrossii. Era qui per me? No, dai, magari aveva sbagliato scompartimento…
Anche Albus arrossì, dal collo fino alla radice dei capelli. «Volevo… Volevo… Salutare. Ecco. Tipo, salutare. E, ehm, augurare buon Natale, visto che non ci vedremo.»
Cielo. Oh, cielo. Se non ero arrossita anch’io fino alla radice dei capelli allora non riuscivo a interpretare l’improvviso bollore che mi aveva assalita. Dalle mie labbra, senza che io glielo avessi ordinato, uscì un roco: «Grazie.»
Guardai Albus. Mi guardò anche lui. Non resistetti, e abbassai lo sguardo.
«Così mi fai male, André…»
Boccheggiai. Stavo per morire di vergogna. Di sicuro Albus era venuto a sapere dello scherzo di James e Lily, e magari anche Scorpius lo era venuto a sapere. E cosa potevo dirgli ora? Che mi ero immaginata una scena ricalcata su Lady Oscar in cui Scorpius cercava di approfittare di lui? Mi coprii la bocca.
Presi in seria considerazione la possibilità di buttarmi dal finestrino.
Sentii la voce preoccupata di Albus mormorare: «Tutto bene? N-non soffri il mal di treno, vero?»
Sospettai di aver assunto un colorito verdognolo, altrimenti non mi spiegavo la domanda. Subito dopo la voce di Jeanie mi gelò il sangue nelle vene. «Hai bisogno di un supporto logico e razionale, Potter?»
La mia testa scattò su e fissai Jeanie, sconvolta.
«Prego?» Albus sbatté le palpebre.
Jeanie fece il suo miglior sorrisino di superiorità e si sistemò gli occhiali. «Maschi… Non vi rendete conto di quanto sia imbarazzante per una ragazza parlare con voi, quando si è vittima di scherzi così crudeli?»
Se non mi mancò la terra sotto i piedi fu solo perché ero già seduta. La implorai: «Jeanie…»
Albus corrugò la fronte e scosse il capo. «Non capisco di cosa tu stia parlando.»
«Mi sembra ovvio.» Jeanie mi lanciò un’occhiata complice. Io deglutii. «Tuo fratello e tua sorella si divertono a prendere in giro Rose e Serena coi loro scherzi. Si divertono a mettere Serena in imbarazzo, e ce la fanno. Risultato: lei non ha più il coraggio di rivolgerti la parola. Prima il filtro, e adesso…»
Albus fissava Jeanie, come rapito. «Adesso?»
Jeanie alzò un sopracciglio biondo. «Fattelo raccontare da loro.»
«Jeanie!» urlai con tutte le mie forze. In realtà ne uscì solo uno squittio spaventato.
Con mio sommo orrore vidi Chelsea sorridere, eccitata. «Cazzo, sì! Serena non te lo direbbe mai, non è il tipo che viene a fare la lagna, ma… »
«… come fa ad essere tranquilla con te, se deve sempre aspettarsi ritorsioni?» completò Jeanie. «Passi James che tenta di giocare all’investigatore, passi il filtro, ma questo è stato davvero pesante…»
Albus sbatté le palpebre, incredulo. «Si può sapere cos’è successo?»
Jeanie assunse un’aria dispiaciuta. «Mi dispiace, ma questa è stata davvero brutta. Spero che questa volta non ci sia anche il tuo zampino, altrimenti sarebbe davvero crudele da parte tua. Lasciala tranquilla, per favore. Guardala.» Jeanie fece un cenno verso di me.
Stavo morendo di vergogna. Gli occhi iniziarono a bruciarmi. Cos’era saltato in mente, a quelle due? «Mi dispiace, Albus, io…»
Albus mi rivolse uno sguardo che non riuscii a interpretare. «Scusatemi. Non era mia intenzione darvi dei problemi… Scusate. Non capiterà più.»
«Vorrei ben dire» fece Jeanie.
«Scusatemi ancora. Buon Natale, ragazze.»
Quando la porta dello scompartimento si chiuse ero pronta a morire.
Ma dovevo trascinare due vittime sacrificali insieme a me.
Prima che potessi profferir parola, Jeanie si sporse verso di me e mi fece l’occhiolino. «Due piccioni con una fava. Cotto a puntino, e niente più rogne.»
Mi accorsi che le mie mani tremavano. Dentro di me sentivo un misto di rabbia, vergogna e non sapevo bene che altro. «Come hai potuto… Non mi sono mai vergognata tanto… Io…»
«Tu non saresti mai più riuscita a parlare con Albus, se non gli avessi detto tutto io.» Jeanie accavallò le gambe e si incrociò le braccia sul petto. «Ti era tornato in mente lo scherzo di quei due, non è vero?»
Tacqui.
«Scusate, devo andare in bagno» trillò Chelsea, e si alzò in piedi.
«Da quando andare in bagno ti entusiasma così tanto?» feci io, ma Chelsea era già volata fuori dallo scompartimento.
«Non essere arrabbiata» disse Jeanie. «Scommetto un galeone che James Potter da oggi in poi con te si comporterà da gran signore. O per lo meno la smetterà di fare l’idiota.»
«Io non volevo dirlo ad Albus… Sicuramente glielo aveva già detto Rose!» piagnucolai.
«Ne dubito» rispose Jeanie. «Rose Weasley sta lasciando il guinzaglio troppo lungo. Prima James ti avvicina in biblioteca per indagare con atteggiamento discutibile. Poi il filtro d’amore. Ora questo scherzo demenziale. Ma James Potter non ha ancora capito con chi ha a che fare.»
Il luccichio negli occhi azzurri di Jeanie mi ricordò in maniera inquietante quello di Hannibal Lecter. «Davvero, Jeanie. Non ce n’era bisogno.»
«Ricordati che gli uomini sono come i cani. Non importa se sono di razza o meticci. Sono tutti uguali. Più li ignori, più ti faranno feste. Più li gratifichi, più ripeteranno ciò che ha procurato la gratifica. Più sei permissiva, più diventeranno capricciosi. Più sei severa, meglio vivrai.»
Rabbrividii. «Sei inquietante, Jeanie.»
«Sono razionale. Dimostrami che ho torto se ci riesci.»
Una serie di tonfi in corridoio annunciò il ritorno di Chelsea. Quando entrò nello scompartimento le guance rosa tradivano la sua emozione. «Notizie.»
«Già le immagino. Quanti galeoni scommettiamo, Serena, che le indovino?»
Agitai una mano in aria. «Lascio perdere, non c’è partita.»
Chelsea si sedette e intrecciò le dita. Ci sorrise. «Sono passata per caso davanti allo scompartimento dove stavano i Potter…»
«Per caso, certo» grugnii.
«Dai, Serena, senti… Forse è stata la prima volta in sei anni di scuola che ho sentito Albus Potter alzare la voce!»
M i nascosi il viso fra le mani. Ecco, era tutta colpa mia. Ero una sfascia famiglie. «Santo cielo. Era per questo che non volevo…»
«Aspetta, aspetta! Albus stava facendo un culo così a James!»
Jeanie alzò gli occhi al cielo. «Era ora che quel ragazzo mostrasse di avere un po’ di spina dorsale. Finalmente.»
Riemersi dalle mie mani. «Come finalmente?» pigolai.
«Non è che finora abbia fatto sfoggio di un gran coraggio, eh…»
«Non è a Grifondoro» commentò Chelsea orgogliosa.
Mi sentii in colpa. «Non voglio far litigare nessuno… Non era così grave…»
«Ne raccoglierai i frutti» fece Jeanie. «Non è un litigio serio, dopotutto è una sciocchezza, ma Albus Potter non deve permettere alla sua famiglia di metterti i piedi in testa. Non come invece fa certa gente.»
Colsi l’allusione a Cunningham. Improvvisamente mi fu chiaro perché Jeanie si fosse comportata così. Non che fossi d’accordo. Capivo le sue motivazioni, ma forse avrei preferito che avesse tenuto chiuso il suo beccaccio da Corvonero. Ora il senso di colpa mi attanagliava le viscere.
Mi passai la lingua sul labbro. Iniziai a tormentare le maniche grigie del maglione. «Magari… Magari è opportuno che… Che vada a dare spiegazioni.»
«Oh, Serena, sei troppo buona» disse Jeanie. «Nessuno si farà male, fidati. È un normale litigio tra fratelli.»
Non ne ero troppo convinta. «Un proverbio in Italia dice “l’acqua cheta rovina i ponti”. Se Albus è un’acqua cheta, allora James Potter è nei guai. Le persone tranquille quando si arrabbiano sono le peggiori.»
Chelsea sbatté le palpebre. «Cavolo, non ci avevo pensato.»
Jeanie sbuffò. «Allora, Serena, tu dovresti essere Terminator.»
Chelsea corrugò la fronte. «Chi?»
«Lascia perdere.»
Tirai le maniche del maglione. Questo sì che era uno dei nostri peggiori casini. La famiglia Potter divisa da un litigio per una ragazza. Immaginai Lily piangere, impotente di fronte al litigio dei suoi fratelli, e Albus e James rossi di rabbia. Rose che tratteneva Albus. Albus furibondo, che se avesse potuto avrebbe malmenato James. Non dategli una spranga, vi prego. Il ritorno di Albus Cinquanta Sfumature. Mi misi le mani nei capelli. «È orribile.»
«Dai, Serena, sii razionale» disse Jeanie. Spinse gli occhiali fino alla base del naso. «È un litigio, non la fine del mondo. Quante volte Chelsea e Candice litigano, ultimamente? Non è mai morto nessuno.»
Ripensai a Chelsea che inseguiva Candice per il campo. «È stato un caso.»
«Come, un caso? Sei irragionevole.»
Prima che il mio cervello potesse capire cosa stava facendo il mio corpo, mi ritrovai in piedi. «Credo… Che… Che…» Chelsea e Jeanie mi fissarono. Torsi la manica del maglione finché la mia mano non fu impacchettata come una salsiccia. «Che… Non debbano litigare… Ecco. Litigare non va bene.»
Jeanie sollevò le sopracciglia bionde e mi rivolse un sorriso malizioso. «E quindi?»
Dondolai da un piede all’altro. «Quindi… Hai fatto male a dirglielo. Credo. Penso che dovrò… Dovrò spiegargli…»
«E allora cosa fai ancora qui?»
Annuii. A testa bassa uscii dal vagone e mi avviai lungo il corridoio. Il pavimento sembrava instabile, probabilmente a causa del treno in moto. Appoggiai una mano alla parete per non perdere l’equilibrio. Nello scompartimento la sensazione era molto più debole, o forse la differenza era solo che là ero seduta. Mentre camminavo lungo il corridoio, però, fui presa dalla vaga e spiacevole sensazione di essere stata manipolata. Ma Jeanie non l’avrebbe mai fatto, vero?
Ci pensai. Jeanie non l’avrebbe mai fatto con me, vero?
Quando oltre al rumore del treno in corsa iniziai a sentire una voce maschile gridare capii di essere arrivata. Proseguii, man mano che la voce si faceva più forte, e infine raggiunsi quello che il mio udito mi indicava essere lo scompartimento giusto.
«Non ti sopporta nessuno quando fai così!»
«Albus, calmati…»
«Calmati tu, Rose! E piantala di tenergli la parte, per Merlino! Deve capire che non può…»
«No, hai ragione, ma pensaci, era uno scherzo… Non bisogna prendersela così… James, digli qualcosa!»
«Non ho niente da dire, è una cazzata, dai.»
«Farò anch’io così con te, ah, verrà il tuo turno, verrà…»
Fui scossa da un brivido. No, le minacce di ritorsioni no. Non avevo mai sentito Albus gridare così. Anzi, non credevo nemmeno che avesse tutta quella voce. Mi schiarii la gola. Alzai il pugno chiuso. Stavo tremando, o era colpa del treno in movimento? Bussai.
«E smettila di guardare fuori con quell’espressione annoiata!»
Forse non si era sentito. Bussai di nuovo.
La porta si aprì e davanti a me comparve il viso lentigginoso di Rose Weasley.
Ci guardammo sorprese, senza dire una parola. Fissai gli occhi castani di Rose senza sapere che dire.
Pronto, sono Serena, come va? C’è Albus? Me lo puoi passare?
Rose non mi staccò gli occhi di dosso e girò appena la testa verso l’interno dello scompartimento. «Albus, credo che vogliano te.»
Ah, Rose, un momento, ancora una cosa. Vai al diavolo.
Arrossii. Possibile che fosse così ovvio?
«Chi cazzo è che…» Albus si voltò verso di me. La rabbia si trasformò in sorpresa. «Oh, ciao.»
Non ero certa di riuscire ad emettere suoni riconducibili al genere umano. Deglutii e agitai la mano in segno di saluto.
Albus sembrò ammutolire. Non disse una parola e ricambiò il saluto.
«Forse è il caso che tu non la faccia aspettare ancora, vero, Albus?» Rose afferrò Albus per un polso e lo scaraventò fuori dallo scompartimento. Mi scostai appena in tempo per non farmi travolgere. La porta si chiuse con uno schiocco secco.
Avevo il viso bollente. Tirai una manica del maglione. Mi ero già pentita.
Albus si schiarì la voce. «Ehm. Come stai?»
Strano che non riuscisse a trovare niente di meglio da dirmi. Fino a due secondi prima stava per mandare a fanculo anche me. «Ecco, è che…» Affondai le dita nella lana. Dovevo farmi forza. «Non credo che… Cioè… Ci siamo capiti male. N-non ce l’ho con James.»
Bene, ecco fatto. Ora potevo tranquillamente ricevere il premio Pinocchia dell’Anno.
Albus non rispose. Alzai gli occhi e lo sorpresi a fissarmi. Arrossì. «Non… Non ho mai pensato che tu ce l’avessi con James.»
Premio Pinocchia dell’Anno: Serena Latini. Assegnato all’unanimità. Il dondolio del treno e il senso di colpa mi stavano strizzando le viscere e avevo una vaga sensazione di nausea. Mi appoggiai a una parete. «Scusami… Non è che io sia stata qui a sentire, eh, ma… Ti ho sentito parlare con James.» Ecco, magari parlare non era il termine che avrei voluto usare, ma dovevo farlo andare bene. Mi afferrai un gomito. «Non c’è bisogno che… Come dire… Litighiate.» Presi un respiro e fissai Albus negli occhi verdi. «Ok?»
Con mio grande stupore sul viso di Albus comparve una smorfia di disappunto. «Fai sempre così, tu. Se ti fanno un dispetto, non ti opponi. Se sono maleducati con te, non reagisci. Se un professore toglie dieci punti a Tassorosso, tu non sembri neanche accorgertene.»
Mi sentii punta nel vivo. Come ferita. «Non sono una persona competitiva.»
«Neanche io, però James non ha mancato di rispetto a te. Cioè, non solo a te, a te certamente, ma anche a me.»
A lui? La mia fronte si increspò. Non capivo.
«James è in gamba, quando vuole» disse Albus, «ma è anche un insopportabile ficcanaso. Sono stufo che metta il becco nei fatti miei, chiaro?»
Ricordai quando in biblioteca James mi chiese se mi piaceva qualcuno. Tanto ormai non potevo arrossire più di così. «Chiaro.»
Albus sbuffò e incrociò le braccia. Io rimasi ferma. Non sapevo che dire. Aveva ragione, non ero il tipo che a uno sgarbo reagiva prontamente. Preferivo lasciar correre. Solo la Principessa Celestia però sapeva quante volte dentro di me avevo mandato al diavolo James Potter. Be’, anche Albus, ma questo era un dettaglio insignificante. Ma di certo non ero io a dover decidere come Albus doveva gestire i rapporti coi suoi fratelli. Aveva ragione. Un vaffanculo a volte era liberatorio anche per gli inglesi. Forse.
«Be’…»
Alzai subito gli occhi su Albus, speranzosa. Speranzosa di cosa non lo so.
«Mettiamola così: se James fa qualche altra caz… Volevo dire sciocchezza, dimmelo, per favore. Preferirei non venirlo a sapere da Joy.»
Mi sfuggì dalle labbra una risatina nervosa. «Anche io preferirei che tu non lo venissi a sapere da Jeanie.»
Albus arrossì ancora. «Sì, insomma… Non voglio che tu sia in imbarazzo nel parlare con me. Tantomeno per colpa di James.»
All’imbarazzo si mischiò un senso di tenerezza. Non potevo negare che anche poco prima io avessi ripensato allo scherzo di James. Probabilmente Albus ci era rimasto male a sapere che mi ero sentita a disagio con lui per quel motivo. Mi ripromisi di essere meno insensibile. «Bene. Ehm… Per me è tutto ok, ora. A posto così.»
«A posto così, allora» ripeté Albus.
Cosa potevo dire per filarmela in maniera educata? «Allora… Facciamo che…» Qualcosa di intelligente, educato e premuroso. «Scrivimi quest’estate, ok?»
Albus sgranò gli occhi. «Quest’estate?»
Quest’estate? Cribbio, sembrava una presa per il culo. Andai nel panico. «Sì, quest’estate.»
Presa per il culo: secondo giro. Iniziai a sentire caldo in tutto il corpo. Quanto ero demente. Doveva prendermi sul serio, non prendermi per pazza. Stesi la mano verso Albus. «E p-per adesso, buon Natale. E Capodanno. L’Epifania non so se la festeggiate. Credo di no.»
Albus indugiò, poi stese il braccio e afferrò la mia mano. La sua stretta era forte e mi sembrò di sentire il ruvido di un callo. Forse gli era venuto a furia di reggersi sulla scopa da Quidditch. «Buon Natale, allora.»
Non appena le sue dita mi lasciarono ritirai la mano e la chiusi a pugno. «Allora… Ciao.»
Gli diedi le spalle e fuggii, prima di fare qualche altra figura di merda. Il treno fece una curva e andai a sbattere contro una parete. Il dolore sorso alla spalla si propagò lungo tutto il braccio. Chissenefrega.
Quando rientrai nel mio scompartimento avevo il fiatone. Jeanie mi squadrò con un’aria di superiorità, mentre Chelsea mi fece un applauso. Giunsi alla brillante conclusione che quelle due, e una in particolare, mi aveva manipolata meglio di un organismo geneticamente modificato.
«Com’è andata?» trillò Chelsea.
Mi accasciai sul sedile, allo stremo delle forze. Tenevo ancora il pugno chiuso. Jeanie mi guardava con un sorriso soddisfatto e non mi fece una domanda. Sapeva che avrei cantato puntuale come il cucù di un orologio. Presi un ampio respiro. «Ci siamo… Ci siamo…» La voce mi si spense. La schiarii. «Ci siamo…»
«… baciati!» esclamò Chelsea. Lanciò un grido che si trasformò in una nota musicale. «I’ve got the power!»
«No!» strillai. Stesi le mani verso di lei, disperata. «Ci siamo stretti la mano e ci siamo augurati buon Natale!»
Chelsea rimase bloccata con un braccio a mezz’aria steso in un gesto di vittoria. Mi fissò. La fissai. Riabbassò il braccio. «Non ci posso credere…»
Arrossii. «È così.»
Il suo viso assunse un’espressione sconcertata. «Non ci posso credere! Mondo crudele, destino infame! Non ci posso credere!»
Mi riappoggiai al sedile. Forse era il caso che Chelsea sfogasse da sola la sua disillusione, senza la mia collaborazione.
«Porca troia! Non è possibile! Questa qua arriverà illibata al proprio matrimonio!»
Jeanie rivolse a Chelsea uno sguardo disgustato. «Non farlo sapere a tutto il treno, per favore.»
Attesi che Chelsea iniziasse a pianificare il mio matrimonio. Non lo fece, e tutto sommato fu un bene: mi sarei dichiarata incapace di intendere e di volere se mi fossi trovata di fronte una wedding planner in stile Enzo Miccio.
Quando arrivammo alla stazione ormai Chelsea si era sfogata per bene. Recuperammo i nostri bagagli, scendemmo dal treno tranquille e ci ritrovammo al fumoso binario 9 e ¾. Abbracciai Chelsea, anche se facevo fatica a unire le mani dietro la sua schiena. La guardai raggiungere quelli che supponevo essere i suoi genitori. Qualche momento dopo li raggiunse anche Candice. Chelsea si voltò a salutarci, poi scomparve.
Mi alzai in punta di piedi e scrutai la folla. «Sai chi verrà a prenderci, Jeanie?»
«Dovrebbe venire mio fratello» rispose lei. «Forse ci conviene spostarci un po’.»
Iniziammo a spingere i carrelli. Era pesante e sobbalzava continuamente sul terreno irregolare. Con la coda nell’occhio vidi Albus Potter insieme a sua sorella e ad un uomo coi capelli scuri e disordinati, gli occhiali e un po’ di pancia. Vista la somiglianza probabilmente era suo padre. Chissà se anche ad Albus sarebbe venuta la pancetta da birra?
«Eccolo!» esclamò Jeanie. Mi voltai subito verso di lei. «Lowell!» Jeanie alzò una mano e la agitò per farsi vedere. Un ragazzo sorrise e iniziò a venirci incontro.
Quando avevo cercato di immaginare il fratello di Jeanie mi ero trovata davanti un ragazzo dai capelli biondo oro e con gli occhi azzurri come quelli che aveva lei. Insomma, il Lowell di Georgie. Invece scoprii che ad aspettarci era venuto un ragazzone coi capelli neri e ondulati, gli occhiali e il pizzetto. Decisamente poco effeminato.
«Buongiorno, Lowell.»
Lowell sollevò un angolo della bocca in un sorriso sarcastico. «Rapunzel, sciogli i tuoi capelli! Ancora con quella treccia?»
Mi venne spontaneo sorridere.
«Piantala, Lowell, tanto non li taglio» borbottò Jeanie.
Lowell mi guardò. Immediatamente il mio sorriso si spense e arrossii. «Mamma mi aveva detto che sarebbe venuta la tua amica italiana» disse Lowell, «non Amélie Poulain.»
Forse era la prima volta, da quando ero ad Hogwarts, che qualcuno notava la mia seppur vaga somiglianza con Amélie Poulain. Inspiegabilmente mi sentii lusingata. Lowell accennò un sorriso anche per me.
Chissà, forse dopotutto avrei trascorso un piacevole Natale.
  
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