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Autore: Trick    06/04/2008    5 recensioni
AGGIORNATO IL SESSANTOTTESIMO CAPITOLO
Infiltrato nel clan di Fenrir Greyback, Remus Lupin finirà per scontrarsi con quella realtà dalla quale ha sempre tentato di sfuggire. Nel frattempo, a Londra, Tonks non può far altro che cercare di sopravvivere alla guerra che imperversa per la città. Una storia fra umani e licantropi, fra amicizie improbabili e segreti dimenticati, per decidere se sia più forte il richiamo del sangue o quello del cuore.
Genere: Commedia, Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Diario di un Lupo

in un Branco di Lupi

(Versione riveduta, corretta e ampliata causa insoddisfazione dell'autrice)

CAPITOLO TRENTESIMO

Direzione Londra

°°°°°°°



Non credere a chi dice che non è giusto:

l'Amore, si sa, conosce ogni gusto.




Remus alzò lo sguardo verso l'intricata ragnatela di rami che lo sovrastava, osservando vagamente il candido chiarore del cielo di Jura e perdendosi per un istante nell'immenso turbinio dei fiocchi di neve. Sollevò con forza il ginocchio sinistro, incespicando un poco nel lungo mantello che strisciava alla sue spalle e avanzò di un altro passo nel fango viscoso del bosco. Procedette lentamente, voltandosi di tanto in tanto per controllare che nessun ospite indesiderato potesse sorprenderlo a vagare a quell'ora del mattino senza apparente scopo e cercando di non scivolare sul terreno melmoso. Scavalcò un vecchio tronco che gli ostacolava il passaggio e si sincerò di essere realmente solo. Stava per muovere un altro passo quando avvertì un brusio indistinto provenire dalla sua destra. Si accucciò con cautela, scrutò fra le felci meno fitte e tese circospetto le orecchie.

Fino a qualche mese fa, non sarei stato in grado di farlo.

«Non c'è nessuno, qui» stava dicendo una voce decisa. «Calmati, adesso».

«Se dovesse... se venisse a sapere che noi...» piagnucolò una seconda voce allarmata. «Aulos, non possiamo-».

«Zitto» lo interruppe l'altro all'improvviso.

Nonostante il cuore martellasse all'impazzata nel suo petto e una parte della sua testa gli stesse consigliando di allontanarsi al più presto, Remus rimase immobile e attese paziente con la schiena appoggiata alla ruvida corteccia del tronco. La foschia che lo circondava era abbastanza spessa da non permettergli di scorgere al di là della prima fila di alberi.

«Bizét» esclamò una voce che Remus riconobbe come quella di Aulos, il pifferaio dalle spalle larghe. Remus si rimise in piedi e osservò guardingo la figura torreggiante del giovane. Sembrava incredibilmente controllato, nonostante i suoi occhi continuassero a sfrecciare rapidi e nervosi verso il punto dal quale era comparso. Seguendo il suo sguardo, Remus notò una figura più minuta svanire improvvisamente dietro ad una fila di rovi rinsecchiti.

«Cosa ci fai qui?» chiese Aulos rapidamente.

Remus voltò nuovamente il capo verso di lui e gli rivolse un sorriso amabile.

«Stavo per porti la stessa domanda».

«Peccato ti abbia preceduto».

Era agitato.

Troppo, giudicò Remus, per qualcuno che avrebbe potuto mandarlo al Creatore con un unico, ben assestato, colpo.

«Non avevo sonno».

«Sei venuto fino ai confini della foresta perché non riuscivi a dormire?»

«Può darsi» rispose con un'alzata di spalla innocente. «E tu?»

Le labbra di Aulos sembrarono assottigliarsi mentre, ricercando attentamente le parole più adatte, scrutava inquieto tra le fronde degli alberi.

«Anch'io» tentò con poca convinzione.

«Aulos» disse con calma Remus, «sto andando a Londra».

Il giovane parve ritrovare immediatamente il proprio controllo e la propria determinazione.

«A Londra?» ripeté sconcertato. «E noi? Non puoi andartene ora che-»

«Tornerò» lo interruppe con un sorriso indulgente Remus. «Non sto scappando».

«Oh» mormorò l'altro. «Scusa, credevo che-»

«Non importa» lo liquidò nuovamente, lanciando un'altra occhiata furtiva fra le betulle. Chinò il capo per salutare il giovane dinanzi a sé e gli sorrise brevemente. «A presto, dunque. Spero ritroverai il sonno».

Aulos annuì con fare meccanico e gli sorrise affettatamente.

«Certo».

Gli aveva dato le spalle solo da pochi secondi quando la voce del giovane lo fermò.

«Bizét» disse, e a giudicare dal modo in cui continuava a sfregare fra loro le mani, ciò che stava per rivelargli doveva turbarlo parecchio. «Posso contare sulla tua discrezione? Non dirai a nessuno di averci sentito, non è vero?»

«Sentire?» si finse confuso Remus. «Chi o cosa avrei dovuto sentire?»

Aulos gli rivolse un sorriso di gratitudine.

«E, dopotutto» continuò imperterrito, «non sono mai stato qui nemmeno io, giusto?»

Il viso pallido del giovane Alceus comparve improvvisamente dall'ombra della betulla più vicina ad Aulos, e affiancandosi al compagno, osservò spaurito Lupin.

«Potremmo morire, Bizèt» mormorò. «Non lo dirai a nessuno, ce lo prometti?»

«Potremmo morire tutti da un momento all'altro, Alceus» ribatté amaramente. «Il mio consiglio, se posso permettermelo» riprese, mentre un vago sorriso divertito gli increspava le labbra, «e di non sprecare il vostro tempo per intrattenermi. Anzi, non sprecate il vostro tempo in alcun modo» si corresse.

«Grazie, Bizét. E buona fortuna» disse Aulos con un cenno del capo, prima di stringere con decisione la mano di Alceus e di voltargli le spalle.

Il più giovane, tuttavia, ruotò il capo indietro ancora una volta. «Solo Rouge sa che-»

«Alceus, non importa che tu mi dica questo» lo congedò con un gesto rapido della mano. «Va' da lui, Madre Selene, che aspetti?»

«Te ne saremo per sempre grati».

Va' da lui, che aspetti?


E tu?

Cosa stai aspettando per andare da lei?


°°°°°°°





Riposa, ordinava tassativa l'arzigogolata calligrafia della professoressa McGranitt, e non azzardarti a rientrare al castello prima di averlo fatto.

Remus posò la pergamena che aveva appena ricevuto sul traballante comodino della modesta stanza del Paiolo Magico che aveva nuovamente affittato e si lasciò cadere sul materasso alle proprie spalle.

Crollò addormentato ancor prima ancora di rendersi conto di quanto stanco, in realtà, fosse.


°°°°°°°





«Può scordarselo» ribatté melliflua Tonks, occhieggiando con aria falsamente civettuola in direzione dei capelli impomatati di Archibald Dawlish. «Non rinuncerò alle mie ferie solo a causa dei suoi problemi esistenziali».

Philibert Proudfoot e Charles Savage si scambiarono uno sguardo d'intesa: Tonks aveva riferito loro della discussione avuta con Dawlish durante il suo primo turno di guardia, e da quel giorno, la ragazza sembrava aver perso ogni buon senso nel rapportarsi con il proprio superiore. Sembrava quasi sforzarsi di diventare insopportabile e strafottente e, perfino Phil dovette ammetterlo, a un certo punto, che volesse a tutti i costi perdere il lavoro. Eppure, la possibilità di restare disoccupata non pareva essere per lei un incentivo alla maggiore disciplina.

«Un po' di caffè, Phil?» propose con garbo Savage, allungando la vecchia caffettiera arrugginita al compagno.

«Sì, Charles, grazie» rispose con estrema tranquillità l'altra, bellamente indifferente all'ennesimo tentativo della collega più giovane di far perdere il senno a Dawlish. «Questa notte è nevicato, hai notato?» continuò, sorseggiando amabilmente dalla propria tazzina.

«Ho notato, sì. Cominciavo a credere che non avremmo visto nemmeno un fiocco, quest'anno».

«Può ripetere, agente Tonks?» sillabò Dawlish, calcando pesantemente sulle ultime parole. «Credo di non aver capito bene».

«Credo che lei debba prendere seriamente in considerazione l'idea di fare qualcosa per il suo apparato uditivo, signore».

«Mi pare di averle ripetuto ben più di una volta che non tollero simili indisciplinatezze nella mia squadra!»

«E a me, pare di averle risposto ben più di una volta che la sua disciplina può infilarsela dove non batte il sole» replicò con un sorriso forzatamente solare e genuino Tonks.

«Anche a me pare che oggi sia una splendida, splendida giornata di sole!» esclamò allegramente Proudfoot. «Tu non trovi, Charles?»

«Assolutamente, vecchio mio. Oggi il sole ispira una grande voglia di vivere e di distribuire amore e gioia al mondo intero!» proclamò a gran voce Savage.

Proudfoot inarcò un sopracciglio e guardò divertito l'altro Auror. «Cos'è che fa il sole, scusa?»

«Questo suo degenerato e inaccettabile comportamento la porterà su una strada peggiore di quella che già sta percorrendo, razza di sconsiderata ragazza!» riprese con maggiore violenza Dawlish, alzando nel contempo un braccio e mostrando minaccioso l'indice a Tonks. «Un'altra parola e...»

«''...si ritroverà a scartabellare documenti per il resto della sua vita''» recitò la ragazza. «È molto gentile, signore, ma mi vedo costretta a declinare l'offerta. Ho l'impressione di essere allergica agli scarafaggi del Reparto Archivi. Mi rendono estremamente stronza, l'ha notato?»

Il volto di Dawlish stava raggiungendo una sinistra tonalità di porpora ad una velocità a dir poco inquietante. Portò una mano alla fronte imperlata di sudore e scostò dagli occhi una paio di capelli che erano riusciti a fuggire dal suo impeccabile taglio.

«Non-le-è-concesso-di-prendersi-una-settimana-di-ferie!» decretò infine, sottolineando con un grosso sputacchio l'ultima parola.

«Ma-io-non-sto-chiedendo-la-sua-concessione!» scandì Tonks allo stesso modo. «È dal giorno in cui mi sono diplomata che non festeggio un Natale come si deve! Ho inoltrato la richiesta a Robards a metà giugno, quindi, io me ne vado a casa per un po'».

Dawlish fece un respiro profondo e la fissò come se fosse l'essere più disgustoso davanti al quale si fosse mai trovato. Poi, con un gesto divertito che fece inarcare un sopracciglio di Tonks, l'angolo destro della sua bocca si sollevò leggermente in un ghigno spavaldo.

«Dovete forse tornare dalla vostro amichetto ammaestrato?» sibilò. «Non ti hanno mai detto che sono i depravati ad avere rapporti con gli animali, ragazzina?»

Proudfoot e Savage si mossero come un'unica mente: il primo posò sul tavolo la tazzina dalla quale stava bevendo, mentre il secondo chiuse con garbo il giornale e strinse circospetto le palpebre. Le mani di entrambi, tuttavia, si spostarono silenziosamente sotto al mantello a stringere l'impugnatura della bacchetta.

Tonks chiuse gli occhi e si umettò le labbra, richiamando ogni singola cellula del suo corpo a controllarsi.

«Forse è così, signore, tuttavia» fremette nella difficoltà di contenere la rabbia che la stava agitando, «mi chiedo se sia il caso di prestare ascolto ad una mezza sega come lei, o se io faccia meglio a fregarmene e a tornare da qualcuno che sa essere un uomo, indipendentemente dalla poltrona sui cui poggia il suo culo, signore. E ora, se vuole scusarmi» concluse in un sussurro tremante, «vado a prepararmi».

Così dicendo, svanì oltre la porta della cucina del numero 17 di Troops Road e risalì a passi affrettati le scale.

Finalmente più calmi e rilassati, Proudfoot e Savage tornarono a posare le mani sul tavolo.

«Questo Lupin» commentò infine Proudfoot con un sorriso divertito, «deve davvero sapere il fatto suo, per andare a letto con quell'uragano di ragazza».


°°°°°°°





«La prima cosa che fece, non appena ebbe dischiuso gli occhi, fu chiedersi dove diavolo fosse finito il bosco. Gli occorsero diversi secondi prima di ricordare quanto fosse lontana da lui, almeno in linea d'aria, l'isola di Jura, e altrettanti per avvertire – e riconoscere, dopo tanti mesi – l'inconfondibile aroma del caffè aleggiare delicato e tentatore per la stanza. Stava per rimettersi a sedere quando un'inconfondibile rumore di ceramica infranta attraversò la stanza, facendolo sussultare improvvisamente. Allungò il braccio sotto il cuscino ed estrasse con estrema calma la propria bacchetta. Rabbrividendo appena al contatto con il pavimento gelido, scivolò in punta di piedi fino al muro e tese il braccio dinanzi a sé. L'aroma del caffè, che ancora fluttuava per l'ambiente, si mischiò ad un indistinto profumo di fragole e menta. Remus sospirò appena, socchiuse le palpebre con espressione sofferente e abbassò la bacchetta.

«Ninfadora, cosa ci fai qui?»

Tonks sussultò al suono della sua voce, si raddrizzò in piedi e si voltò per fronteggiarlo. Aveva gli occhi gonfi e il mascara colato, notò Lupin con una morsa allo stomaco. «Reparo» disse, puntando la bacchetta contro i cocci di ceramica sparsi per terra.

«Ho pensato che potevi avere voglia di un buon caffè» si giustificò Tonks senza l'ombra di un sorriso. «Il che significava che non doveva essere fatto dalla sottoscritta».

«Come hai fatto ad entrare?»

«Sono un Auror. Ve ne dimenticate un po' troppo spesso».

Lui annuì. «Grazie per il caffè».

«Ma ora è tutto sul pavimento».

«Grazie ugualmente».

Rimasero per un po' così, tesi e divisi da un imbarazzato e glaciale silenzio.

«Remus...» esordì infine Tonks, mentre gli occhi si facevano improvvisamente più lucidi. «Posso chiederti un favore?»

Lui la fissò combattuto, certo che questa volta non avrebbe saputo dire di no.

«Certo».

«So che... so che sembra stupido... ed egoista» iniziò titubante, avanzando di qualche passo verso di lui. «Ma ho bisogno di un abbraccio, Remus».

Posò la testa sul suo petto e lui rimase ad ascoltare impotente i suoi singhiozzi, carezzandole i capelli grigio topo e cingendola con le braccia, chiedendosi se potesse esistere un suono più orribile del pianto di lei.


Ho bisogno di un abbraccio, Remus.


°°°°°°°






Avete notato che sto cercando di farmi perdonare la vergognosa attesa alla quale vi ho sottoposto?

La risposta dovrebbe essere sì, ma se così non fosse, fatemi il piacere di annuire lo stesso.

Il capitolo non brilla per lunghezza, ma vi rammendo che oggi è domenica, indi ieri era sabato, sinonimo di «domani mattina non ricorderò nulla di ciò che sto facendo».

Vado un po' di fretta, perciò spero mi scuserete se non rispondo ai vostri commenti. Ora che il computer è «guarito», si è ammalato il «modem»... v__v No comment.

Un grazie gigantesco a tutti quanti, di nuovo. Mille, mille e millecento volte GRAZIE!


Trick

   
 
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