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Autore: ___Ace    13/10/2013    6 recensioni
“Non è serata, Evidenziatore, torna un’altra volta”.
Osservai quell’energumeno che avevo avuto la sfortuna di incontrare: i capelli in disordine e un orrendo paio di occhiali con le lenti spesse era appoggiato sulla fronte, tenendo quei ciuffi rosso vermiglio alzati verso l’alto; la maglia sporca di nero, pantaloni neri, scarponi neri. Praticamente avevo davanti a me l’Uomo Nero in persona.
Avrebbe potuto spaventare i mocciosi qui intorno.
*
Ecco, lui sembrava infiammato. Costantemente. Sembrava sempre avere qualcosa da dire, da fare o da vedere; non stava mai fermo e si muoveva in continuazione; a volte sembrava calmarsi ed essere colto da un’improvvisa quiete e sonnolenza, ma si riprendeva subito dopo; adorava i fuochi d’artificio e il fuoco lo affascinava. Diceva che era caldo, e quindi apprezzato dalle persone, ma allo stesso tempo temuto perché poteva bruciare e fare del male. Questi aspetti contrastanti gli piacevano immensamente, tanto da suscitare anche la mia curiosità e facendo si che, ogni volta che passava, mi ritrovassi chino sul bancone ad ascoltare le sue stramberie per nulla annoiato.
Ace era certamente così: bello, scoppiettante e caldo. Era il fuoco.
*
Kidd/Law. Ace/Marco. Penguin/Killer. Accenni Zoro/Nami.
Genere: Fluff, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eustass Kidd, Marco, Portuguese D. Ace, Trafalgar Law, Un po' tutti | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
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Capitolo 2.
Hangover. Hang-che?

I got a hangover, wo-oh!

Sabato.
Adoravo il sabato.
Meglio ancora, veneravo il sabato, soprattutto la mattina.
La lenta e tranquilla mattina, durante la quale passavo le ore a dormire fino a tardi o a vomitare l’anima, liberandomi dall’alcool assorbito la sera precedente in circostanze che ricordavo a malapena e di cui non mi fregava un emerito cazzo.
Quel giorno, invece, le cose erano andate diversamente.
Avevo dormito male durante la notte a causa di un mal di testa pazzesco che mi martellava nel cervello senza sosta. Partiva dal sopracciglio sinistro e mi prendeva tutto il lato della testa, pulsandomi nella tempia e facendomi impazzire. In aggiunta avevo inzuppato le lenzuola con gli impacchi per il ghiaccio che mi ero premuto sull’occhio, sperando vivamente che il colpo ricevuto non fosse troppo evidente una volta passato il gonfiore. Come se non bastasse, mi era toccato camminare a gambe aperte dall’inizio della via del mio quartiere fino a casa, dove mi ero stravaccato sul divano, finendo per alzarmi immediatamente come se i cuscini fossero fatti di spilli.
Avevo l’inguine in fiamme, e non in senso buono o piacevole, al contrario.
Dopo una nottata infernale fui felice di svegliarmi alle dieci e mezza, anche se per i miei standard era dannatamente presto, notando con piacere che almeno la parte che più mi interessava sembrava essere guarita senza effetti collaterali sul mio fisico.
Quel maledettissimo figlio di puttana, pensai, mentre mi dirigevo silenziosamente in cucina, preparandomi ad una disperata ricerca delle cialde per fare il caffè. Ne avevo un assoluto bisogno se volevo affrontare la giornata senza scoppiare in scatti d’ira o di violenza.
Da quando Killer mi aveva iscritto a quel patetico corso di yoga le cose sembravano andare meglio del solito. Niente lamentele da parte dei vicini a causa di rumori molesti, niente visite di controllo indesiderate della polizia, niente animali zoppi. Tutto regolare.
Per quanto odiassi infilarmi una tuta e uscire di casa per presenziare a quelle lezioni noiose ed eterne, dovevo ammettere che avevano dato i loro frutti.
Quando ero a lavoro contavo fino a dieci prima di mandare a fanculo un cliente piuttosto esigente o assillante; nei luoghi pubblici mi trattenevo una volta su tre a fare gesti osceni o a spaventare un passante e mi ubriacavo solo il fine settimana, senza presentarmi all’officina di Franky ubriaco fradicio. Quello me lo concedevo solo in rare occasioni.

I've been drinking too much for sure.

Per questo tutta la rabbia che accumulavo e che mi trattenevo dal sfogare la liberavo i venerdì e i sabato sera, mentre ero fuori a festeggiare con qualche amico. L’occasione per tenersi in allenamento e fare un po’ a pugni si presentava sempre, come era successo quel venerdì.
Notando di sfuggita il mio riflesso sullo specchio del corridoio tornai sui miei passi per confermare i miei timori. Un segno violaceo spiccava come un’insegna al neon sulla mia faccia, facendo quasi pendant con i miei capelli aggrovigliati e in disordine.
Oh, giuro che lo ammazzerò per questo.
Strinsi i pugni e presi a respirare profondamente, calmando l’istinto omicida che iniziava a scorrermi nelle vene.
Calmati, forza, respira. Se lo rivedrai non dovrai ucciderlo. Pena la galera. Ricordatelo bene. Non devi ucciderlo, Kidd.
Non. Devi. Ucciderlo.
Tirai un pugno secco al muro.
Lo ucciderò eccome!
Con poche falcate raggiunsi la dispensa e cercai alla cieca qualcosa di consistente per fare colazione, oltre al mio più che meritato caffè che, forse, mi avrebbe aiutato a calmarmi.
Fortuna che Killer aveva fatto la spesa il giorno prima, ricordandosi di prendere qualcosa anche per me, dato che odiavo andare nei centri commerciali.
Un muffin al cioccolato mi sembrò l’ideale e, dopo averne agguantati due per sicurezza, mi avviai già più tranquillo verso la cucina.
Mentre la macchinetta si dava da fare per soddisfare i miei bisogni, aprii le finestre del soggiorno e illuminai anche le altre stanze, lasciando che i timidi raggi di sole che spiccavano da dietro alcuni nuvoloni scuri mi accecassero per qualche istante.
Non potevo fingere oltre, ero consapevole del fatto che avrei dovuto fare i conti con le conseguenze del mio comportamento sconsiderato.
Dopo che quello stronzo mi aveva messo al tappeto, giocando sporco chiaramente, erano arrivati quelli della sicurezza.
Che divertimento, avevo fatto a botte anche con loro, ignorando il dolore e la stanchezza, spalleggiato da Killer e da un altro paio di ragazzi che non conoscevo, ma che avevano l’aria di chi sapeva da che parte schierarsi. Mi erano stati simpatici da subito, il che era una cosa rara dato che io odiavo qualsiasi forma vivente sulla terra e non ero il classico tipo che faceva amicizia facilmente. Ma quei due, soprattutto quello con la zazzera verde, sembravano a posto.
Infatti, come se il Destino volesse darci l’opportunità di conoscerci meglio, quando arrivò la polizia, entrando nel locale a spada tratta, venimmo additati come causa principale della rissa e passammo una buona ora e mezza fuori al freddo, interrogati dagli agenti e da quell’impiastro di Smoker, il quale non ci lasciò andare tanto facilmente.
Mi conosceva da tempo ormai, per questo sprecava il suo tempo con me, ero il suo teppistello preferito, anche se non appena mi vedeva mi riempiva le orecchie di insulti su mia madre e sul Dio che aveva permesso la mia nascita.
Avevo iniziato all’età di quindici anni, lanciando uova addosso a macchine e case e incendiando le siepi dei vicini, usando la classica scusa del ‘dolcetto o scherzetto?’
Bei tempi quelli. Allora potevo cavarmela con una lavata di capo da parte di mia madre, ma a partire dalla maggiore età avevo passato le mie memorabili nottate in cella con l’accusa di disturbo della quiete pubblica e offese ad un pubblico ufficiale.
Tutto sommato mi volevano bene quelli della caserma, ne ero sicuro anche se non lo davano a vedere. Non che me ne importasse, ma mi piaceva pensarlo ridendoci sopra.
Zoro e Sanji, ecco come si chiamavano! Mi ricordai i loro nomi dopo il primo sorso di caffè.

I got an empty cup, pour me some more.

I due ragazzi, ubriachi marci, si erano presentati dopo che le forze dell’ordine se ne erano andate, stringendoci calorosamente la mano senza smettere di ridacchiare e spintonarsi tra di loro.
Quello biondo, Sanji, lavorava in un noto ristorante di Sabaody, un posto dove non avrei mai messo piede dato che il cibo costava un occhio della testa e tutti quelli che ci andavano erano ricconi. Zoro, la testaccia verde, studiava scienze e motoria all’università e insegnava scherma nel tempo libero.
Dopo un paio di battute sul pessimo abbinamento dei nostri capelli ci eravamo salutati con la promessa di ritrovarci quell’esatto sabato sera con i rispettivi amici.
Se evitavo di pensare al casino in cui mi ero cacciato per colpa di quel moccioso da strapazzo la serata non sarebbe stata affatto male.
Ma non ero capace di passare sopra agli affronti che mi venivano fatti e quelli come lui, quelli che si credevano superiori, non mi piacevano affatto.
Quel bastardo. Quando quel suo amichetto mingherlino mi era venuto addosso, o ero io che ero andato a sbattere contro di lui? Beh, poco importava. Quando mi aveva trattenuto dal disintegrare il moccioso avrei voluto incenerirlo in quel momento, ma qualcosa mi aveva stupito parecchio.
Ci eravamo guardati con sfida, ma nessuno dei due aveva abbassato lo sguardo.
Il che è parecchio strano, pensai, ingoiando in un boccone il secondo muffin, tutti hanno paura di me e con lui non dovrebbe essere diverso.
Non avrei mai creduto che con quelle manine da femminuccia potesse farmi del male invece, quando mi aveva conficcato le sue dita ossute nel polso mi aveva creato parecchio fastidio, tanto che avevo allentato la presa sul suo piccolo amico di poco.
Ma il colpo di grazia me l’aveva risparmiato per un secondo momento. Devo dire che, se non fossi stato il doppio di lui, con quel calcio mi avrebbe steso, ma aveva fatto male i conti con la mia stazza e la mia forza.
Ghignai divertito, sicuramente il suo ginocchio ne avrebbe risentito e poi potevo permettermi di esultare anche per un altro motivo: gli avevo rotto un labbro. Un passo avanti verso il mio malefico e perfetto piano per spaccargli del tutto la faccia.
In quel momento il telefono di casa decise di riempire l’aria con le sue note acute, facendomi tornare il mal di testa.
Imprecando sonoramente andai a rispondere, alzando la cornetta e grugnendo un infastidito ‘pronto?’.
«Buongiorno Kidd, com’è stato il tuo hangover?» fece Killer tutto allegro dall’altra parte.
«Hang-che? E buongiorno un cazzo» mi premurai di fargli sapere.
Mi sembrò quasi di poterlo vedere sospirare e alzare gli occhi al cielo mentre borbottava qualcosa riguardo alla mia scarsa conoscenza dell’inglese, ma gli badai poco perché sembrò ricordarsi il motivo per il quale mi aveva disturbato, evitando così di essere sommerso dai miei insulti. No, non li avrei mai trattenuti a quell’ora del mattino e con un mal di testa che minacciava di diventare sempre più pesante se non avessi trovato un rimedio al più presto.
«Volevo avvisarti che stasera ci aspettano tutti da Shakki, d’accordo?».
«Mpf. Si, va bene. Passo a prenderti?» gli chiesi. Quei gesti di cortesia non erano da me, ma per lui potevo anche fare un’eccezione.
«Ehm, non te lo ricordi?» fece titubante.
«Cosa?». Un brutto presentimento iniziò a farsi strada nel mio stomaco e non era perché dovevo andare a vomitare.
«Non devi dare in escandescenza, va bene? Ieri sera Smoker, per far si che ti dessi una calmata, ti ha ritirato la patente. Sei tornato in taxi».
O. Mio. Dio.
Rimasi immobile a fissare il muro di fronte a me, stringendo convulsamente il bordo del ripiano in legno sul quale era appoggiato il telefono. Mi accorsi distrattamente delle nocche che diventavano bianche a causa della pressione che stavo esercitando.
«Ehi, Kidd? Kidd, ci sei? Calmati amico, ricordati le lezioni per contenere la rabbia…».
«Io lo ammazzo!» urlai, sfogando la mia ira addosso al mobiletto che prese a vibrare sotto ai miei colpi insistenti.
«Ecco, appunto».
E di chi era la colpa di tutto questo? Di quel maledetto ragazzino strafottente.

I wanna keep it going, come on!




Angolo Autrice.
Ecco quello che ho deciso di definire capitolo chiave. E’ ciò che anticipa l’evento, la bomba, il momento tanto atteso. Comunque si, Kidd fa yoga e aspettate di vedere come si veste per l’occasione. E si, nella storia saranno introdotti dove più conviene altri personaggi conosciuti. Sanji e Zoro, come vedrete, sveleranno la loro utilità nel prossimo capitolo nel quale si entrerà nella storia e finirò di girarci tanto intorno dato che sono più ansiosa io di voi. 
Basta parlare, vi lascio un piccolo spoiler del prossimo capitolo:
 
“Ti chiami Eustass, giusto?” chiesi. Gli occhi nascosti dal frontino del cappello e il viso riparato dalle mani incrociate e appoggiate al mento.
Per tutta risposta, un grugnito arrivò alle mie orecchie e un cenno di assenso non sfuggì alla mia visuale protetta.
“Dimmi un po’”, iniziai, sciogliendo le dita e lasciando trapelare un ghigno malefico, “Come te lo sei fatto quel brutto livido?”.
 
*

Che strano colore, mi ritrovai a pensare, notando per la prima volta quelle pupille grandi e ambrate. Mi ricordarono stranamente casa mia e la sensazione di benessere che provavo a ritrovarmi tra quelle pareti con l’unica differenza che, in quel preciso istante, ero fra le braccia di quell’esaltato che non ci avrebbe messo molto a spezzarmi le ossa.
 
 


See ya,
Ace.





 

 

  
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