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Autore: ArchiviandoSogni_    13/10/2013    3 recensioni
Lungo la strada della vita, incontriamo ogni giorno persone nuove che inconsapevolmente riescono a cambiarci indissolubilmente.
Alice scappa in continuazione dal ricordo di com’era da adolescente e basta poco a farla precipitare nell’oblio della tristezza e distruzione personale. Nonostante la perdita di quei sofferti 30 chili, Alice li sente ancora sulle sue spalle, contro lo stomaco: fino in fondo all’anima.
Michele vive per strada. Ha perso la bussola dopo la perdita di una persona amata. Porta con sé un’adolescenza sofferta; viaggi interminabili da un orfanotrofio all’altro fino ad arrivare a casa di una famiglia affidataria che non l’ha mai capito realmente.
Una volta adulto pensava di poter finalmente spaccare il mondo.... Ma così non fu.
Sullo sfondo di una Milano che sboccia con la primavera e una Como che comincia a sentire il vociare sempre più acceso dei nuovi turisti, incontreremo due ragazzi, due vite e due anime perdute.
“Nessuno può sconfiggere i propri pensieri intrisi di ansia e frustrazione, se non trova delle mani pronte ad afferrarlo e a rimetterlo nel proprio cammino dettato dal destino, ogni volta che barcolla verso l’argine sdrucciolevole della vita.”
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo III

Capitolo III - Let me wrap you in my warm and tender love

 

 

 

“Stordita, vuoi ancora un po’ di pollo?”

Mia madre, con la sua solita innegabile dolcezza, agitava la mano convulsamente vicino al mio polso, per afferrare il piatto ancora colmo di cibo. Era ovvio che la sua era una domanda retorica; non aspettava di certo una mia risposta.

“Se proprio insisti…” Veloce come un fulmine rubò il mio piatto, sparendo in cucina sotto lo sguardo rassegnato degli uomini di famiglia.

“È peggiorata.” Mi sussurrò mio fratello Leonardo, toccandomi dentro più volte col gomito. “Da quando vivi da sola, ha alimentato delle strane teorie sul tuo «non saper vivere». Quando le spieghiamo che non hai più tre anni?”

Scoppiai a ridere seguita prima da lui e subito dopo da mio padre che, come al solito, scuoteva la testa sconsolato, quando si trattava di star dietro a mia madre.

Amore e sopportazione, vecchio mio. Adoravo prenderlo in giro con quella frase, quando sbuffava spazientito dopo due round di teorie e discorsi sulla vita. Dai quali, sia chiaro, usciva sempre sconfitto: ovvio, mia madre doveva ed esigeva sempre l’ultima parola.

D'altronde la caparbietà e il non saper perdere li avevo chiaramente ereditati da quella pazza donna biondiccia, nana e paffutella.

Nonostante le sue strane fisse e i nostri consueti battibecchi del pranzo domenicale, era impossibile odiarla. Sia per me, ma soprattutto per mio padre che - a dirla tutta - l’adorava segretamente anche quando professava di “odiarla”.

Quei due si amavano in segreto ancora come due adolescenti un po’ cresciuti; ridevano e si baciavano di nascosto nei corridoi, dietro ogni angolo e mobilio disponibile.

Ironia della sorte, aggiungerei : famiglia Amore di nome e di fatto.

“Che avete voi tre da confabulare?” Sbuffando e litigando con un ciuffo ribelle di capelli sfuggito dalla coda disordinata, Rossella Amore riportò trotterellando il piatto alla sua esile e fin troppo deperita  figliola.

Come se le diete e l’abbonamento in palestra fossero solo un cavillo insignificante per la mia vita, ovviamente.

“Mangia, dai. Mi sembri più pallida del solito.”

Roteai gli occhi e lasciai morire il discorso, ringraziando mentalmente Leo che ricominciò a parlare di sé. Esibizionista, scansafatiche e disorganizzato fino al midollo: questo era mio fratello. Biondiccio, barbetta dai lui stesso definita “arrapante”, alto come una pertica e tatuaggi disseminati qua e là dopo il suo periodo da bad boy (che all’età di 32 anni, ancora non era finito) questo era Leonardo  Amore.

Con questa descrizione potrei tranquillamente descrivere un ragazzaccio poco cresciuto che frequenta solo pub e centri sociali, ma, in realtà, mio fratello era un giovane avvocato affiliato ad uno dei più prestigiosi studi di Milano. Lavorava lì ormai da sei anni, dopo essersi laureato con la lode in una delle università più prestigiose della città.

Chi lo vedeva in giro nei suoi pochi giorni liberi, non gli avrebbe nemmeno dato un po’ carta straccia da tutelare in tribunale. Ma, come amo spesso ripetere, l’apparenza inganna e anche molto, visto che Leo è una delle persone più belle e preparate che abbia mai conosciuto. In realtà, se proprio devo essere sincera, non eravamo davvero fratelli di sangue. Leonardo era in realtà figlio di mio zio Giuseppe Amore, fratello maggiore di mio padre, che insieme a mia zia, morì in un brutto incidente stradale quando Leo aveva solo otto anni. Da allora i miei decisero di adottarlo – io avevo solo un anno all’epoca – e per me sarà sempre il miglior fratello che potessi desiderare.

Ci volevamo così tanto bene forse perché la vita ci aveva privato di tante gioie scontate per la maggior parte dei nostri coetanei.

Io vivevo una vita infelice a causa dei limiti mentali che io stessa avevo creato e cementificato nella mia mente da troppi anni; Leo invece sentiva da sempre una mancanza dentro il suo cuore, per quella famiglia troncata sul nascere che non aveva potuto vivere e assaporare nei momenti del bisogno. Noi c’eravamo sempre stati, tanto che per lui Vincenzo e Rossella Amore erano “papà e mamma” non “zio e zia”. Però, anche se non me l’avrabbe mai detto apertamente, sentivo che ricercava l’anima gemella in continuazione, per riempire quel profondo buco nero che aveva rischiato di inghiottirlo più e più volte. Voleva una famiglia; voleva donare tutto l’amore possibile a delle creature che avrebbero avuto un destino migliore del suo.

“Smettila di pensare così tanto che ti fa male.” Un occhiolino e una leggera carezza sul braccio, mi fecero ritornare sulla terra, ricambiando il sorriso furbo del mio fratellone.

 

“Quindi ti hanno affidato una nuova allieva?”

Io e Leo avevamo deciso di andare a fare un giro a Como, nel pomeriggio, visto che il caldo stava decisamente arrivando e una passeggiata sul lago era proprio quello che ci voleva per prepararci ad una settimana di stress e corse nella City.

Era bello il mio fratellone; sembrava che i suoi lunghi capelli biondi attirassero tutti i raggi solari presenti nell’aria. Senza contare lo splendore dei suoi occhi azzurro cielo che mandavano tanti cuori in visibilio.

Ero fortunata ad essere una delle poche donne della sua vita che sarebbe rimasta per sempre.

“Sì, è una studentessa di Beni Culturali che ha insistito talmente tanto per venire a fare uno stage da noi, che il mio capo non ha potuto dirle di no. È una forza, mi piace un sacco.”

“Ah sì? È carina?”

Risi, scuotendo la testa rassegnata. “Sì, molto. Non è la solita figa di legno milanese. Viene dalla provincia e ha la spensieratezza e la bellezza dei suoi 21 anni. Sai cosa? Sembra anche più piccola per quanto sia sempre allegra. Invidio molto la sua energia e positività.”

Leo sorrise malefico, avvicinandosi a me. “Bene, vedrò di passare un giorno di questi ad osservarla ben benino.”

“Sempre il solito allupato.”

Lui mi prese sottobraccio, fischiettando. “E fiero di esserlo, sorellina. Ci prendiamo un gelato?” Acconsentii.

“Perfetto, vada per il gelato solo alla frutta, giusto?”

Leonardo non mi avrebbe mai messa a disagio, mai. Sapeva delle mie manie e fisse per il cibo, tanto che evitava spesso di mettermi in scomode situazioni.

Mi portava sempre in ristoranti e trattorie, non nelle fiere dell’ingrasso e del cibo spazzatura come i fastfood; oppure, se dovevamo andare a fare shopping, sceglieva modi sempre strani per non farmi entrare in negozi con taglie da anoressiche/scope da pavimento, sapendo quanto trovavo triste non potermi comprare un vestito solo per la mancanza di taglia.

Leo era uno dei pochi uomini che amava le donne in carne. Strano, vero? Amava toccare, assaporare e perdersi nelle donne; così mi diceva sempre quando mi presentava la fidanzata del momento. Tra l’altro Serena, la studentessa di beni culturali, era formosa come me… Forse avrei dovuto presentargliela davvero. Chissà.

“Sempre a perderti nei tuoi pensieri. Che hai ultimamente? Ti sei innamorata?”

Mi fermai davanti all’entrata della gelateria, guardandolo male. “Io? Ma figurati, ho già adottato una decina di cani e gatti per la mia prossima vita da zitella felice.”

Leo mi spintonò, sorridendo, facendosi così spazio per accaparrarsi i nostri due coni gelato.

Uscimmo decisamente felici nell’aria frizzantina di quel maggio ancora troppo freddo e piovoso, per essere davvero un preludio d’estate.

“Quindi a uomini sei messa male? Dai, ma la finisci di fare la nerd in quell’appartamento del cazzo? Esci, vai a ballare, divertiti! Hai 25 anni , sei gnocca e simpatica. Sai quanti uomini potresti avere se solo lo volessi?”

Quasi mi strozzai con il gelato. “Certo, perché non ci ho pensato prima? Dovrei prendere una macchinetta per l’enumerazione della mia lunghissima fila di fan pronti a saltarmi addosso.”

“Scema eri e scema rimarrai. La finisci di fare la quindicenne repressa e obesa? Sei bella e non sei più grassa. Bella! Bellissima, ecco!”

Scossi la testa, totalmente in disappunto con il pensiero di Leo. Lui non avrebbe mai capito cosa volesse dire venire derisi e additati perché non si pesava cinquanta chili.

“Elis.”

Ovviamente, quando la situazione si fa scomoda e difficile, non lo è mai abbastanza se non si complica ancora di più.

La fonte dei miei mali era seduta scompostamente su una  panchina, intenta a guardarmi in modo strano.

“Ma mi perseguiti?”

Leo si fermò al mio fianco, proprio di fronte a Michele che si era appena alzato, esibendo tutta la sua altezza. Era alto come mio fratello, incredibile. Solo in quel momento me ne resi conto. Per la prima volta in vita mia i miei 1,75 di altezza, mi sembravano considerevolmente pochi.

Erano due grattacieli quei due.

“È per caso un maniaco, ?”

Non fu un caso che Leo utilizzò proprio il mio nomignolo che usavano i miei amici intimi e la mia famiglia fin quando ero piccola di fronte a Mich; stava innalzando le sue barriere di difesa, proteggendomi da un barbone scapestrato e con uno sguardo poco raccomandabile.

Anche qui l’apparenza inganna; agli occhi di Leo, Mich sembrava solo un ragazzo di strada, sporco e con cattive intenzioni. Quanto odiavo tutta quella superficialità che la società continuava a gettarci addosso: se solo Leo avesse saputo quanto buono e dolce era stato Mich salvandomi da me stessa, solo un mese prima.

“No, non sono un maniaco. Giuro che non ho mai avuto cattive intenzioni con la tua ragazza.”

Mi guardava quasi pregandomi di lasciare il braccio di Leo, per avvicinarmi al suo.

“No, aspetta. Che ragazzo? Sono suo fratello. E tu chi minchia sei?”

Eccolo che Leo si stava già surriscaldando. “Leo, calmati. Mich è un mio amico, ok?”

“Fratello. Ah, scusa.” Ma dopo quell’affermazione, non lo guardò nemmeno più, concentrandosi solo su di me. Sulle sua labbra ritornò il solito sorriso cordiale ed impertinente, facendomi sciogliere qualcosa nel petto. “Sono stato un coglione, vero? Come stai, Elis?”

Leo mi guardò con fare confuso. “Elis?”

“Sì, lunga storia. Poi ti racconto Leo. Mich è un ragazzo che mi ha… dato un… ecco, un’indicazione quando sono venuta qui il mese scorso. Mi ero persa.”

La bugia peggiore della mia vita. Incrociai le dita mentalmente, per averla resa almeno un minimo credibile. Mich nascose un sorriso dietro la mano, per non farsi cogliere in flagrante da mio fratello.  Che infame! Invece di aiutarmi… Povera me.

“Un’indicazione nel centro di Como? Ma se veniamo qui fin da bimbi. Vabbè, ho capito, signorinella. Vado a farmi un giro. Ci becchiamo in stazione tra un’oretta, ok?”

Indicò con due dita prima i suoi occhi e poi i miei, per farmi capire che “mi teneva d’occhio”. Sicuramente mi aspettava una bella chiacchierata condita di particolari sul treno.

“Grazie, eh!” Mi voltai quando Leo attraversò la strada e sparì in direzione del Duomo di Como, lasciandomi sola con quel deficiente di Michele.

L’avrei ucciso. All’istante.

“Scusami, che ne sapevo io che era tuo fratello!”

Mi avvicinai puntandogli un dito sul petto. “Potevi avvicinarti in modo diverso, magari mio fratello avrebbe evitato di arrabbiarsi.”

Lui fece spallucce, continuando a sorridere come un bambino. “Secondo me si sarebbe arrabbiato comunque. Ho sentito dire che i fratelli maggiori tendono ad essere possessivi e gelosi nei confronti delle loro sorelline… Ma so anche che non gli avrei fatto comunque una bella impressione. Sono un po’ trasandato, che dici?”

Ironia pungente: non poteva mai mancare con lui. “Beh, vivi per strada, Einstein…”

“E a te non da fastidio.”

Fece un altro passo verso di me, invadendo il mio spazio personale. Ma io non mi mossi, lo fronteggiai con determinazione. “Era un’affermazione, quindi non ti serve una mia risposta.”

Mich sorrise di nuovo, scuotendo la testa. “Mi serve eccome. Siamo amici, no?” E l’occhiolino che mi fece, mi mandò direttamente sul pianeta Imbarazzo.

Ma che diamine aveva?

“Ci..” Deglutii, quando nella mia mente si materializzarono le parole che stavo per pronunciare. “Ci stai provando con me?”

Il suo sorriso si spense, come lo strano luccichio del suo sguardo. “Ma no.” Prese una pausa come se stesse pensando a chissà che cosa. “Facciamo una passeggiata o vuoi ritornare subito da tuo fratello?”

Che cosa avevo detto? Ok, forse il verbo “provare/rimorchiare” era proibito per Michele.

“Sei gay, scusa?”

Boccuccia di rosa, finiscila di sparare scempiaggini!

Perché non me ne stavo mai zitta?

Il mio accompagnatore di risposta mi offrì la sua mano, che - per un motivo ancora a me sconosciuto – accettai, iniziando così a camminare insieme a lui lungo la passeggiata.

“No, non sono gay. Credo invece di aver raggiunto ormai la pace dei sensi.”

Strabuzzai gli occhi, scoppiando a ridere. Lui però non mi seguì, facendomi pietrificare all’istante. Era serio.

“Dici davvero? Ma hai 29 anni… È assurdo.”

Si voltò sorridendomi con amarezza. Cos’era quell’improvvisa tristezza?

“Ho chiuso con le relazioni da un po’ di anni. Amo la mia solitudine; sono un lupo solitario che vive contando solo su se stesso.”

“Allora perché mi stringi la mano?”

I suoi occhi si posarono prima sulle nostre mani e poi nei miei occhi. “Perché è bello. E non si dice mai di no alle cose belle.”

Non capii del tutto il suo ragionamento, ma – come aveva detto poco prima lui stesso – eravamo amici che condividevano piccoli segreti, proprio come si faceva all’asilo.

Non c’era nulla di male nel tenersi per mano, in mezzo alla folla, come una coppia.

Lui aveva raggiunto la pace dei sensi ed io ero una zitella in erba… Insomma, eravamo la coppia meno pericolosa del globo.

“Le cose belle fanno anche male, lo sai?”

“A volte è bello correre il rischio.”

Seguendo le sue parole, intrecciò le sue dita con le mie, stringendole forte.

Mi sentivo a disagio. Ma… Eravamo amici, quindi dovevo solo farci l’abitudine. Ecco: abitudine e il nodo che sentivo nello stomaco sarebbe stato solo un ricordo.

“Oggi sei strano. E non ci stiamo insultando come al solito.”

Mich localizzò una panchina libera dai turisti e dai piccioni, trascinandomi su di essa. Colto però da chissà quale pensiero, mi sollevò di peso senza chiedermi nulla e, appoggiandomi sulle sue ginocchia, si fermò ad un palmo dal mio viso.

Ci fu un lungo istante di silenzio quando i suoi occhi mi penetrarono fin dentro ai polmoni, facendomi accelerare il respiro.

“Oggi è una di quelle giornate tristi ed insignificanti. Ero scazzato, arrabbiato col mondo e poi ti ho sentita ridere con quel ragazzo. E non so, mi è partito qualcosa dentro e mi è venuto da sorridere.”

Quel pomeriggio si divertiva davvero a mettermi in imbarazzo e a farmi arrossire come nessuno era riuscito mai a fare.

“Siamo amici, no? Se vuoi parlarne, io sono qui. E non posso nemmeno muovermi, visto che sono bloccata contro la mia volontà.”

Michele sorrise leggermente, facendo increspare le piccole rughe intorno agli occhi. Era dannatamente espressivo quel ragazzo; sapeva comunicare i propri sentimenti solo con lo sguardo.

Stregata dai suoi profondi occhi blu, non mi accorsi che liberò una delle sue mani dalla mia gamba, per accarezzarmi una ciocca di capelli.

“Niente di che. Oggi è venuta a trovarmi una persona che non mi sta molto simpatica. Continua a pretendere qualcosa che non posso dargli e mi fa arrabbiare il fatto che, nonostante tutti i miei no, periodicamente torna a cercarmi e ad asfissiarmi con le sue richieste. Tutto qui; non è niente di che, in realtà, ma odio sentirmi ogni volta così. Perché nonostante le mostri indifferenza, non le sono indifferente. Perché la rabbia è figlia di un amore vissuto e finito male, quindi è comunque un sentimento. Vorrei non provarne nei suoi confronti, ma non ci riesco.”

Appoggiò la sua testa contro la mia spalla, come se quella confessione gli pesasse come un enorme macigno sulle spalle. Non avevo mai visto Mich così avvilito e triste.

“Era la tua ragazza?” Nonostante avessi pensato decine di cose da dirgli per risollevargli l’umore, l’unica cosa che riuscii a dire fu solo quella. Sei così superficiale, Alice.

“Niente del genere.”

“Allora lascia che il tempo curi le tue ferite, rendendoti meno arrabbiato e più tranquillo. Vedrai che prima o poi lei demorderà.”

Non disse nulla, ma lo sentii respirare contro la mia pelle fresca, facendomi venire la pelle d’oca.

Era la prima volta che consolavo un uomo del quale conoscevo poco e niente.

Sapevo solo che si chiamava Michele, aveva 29 anni, mani d’artista, ironia pungente e che viveva nei pressi della terza panchina. Nulla di più. Chi fosse per me era ancora un mistero, ma cominciai ad intravedere che tutta la sicurezza e la forza che mi aveva mostrato fino a quel momento erano solo una bella patina lucida, che nascondeva molte ombre ed insicurezze di un passato non così lontano.

Nonostante sapessi che era sbagliato fidarsi così tanto di uno sconosciuto, non riuscii a staccarmi da lui. Anzi, arrivai a stringerlo tra le mie braccia. Anche se la sua posizione doveva essere quella dominante e protettiva, ero io a sorreggere lui dai suoi stessi pensieri che sembravano logorarlo, respiro dopo respiro.

“Avrei voluto incontrarti prima, Elis. Quando ero ancora un uomo e non lo spettro di qualcuno che non sono più.”

Sussultai per quelle sue parole sussurrate. La sua voce era così dolce e fragile in quel momento.

“Questa tua sincerità mi intimorisce, sappilo.”

Lo sentii sorridere contro il mio collo. “Dovrebbero intimorirti altre cose in questo momento.”

Sussultai nuovamente. “Tipo?”

“L’essere tra le braccia di un uomo che non conosci. Consolare sempre il sopracitato uomo che sembra tutto, tranne che raccomandabile. Sono uno sconosciuto, Elis. Non devi fidarti di me.”

Scossi la testa, sorridendo. “Allora lasciami andare.”

Le sue braccia mi strinsero più forte. “Non prendermi così alla lettera.”

Risi per l’assurdità di quel momento, per le parole di Mich e, soprattutto, per me stessa.

Ero stupida, vero, ma in quel momento mi sentivo felice come non succedeva da tempo. Mi sentivo utile e importante per qualcuno, anche se era un momento particolare e probabilmente irripetibile. Ma, cavolo, ero così… immensamente… felice.

“Ti batte forte il cuore, piccola Elis. Non è che ti sto spaventando?”

Esattamente il contrario, Mich. Ma quel pensiero lo tenni gelosamente per me.

“Figurati, solo che l’aria si sta facendo più fresca e dovrei proprio tornare a casa.”

“Scappi via, eh?”

Sorrisi, sciogliendo l’abbraccio. “Devo andare davvero.”

Lui ricambiò flebilmente il sorriso, come se avesse capito che la mia era solo un’inutile scusa. “Allora…Ciao. Ci rivedremo, vero?”

Tutta quell’insicurezza mi faceva così tanto paura e non capivo minimamente il perché.

Era come se trasmettesse a me le sue stesse sensazioni ed io ero la regina della fuga quando si trattava di situazioni difficili ed insostenibili.

Come avrei potuto riguardarlo in faccia dopo tutta quella strana intimità che si era insinuata tra di noi?

Com’era possibile affezionarsi ad una persona che avevo visto solo tre volte e di cui non sapevo praticamente nulla?

La testa mi scoppiava e mi sentivo come intossicata dalla sua presenza. Per quanto mi avesse reso felice la sua vicinanza, allo stesso tempo mi aveva intimorito perché non sapevo gestirla.

Ci salutammo con un altro abbraccio ed io corsi per prendere il treno prima di quello concordato con Leo, inventando una scusa per non fare il viaggio con lui.

Mi sentivo confusa e disorientata; solo una bella dormita avrebbe potuto aiutarmi a fare chiarezza.

Non volevo instaurare legami con una persona che non conoscevo, questo era certo. Avevo sofferto già abbastanza in passato e non volevo essere il nuovo giocattolino di Michele, solo perché in quel momento lui aveva solo me per consolarsi.

No. Volevo e meritavo molto di più.

Eppure, quella notte, mentre cercavo di prendere sonno, l’unica cosa a cui pensai fu il bellissimo sorriso di Mich quando gli dissi che Leo era solo mio fratello ed il calore della coperta, per la prima volta in vita mia, assomigliava al calore della pelle di una persona reale. La pelle calda di Michele.

 

 

___________________

 

Dopo un mese, eccomi tornata! *_*

Sono super mega happy! Ho scritto tutto il pomeriggio e sono riuscita a postarvi questo capitolo <3

Che ve ne pare?

Spero sia degno di essere letto; personalmente non lo trovo tanto malaccio. Mi piace questo nuovo Mich, quello più insicuro e impaurito dalla vita stessa. Però non è facile da gestire, soprattutto per una ragazza come Alice. Lei è la prima ad essere impaurita dalle persone e dal loro pensiero… che questo sia un modo per crescere? Magari fronteggiando le paure di Mich, anche lei può riuscire a trovare un modo per affrontare e magari sconfiggere le sue. Che dite? Vedremo cosa succederà **

Intanto io vi aspetto nel mio gruppo per spoilerare e mostrarvi il volto di Leo, come l’ho immaginato io. (il link è nella mia pagina autore)

Un bacio a chi commenta e inserisce questa storia nelle preferite/seguite e da ricordare.

Voglio bene anche solo chi legge, ovviamente :P

 

A presto, sognatrici <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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