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Autore: Fish_789    14/10/2013    1 recensioni
Santana era esausta. Aveva camminato per chilometri, concedendosi poche, accurate pause. Ma non c’era mai stato il tempo di riposarsi. Se si fosse fermata troppo a lungo in un luogo, il suo odore avrebbe attirato spiacevoli incontri: era sola, quasi disarmata e non aveva la più pallida idea di dove le sue gambe la stessero conducendo. Cambridge non è esattamente un posto adatto nel quale cercare rifugio, quando ci si trova in mezzo a un agglomerato di villette che si estendono per miglia e sei consapevole che uno di quei cosi, potrebbe assalirti da un momento all’altro. Uno zombie.
Genere: Azione, Drammatico, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Blaine Anderson, Brittany Pierce, Noah Puckerman/Puck, Nuovo personaggio, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                        Capitolo 1
                                                   Una nuova vita
            

Santana era esausta. Aveva camminato per chilometri, concedendosi poche, accurate pause. Ma non c’era mai stato il tempo di riposarsi. Se si fosse fermata troppo a lungo in un luogo, il suo odore avrebbe attirato spiacevoli incontri: era sola, quasi disarmata e non aveva la più pallida idea di dove le sue gambe la stessero conducendo. Cambridge non è esattamente un posto adatto nel quale cercare rifugio, quando ci si trova in mezzo a un agglomerato di villette che si estendono per miglia e sei consapevole che uno di quei cosi, potrebbe assalirti da un momento all’altro. Uno zombie. Era strano come  il solo pronunciare quella parola nella propria mente, ti condizionasse. Per questo motivo, Santana, aveva semplicemente smesso di pensare. Altrimenti avrebbe rischiato che le immagini scioccanti delle scene a cui aveva assistito, prendessero a scorrerle nella testa come un fiume in piena, inarrestabili. Un misto tra urla, sangue, rantoli, fughe, lacrime, paura….ebbe uno spasmo al capo. Un tic nervoso. Doveva smetterla con i suoi monologhi interiori. Sbattè violentemente il piede atterra, stizzita, colta da un involontario movimento del braccio destro, che picchiò sulla sua gamba e iniziò a tremare. Sapeva di essere sull’orlo della pazzia. Non aveva contatti con un essere umano da giorni. La notte non riusciva a prendere sonno, li sentiva che si muovevano, in cerca di vittime. Allora aspettava, seduta sul tetto di qualche costruzione, rannicchiata su se stessa, le braccia a raccogliere le gambe e il viso insaccato, attendendo l’alba, la luce, impaziente di poter tornare a vedere. Non mangiava dalla mattina precedente. Il suo stomaco era totalmente disabilitato: l’ultima volta si era nutrita di tonno e salsa di pomodoro scaduta rimediata da alcune scatolette rinvenute nello scheletro di un piccolo negozio di alimentari. Era stata perseguitata da crampi laceranti e fitte continue, vomitando tutto ciò che aveva ingurgitato. Con sé non aveva nulla. Portava una mazza da baseball, appartenuta a suo fratello, grazie alla quale adesso poteva dirsi ancora viva. Il legno duro con cui era fatta la rendeva un’arma micidiale. Ma a forza di spaccare crani, la parte terminante dell’oggetto era andata in frantumi, e ogni volta che la maneggiava, doveva accurarsi di non avvicinarla al volto, per non rischiare di essere ferita da qualche scheggia. C’era un caldo torrido che la perseguitava, rendendo la sua pelle umida al minimo movimento. Puzzava. Brutalmente. Ma oramai il suo odore non lo riusciva più a distinguere dal fetore dell’aria, causato dai corpi in decomposizione che puntellavano i bordi delle strade. L’ultima volta che si era fatta una doccia??tre giorni prima…forse. Non lo sapeva neanche lei, non sapeva da quanto tempo vagava per le strade in quello stato. Sentiva i piedi bruciare fastidiosamente e le gambe pulsare di dolore. La testa aveva smesso di funzionare correttamente. Sperava solo che non l’abbandonasse il suo cuore, senza il quale non avrebbe più potuto camminare, senza il quale non avrebbe più potuto salvarsi, perché sapeva che c’era un centro di sopravvissuti a Boston, lei doveva solo avere la forza di resistere…
Cadde sulle ginocchia, senza avvertire realmente l’impatto con l’asfalto. Era per caso la fine, quella? no. No, perché altrimenti non avrebbe camminato così tanto; non avrebbe ucciso ogni volta che aveva dovuto; non avrebbe continuato a pregare durante le notti insonni, piangendo silenziosamente in preda a attacchi di panico, soffocando i gemiti nella maglietta per non farsi sentire, per non farsi trovare. Perché altrimenti si sarebbe fermata. In mezzo alla strada, attendendo la morte. Infilò una mano nella canottiera, sfilando la fotografia che teneva tra il seno destro e il reggiseno, dove i battiti del suo cuore scandivano il lento passare del tempo. I bordi erano sbiaditi e sbeccati, l’immagine era sciupata. Raffigurava tre ragazzi, abbracciati sullo sfondo di un prato verde smeraldo. Avevano gli stessi lineamenti del viso: tre adorabili paia di fossette si disegnavano sul volto di ognuno, mentre sorridevano all’obbiettivo. Un bel ragazzo sulla quindicina stringeva le sue due sorelle, tra le quali spiccava Santana, più grande rispetto all’altra. I tre Lopez. La giusta combinazione di litigi, pianti, urla e risate che portavano i loro genitori all’esasperazione più totale. Erano inseparabili. Chissà dov’ erano…. La ragazza sospirò frustrata, tremolante, alzando gli occhi al cielo, l’unico elemento che sembrava non essersi mutato. E poi qualcosa attirò la sua attenzione. Non un movimento. Bensì un rumore. Un suono che Santana era sicura di aver udito migliaia di volte, ma che in quel momento non riusciva a identificare. Rimise al suo posto la fotografia. Rizzò le orecchie e aguzzò la vista. Davanti a sé, un puntino nero, procedeva nella sua direzione. Qualcosa di simile a un’ondata di speranza si fece largo nel suo petto e senza sapere come, le gambe trovarono la forza di sollevarla nello stesso istante in cui la sua testa si risvegliò dallo stato di trance in cui era piombata e le dava la risposta al quesito. Un motore. Quello era il borbottio di un motore. L’auto si faceva sempre più vicina. Istintivamente Santana prese a camminare verso la macchina alzando le braccia e agitandole sopra il capo, per farsi notare. E quando la piccola gip si arrestò a pochi metri da lei e fu certa di vedere un essere umano scendere dal mezzo, l’emozione fu troppa. Svenne. Svenne con l’ombra di un sorriso sul volto, sentendo i muscoli tendersi per un movimento al quale non era più abituata. Perse i sensi, ma fu come trovare sollievo dopo una lunga agonia. Strinse le dita attorno alla mazza, prima che tutt’attorno, piombasse l’oscurità.
                                                                                                                                              
                                  *********
 
Non si è ancora svegliata?”    
“No. È in condizioni pietose. Dorme da quando l’ho portata qui. Si sveglia solo a tratti, ma penso abbia la febbre, è delirante. Ho provato a darle un po’ d’acqua. Però per adesso non ragiona. E puzza come una fogna.”
“Puck!”
“Scusa. Speriamo tenga duro.”
“Non aveva ferite?”
“No, a parte qualche contusione e un po’ di lividi.  Chissà da dove arriva.”
“Deve aver camminato un bel po’, cavolo le hai visto i piedi? Sono gonfissimi.”
“ Le ho spalmato una pomata per aiutarla, ma non ho medicinali. Ci vorrebbe qualcosa per abbassarle la temperatura."
“ E dove ce lo procuriamo? è già tanto se abbiamo cibo a sufficienza.”
                                      
                                  *********
 
Stava correndo. Lungo una strada totalmente deserta, se non per i resti delle macchine diroccate e il disordine degli oggetti che puntellavano il percorso come ostacoli. Degli infetti la stavano inseguendo ed erano sempre più vicini. Attorno a se ombre sfuggenti la attorniavano e le tenebre circondavano la sua fuga. Allungò il passo, ma il vuoto la inghiottì improvvisamente. Si sentì afferrare bruscamente da tutte le parti e sbattere violentemente al suolo: le si gettarono addosso come un’unica cosa e…
“Mamma! noo!!!”
Scattò a sedere, svegliandosi di colpo. Un’ondata di calore la investì, i vestiti appiccicati alla pelle, il fiatone per quell’incubo orrendo… dove si trovava? Aspettò che la testa smettesse di girare, accorgendosi della superficie morbida che le sue dita sfioravano. Un divano. Gli occhi misero a fuoco lentamente una stanza e tra il buio indistinto delle cose scorse una poltrona, un televisore, degli abiti ammucchiati in un angolo….una figura fece capolino dal corridoio che fronteggiava il suo giaciglio. La gip! L’uomo che scendeva dall’auto…. ma poi cos’era successo?
“Ehi.”
Un sussurro dolce le giunse alle orecchie. Una ragazza entrò discretamente nella camera e si avvicinò a una sedia che Santana non aveva notato. Accese una abat-jour appoggiata sullo sgabello, e le si avvicinò cauta.
“Io sono Brittany, faccio parte di un gruppo di sopravvissuti rifugiati a Boston. Puoi stare tranquilla, qui sei al sicuro.”
Santana sgranò gli occhi. Era salva.
“Oh, Dio….non ci posso credere.”
Si portò una mano alla fronte, che trovò madida di sudore.
“D-“ si schiarì la voce “ da quanto tempo dormo?”
“Da quando sei arrivata, circa mezza giornata. Ti sei svegliata a tratti, ma eri delirante.”
“Oh.”
Incapace di aggiungere altro, si accorse come la gola le stesse bruciando e la testa pulsasse insistentemente.
“Potrei avere dell’acqua?”
“Certamente.”
La ragazza sparì nell’oscurità del corridoio. Santana iniziò a percepire lentamente la sensibilità del corpo, e con essa il dolore. Le gambe le sembravano due aste di legno rigide, i piedi  che sbucavano dalla coperta che la copriva erano due meloni gonfi, deformati e palpitanti…. Con un gesto veloce della mano si scoprì, era già rovente come un forno. Indossava gli stessi abiti che aveva quando l’avevano trovata, sporchi e stracciati. Nei punti rotti, si intravedeva la pelle graffiata e recisa da tagli evidenti. La maglietta era piena di sangue secco incrostato. Tanto era impegnata a osservare il sudiciume che la copriva, con smorfie di evidente disgusto, che non si accorse che Brittany aveva fatto capolino nella stanza.
Le poggiò una mano sulla spalla, facendola sobbalzare di sorpresa. Lei sembrò non notarlo.
“Tutto bene? Sembri un po’…pallida.”
Santana bevve d’un fiato l’acqua dal bicchiere che le aveva sporto; in quel momento il suo corpo reagì come se gli avessero somministrato la più potente delle droghe. Il bruciore alla gola si calmò, così come il dolore che provava all’altezza del petto, dovuto forse al fatto che non ingurgitava quasi nulla da giorni. La testa smise di pulsare fastidiosamente e le sembrò che la patina attraverso la quale stava interagendo fosse scivolata via.
“Adesso sto molto meglio.”
Sbattè le palpebre un paio di volte stringendo il bicchiere con entrambe le mani. Un improvviso borbottio gorgogliò dalla sua pancia.
“Penso che il tuo stomaco reclami cibo.”
Sorrise imbarazzata.
“Si. Non mangio da un bel po’.”
“Bene. Vedo di rimediarti qualcosa in cucina.”
“Grazie.”
Brittany sorrise, allontanandosi nuovamente.
Santana si stese, sentendo la schiena scricchiolare sonoramente. Si sentiva bene. Si sentiva al sicuro. Si sentiva anche stanca e un po’ rincoglionita, ma hei, aveva appena parlato con un essere umano. Sorrise nella semioscurità. Il suo sguardo scivolò sulle pareti bianche della stanza, si fermò su un poster rovinato dei OneRepublic accarezzando la scritta a caratteri cubitali sopra le teste dei cantanti. Good life. Che titolo adatto a una situazione come quella. Fece scorrere gli occhi lungo il muro e la sua attenzione fu catturata da un tavolino nell’angolo della stanza. Vi ci si poggiavano delle foto incorniciate, oltre a un mazzo di chiavi. Assottigliò la vista per cercare di scorgerne i soggetti. Individuò il profilo di una donna, probabilmente giovane, un gruppetto di ragazzi che si stringevano e due bambini accovacciati su un  pavimento, abbracciati. Si chiese che fine avessero fatto quelle persone. La pace che regnava apparentemente in quegli scatti le faceva pensare che dovessero risalire a prima dell’epidemia. Si accorse che il silenzio veniva spezzato ritmicamente dal ticchettio di un orologio, appeso sopra l’ingresso del corridoio. Era mezzanotte. Si domandò perché la ragazza ci mettesse così tanto, erano passati ormai dieci minuti da quando l’aveva lasciata. Forse non aveva trovato nulla e le stava frettolosamente preparando un sandwich con ciò che le finiva a tiro. O magari l’attesa era dovuta al fatto che era mezzanotte e non aveva niente di pronto. Udì il cigolio di una porta e il suono di passi. La figura comparì un istante dopo nel suo campo visivo e un odorino stuzzicante raggiunse le sue narici.
“Ti ho portato della minestra. Ho dovuto scaldarla un minimo, era gelida, l’ho tirata fuori dal frigo.”
Santana si issò a sedere ignorando una fitta spiacevole al fianco. Mangiò lentamente, sotto lo sguardo di Brittany, che si era seduta a terra poco distante da lei ,con la schiena poggiata al muro. A ogni cucchiaio la fame si affievoliva e dovette ignorare l’istinto animale di ingurgitarla in un solo sorso.
“Da dove vieni?”
“Lima” Prese un altro cucchiaio di minestra “Oh…”
“Ohio. Già, anch’io arrivo da quella cittadina.”
Santana le sorrise debolmente.
“Io e la mia famiglia siamo scappati per trovare rifugio da qualche parte in America e siamo giunti fin qui; delle persone avevano allestito un campo di sopravvissuti in un parco a Cambridge, mi pare fosse… il Kingsley park, si. Ha resistito una manciata di giorni prima di essere travolto e distrutto. Io sono scappata, sono riuscita a salvarmi e adesso…”Posò il piatto vuoto ai piedi del letto “adesso sono qui…..e tu?”
Brittany strinse i denti. Santana scorse la mascella risaltare sul suo volto con maggiore forza. Aveva gli occhi chiari.
“Io….” abbassò il capo.
Rialzò la testa. Sembrava che la freddezza con la quale l’avesse guardata un attimo prima fosse sparita.
“Io posso dirmi fortunata ad avere ancora le gambe e le braccia al loro posto. A differenza di qualcos’altro.”
Santana non battè ciglio. C’era un doppio senso nelle sue parole?
“Ti vedo stanca. Vorresti riposare ancora un po’?”
“Si, dormirei volentieri.”
 Si stese. Aveva i muscoli totalmente indolenziti, ma si sentiva rinata. Chiuse gli occhi. Percepì il tocco delicato di Brittany sul suo viso. Le stava bagnando la fronte con una pezza umida, scostandole i capelli appiccicati alla pelle. Si domandò dove l’avesse presa.
“Hai avuto un incubo? prima?”
Un sussurro appena accennato.
Aprì gli occhi. Deglutì sorpresa. Il viso dell’altra era a pochi centimetri dal suo. Le sue iridi erano azzurre…come il cielo. Ma un occhio…era decisamente diverso dall’altro, quasi coperto da una velo chiaro….era ceco.
Brittany la guardò non udendo una risposta. Scorse la mano di Santana sollevarsi piano e posarsi sulla sua guancia.
“Tu…sei ceca?”
“Si.”
Rimase ipnotizzata sotto il tocco delicato delle dita della ragazza che le stavano sfiorando dolcemente la pelle. Erano ruvide.
“Ma solo in parte.”
 Santana aveva smesso di respirare.
“Com’è vedere il mondo a metà?”
“Un po’ strano. Ma…finisci con l’abituarti.”
“Deve essere…differente. Ma magari tu riesci a vedere cose a cui io non presto attenzione.”
Brittany sorrise. Il pollice di Santana si piegò spontaneamente a lambire  la curvatura alta delle sue labbra. Un sorriso timido si fece spazio anche sul suo viso.
“Solitamente le persone quando lo vengono a sapere esordiscono con un ‘mi dispiace’.”
“Non è nel mio stile. È una risposta troppo banale.”
Brittany continuò a sorridere. Mosse la pezza sollevandola e buttandola dentro a un secchio ai piedi del divano. Santana, senza riuscire a resistere, le riavviò una ciocca di capelli biondi sfuggita all’elastico dietro all’orecchio e lasciò scivolare la mano.
“Grazie. Per tutto.”
“Figurati.”
Si fissarono per alcuni secondi.
“Torna a dormire.”
La coprì come fosse una bambina. Santana si assopì quasi subito. Avvertì un paio di labbra poggiarsi sulla sua fronte e indugiarvi un paio di secondi.
“Buona notte.”
                         
       

                                  

Angolo del pesce.
E rieccomi! Questa volta mi voglio cimentare in una fanfiction a capitoli, nonostante il fatto sia un tanto negata in questo tipo di storie, ma insomma è più una sperimentazione. L’idea mi è venuta dopo aver visto un film a tematica zombie al cinema (col risultato che ho passato un paio di notti insonni) e ho pensato “diamine la mia prima vera Brittana deve essere qualcosa di scoppiettante”, perciò…. Il primo capitolo me lo sono trascinato per un mese, l’ho stravolto e rivoltato finche non l’ho mandato a farsi un giro e ho preso in mano il seguito. Sono totalmente sommersa dallo studio e la mia preoccupazione è di non riuscire a postare regolarmente ma cercherò di essere puntuale. Spero la storia vi abbia stuzzicato, grazie a tutti coloro che leggeranno e/o mi faranno sapere se è stato un inizio di gradimento;)  alla prossima
 
                                                                        Fish

  
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