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Autore: _LilianRiddle_    19/10/2013    6 recensioni
Eccomi tornata con una nuova storia, dopo tanto tempo. Questa volta mi sono dedicata ad una Dramione, un genere che io amo da morire. E' la prima, siate clementi ^^.
Dal testo:
"- Maledizione! – esclamò, preoccupandosi ancora di più vedendo Luna poco lontano da lui, priva di sensi.
S’inginocchiò accanto al ragazzo, che stava tentando, invano, di alzarsi.
- Fermo Malfoy, fermo. – cercò di trattenerlo Hermione, con le mani tremanti e le lacrime agli occhi, troppo preda delle sue emozioni per riuscire a formulare anche il più semplice degli incantesimi di cura.
Il ragazzo la scacciò malamente, tentando ancora una volta di alzarsi.
- Non ho bisogno del tuo aiuto, Mezzosangue. Ce la faccio da solo. – disse tentando di suonare cattivo e minaccioso, respingendo le sue mani.
- Zitto, Draco, zitto. – sussurrò Hermione. Il ragazzo sussultò sentendo il suo nome pronunciato proprio da lei, proprio da quella che avrebbe dovuto insultarlo e picchiarlo come avevano fatto quei ragazzi. E ne avrebbe avuto tutto il diritto, di questo era sicuro.
- Io non mi sono difeso, Hermione. – bisbigliò lui, prima di svenirle tra le braccia. "
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter, Nuovo personaggio, Ron Weasley, Un po' tutti | Coppie: Draco/Hermione, James/Lily, Lily/Severus
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Saving each other - How to save a life'
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Capitolo X.
 

Draco Malfoy cercò di fare meno rumore possibile quando, insieme a sua madre, chiuse la porta del numero 12 di Grimmauld Place. Non volevano svegliare nessuno, né tanto meno dare spiegazioni. Non che stessero scappando: non lo avrebbero mai ammesso davanti a nessuno, ma le vacanze insieme alla famiglia Weasley e ai Salvatori del Mondo Magico si stava rivelando migliore del previsto. Solo Ashling si era svegliata ed era scesa in cucina, per quanto non avessero voluto svegliare neppure la ragazza. Draco sospirò, sentendo la serratura scattare lievemente. Ora il giovane uomo e sua madre potevano muoversi più liberamente, per quanto la neve permettesse di farlo. Il ragazzo incredibilmente biondo si trascinava dietro alla donna, sentendo dolore ad ogni passo. E dire che sarebbe dovuto essere incredibilmente felice, infondo era il 25 dicembre, era Natale. Ma nulla, nello sguardo e nei gesti del ragazzo, mostrava felicità. C’era dolore, senso del dovere, e un altro sentimento indecifrabile e contorto, ma non c’era felicità. Sembrava un animale in trappola, il biondo ragazzo, costretto a fare cose che non avrebbe voluto fare.
Allo stesso modo, la bionda donna sembrava ingabbiata tra l’amore e il senso di protezione verso il giovane uomo e l’amore verso quello che, anni prima, era stato l’uomo di cui si era innamorata.
Narcissa portò Draco al limitare del villaggio, in modo di essere certa che nessuno li avrebbe visti, e poi prese per mano il figlio, smaterializzandosi al Ministero. Gli impiegati che già affollavano l’enorme sala dei camini si fermarono un momento, per guardarli. Le occhiate, a cui Narcissa ormai era abituata, atterrivano il giovane Draco, che si sentiva come ad Hogwarts, sensazione che aveva quasi dimenticato, durante quei pochi giorni di vacanza. I bisbigli aumentavano al loro passaggio e le cattiverie erano rivolte a lui, non a sua madre. Perché la gente, per quanto disprezzasse tutti i Malfoy, provava una specie di simpatia per Narcissa, perché lei non aveva il Marchio, non era mai stata una Mangiamorte, era solo una povera donna che aveva sposato l’uomo sbagliato. Ma nessuno giustificava Draco Malfoy. Perché lui aveva il Marchio, lui era stato un Mangiamorte, e poco importavano alla gente le motivazioni delle sue scelte, poco importava quello che lui aveva subito e provato. Perché tutti quelli con il Marchio avrebbero dovuto marcire ad Azkaban e lui era stato salvato dalla bontà di Harry Potter.
Arrivati davanti ai camini, furono costretti a consegnare le bacchette per farle controllare e dovettero chiedere il permesso di andare ad Azkaban. Il mago seduto davanti a loro li guardava torvo e, alla loro richiesta di andare alla prigione dei maghi, li guardò con tutto il disprezzo e l’odio che possedeva. Eppure, né Narcissa né Draco abbassarono gli occhi davanti a lui, tantomeno davanti a tutti gli altri. Riprese le bacchette e, seguiti dai mormorii maligni delle altre persone, si buttarono nel camino.
Quello che più stupì Draco Malfoy fu il silenzio improvviso che gli chiuse le orecchie e gli schiacciò il cuore in una morsa di ferro. La guardia magica davanti a loro guardò curioso Draco, registrando la sua somiglianza a Lucius e rivolse un leggero sorriso a Narcissa.
- Salve, John. – disse la donna, sorridendogli.
- Buongiorno signora Malfoy. Oggi è venuta con suo figlio? – chiese, stranamente gentile.
- Oggi sì. – rispose la donna porgendogli la bacchetta.
Draco la guardò, stranito. Sua madre che dava confidenza a qualcuno? Che la vicinanza con i pezzenti Weasley le abbia dato di volta il cervello? Si chiese.
Narcissa, notando lo sguardo del figlio, sorrise gentilmente.
- John è l’unico che mi tratta come essere umano, quando vengo qui, ed è l’unico che tratta come esseri umani anche i prigionieri, tuo padre compreso, anche se non se lo meritano. –
Il ragazzo annuì. Effettivamente l’uomo aveva quello sguardo buono che aveva anche Potter. Senza ulteriori indugi, gli porse la sua bacchetta e lo seguì lungo il corridoio buio e tetro. Azkaban, se possibile, era ancora più desolata ed opprimente da quando i Dissennatori se n’erano andati. È vero, senza di loro non c’era più freddo e la temperatura era quasi accettabile, ma la paura aleggiava ancora nell’aria, diventando la migliore amica dei carcerati. Al posto dei Dissennatori, da Azkaban aleggiava la Morte. I carcerati sapevano che non sarebbero mai usciti da lì e i carcerieri facevano di tutto per ricordarlo a loro e alle loro famiglie.
Draco era stato abbandonato un’altra volta dai suoi polmoni. Pensare che anche lui avrebbe potuto essere rinchiuso in una di quelle celle gli bloccava il respiro e i pensieri. Nessun suono si sentiva, nessun lamento, nessuna voce. Niente. I prigionieri non lo degnavano neanche di uno sguardo, neanche quelli che lui conosceva. Guardavano semplicemente il muro davanti a loro, forse contando le mattonelle, forse immaginando luoghi e persone che avevano lasciato fuori dalle loro celle.
Appena si fermarono davanti all’ultima cella del corridoio, a Draco salirono conati di vomito. Suo padre era seduto per terra, di fianco al giaciglio che gli serviva da letto, l’ombra di se stesso. Nulla lasciava presagire che quello era stato Lucius Malfoy, uno dei migliori Mangiamorte in circolazione. Si girò, guardando sua moglie entrare senza vederla per davvero, quasi senza riconoscerla.
- Ciao, Lucius. – sussurrò dolcemente Narcissa, abbassandosi ad incontrare gli occhi dell’uomo che amava. Lucius la guardava con la fronte aggrottata, cercando di capire, di ricordarsi, chi fosse la donna meravigliosa inginocchiata davanti a lui.
- Chi sei? – chiese, scrutandola in volto.
- Sono Narcissa, Lucius. La tua Cissy, tua moglie. –
A quelle parole, l’uomo parve riprendere il possesso sui propri ricordi e le accarezzò una guancia.
- Oh, Cissy. Dobbiamo proprio fare quel viaggio di cui abbiamo parlato l’altro giorno in camera mia. – le rispose, sorridendo dolce.
- Certo, Lucius, appena uscirai di qui faremo un viaggio lunghissimo, io, te e Draco. – affermò la donna, continuando a guardare l’uomo come Draco non aveva mai visto.
- Draco? – chiese l’uomo, voltando il viso verso il giovane uomo teso vicino alla porta.
- Salve padre. – sussurrò avvicinandosi.
- Chi è, Cissy cara? – la donna sospirò, triste.
- E’ tuo figlio, Lucius. – l’uomo parve stupito da quell’affermazione, e scrutò Draco con occhi spenti.
- Quell’inetto! Che cosa ci fai qui? – esclamò adirato, ricordando forse per un momento, chi era lui e che cosa ci faceva lì. E che era anche per salvare suo figlio che era finito ad Azkaban.
- Padre, io… - iniziò Draco, ma le parole gli morirono in gola. Cosa si poteva dire al proprio padre, quando questi ti guardava improvvisamente come se fossi stato il peggiore dei criminali, come se tutto quello che lui avesse fatto per Lucius non contasse niente? Era vero, Draco non poteva dare torto a suo padre: Lucius Malfoy aveva affermato di voler scontare anche la condanna riservata al figlio, forse per amore di Draco, forse per amore di Narcissa, che sarebbe morta dal dolore se anche il figlio fosse stato rinchiuso ad Azkaban. Il Wizengamot, alla fine, non aveva accettato la richiesta di suo padre, più che altro perché Draco era già stato scagionato da tutte le accuse. Più o meno. È solo che Lucius Malfoy ormai viveva in un mondo parallelo fatto di vuoto e apatia, di malattia e Alzheimer, di brevi sprazzi di lucidità e giorni di nulla. E quando aveva i suoi momenti di lucidità, la sua mente lo portava più che altro a momenti passati della sua vita, perlopiù prima della nascita di Draco e del suo attaccamento alla causa del Lord Oscuro. Ma, a quanto pare, rivedere Draco lo aiutava a ricordare anche quello che era successo dopo.
Draco guardava suo padre e si stupiva della somiglianza che aveva con esso. Stesso viso stanco e scavato, stesse occhiaie, stessi occhi ormai spenti. Si maledisse con tutto se stesso pensando che, se avesse giocato bene le sue carte al processo, adesso ci potesse essere lui al posto del padre. Perché, in fondo, Draco Lucius Malfoy voleva bene a Lucius Abrax Malfoy. In un modo un po’ contorto, forse, con un po’ troppo senso di colpa, anche, ma in fondo gli voleva bene. Era pur sempre suo padre. Padre severo, a volte cattivo, dal carattere immancabilmente freddo ed egoista, ma pur sempre padre.
- Padre, io… - riprovò Draco, ma fu fermato dallo stesso Lucius.
- Scusa. Ti voglio bene. Vieni qui, dimmi. Come va la scuola? Ti è piaciuta la scopa che ho regalato a te e alla tua squadra? Devi vincere tante partite contro quel miserabile di Potter, mi raccomando. – disse l’uomo, accarezzando la testa del figlio.
Draco capì che suo padre stava rivivendo il suo secondo anno, quando gli aveva regalato la sua Nimbus 2001 e aveva fatto in modo che entrasse nella squadra di Quidditch di Serpeverde, nonostante la giovane età.
Guardò sua madre che, con una sola occhiata, gli ordinò di stare al gioco del padre. Se Lucius pensava di essere ancora nel passato, avrebbero dovuto assecondarlo.
- Certo, padre. – rispose Draco, con il cuore che batteva a mille e il respiro che andava e veniva.
Narcissa mise una mano sulla spalla del figlio.
- Lucius, caro, sai che giorno è oggi? – chiese con un sorriso.
L’uomo la guardò interrogativo, cercando di ricordare che giorno era. Ma in un posto dove neanche il sole sembra più sorgere, come fai a sapere se i giorni passano?
Scosse la testa, l’uomo che una volta era stato freddo ed altero, ma che ora era soltanto un mucchio d’ossa dentro un abito sporco e lacero.
- È Natale, padre. Oggi è il 25 dicembre. – gli disse Draco, tentando un sorriso.
Lucius spalancò gli occhi, sorpreso ma piacevolmente felice della cosa. A confermare le parole del figlio, Narcissa tirò fuori da sotto il mantello una piccola torta al cioccolato, la preferita di suo padre. Chiamarono John, ritornato all’ingresso della prigione, e gli chiesero un coltello. L’uomo tagliò la torta in tre parti uguali e poi se ne andò, lasciandoli di nuovo soli e in silenzio.
Mangiarono lentamente, ma ogni boccone era come fiele per Draco, che si sentiva morire ogni volta che guardava il padre. Certo, non poteva dire che era stato un genitore modello, anzi, era comunque stato l’uomo che lo aveva buttato in pasto a Lord Voldemort a soli sedici anni, ma rimaneva il padre che aveva cercato di dargli tutto quello che chiedeva. Aveva solo creduto nella cose sbagliate, accecato dal suo sangue puro e dal potere. Lucius Malfoy era stato deviato dalla sua fame di essere sempre migliore di tutti, di sapere che nessuno avrebbe potuto mai essere migliore o più potente di lui e il Lord Oscuro gli aveva dato, almeno all’inizio, tutto quello che lui aveva voluto. Accecato com’era dai suoi ideali, non si era nemmeno reso conto di seguire un Mezzosangue paranoico con manie di grandezza peggio di quelle dello stesso Lucius. Non si era reso conto che, seguendo i credo di quell’uomo senza scrupoli, stava portando la sua famiglia in un baratro da cui difficilmente si sarebbe potuta rialzare. E, quando tutto questo aveva preteso il suo conto da pagare, dopo la guerra a Hogwarts, Lucius Malfoy aveva perso se stesso ed era impazzito.
Appena finirono di mangiare, John riapparve, seguito da un’altra guardia, che li guardava con sospetto e timore.
- Il tempo è scaduto, signora Malfoy. La prego di uscire dalla cella. – le disse John, aprendo le sbarre.
La donna annuì e si alzò, accarezzando per l’ultima volta il volto del marito e sfiorando le sue labbra con quelle di Lucius. Draco guardava suo padre perdersi nei recessi della sua mente malata e si chiedeva quanto ci sarebbe voluto perché lui diventasse come suo padre.
Sua madre, intanto, si era avvicinata all’altra guardia, che doveva essere in realtà un Medimago, e con un sussurro, quasi che non volesse farsi sentire da Lucius, gli chiese come stesse suo marito.
- Mi dispiace, signora, ma non c’è niente da fare per lui. Non possiamo curare una cosa che si crea da solo. Lui si sta uccidendo volontariamente, estraniandosi dal mondo reale. Non mangia e a stento beve, è sempre perso dietro a qualche ricordo del suo passato e restare in questa prigione non lo aiuta. Non uscirà mai di qui, Narcissa. Non so neanche se arriverà al prossimo Natale, di questo passo. – disse contrito l’uomo.
La donna annuì, guardando prima suo marito, poi suo figlio, che aveva emesso un suono strozzato, sentendo quello che aveva detto il Medimago. Una lacrima scese sulla guancia della donna, guardando suo figlio singhiozzare per quell’uomo che lo aveva reso un reietto della società con le sue malsane idee.
Piangeva, Draco Malfoy, come troppo spesso ormai gli capitava. Doveva essere forte, se lo ripeteva come un mantra, doveva essere un Purosangue modello, e i Purosangue non piangevano, mai. Tantomeno se erano Malfoy. Ma non poteva evitare a quelle lacrime traditrici di solcare il suo viso distrutto, guardando suo padre morire lentamente. Sua madre gli posò una mano sulla spalla, per confortarlo, ma lui la scansò con violenza, girandosi di scatto e quasi correndo verso l’uscita. Non poteva sopportare tutto quello. Un dolore così sordo nel petto non lo aveva provato neanche quando aveva ricevuto il Marchio Nero. E la rabbia arrivò subito dopo il dolore, contro tutti quelli che avevano ridotto la sua famiglia così, contro Voldemort, contro Harry Potter, contro Hermione Granger e tutti i pezzenti, ma anche contro suo padre e se stesso. Una rabbia cieca, senza fine né inizio, che distruggeva tutto il suo essere sotto la forza del suo impeto, che lo consumava più del dolore, che lo avrebbe lasciato agonizzante contro un muro, una volta che se ne fosse andata.
Strappò la bacchetta dalle mani di John e uscì di corsa dalla prigione, scappando da tutto quello che era rimasto lì dentro, dalla sua anima, accasciata contro il muro della cella dove si era perso suo padre. Odiava sua madre per averlo portato lì, odiava aver speso la mattinata di Natale con un uomo che non si poteva più considerare tale. E odiava sapere che doveva tornare a Grimmauld Place, con persone che lo avrebbero guardato con pietà e compassione, con persone che avrebbero fatto domande, con persone che non si sarebbero limitate al silenzio. Non voleva tornare lì. Non voleva andare da nessuna parte. Con uno schiocco si smaterializzò appena prima che sua madre riuscisse a bloccarlo.
 
***
 
Erano le undici e di Draco non c’era nessuna traccia. Narcissa piangeva inconsolabile da ore, ormai, sorvegliata da sua sorella Andromeda ed Ashling non aveva più distolto lo sguardo dalla finestra, da quando aveva appreso da Narcissa quello che era successo.
Hermione camminava avanti e indietro, chiedendosi dove fosse finito quel maledettissimo ragazzo e perché non tornasse, e soprattutto perché fosse così agitata. Perché si sentiva legata a quel ragazzo, perché proprio lui, perché, perché, perché. La sua vita era stata caratterizzata solamente da domande, mai da risposte. Con uno scatto salì in camera, aprendo il diario di Lily, per cercare di calmarsi e impegnare la mente.
 
Caro diario,
Lo sto aspettando davanti al mio dormitorio, ma di Severus ancora non c’è traccia. Sono arrabbiata, addolorata, stanca. Non ce la faccio più, non posso più andare avanti così. L’amore non può niente contro l’odio e addio alle belle parole che Silente continua a propinarci. Severus, ormai, ha deciso che strada prendere. Ed io ho deciso la mia: nulla potrà mai farmi cambiare idea.
Finalmente l’eco dei suoi passi raggiunge le mie orecchie. Eccolo, il mio Sev, che mio più non sarà. Non mi muovo dalla mia posizione, non sono certa che le mie gambe reggano il mio peso esiguo.
Lui si avvicina lentamente, con quella sua camminata che riconoscerei tra mille, col suo profumo di muschio e neve che mi solletica le narici, ma che ormai non mi fa sentire più niente.
“Ciao, Lily.”  – mi dice.
“Ciao, Sev.” – rispondo.
Ci guardiamo, nessuno dei due si avvicina, nessuno dei due si allontana. Siamo due storie che si sono unite, intrecciate, che qualcuno ha voluto che si incrociassero, ma non siamo mai stati una sola storia, un noi. Siamo sempre stati Lily e Severus, una Grifondoro e un Serpeverde, un membro dell’Ordine della Fenice e un Mangiamorte, ma mai un noi. Non siamo mai stati uno solo. Con i caratteri che abbiamo, non avremmo mai potuto esserlo, ma mi chiedo se tutto questo abbia valore. Il nostro è stato amore, poteva essere ancora amore e sarà per sempre amore. Ma nel presente io e lui non ci potremo mai essere. Noi non ci saremo, nel presente. Saremo un noi nel passato e anche nel futuro che non avremo, ma adesso noi non ci siamo.
“Dobbiamo parlare.” -  Dissi, atona.
Lui annuì, avvicinandosi timoroso. Si chinò per baciarmi, ma io mi voltai. Non potevo. Non ci riuscivo. Alla fine, aveva vinto il mio cuore sulla mente che mi diceva di non abbandonare Severus. Ma non potevo dare retta al mio intelletto, non questa volta.
Sospirò, Severus, irrigidendosi.
“Cosa c’è, Lily?” – chiese, triste.
“Non possiamo più andare avanti così, Severus. Dobbiamo smetterla. Lo sappiamo entrambi che ormai i nostri destini si sono divisi.” – vado dritta al punto, è inutile indugiare in discorsi che tanto ci avrebbero fatto male più del dovuto.
“Ma che dici, Lily. Noi possiamo ancora stare insieme. Non c’è nessun problema, è tutto come prima…” – celia Severus, lui stesso poco convinto delle proprie parole.
Scuoto la testa.
“Non cercare di negare la realtà, Severus. Abbiamo deciso entrambi da che parte stare, abbiamo scelto la nostra via e il nostro destino. Non potremo stare insieme. Non più.”
“Mi stai lasciando, quindi, Evans?” – quel sibilo cattivo mi scava un solco profondo nel petto, dritto al cuore, che stringe in una morsa d’acciaio.
“Sì.” – non posso indugiare ancora, o non riuscirei più a lasciarlo.
Perché in fondo lo amo, lui è il mio primo amore e questo non lo potrei mai dimenticare. Non potrei mai dimenticare il tempo passato con lui, le emozioni, i sentimenti. Non potrei mai dimenticarmi di lui. Ma a volte, bisogna lasciare andare un amore che ti consuma e che ti fa male. Bisogna imparare ad essere coraggiosi ed egoisti più di quanto già non si sia.
La cattiveria che lo prende è paragonabile solo al dolore che provo nel vederlo diventare quello che i suoi amici Mangiamorte vogliono che sia.
Mi sbatte al muro, arrivando a pochi centimetri dal mio viso.
“ Non hai il diritto di lasciarmi, sporca Mezzosangue.” – mi sibila.
Le lacrime arrivano veloci come la mia rabbia e il mio dolore e gli tiro uno schiaffo, potente e bruciante quanto le emozioni che mi logorano il cuore.
Lo vedo indietreggiare, tornare in sé, ma ormai è troppo tardi. Non avrebbe più potuto scusarsi. Non adesso. Continuo a piangere, vedendo che lui capisce la portata delle sue azioni. Tenta di avvicinarsi di nuovo a me, ma mi allontano. Il dolore è troppo. Allunga una mano, come per sfiorarmi la guancia, ma non mi tocca neanche. Allungo una mano anch’io, e quasi sfioro la sua. Ma nulla avrebbe più potuto avvicinarci.
Con le scuse negli occhi, Severus si volta e se ne va.
Guardo il corridoio buio con un dolore sordo nel petto e mi stringo convulsamente le braccia al seno, piangendo sommessamente. Ad un certo punto le gambe mi cedono e mi accascio al suolo, senza fiato, senza niente, solo con il mio dolore.
Sento dei passi, ma non mi preoccupo di chi possa essere. Non m’importa se qualcuno mi trova così, io non ho la forza di mentire. Non più. Non ancora.
Potter appare dal corridoio con la scopa sulle spalle e la divisa di Quidditch. È stranamente solo e stranamente triste. Sirius non è accanto a lui come sempre, e senza il suo migliore amico, Potter sembra più vecchio di quello che è.
“Lily.” – il mio nome pronunciato da lui sembra trovare un posto nel mondo. Sembra bello, magico. Ma io ormai non sento più niente. Mi limito a guardarlo, piangendo e stringendomi le braccia al petto.
Lui si inginocchia, mi asciuga le lacrime e mi prende in braccio. Entriamo nel dormitorio, non c’è nessuno. Mi porta in camera sua, mi spoglia e mi fa infilare una delle sue magliette enormi. Si spoglia anche lui, rimanendo in boxer, e si infila in bagno per una doccia. Guardo la porta del suo bagno, senza smettere di piangere, senza smettere di soffrire, ma sentendomi meno sola.
Quando torna ho quasi smesso di piangere, e noto quanto sia bello. Quanto i suoi occhi catalizzano i miei, quanto riesca a sentirmi al sicuro con lui, quanto riesca a sentirmi donna.
“James.” – sussurro.
I suoi occhi si accendono di dolcezza, mentre si stende di fianco a me.
“Lily, perché lo hai lasciato, se lo ami?” – scuoto la testa.
“Non più. È stato il mio primo amore e una parte di me lo amerà sempre. Sentirò sempre il suo odore, quando sarò davanti all’Amortentia, ma lui non è più il ragazzo di cui mi sono innamorata. Lui non è più l’oggetto del mio amore.”
James mi sorride dolcemente, sfiorandomi le labbra. Si ferma proprio quando chiedo di più, e prende a coccolarmi, accarezzandomi per farmi addormentare.
Appena prima di cedere al sonno, mi sussurra all’orecchio: “Buonanotte, Lily”. Sorrido.
“Buonanotte, James”.
 
Lily.
 
Hermione chiuse il diario, senza essersi per niente calmata. Quello che era successo a Lily non l’aveva di certo calmata, ma corse giù di sotto appena sentì la porta di Grimmauld Place sbattere.
Arrivata nell’atrio si trovò davanti Draco. Finalmente. Era quasi mezzanotte.
Lui guardava tutti gli altri, cercando di evitare i suoi occhi. Perché era scappato? Perché aveva reagito così? Sapeva che era andato a trovare suo padre. Che fosse per quello? Hermione ne era quasi sicura. Lo guardò con tenerezza e questo sembrò far scattare qualcosa in lui.
- Non guardarmi così! – urlò.
La ragazza sussultò, spaventata da tutta la cattiveria presente nella sua voce. Una cattiveria che sembrava essersi sopita in lui, in tutti quei mesi. Una cattiveria che forse era morta con lui durante la battaglia finale. Una cattiveria che giaceva con la vita di entrambi, distrutta.
- Fatti curare, Malfoy. Sanguini. – tentò Hermione.
Un lampo, e il Serpeverde l’addossò al muro. Tutti sembrarono volerlo fermare, ma nessuno lo fece.
- Non ho bisogno della tua pietà. – le sputò addosso, sibilando.
- La mia non è pietà, Draco. – adesso anche lei era cattiva, e con cattiveria pronunciò il suo nome, che era stato detto in tanti modi, ma mai così.
E questo lo ferì. Lo ferì più di quanto Draco potesse pensare e si ritrovò costretto a riversare su di lei la sua rabbia e il suo dolore. Ingiustamente.
- Non osare, sporca Mezzosangue. – e vede i muri negli occhi di Hermione crollare, e il suo cuore fare capolino in quelle iridi banali, ma uniche, colpito e forse ferito a morte, proprio come il suo.
Fu un attimo, pensava di averla zittita, pensava di aver vinto almeno una delle loro tante lotte, che ultimamente vinceva sempre lei, con quell’arma letale che era il suo sguardo parlante, e invece si ritrovò costretto a capitolare ancora una volta, l’ennesima volta. Perché la ragazza gli poggiò la mano proprio all’altezza del suo cuore e questo perse un battito – o forse mille? – come se già conoscesse la posizione di quell’organo che già troppe volte era stato ferito. E rimase lì, ad imprimere la sua presenza, e a spingersi oltre, dentro, allontanandolo e avvicinandolo al tempo stesso, con la rabbia, il dolore e la dolcezza che l’avrebbero sempre caratterizzata. E lui si sentì perduto, eppure a casa, inconsapevole di quello che stava succedendo, eppure in qualche modo, arrendevole. Come se tutto fosse già stato deciso. Come se loro fossero nati per stare in quella posizione, arrabbiati, distrutti, morti. Innamorati.
Innamorati? Draco scosse la testa, allontanandosi con rabbia, spingendola via, e scappando da tutto e tutti, senza ascoltare la parole di sua madre, né gli insulti di Weasley e gli sguardi tristi e arrabbiati di Potter. Solo due paia di occhi catalizzavano la sua attenzione: uno che cercava di evitare, pur essendone soggiogato, l’altro che apparteneva alla persona che più di tutti lo conosceva e che lo avrebbe raggiunto in camera sua, per farlo ragionare. In qualunque modo.
Corse in camera sua, per nascondersi dagli altri, ma forse più da se stesso. E distrusse camera sua, come voleva distruggere se stesso. Libri, ampolle, sedie, tutto finì sotto la sua furia, la sua rabbia. Il suo dolore. E quando finirono le cose da distruggere, iniziò a tirare pugni al muro, per distruggere finalmente se stesso. E il suo sangue si addensava ai suoi piedi insieme alle sue lacrime, incapace di fermarle, incapace di fermarsi. Quando alla fine, stremato, appoggiò la testa al muro, non si sentì meglio. Solo vuoto.
- Hai finito? – chiese una voce, e lui neanche si voltò per vedere chi era. Sapeva che sulla soglia di casa sua, a braccia incrociate, c’era Ashling.
Non le rispose, neanche quando la sentì sistemare il disastro di camera sua, neanche quando iniziò a sistemare lui, il disastro più grosso.
- Draco, perché? –
Il ragazzo rise. Rise cattivo, rise ferito, rise dolente.
Perché?
La domanda da un milione di galeoni.
Perché?
La sua mente non lo sapeva. Il suo cuore forse sì.
Perché?
- Lucius sta morendo. – disse in un sussurro.
- E lei che c’entra? – gli rispose Ashling, evidentemente arrabbiata.
Draco la guardò. Ashling capì. Ma non si sarebbe arresa. Amava le battaglie perse.
- Mi guardava. Mi guardava. –
- Malfoy, che cazzo vuol dire che ti guardava? Tutti ti guardavamo! Sei sparito per tutto il giorno, era normale che ti guardasse. –
- Ma non come gli altri. – sputò fuori ancora lui, come se gli costasse una fatica enorme.
- E allora come? –
Draco la guardò. E si chiese se il destino si stesse facendo beffe di lui.
- Vattene, Ashling. Sono stanco. –
Ashling lo guardò. E si chiese se Draco si stesse prendendo gioco di lei.
- Con me non attacca. Come ti guardava, Draco? –
Silenzio. Bianco, vuoto, carico di frasi capite, ma non dette, difficili anche solo da accettare, logoranti, come tutto in loro due.
- Lo sai. –
- No, non lo so. Non lo so cosa ti passa per quella tua testa, in questo periodo. Posso ipotizzarlo, certo, ma non lo so. –
- Ashling, lo sai. –
Una sfumatura della sua voce fece scattare un collegamento in Ashling, che improvvisamente comprese quella frase sussurrata con tanta forza e insieme tanta debolezza.
Lo sai.
E lei lo sapeva. L’aveva intuito già da mesi, ma solo ora lo comprendeva veramente.
- E allora perché? – chiese, prima di uscire dalla stanza, lasciando dietro lei un ragazzo vuoto fuori e con un uragano devastante dentro. 











Angolo dell'Autrice.:
Bene, eccovi il capitolo come promesso! 
Ho davvero, davvero adorato scriverlo e, per adesso, penso che sia il mio preferito.
Spero davvero che vi piaccia anche se è triste e anche se succedono un po' di cose brutte. 
Vi avviso già che questo è l'ultimo capitolo pronto che avevo, quindi può darsi che non riuscirò a pubblicare ogni settimana come ho fatto fin'ora :C
Un bacio a tutte,
Lilian :3
  
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