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Autore: Michelle Verace    25/10/2013    13 recensioni
Stati Uniti d'America, Washington, Seattle, 2014.
Kevin ha diciannove anni, è stato bocciato tre volte e non è un genio incompreso.
Tra donne, feste e alcool, quando l'unico obiettivo della sua vita è realizzare il suo più grande sogno di diventare attore, non avrebbe mai immaginato di innamorarsi di Michelle, sedici anni, che potrebbe già essere all’ultimo anno di liceo. Perché lei non è come tutte le altre: molto più che intelligente, è stata sottoposta a un test che ha scientificamente dimostrato che il suo quoziente intellettivo è nettamente superiore a quello della maggior parte del genere umano. Ma quello che entrambi non sanno è che una setta di scienziati, decisa a rivoluzionare la razza umana attraverso macchinari ultratecnologici capaci di trasmettere gli impulsi nervosi da un cervello a un altro e di duplicarli all'interno di uno stesso organismo, è seriamente intenzionata a ucciderla e ad eliminare dalla faccia della terra tutti quelli come lei, i geni, per creare un mondo senza differenze.
Kevin si ritroverà ad affrontare forze più grandi di lui e inimmaginabili pericoli, per proteggere la ragazza che ama.
Anche a costo della sua stessa vita.
[LA STORIA VERRA' RISCRITTA COMPLETAMENTE E PUBBLICATA CON UN NUOVO TITOLO]
Genere: Azione, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale/vago
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- Questa storia fa parte della serie 'DC Enterprise'
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T e r z o   c a p i t o l o
 
 
 
 
 






Una ragazza è seduta sulle mie gambe e io non reagisco minimamente. Non so bene come ci sia finita lì, né cosa stia dicendo in questo momento. So solo che io sono io, e che l’aria che respiro è molto più importante di lei e delle sue chiacchiere insulse. Vorrei dirle di togliersi, di andare a cercarsi qualcun altro con cui parlare; magari Puck, che per tutto il tempo le ha osservato le gambe, o quello zerbino di Finnegan, che con quei suoi occhialetti appannati e rotondi ci vede più di quanto dice.
«Kevin… mi stai ascoltando?» Spiegatemi come si possa prendere sul serio una bionda ossigenata, con le guancette rosa, le ciglia finte lunghissime e il trucco perfetto e non lasciarsi totalmente sopraffare dalla noia.
«Sì, Ashley.» Ecco. E magari rimanerne illesi. Se fingerò di essere interessato a lei, forse Puck interverrà, penso. E nel frattempo cerco di dare una spiegazione logica a tutto quello che mi è successo la notte scorsa.
«Io mi chiamo Amber!» dice offesa, assottigliando considerevolmente quei suoi occhi grandi come botti. Bene, così va meglio. A furia di sgranarli tanto deve esserle venuto il mal di testa.
«Fa lo stesso.» dico, o qualcos’altro che non ricordo.
Il problema è un altro.
 
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Ho un paio di teorie ma nessuna si avvicina minimamente alla verità. Che si sia trattato di un semplicissimo problema di connessione, o che il sito sia stato oscurato potrebbe essere una motivazione più che sufficiente a giustificare ciò che accaduto. Eppure io so che niente è così evidente come sembra e che più di quel che penso si nasconda dietro a queste sottospecie di spiegazioni infondate. Quell’occhio. Quell’occhio umano, grande, e così vivo, non stava affatto fissando qualcuno dall’altro lato dello schermo. Stava fissando me. E, sebbene si sia trattato di un momento così breve da essere a stento percettibile, quello sguardo e la consapevolezza che fosse rivolto esclusivamente a me mi hanno impedito di dormire tutta la notte.
Non ho chiuso occhio, e la stanchezza è un marchio talmente incavato nel mio corpo che stamattina non ho avuto neanche il coraggio di guardarmi allo specchio. Mi sono direttamente trascinato dal letto fino a scuola, senza trovare la forza necessaria per affrontare i miei genitori. So bene, più di quanto riesca ad ammettere a me stesso, di essermi comportato male nei loro confronti e che non meritano, né tanto meno meritavano, il trattamento che gli ho riservato, ma ho paura ─ una fottuta paura ─ di ricevere ancora una volta l’ennesimo rifiuto. Non accettano i miei sogni, li minimizzano come se non fossero affatto importanti, come se fossero… subordinati ai loro. E la scottatura è ancora fresca, brucia ancora sulla mia pelle…
La campanella suona: le lezioni stanno per cominciare. Il professore di letteratura, Hayden Washington, è sull’uscio della porta e continua a discutere animatamente, con un altro docente, sui preparativi della festa che il comitato scolastico ha in mente di organizzare in occasione della parata annuale di Santa Claus, in cui l’intera città si riunisce e guarda sfilare carri dalle rifiniture rosse e verdi e una grande orchestra accompagna il coro della parrocchia. Nessuno manca mai di andarci, è la ricorrenza preferita di adulti e bambini; così i cittadini affollano le strade, sfoggiando capelli da Babbo Natale e scarponi da montagna. Ci sono perfino dei tizi che hanno il coraggio di indossare barbe bianche, lunghe e folte ─ come se già non fossero abbastanza ridicoli.
«Tu ci andrai?» Ashley inizia a stropicciarmi i capelli, muovendosi irrequieta sulle mie gambe e facendomi venir voglia di scaraventarla a terra come se fosse un sacco di patate. Non sopporto proprio più di sentirla parlare, la sua voce irritante mi perfora il cervello.
«No.» La guardo per la prima volta in tutta la giornata, sollevando un sopracciglio e fissandola in modo eloquente. Sembra finalmente capire, ricambia il mio sguardo, ferita, e poi si alza di scatto e se ne va, sculettando verso il suo gruppo di amiche. So che mi stanno guardando senza nemmeno voltarmi a verificare, e che ora non faranno altro che elencare una serie di improperi su di me solo per farla contenta. So anche che ognuna di loro, nella propria mente, starà gioendo della situazione nell’assurda convinzione di avere una possibilità in più di essere la candidata perfetta per essere la mia fidanzata. Che stupide. Non hanno idea di come siano fatti davvero i maschi. Noi non amiamo, e di sicuro un po’ di trucco e reggiseni imbottiti non potrebbero mai convincerci del contrario. Possono addirittura fingersi delle verginelle acide e anticonformiste ─ so che vanno di moda nell’ultimo periodo: mentiremo, faremo finta di essere perdutamente innamorati di loro, solo per illuderle che di noi si possono fidare e per costringerle ad abbassare la guardia.
D’accordo, è da bastardi, questo è vero.
Ma loro non sono poi così tanto diverse.
«Ci sei andato giù pesante con lei, amico.» Puck mi dà una pacca sulla spalla, sghignazzando insieme a Robert. Giocano insieme nella squadra di football e sono così tonti che credono a qualsiasi cosa io dica.
Una volta ho detto loro di essermi portato a letto... Mallory Williams? Non ricordo il nome… Sto parlando della presidentessa del comitato scolastico e capitano della squadra delle cheerleader. Ad ogni modo, entrambi ci hanno creduto, nonostante ─ da quel che io sappia ─ Mallory sia ancora vergine. Non che non ci abbia provato, ma lei prima di farlo mi ha confessato, in preda al terrore, di essersi innamorata di Puck e aver fatto finta di essere interessata a me soltanto per farlo ingelosire. Inutile dire che, sebbene mi abbia pregato di dire di averlo fatto e di tacere che fosse vergine, Puck non ha reagito affatto come sperava alla notizia.
Gli lancio un’occhiataccia. «Avrei voluto veder te al mio posto.» borbotto. «Non ha fatto altro che parlare, e parlare, e parlare, e parlare.»
«Sarei stato perfino disposto a sentirla stonare Walking On Sunshine di Katrina & The Waves pur di tenermela sulle gambe.» Ridacchia, dandosi di gomito con Robert. «E poi non puoi affatto negare che abbia delle cosce stupende.»
«Oh, sì.» dico, senza preoccuparmi di nascondere il sarcasmo. «Perché è a quelle che penseresti se avessi in braccio una ragazza.»
«Wow!» esclama Robert. «Allora non puoi dire di non averci per nulla pensato!» E lui e Puck continuano a ridere come matti.
«Piantatela!» Spingo entrambi via dal mio banco. Ostruiscono tutto il mio campo visivo, impedendomi di tener d’occhio la porta. Michelle è in ritardo, non è ancora arrivata ─ cosa alquanto strana per i suoi standard, visto che da quando è iscritta qui non ha fatto nemmeno un’assenza (almeno per quanto riguarda i corsi che abbiamo in comune) ─ ed è sempre più difficile impedire a quelle oche sghignazzanti di sedersi accanto a me.
«Che ci fai al primo banco?» Puck ci si appoggia contro, incrociando le braccia al petto. «Tu odi stare davanti, insieme ai secchioni.»
«Non dirci che hai intenzione di studiare.» mi prende in giro Robert, senza neanche lasciarmi il tempo di rispondere.
Stringo la mascella. Non mi piace quel tono insinuatore. «E se anche fosse?»
«Uh-uh.» commenta Puck, increspando le labbra in un ghigno derisorio. Robert rimane semplicemente zitto. Deve aver capito che oggi non sono affatto di buon umore. «Giornataccia, eh?» Borbotto qualcosa di incomprensibile perfino a me stesso; voglio soltanto che le lezioni inizino e stare accanto a Michelle, senza Puck, Robert e Ashley-barra-Amber tra i piedi. E se è malata? Se le è successo qualcosa? Sbuffo, sto seriamente cominciando a diventare paranoico. «Si può sapere chi ti ha tenuto sveglio?»
«Nessuno mi ha…» Uno soffio. Un respiro appena percettibile accanto a me. Volto lentamente la testa, sgrano gli occhi e… «tenuto sveglio.»
Prima che abbia la possibilità dirle qualcosa, il professor Washington entra in classe camminando a grandi passi verso la cattedra. I suoi mocassini di cuoio battono con forza sul pavimento e in men che non si dica Puck e Robert si dileguano. Ognuno va a sedersi al proprio posto.
È strano, e anche imbarazzante, ma ora, senza i miei amici a coprirmi le spalle, mi sento indifeso, in balia di Michelle, minuta e fragile, come se lei potesse farmi in qualche modo del male. Non so spiegarlo, ma in sua compagnia tutto cambia radicalmente. La mia sicurezza e la mia spavalderia… minuscoli granelli di polvere spazzati via dal vento. Ed il pensiero che abbia ascoltato gli ultimi sprazzi della mia pseudo-conversazione con Puck e Robert mi fa trasalire all'improvviso. Non voglio che pensi che la ragione della mia insonnia sia stata lei perché renderebbe le cose ancora più complicate di quanto già sono. Mi sentirei umiliato, messo a nudo, come se non lo fossi già abbastanza, e… cazzo! Nessuna ragazza è stata mai in grado di esercitare tanta attrattiva su di me, né è mai riuscita a rendermi tanto vulnerabile.
«Signor Morgan, io e i suoi compagni saremmo davvero lieti di ricevere la sua attenzione, per favore.» La voce di Washington mi fa sobbalzare sulla sedia. Michelle trattiene il fiato accanto a me. Sembra quasi che il professore abbia colto lei in fallo, e non me.
«Mi scusi.» Abbasso lo sguardo sul banco, mi torco le mani e attendo la solita ramanzina. Che non arriva.
«Mi fa piacere che abbia deciso di unirsi a noi.» Il suo tono sarcastico, lo devo ammettere, è molto meno irritante di quello di Jefferson. Se il mio simpaticissimo professore di matematica avrebbe sfruttato la mia distrazione per elencare un’ulteriore serie di improperi su di me, Washington sembra soltanto divertito dal mio comportamento; divertito e curioso, anche, come se fossi un complesso sillogismo da comprendere. «E mi allieta,» aggiunge, «che si sia seduto accanto alla signorina Thompson. Un bel passo avanti, direi.» Qualcuno ride alle mie spalle, probabilmente Robert o Puck, o chissà chi altro. Non mi interessa. Michelle continua a trattenere il fiato. «Deve solo migliorare la sua capacità di attenzione, ma ognuno ha i suoi tempi.» Scrolla le spalle, e cammina avanti e indietro, con la schiena ritta e composta. Avrà la sua età, ma è l’unico insegnante che sia riuscito a farmi piacere. E le sue lezioni non annoiano. Quando voglio riesco perfino ad ascoltarlo con curiosità.
«Sì, signore.»
«Capitano.» mi corregge con un sorriso. «Capitano, soldato
La classe intera ride. Michelle ride. E io la guardo. È bella di profilo, ma voglio guardarla direttamente negli occhi.
«E mi dica, signor Morgan.» Rizzo le orecchie come un cane e ascolto. «Oggi mi sento abbastanza generoso, perciò ho intenzione di premiarla con una B se risponde a una mia domanda.»
Incurvo le labbra in un ghigno, e decido di stare al gioco. Allungo automaticamente le gambe e inclino la schiena, poggiandomi sulla spalliera della sedia. «Avanti, l’ascolto.» Jefferson mi avrebbe già mandato in presidenza se mi fossi rivolto così a lui, ma Washington non sembra affatto badare al mio tono, come se non fossi altro che un suo nipote.
«”Due strade divergevano in un bosco,» comincia a recitare, «ed io io presi quella meno battuta, e di qui tutta la differenza è venuta.” Chi è l’autore di questo verso e a quale poesia appartiene?» Il suo sguardo preme con insistenza su di me.
«Non vale, aveva detto una domanda...» Ma anche lui sa che conosco la risposta.
«Glielo concedo.» dice. «Una B+ allora.»
Michelle mi sta fissando. Mi volto verso di lei e non distolgo gli occhi dai suoi neanche per un istante. Cosa si aspetta da me? Pensa che sbaglierò? «Robert Frost, La strada non presa
«Bene.» Washington sorride. Se lo aspettava. Michelle no. Michelle è sorpresa. Forse adesso comincerà a vedermi sotto una luce diversa? «Molto bene.»
Sposto la mia attenzione sul professore. È compiaciuto, ha un sorriso soddisfatto, come se il merito fosse suo. Non è presunzione, la sua; è solo la reazione di un insegnante particolarmente contento del fatto che un suo alunno si sia avvicinato, anche soltanto di un piccolo passo, alla sua materia. E se c’è una persona da ringraziare, quella è mia madre. Ha un’intera raccolta di poesie di Frost, tutte prime edizioni, e ricordo che prima di addormentarmi me le leggeva da piccolo. Finissimo anche senza uno spicciolo, non se ne separerebbe mai, credo. Robert Frost è l’unico intermediario tra lei e suo padre, l’unica cosa che la avvicini almeno un po’ a lui.
«Non pensa che una B+ sia troppo poco? In fondo, è la prima volta in tutto l’anno che rispondo a una sua domanda.»
Washington incurva le labbra rugose in un sorriso. «Oh, mi creda, signor Morgan, è più che sufficiente.»
«Ne è davvero sicuro?»
«Convintissimo è dir poco.» Lancia una breve occhiata a Michelle, e perciò lo imito anche io, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Ha i capelli raccolti in una crocchia, gli occhiali inforcati sul naso e, nonostante ciò, è… meravigliosa. Washington mi richiama all’ordine. «Quella B+ è l’unica garanzia che ho che ce ne saranno, di prossime volte, in cui risponderà alle mie domande.»
La lezione finisce. Il professore mi lascia in sospeso con quella frase. E il pensiero che si fidi di me mi fa sentire bene, mi convince quasi che potrei passare la sua materia senza dover essere rimandato per la quarta volta di seguito.
«Complimenti.» Una voce che riconoscerei fra mille mi fa sobbalzare. «Sei il primo che sia riuscito a stupirmi.»
Mi volto lentamente. Vorrei tanto scioglierle quella crocchia disordinata. Con i capelli sciolti sta molto meglio, ma decido ─ con non poca difficoltà ─ di trattenere i miei impulsi. Michelle è come i cavalli; bisogna avere pazienza con loro, camminare con i piedi di piombo, andarci cauti.
«Dovresti avere un po’ più di fiducia in me, sai? Come Washington.»
«Ho imparato a diffidare dei miei nemici.» Accompagna quelle parole con un sorriso beffardo. È sicura, determinata, si comporta come se mi conoscesse, come se sapesse come comportarsi con me. E vorrei tanto sapere come faccia ad essere così… così…
«Io non sono un tuo nemico.»
Siamo soli. Esattamente come la prima volta. Forse Puck e Robert mi hanno salutato ed io non me ne sono accorto. Questa volta c’è una sola differenza: sono io a portarle i libri ─ sono pesanti, accidenti ─ e, a giudicare dalla sua espressione, è di nuovo meravigliata dal mio comportamento.
«Tutto ciò che è a noi ignoto lo è, Morgan.»
Chissà come bacia… E’ così impudente anche a letto?
«Mi chiamo Kevin.»
«Morgan.» mi corregge annuendo con vigore, ed io non ho la forza di contraddirla. «Kevin Cristopher Morgan.»
Adesso sono io quello attonito, completamente attonito.
«Come sai il mio nome completo?»
Scrolla le spalle, e allunga le mani verso di me per togliermi i suoi libri dalle mani. Non mi frega più, ora; avvolgo le dita attorno ai suoi polsi e stringo forte, ma senza farle troppo del male. È la prima volta che la tocco e confesso di non averci granché pensato, prima. Ero più curioso di conoscere la sua mente, che il suo corpo, e adesso che è tanto vicino mi preme di più sapere come sia fatto il secondo. Ha le mani bianchissime, e non so se per il resto il suo colorito sia più roseo, perché la camicetta che indossa nasconde ogni porzione di pelle disponibile. Le sue guance sono costellate, qua e là, da piccole lentiggini che rendono il suo viso ancora più grazioso e irriverente. La curiosità mi assale: le ha… dappertutto, o solo lì?
«Se te lo dicessi,» Respira più affannosamente, ora, «dove starebbe il divertimento?» Il suo profumo è inebriante. Sa di… mele? Qualcosa di fruttato.
«Tu nascondi qualcosa.» Non so perché l’ho detto ma ormai non posso più tirarmi indietro. Michelle sgrana gli occhi e arrossisce. Non è imbarazzata dalla mia vicinanza, anche se l’avrei tanto voluto che fosse così. Al contrario, sembra agitata, presa in contropiede e… arrabbiata. Non le piace perdere il controllo della situazione e sa che con me non avrà sempre la meglio. «E non sei affatto ciò che vuoi far credere a tutti di essere.»
Alza il mento, fiera. «Cosa sarei, allora?»
«Non lo so.» dico. La lascio andare; è sempre più sorpresa. Non pensava che sarei stato il primo ad allontanarmi. E prima di voltarmi e andarmene, la guardo fisso negli occhi. «Ma ho intenzione di scoprirlo.»
 
 
 
 
 
Due minuti dopo, sto attraversando i corridoi della scuola per andare in mensa. Robert, Puck e gli altri della squadra di football mi stanno aspettando, nonostante non abbia alcuna voglia di stare con loro, tanto meno di mangiare quella poltiglia schifosa che ogni giorno ci servono le bidelle.
Il cellulare mi vibra in tasca all’improvviso. Il display è illuminato. Un nuovo messaggio. Numero: sconosciuto. Inarco un sopracciglio, e aggrotto la fronte. Lo apro, ignaro di tutto. Poi trattengo il fiato in gola, e lì rimane.
Tutto scompare. Tutto diventa immobile.
 
Ti guardo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Note d’autore:
Ci sono tante cose che vorrei dire adesso, ma non ho davvero le parole adatte all’occasione. Prima di passare alla “spiegazione” del capitolo, vorrei ringraziare tutti coloro che hanno letto i precedenti e, soprattutto, tutte quelle gentilissime ragazze che li hanno recensiti! So bene che la “crisi” si è estesa anche qui per quanto riguarda i commenti, ma non avevo affatto idea, e lo dirò fino all’ultimo, che DC piacesse tanto. Perciò, davvero, rinnovo tutti i miei ringraziamenti, dal primo all’ultimo.
Ora passiamo alla storia. Kevin, Amber, Puck, Robert, Washington, Michelle. Questi sono soltanto un quarto di tutto il “cast”, perché nel corso della storia avrete modo di conoscerne tanti altri, molto più importanti di quelli sopracitati (esclusi i due protagonisti). Ce n’è uno, però, sul quale mi preme molto dovervi qualche informazione: Hayden Washington. L’idea era quella di descrivere un anonimo professore, così come Jefferson; un professore che non sarebbe stato affatto determinante sui miei protagonisti, né tanto meno su tutta la trama. Ma poi ieri sera ho visto per l’ennesima volta L’attimo fuggente e il mio professore di letteratura ha assunto un nuovo volto, quello di Robbie Williams nel ruolo di Keating. E avrei mai potuto dare al mio “old” attore preferito una parte di così poco rilievo? No, mi sono detta, e tutto è cambiato. Perciò aspettatevi di rileggerlo ancora, perché non è finita qua. Per la scena che ho descritto in questo capitolo mi sono ispirata molto a quella del film, proprio per ricalcarlo ─ spero di esserci riuscita ─ nella vostra memoria, così come è ricalcato nella mia. Il resto è soltanto un “ponte” a ciò che accadrà nel quarto, necessario per lo sviluppo della trama, e infatti come avete visto non succede nulla di rilevante. I soliti battibecchi tra Kevin e Michelle, in cui emergono particolari indizi su di lei, e poi… quel messaggio. Di chi sarà mai? Di certo la cosa è inquietante. Avete qualche supposizioni? Sono davvero curiosa di conoscerle…
Adesso vado a rispondere alle vostre recensioni (mi scuso per il ritardo), sperando di riceverne ancora, perché mi spronano più di quanto crediate ad andare avanti.
Un’ultima cosa: avevo intenzione di creare un gruppo Facebook nel quale pubblicare spoiler, foto e aggiornamenti vari, ma anche per avvisarvi di un ritardo e/o cos’altro, ma non sapendo cosa fare mi rivolgo a voi: vi iscrivereste se lo creassi?

Per contattarmi o altro, ecco i link: Facebook e Ask.
Altra Originale in corso:
Amores.
One-Shot:
Troverò una cura.
   
 
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