VIII.
Se elimini l’impossibile, qualunque cosa rimanga,
per quanto improbabile, deve essere la verità. Star Trek
Love Song Requiem – Trading Yesterday
-Hai
fatto ciò che ti ho chiesto?- Chiese una voce femminile nella semioscurità.
-Certo.
Klaus ha saputo della cura. E’ già nelle sue mani.- Rispose una bassa voce
maschile.
-Spero
che almeno l’abbia nascosta.- Commentò con un pizzico di acidità la voce
femminile che si era fatta più acuta.
-Ovvio.
Di certo però non si aspettava che la cura fosse così…-
-Pericolosa?-
Chiese la voce femminile nuovamente acuta interrompendo quella maschile.
-Sicuramente
la tua idea di dare alla cura una nuova forma è stata efficace.- Si complimentò
lui facendo qualche passo verso di lei e sentendola sorridere soddisfatta.
Quando
nessuno dei due parlava l’unico rumore che regnava nell’oscurità di quella
notte era il silenzio, nemmeno i respiri dei due potevano sentirsi.
La luce di una candela illuminava un angolo dove nessuno dei due aveva la
stoltezza di dirigersi. Nessuno doveva vederli, ancora di più se erano insieme
e di certo portarsi davanti al riflesso della luce non era il metodo migliore
per non essere scoperti.
-Ci
sta portando Caroline, al nascondiglio, le darà la cura e puoi stare certa che
finirà nella mani di Damon e lui cercherà in ogni modo di darla al piccolo.
Io
ho fatto la mia parte, ho detto a Klaus dove si trovava la cura. Ora, puoi
assicurarmi che avrò la mia ricompensa?- Chiese lui. Conosceva bene la ragazza
con cui stava parlando ma sapeva altrettanto bene che non poteva fidarsi di
nessuno, soprattutto se si trattava di qualcuno che viveva a Mystic Falls.
-Non
appena il piccolo asservito diventerà un umano, io ti giuro che avrai ciò che
desideri, tutto ciò che mi hai chiesto e nessuno potrà più portatelo via.-
Rispose la figura femminile sorridendo malignamente e avvicinandosi all’angolo
in cui la candela si stava lentamente consumando.
Avvicinò
il viso alla fiamma che illuminò per un solo, breve istante, un ciuffo di
capelli neri, dopodiché si spense lasciando i due nell’oscurità più completa.
-Chiamami
quando avrai degli aggiornamenti.- Lo esortò lei mentre un nuvolo di fumo le
saliva fino a sfiorarle le guance e farle lacrimare gli occhi.
-Puoi
starne certa.- Rispose la voce maschile seguita da un rumore di passi che si
allontanavano e poi solo silenzio ed oscurità.
***
Probabilmente
andare lì lo faceva solo stare peggio, ma era come se ne avesse bisogno, come
se una forza antica e potente come la sua anima lo trasportasse lì ogni volta
che usciva di casa. Qualcosa che non poteva fermare, qualcosa che infondo non
voleva fermare.
L’appartamento
di Alarick non aveva nulla che assomigliava alla lussuosa
tenuta dei Salvatore. Arroccato alla fine di una lunga scala, al fianco di un
altro appartamento altrettanto inadeguato alla vita di chiunque. Chiunque che
non fosse Alarick, perché lui ci era sempre stato
bene. Non che ci avesse mai fatto qualcosa di più che dormire e mangiare ogni
tanto una pizza da asporto, ma era casa; tutta quella proprietà urlava il nome
di quell’uomo, dal letto ancora sfatto e che probabilmente era ridotto in quel
modo la maggior parte del tempo, all’armadio colmo di vestiti indossabili,
almeno secondo Damon, che nascondeva un piccolo cassettone strapieno di armi
che si sarebbero rivelate letali se usate contro un vampiro.
Era
tutto rimasto così come lui lo aveva lasciato. Damon non si era mai preso la
libertà di toccare nulla.
Semplicemente entrava e si sedeva contro la porta osservando la stanza e
immaginandosi l’amico che correva avanti e indietro al telefono, intento a
trovare un modo per calmare Elena, che
riteneva quasi come una figlia, o disteso sul letto, ancora con i vestiti
addosso, dopo che lo aveva diligentemente riportato a casa invece che lasciarlo
marcire in un bar dove si stava crogiolando sui problemi con la ragazza che
amava.
Pensava a Jenna e alla possibilità che se un paradiso doveva esistere, beh
allora doveva esistere per loro due, solo per farli rincontrare, perché se
Damon non avesse avuto un’eternità da vivere con Elena sulla terra, allora
avrebbe voluto vederla almeno dopo la morte, perché Jenna era l’Elena di Alarick.
Così anche quel pomeriggio si era ritrovato seduto sul pavimento di quel
appartamento che non vedeva una finestra aperta da fin troppo tempo. L’odore
ristagnante del chiuso si mischiava al profumo di lui, che ancora aleggiava
nell’aria. Spesso Damon si chiedeva come fosse possibile, ricordava a stento i
tratti di quel viso che troppo spesso aveva visto sfuocato dall’alcool, ma il
suo odore non aveva ancora lasciato l’appartamento.
Non sapeva per quale ragione ma faticava a dire a Elena dove passava gran parte
dei suoi pomeriggi. Non voleva che lei potesse vedere le sue debolezze e Alarick era stata una di queste e nonostante tutto
continuava ad esserlo.
Passava
gli occhi da un mobile ad un altro, tentando di catturarne ogni minimo
dettaglio, ogni minima scalfittura nel legno o qualche segno che potesse farlo
concentrare su come si fosse formato cercando così di immaginarsi un Alarick maldestro che rovinava involontariamente il suo
stesso mobilio.
Ancora non aveva mai parlato alla stanza vuota. Lo aveva fatto, in passato. Ora
gli sembrava solo di essere uno stupido e il non ricevere nessuna risposta lo
faceva solamente stare peggio, gli riconfermava ogni volta ciò che già sapeva,
che il suo amico non sarebbe mai più tornato, che non avrebbe mai visto suo
figlio crescere. Glielo avrebbe voluto dire, della gravidanza di Elena, si
sarebbe voluto godere la sua reazione. Sarebbe certamente stato sorpreso,
all’inizio, ma poi gli avrebbe fatto i complimenti e sarebbe partito senza fare
domande alla ricerca della cura, compito che era stato affidato a Caroline, ma
che, Damon ne era sicuro, Alarick avrebbe svolto
molto meglio e senza vendersi a Klaus in nessun modo.
Si
sedeva lì e semplicemente osservava una stanza vuota.
***
Camminavano
già da un po’, da molto più di quanto Caroline volesse ammettere. I suoi
muscoli stavano cominciando a indolenzirsi e dato che lei era una vampira,
significava solamente una cosa: erano in viaggio da veramente tanto.
Continuava
a seguirlo, stando qualche passo dietro di lui. Non si erano rivolti parola per
l’intero viaggio. Dopo quel fatidico bacio fra loro era caduto un silenzio
imbarazzante che sembrava nessuno dei due volesse rompere.
Caroline
orgogliosa com’era l’aveva presa come una sfida e di certo non avrebbe nemmeno
nominato i crampi che stavano cominciando a farle urlare i polpacci coperti da
un paio di stivali alti fino al ginocchio, neri e dal tacco spropositato, che
di certo non erano stati ideati per partire alla ricerca di una cura che
sembrava essere ben nascosta.
-Non
ti lamentare!- La ammonì lui. A volte sembrava che riuscisse a leggerle nel
pensiero.
-Io
non ho detto niente.- Le ricordò lei felice di poter interrompere quel silenzio
che si era protratto anche troppo, senza perdere la sfida.
-Giusto,
ma i tuoi sbuffi non sono stati altrettanto silenziosi.- Non le era sembrato di
aver sbuffato. -E penso che gli sbuffi valgano come “interruzione del rumore”.
Mi dispiace cara, ma questa sfida l’ho vinta io e direi che come premio un bel
bacio non me lo toglie nessuno.- Era imbarazzante il modo in cui lui riusciva a
leggerle dentro. Era come se avesse letto il manuale “Come capire Caroline Forbes”. Se lo immaginava durante una solitaria nottata
insonne che aveva passato a sfogliare le pagine del manuale davanti ad un
camino acceso.
Scrollò
le spalle e con un passo più lungo, al quale le sue gambe le ricordarono dei
crampi, lo raggiunse.
Negare
che nella sua testa si stesse svolgendo quella sfida era ridicolo. Lui sapeva
di avere ragione.
-Quanto
manca ancora?- Gli chiese, questa volta sbuffando sonoramente, facendo apparire
sul suo volto un sorriso.
-Non
molto. Ma preferirei che tu smettessi di lamentarti. Non sono di piacevole
compagnia quando sono innervosito, e i tuoi continui sbuffi mi infastidiscono.-
Le spiegò lui mentre il sorriso scompariva dalle sue labbra.
Caroline
scosse la testa e tornò a rallentare il passo finendo nuovamente a dovergli
arrancare dietro. Quando mai era stato di buona compagnia durante quel viaggio?
-Posso
capire perché tu voglia salvare il piccolo dall’asservimento, ti senti vicina a
quel bambino, ti senti come una sua seconda madre per lui. Sai che non potrai
mai esserlo, questa è la tua possibilità.- Aveva continuato a camminare,
spostando lo sguardo dalle sue scarpe all’orizzonte che si prospettava davanti
a loro.
-Come
lo sai?- Caroline voleva proprio conoscere l’autore di quel manuale. Nemmeno la
sua stessa madre l’avrebbe capita così profondamente. Era sempre andata fiera
della sua capacità di apparire superficiale e priva di emozioni umane davanti a
chiunque, ma ora si trovava a davanti a l’unico che aveva, evidentemente, letto
questa enciclopedia di cui lei era totalmente all’oscuro. Ora si trovava
completamente priva di quel muro che si era costruita, quello che nessuno aveva
mai oltrepassato, non Matt; Tyler era riuscito solo a scalfirlo, ma Klaus, lui
aveva rimosso con facilità un mattone e tutto era crollato.
-Anche
io mi sento così, a volte. Ovviamente se qualcuno dovesse chiedermi qualcosa
negherei fino a strappare il cuore dal petto del povero malcapitato, ma, a
volte, ci penso anche io. Sai, a come sarebbe avere un figlio, anche se so
benissimo che non succederà mai.-
Caroline
lo ascoltò attentamente e pensò molto prima di parlare. Non voleva risultare
stupida oltre che incapace di trattenersi dal lamentarsi.
-Tu
sei un ibrido. Tu puoi avere figli, come Tyler.- Il problema era lei, non il
mondo che la circondava. Era lei a non poter diventare madre, e come al solito
era stata Elena ad essere graziata da questa specie di maledizione.
-Ma
ho il suo stesso problema…- La sorprese lui voltandosi improvvisamente per
poter perdere il suo sguardo negli occhi di lei.
-Quale?
Quale problema?-
-L’unica donna che ritengo degna di diventare la madre dei miei figli non può
avene. Sai, lei è una vampira.- Le riservò un sorriso sghembo per voi voltarsi
nuovamente incamminandosi verso l’orizzonte.
-Un’ultima
cosa.- La spiazzò lui. Si era aspettata che dopo quella rivelazione lui non le
parlasse per il restante viaggio, ma evidentemente, era stata solo lei ad
arrossire e imbarazzarsi al punto di volersi sotterrare a quelle parole.
-Quando
la vedrai promettimi di non dare di matto.- All’inizio Caroline pensava ad uno
scherzo ma dopo averlo visto fermarsi e voltarsi verso di lei con lo sguardo
fisso, capì che non lo era.
-Dovrei
dare di matto?- Chiese senza capirlo, fermandosi a sua volta.
-Diciamo
che non immagineresti mai la cura in questo modo.- Si limitò a dire lui senza
distogliere lo sguardo da lei.
-Tu
che ne sai di cosa mi immagino io?-
Klaus
si limitò ad alzare un sopracciglio per poi decidersi a parlare. -Non ti ho
ancora dato abbastanza prova di capirti, cara?-
Caroline
ripensò alle parole che Klaus le aveva rivolto poco prima. Lui la capiva come
nessuno era mai riuscito prima e lei sapeva che il merito non era di nessun
manuale, perché nessuno sarebbe mai riuscito a scriverlo. Nessuno tranne lui.
-Quindi
niente pozione verdeggiante, puzzolente e piena di bolle?- Chiese lei facendolo sorridere nuovamente.
Non avrebbe mai ammesso davanti a Klaus che lui la conoscesse così bene da
percepire i suoi pensieri ancora prima che si formassero nella sua mente.
L’ibrido
ricominciò il suo percorso con la vampira subito dietro.
-No,
niente pozione verdeggiante, puzzolente e piena di bolle.-
***
Da quando avevano dipinto le pareti della stanza Elena era uscita solo per
comprare oggetti da buttarci dentro. Ogni giorno entrava e vedendone la
disposizione decideva di cambiarla; la culla era troppo vicina alla finestra, il
piccolo avrebbe preso freddo; il fasciatoio era troppo vicino alla porta e la
puzza dei pannolini pieni avrebbe raggiunto il soggiorno o semplicemente il
quadro appeso il giorno prima era improvvisamente diventato inabbinabile
con le pareti.
Correva
fuori e dentro come una trottola trasportando ogni tipo di oggetto e ogni
volta, dopo aver nuovamente sistemato la stanza chiamava Damon per mostrargli
gli ultimi progressi.
All’inizio
era stato ben felice di quel ruolo, di vedere l’allegria nel volto di Elena, ma
giorno dopo giorno aveva capito che quella specie di passatempo era diventata
un’ossessione per la vampira. Non avrebbe mai creduto che ci fossero così tante
possibilità di inter cambiare quei pochi mobili che potevano servire ad un neonato.
Damon
aveva capito che tutto quel lavorare serviva a Elena per tenere a freno i suoi
pensieri, che, altrimenti, si sarebbero sempre rivolti a Caroline e al suo
viaggio verso la cura.
Il
tempo stava per finire ed era facile capirlo; la pancia della ragazza era così
gonfia che sembrava fosse sul punto di scoppiare e la pelle in quella zone era
tesa e tirata e mostrava le sottili vene bluastre. Quasi stonava con la
sottigliezza delle gambe della ragazza e con la sua figura, altrimenti,
asciutta.
Quando,
dopo la decima volta in quel giorno che lei lo chiamava al piano superiore per
mostrargli nuovamente la stanza, Damon decise che aveva visto già abbastanza.
Si precipitò su per le scale e non appena arrivato nella camera la prese in
braccio, come era solito fare quando voleva trasportarla contro la sua volontà.
Con un braccio le cingeva le spalle mentre l’altro sorreggeva le sue gambe
all’altezza delle ginocchia.
Il
suo petto fu colpito diverse volte dalle mani di Elena che tentava di
divincolarsi da quella stretta, ma nemmeno le sue urla di disapprovazione lo
fermarono. La sistemò nel sedile dell’auto per poi sedersi al posto di guida e
mettere in moto.
-Cosa stai facendo?- Chiese lei con un tono acuto di rimprovero.
-Ti porto via da quella stanza. Tra poco tornerai alla disposizione originale e
potrei finire con il buttare giù dalla finestra quella bellissima culla.- Si
chiarì lui mentre guidava sulla strada deserta.
-Ero già tornata alla disposizione originale. Più di una volta.- Elena fece una
smorfia al sorriso di Damon, che continuava a guidare come se nella sua mente
fosse ben definita una meta precisa.
Girò
il viso per poterla guardare in volto per qualche secondo per poi rimettere gli
occhi sulla strada -Allora ho fatto bene a portati via.-
-Diciamo
di si.- Sbuffò lei poggiandosi una mano sulla pancia e cominciando ad
accarezzarla leggermente. –Ma dove andiamo di preciso?- Chiese mentre
cominciava a sentire qualche piccolo calcio di Rick.
-In Georgia c’è un bar che ci aspetta. Penso proprio che dovremmo fermarci lì.-
Le sorrise lui ricordandole del primo viaggio in macchina che avevano fatto
insieme. Lei non aveva quella pancia enorme, ma lui, allora come adesso,
l’aveva salvata, perché era questo che faceva Damon: la tirava fuori dai
problemi ogni volta che se ne presentava uno nella sua vita, piccolo o grande
che fosse, lui avrebbe fatto qualunque cosa per aiutarla, come aveva fatto
quella volta facendola uscire da ciò che era rimasto della sua auto dopo
l’incidente.
-Speriamo
di non uccidere la proprietaria come l’ultima volta.- Ironizzò lei mentre
cominciava a sentire lo stomaco in subbuglio, come se qualcuno lo avesse preso
per mano per fargli ballare un tango con tanto di casquè finale.
Damon sorrise scuotendo la testa. –Non penso che si ripresenterà una mia
vecchia fiamma. E anche se dovesse accadere penso che tu e Rick facciate
abbastanza scena da tenerle tutte lontane.- Elena rispose colpendo la spalla di
Damon, mentre la sensazione del vomito cominciava a presentarsi al suo esofago.
-Qualcosa
non va?- Chiese lui, visibilmente preoccupato, dopo averle rivolto uno sguardo.
-Ferma
la macchina!- Si limitò a dire Elena, una mano già sulla maniglia pronta ad
aprire la portiera e scendere alla velocità della luce per non imbrattare i
sedili della tanto amata macchina di Damon.
-Mi
sembra di vivere un déjà-vu.- Sorrise lui scendendo a sua volta e
raggiungendola.
-Io…mi
dispia…- Cercò di scusarsi lei, prima di essere
investita dal suo abbraccio.
-Ora
torniamo indietro, ma tu promettimi di chiedere la porta di quella camera e non
riaprirla fino a che non dovrai mettere a dormire Rick lì.- Le sussurrò
all’orecchio per poi sciogliere l’abbraccio e guardarla dritta negli occhi in
attesa di una risposta.
-Sai
che succederà presto, vero?- Lo guardò negli occhi, dritto in quell’azzurro
sconfinato per perdercisi ancora una volta.
-Spero
proprio perché non ne posso più di questi abbracci a tre.- Sorrise lui
guardando verso il basso la grande pancia di Elena che impediva ai loro di
corpi di aderire l’uno all’altro.
Lei
lo imitò guardando in basso e sorrise.
Era
felice.
***
Si
rigirava la cura fra le dita mostrandola a Caroline continuando a guardarle il
volto alla ricerca di una sua qualche reazione. Temeva che si sarebbe
infuriata, che avrebbe buttato tutto all’aria, che avrebbe cercato di
distruggere in tutti i modi possibili la cura. Ma per la prima volta durante
quella giornata si trovava ad aver torto su di lei.
Caroline continuava a fissare le mani di Klaus mentre stupore e delusione si
mescolavano sul suo volto creando un’unica maschera dura.
-N-non
può essere! Come…?- Questa volta aveva subito afferrato il suo pensiero,
sebbene lei non fosse in grado di pronunciarlo.
-Non
lo so. Spero solo che la vostra streghetta abbia qualche asso nella manica.-
Buongiono :)
Finalmente
sono riuscita a pubblicare questo nuovo capitolo. Spero che vi piaccia come gli
altri e soprattutto di avervi messo un po’ di dubbi addosso. Chi c’è dietro
tutta questa storia? Cosa hanno trovato Klaus e Caroline?
I
momenti Delena in questo momento più che essere
importanti per la trama sono solo molto fluffosi :D
E
per concludere penso che ormai il personaggio di Alarick
diventi sempre più importante, nonostante sia effettivamente morto.
Come
al solito voglio ringraziare tutti quelli che mi stanno seguendo e soprattutto
coloro che hanno lasciato una recensione, anche solo per dirmi ciò che pensano.
Un
bacione a tutti :)
HollyMaster
P.S.
So che sono indietro con il rispondere alle recensioni vecchie, ma prometto che
domani provverderò :)