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Autore: ___Ace    27/10/2013    4 recensioni
“Non è serata, Evidenziatore, torna un’altra volta”.
Osservai quell’energumeno che avevo avuto la sfortuna di incontrare: i capelli in disordine e un orrendo paio di occhiali con le lenti spesse era appoggiato sulla fronte, tenendo quei ciuffi rosso vermiglio alzati verso l’alto; la maglia sporca di nero, pantaloni neri, scarponi neri. Praticamente avevo davanti a me l’Uomo Nero in persona.
Avrebbe potuto spaventare i mocciosi qui intorno.
*
Ecco, lui sembrava infiammato. Costantemente. Sembrava sempre avere qualcosa da dire, da fare o da vedere; non stava mai fermo e si muoveva in continuazione; a volte sembrava calmarsi ed essere colto da un’improvvisa quiete e sonnolenza, ma si riprendeva subito dopo; adorava i fuochi d’artificio e il fuoco lo affascinava. Diceva che era caldo, e quindi apprezzato dalle persone, ma allo stesso tempo temuto perché poteva bruciare e fare del male. Questi aspetti contrastanti gli piacevano immensamente, tanto da suscitare anche la mia curiosità e facendo si che, ogni volta che passava, mi ritrovassi chino sul bancone ad ascoltare le sue stramberie per nulla annoiato.
Ace era certamente così: bello, scoppiettante e caldo. Era il fuoco.
*
Kidd/Law. Ace/Marco. Penguin/Killer. Accenni Zoro/Nami.
Genere: Fluff, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eustass Kidd, Marco, Portuguese D. Ace, Trafalgar Law, Un po' tutti | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
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Capitolo 4.
Odio queste stronzate

Sfrecciavo per le strade a bordo della mia fantastica, stupenda e amata moto con Killer che mi implorava in tutte le lingue che conosceva di andare più piano o, almeno, di non passare tutti gli incroci con il semaforo rosso, rischiando di fare un incidente a detta sua mortale.

You and I will never die.

Non lo ascoltavo. Non sentivo nessuna delle sue parole cariche di paura e terrore. Se mai ci fossimo schiantati la colpa di tutto sarebbe stata solo e unicamente di quel moccioso saccente.
Chi si crede di essere? Gli faccio vedere io chi comanda, parola mia! La prossima volta non la passerà liscia e nemmeno i suoi patetici amichetti riusciranno a tenermi buono e a salvargli la pellaccia.
Quell’impiastro.
Qualche ora prima ero uscito di casa con tutti i buoni propositi per non fare casino e non prendere a pugni nessuno, tranquillizzando Killer e propenso a cercare di allargare le mie conoscenze ed essere un po’ più sociale. Quello era il compito della settimana datomi da quella svitata che mi ritrovavo come insegnante di yoga. Insisteva nel dire che circondarsi di persone amorevoli era una bella cosa e risultare cordiali era importante per instaurare le basi di un rapporto.
Per quel motivo avevo accettato di buon grado l’invito di Sanji e Zoro, sperando in una serata tranquilla e in una sbronza in compagnia ma, ovviamente, doveva andare tutto a rotoli.
La colpa non era mia quindi, io almeno ci avevo provato.
Non appena mi ero seduto al tavolo assieme a quei ragazzini mi ero subito sentito nervoso, come se qualcosa non andasse ed era bastato alzare gli occhi per ritrovarmi di fronte ad un tipo piuttosto smilzo, con un assurdo cappello in testa e una felpa gialla e nera. Non riuscivo a vedergli bene la faccia perché sembrava voler fare di tutto per nascondersi, forse per timore avevo pensato. L’avevo liquidato con disinteresse fino a che non aveva deciso di farsi avanti e parlare. Aveva qualcosa di famigliare, solo non capivo cosa e poi…
Accelerai ulteriormente e il contachilometri schizzò ad una velocità piuttosto sostenuta.
Si era tolto quel colbacco e aveva aperto bocca. Mi era bastato vedere quel ghigno da schiaffi e sentire quelle parole velenose per scattare, dimenticandomi di essere in un luogo pubblico. Anche la sera precedente non eravamo soli, per cui mi sentivo liberissimo di aggredirlo e finire quello che avevo iniziato e lasciato in sospeso, aggiungendo una bella dose di vendetta e soddisfazione personale per la sua insolenza.
Da una parte ero contrariato dall’averlo incontrato di nuovo, ma dall’altra continuavo a ripetermi che adesso avevo un nome e una faccia da ricordare così, se mai avessi deciso di organizzare un omicidio, avrei saputo chi cercare per poi farlo sparire nel nulla.
L’avrei fatto sul serio se non avesse smesso di comportarsi come se fosse migliore e superiore a me, prendendosi la libertà di sbeffeggiarmi davanti a tutti e ridicolizzarmi. E che schifo, avevo toccato la sua bava. Probabilmente aveva la rabbia o altre malattie incurabili.
In effetti sembrava malaticcio, con quelle occhiaie profonde e quell’aria perennemente pacata. Anche quando l’avevo atterrato sembrava non voler reagire. Forse si, era malato e probabilmente ora mi aveva contagiato.
E il mio nome é Eustass Kidd. Non Eustass-ya. Eustass-ya sto cazzo.
Mentre rimuginavo tra me e me, raggiunsi finalmente la periferia di Sabaody, un quartiere piuttosto malfamato e dove la sicurezza era solo una parola priva di vero significato. Le forze dell’ordine non mettevano mai piede da quelle parti, solamente quando avveniva un omicidio, ma per il resto non si scomodavano.
Il luogo ideale per far sparire qualcuno.
Scesi dalla moto con un cipiglio incazzato, ignorando le proteste del mio amico, il quale prese subito a lamentarsi e ad urlarmi dietro per il mio inesistente rispetto delle norme stradali e noncuranza del pericolo.
Quante storie, andavo solo a qualche chilometro sopra la media stabilita e, tanto per essere pignoli, non era successo nulla di grave. Almeno, non fino a quel momento perché, non appena ci ricongiungemmo agli altri, i quali ci aspettavano sotto al tettuccio spiovente della bettola malandata, il mio sguardo si incrociò per sbaglio con quello di quell’insopportabile moccioso e dovetti ricorrere a tutto il mio autocontrollo per non esplodere e dargli addosso come una furia.
Lo squarto. Lo eviro. Offrirò il suo corpo come sacrificio e ballerò intorno ai suoi resti, pensai macabro, mentre oltrepassavo la soglia, attento a non stargli troppo vicino e a non dargli le spalle. Per quanto ne sapevo avrebbe potuto aggredirmi o giocare sporco come l’ultima volta. Soprattutto, quegli occhi così, come dire, scuri non promettevano niente di buono. Al contrario, sembravano volermi risucchiare l’anima e trascinarmi nell’oblio.

It’s a dark embrace.

Il bar non era quello che si poteva definire lusso. Completamente fatto di travi di legno massiccio e ferro; il bancone degli alcolici spiccava al centro della sala mentre tutt’attorno stavano lunghe panche restaurate alla meno peggio e qualche tavolino sbilenco e mangiato dai tarli. In fondo alla sala era stato allestito un misero palcoscenico dove un ragazzo con i capelli afro, tutto pelle e ossa e con un paio di pantaloni a fiori stava accordando la sua chitarra elettrica, sostenuto da qualche curioso che lo interrogava sul suo operato.
Pazienza io che non mi ero mai interessato all’aspetto estetico e a come dovevo apparire agli occhi della gente, ma quello non aveva il minimo gusto in fatto di vestiti.
Ad ogni modo fu contento di vederci ed esultò entusiasta quando i suoi amici andarono a salutarlo e ad assicurarlo che sarebbero stati seduti in prima fila a fare il tifo per lui.
Ignorando quell’allegria generale e tenendomi in disparte, fulminando chiunque osasse avvicinarsi o urtarmi, persino i camerieri, aspettai che la smettessero di fare tutto quel baccano e che decidessero di accomodarsi da qualche parte, per quanto le sedie fossero sgangherate o traballanti. Alla fine optarono per un tavolo di medie dimensioni poco lontano dal palco e, agguantati un paio di sgabelli dalle postazioni vicine, riuscimmo a trovare tutti una comoda seduta.
Questa volta fummo ben attenti dal mantenere le distanze, lanciandoci comunque, di tanto in tanto, occhiate di puro odio a distanza, ma non persi tempo restandomene con le mani in mano. Raccolsi invece un paio di informazioni che mi sarebbero tornate utili, prima o poi, se mai avessi deciso di diventare un serial killer. Sorseggiando con finta noncuranza una birra ebbi modo di ascoltare parte della conversazione fra Killer e un idiota che si faceva chiamare Penguin, il quale andava in giro con un cappello che recava il suo nome. Stando a quello che diceva, lui e il bastardo, Trafalgar, frequentavano il terzo anno alla facoltà di medicina all’università.
Ecco perché il labbro che gli avevo rotto durante quella squallida rissa non era messo così in evidenza come avrebbe dovuto essere. Doveva esserselo fatto curare e medicare dai suoi colleghi, felici di poter mettere mano su della carne viva.
Repressi una smorfia schifata e mi scolai un altro sorso, lasciando vagare lo sguardo per la stanza e notando con stupore che il musicista, Brook, aveva appena iniziato a suonare e quello che prometteva il suo repertorio non era affatto scadente, anzi.
Reprimendo la fastidiosa sensazione di essere osservato e lottando con me stesso per non sbottare e mandare all’inferno quel medicastro, iniziai ad osservare curioso Rufy, una bomba ad orologeria che sprizzava energia da tutti i pori e che non stava ferma un minuto. Il ragazzino si era appena appollaiato su di una botte li vicino, parte integrante dell’arredamento, con la scusa di non riuscire a vedere bene l’esibizione dell’amico scheletrico. Si alzò in piedi varie volte, incitandolo ed urlando a squarciagola la sua approvazione, ottenendo in risposta svariati pollici sollevati da parte del diretto interessato.
«Ehi, Eustachio, ti stai divertendo?» mi chiese ad un certo punto, facendomi pulsare pericolosamente una vena sulla tempia.
Gli risposi con un ringhio che scambiò per un cenno di assenso, dato che mi batté una mano sulla spalla, felice della mia partecipazione.
Decisi di ignorarlo e di lasciarlo alle sue convinzioni, dopotutto andava ancora a scuola e sembrava non brillare di intelligenza propria perciò, per quella volta, l’avrei lasciato in pace. E poi era un tipo innocuo, non faceva altro che mangiare e ridere. Addirittura fu ben contento di salire sul palco con altri due suoi compagni, uno con un naso enorme e ingombrante e l’altro piccolino e di bassa statura con una faccia tonda e infantile, assieme ai quali improvvisò una danza oscena e imbarazzante che sembrò divertire i presenti, animandoli a fare il tifo e a brindare alla loro salute.
«Fanno sempre così, non vi preoccupate» spiegò Zoro, svuotando il terzo bicchiere, seguito a ruota da una delle due ragazza più ubriaca di lui.
«Ehi, tu non devi guidare?» biascicò, accortosi del suo stato e guardandola stranito.
«Nah, ci pensa Robin» lo tranquillizzò lei, ammiccando poi in direzione dell’amica in fondo al tavolo.
«Propongo una gara di bevute» se ne uscì il mio vicino e notai con orrore che si trattava nientemeno che di Killer. «Chi vince non paga il conto!» propose infine.
Cosa ci fa con una corona di fiori in testa? Quando gliel’hanno messa?
Troppo impegnato ad osservare ad occhi aperti quel suo strano ed insolito comportamento, non prestai attenzioni a coloro che si offrirono ben volentieri di partecipare, accomodandosi tutti in fila sulla stessa panca e lasciando i giudici dall’altra parte. La maggior parte di loro era già alticcia, ma sembravano ben intenzionati ad andare fino in fondo e vincere.
«Ehi Kidd, tu non vieni?» mi sentii chiedere.
«Odio queste stronzate» grugnii in risposta, deciso a non farmi coinvolgere in quelle sciocchezze per bambini.
«Hai paura di perdere, Eustass-ya?».
Inarcai un sopracciglio scettico e squadrai la fonte del mio nervosismo, notando che batteva con divertimento la mano sul bordo del tavolo, indicandomi il posto libero accanto a lui.
Cosa stava insinuando? Che non avevo il coraggio di battere tutti e ubriacarmi gratuitamente? Sciocchezze, io e l’alcool eravamo amici di vecchia data e il mio organismo ormai lo reggeva benissimo e senza troppa difficoltà. Avevo praticamente la vittoria in pugno.
Mi alzai dall’angolo in cui mi ero isolato, aggirai Rufy, attento a non urtare l’equilibrio precario della sua botte, e raggiunsi scocciato quell’imbecille, non risparmiandogli una meritata gomitata alle costole.
«Oh, scusa. Non ci stavo» mi giustificai, senza preoccuparmi del fatto che si capiva benissimo che l’avevo fatto a posta.
Assottigliò gli occhi e mi dedicò uno sguardo gelido, ma quel ghigno che gli incorniciava spesso la faccia non tardò ad arrivare, più malefico che mai.
Giurai che gliel’avrei fatto sparire a suon di pugni.
«Non giocare troppo col fuoco, Malpelo».
«Pronti?» domandò Robin, la ragazza mora, attirando l’attenzione su di sé e osservando tutti con aria tranquilla, sicuramente abituata a quelle scene.
Portai la mano al bicchiere che avevo di fronte. Non sapevo cosa ci fosse dentro, ma ero più che propenso a battere quel so-tutto-io e fargliela pagare a qualsiasi costo.
«Tappati quella boccaccia, Trafalgar!» sussurrai minaccioso.
«Via col primo round!».

In the beginning was a life, a dawning age.

Come ci ritrovammo a dover fronteggiare un gruppo di scocciatori che non la smettevano di provocarci a fare la prima mossa non lo ricordo bene.
Stavamo bevendo ininterrottamente da circa tre quarti d’ora e alternavamo boccali di birra con bicchierini di gin, vodka e rum, trovando sempre più divertente qualsiasi cosa ci capitasse di vedere.
Persino quello stronzo di Trafalgar mi risultava, se non simpatico, almeno più accomodante.
Sanji, imitando l’altro pagliaccio travestito, Penguin, era crollato da poco e se ne stava sdraiato sul ripiano del tavolo, lamentando un forte capogiro e una nausea crescente, con tanto di crampi allo stomaco. Il gruppetto di medici gli aveva assicurato che sarebbe bastato mettere la testa nel water e aspettare un po’, poi sarebbe passato tutto nel giro di cinque minuti.
Nel frattempo, Ace, Zoro, la ragazza disinibita, Killer, il medicastro ed io continuavamo ad ingerire litri e litri di alcool senza preoccuparci minimamente delle conseguenze.
Non avevo tenuto d’occhio la situazione come avrei dovuto e non mi ero accorto che quell’incosciente di Rufy aveva volontariamente offeso un membro di un altro gruppo poco distante dal palco. Stando a quello che diceva in nostro ragazzino, continuando a infierire e a farlo innervosire, l’altro aveva preso in giro Brook e la sua musica, facendo versi e sghignazzando con i suoi compagni.
Probabilmente era quello il motivo più plausibile per il quali li stavamo fronteggiando fuori dal locale, reggendoci in piedi a malapena e urlandoci contro qualsiasi tipo di insulto.
Mi girava leggermente la testa, ma riuscivo ancora a vederci bene e ad avere i riflessi pronti e i muscoli scattanti, pronto a usare le mani e la forza se fosse stato necessario. Lo stesso valeva per il resto degli sbandati che mi spalleggiavano. Ace non vedeva l’ora di difendere il suo amato e stupido fratellino; ovunque ci fossi io era ovvio che ci fosse anche Killer; la causa del battibecco, ovvero Rufy e un ghignante Trafalgar, senza la minima traccia di titubanza e tremolio alle gambe, perfettamente padrone della situazione.
Alzai le spalle, indifferente a quella sua mostra di autocontrollo e tornai a concentrarmi sui volti di quei guastafeste. Se non si fossero messi in mezzo avrei sicuramente vinto la gara, poco ma sicuro, ormai era chiaro che tutti stavano per cedere.
«Bene gente, ci penso io a sbarazzarmi di questi qui e vi farò il favore di darvi una mano in caso di bisogno» affermai, facendo un passo avanti e assumendo un’aria spavalda. Era chiaro che il più grosso ero io, il resto erano tutti piuttosto smilzi, perciò mi sembrò una buona azione prendere le loro difese e riservare tutto il divertimento per me. A conti ben fatti, non ero così egoista, mi preoccupavo solamente per la loro salute.
«Non ci pensare nemmeno! Li sistemo io!». Come se non ci fosse nulla di più importante al mondo, Rufy si precipitò al mio fianco, trattenuto a fatica dal fratello, e si tirò su le maniche del maglione rosso di due taglie più grandi, mostrando i pugni in segno di sfida.
«Non sperare di prenderti tutto il merito» aggiunse poi il medicastro, ghignando sadicamente in direzione dei nostri avversari, i quali non aspettavano altro che iniziare una classica rissa da bar, sperando forse di metterci al tappeto e lasciarci a marcire per terra. Peccato per loro che le cose non si sarebbero risolte così facilmente.
«Vi ho detto di farvi da parte» ripetei stizzito. Possibile che nessuno mi desse mai ascolto? Non avevano nessuna possibilità contro di loro, chiaramente abituati ad attaccar briga ma, evidentemente dovevano sbattere la testa più volte prima di imparare la lezione.
«Dammi ancora degli ordini Eustass-ya e giuro che sarai il primo ad essere preso a calci».
Stavo quasi per colpirlo e frantumargli le ossa, ma c’era qualcuno di più impaziente di noi che, a quel punto, decise che era arrivato il momento di smetterla di parlare e passare all’azione. Rufy prese l’iniziativa di sua spontanea volontà, cogliendo di sorpresa anche i brutti ceffi di fronte a lui i quali, stupiti che un adolescente così minuto e dall’aria infantile potesse avere tanto coraggio, si ritrovarono a ricevere pugni in faccia in pochi secondi.
Quello fu il segnale per tutti e presto diventò difficile distinguere i cattivi da i buoni, se si voleva metterla in questi termini. Noi, o meglio, la maggior parte, combatteva per il rispetto mancato all’amico musicista. Killer ed io eravamo solo gli imbucati, ma accettavamo con piacere una sana competizione, qualunque fosse la causa scatenante. Eravamo tipi spericolati, io soprattutto, e metterci alla prova ci divertiva e ci dava una scarica di adrenalina di cui non potevamo fare a meno. E poi, più eravamo capaci di difenderci, meno venivamo coinvolti e presi di mira da bulli da quattro soldi o ladri, rapinatori e quant’altro. La solita gentaglia che si incontrava frequentando spesso brutti posti.
Ad un certo punto udii un inquietante crack e un urlo straziato, girandomi appena in tempo per vedere un ragazzo crollare a terra sofferente, stringendosi un polso al petto, mentre l’autore del suo male lo fissava dall’alto, con le mani nelle tasche della giacca e un’espressione compiaciuta.
Quando si accorse di essere osservato, sollevò il capo piantando un paio di occhi grigi e soddisfatti nei miei, facendomi deglutire a fatica.
Cosa gli ha fatto quel bastardo? Con quello sguardo sarebbe anche capace di averlo ammazzato. Guarda che occhi da pazzo! E’ posseduto dal Demonio, senza dubbio.
Si strinse nelle spalle, indicandomi poi con un dito di fare attenzione a chi mi stava dietro, salvandomi appena in tempo dal ricevere una pesante sprangata sulla schiena data da un bidone della spazzatura dentro al quale ci feci finire, pochi istanti più tardi, il malcapitato che aveva osato anche solo provare a rendermi inoffensivo.
Con quel colpo si concluse tutto. Li avevamo battuti senza troppa difficoltà e senza subire pesanti danni. Rufy, a discapito di tutto, non aveva nemmeno un graffio. Ace, al contrario, era ansimante e piuttosto stanco per aver fatto il doppio del lavoro nel tentativo che sulle spalle del fratello più giovane non gravassero troppi uomini con l’intento di prendere di mira il più piccolo e, secondo loro, debole. Zoro e Sanji si sostenevano a vicenda, dandosi delle confortevoli pacche sulle spalle, ma sani e senza nulla di rotto a parte qualche ematoma violaceo che spuntava già sulla superficie delle loro facce. Killer, dopo un’attenta occhiata, sembrava ancora carico e deciso a continuare se ce ne fosse stato bisogno e continuava a ripetere a Penguin-nanerottolo, il quale sembrava essersi ripreso dal malessere precedente, che il taglietto appena accennato sopra al sopracciglio non aveva bisogno di nessuna sutura.
Era andata piuttosto bene alla fine.
Mi schioccai le nocche e feci un respiro profondo sentendomi subito più leggero. La tensione accumulata durante la settimana si era affievolita e mi sentivo già più propenso a calmarmi e a non farmi prendere la mano dagli scatti d’ira. Nessuno avrebbe potuto scalfire la mia apparente tranquillità, ero troppo rilassato e contento di aver rotto qualche setto nasale.
«Ehi, Eustass-ya, speravo in qualcosa di meglio da parte tua».
Chiusi gli occhi e digrignai i denti.
A quanto pare c’è qualcuno che può farmi incazzare anche in questo momento.

Time to be alive.

 

 

 
Angolo Autrice.
Quarto capitolo arrivato! Anche qui continua Do or Die dei Mars. Comunque si, Kidd ha come mezzo di trasporto un bolide nero super cattivo che venera e che ama spingere al massimo. Ovviamente una bella rissa non poteva mancare e se avete notato qualche similitudine tra questa scena e quella dell’incontro tra questi tre personaggi a Sabaody, quando litigano per eliminare i marines, beh ci avete visto giusto. Le parole si sono scritte da sole in realtà. Poi, quanto carino non è Penguin che, anche se ubriaco marcio, fa il suo dovere e si preoccupa per Killer?
Law ha rotto il polso ad uno degli avversari. Si, è sadico, ma figo.
Kidd ha gravi problemi di autocontrollo come vedremo nel capitolo 5.
Passiamo al piccolo spoiler, giusto per non rovinarvi tutto:
 
Allungai una mano e scostai un poco le coperte per vedere in faccia la realtà che, con forza e brutalità, si stava facendo strada dentro di me.
Dio, ti prego, prendimi adesso.

*

Non riuscii a trattenermi dal lanciare un imprecazione colorita, sussultando e scattando a sedere, urtando involontariamente il corpo accanto a me e facendolo piombare con un sonoro tonfo a terra.
“Cosa cazzo ci fai a casa mia, razza di imbecille?”.
 

Sapete dove trovarmi per qualsiasi cosa. E grazie sempre a tutti, dal primo all’ultimo, davvero.
See ya,
Ace.

 

 

  
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