Capitolo primo
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Il
puntatore del mouse si fermò sulla scritta “Cersei
Lannister” in attesa che la
pagina si caricasse. Con aria annoiata, la ragazza di fronte allo
schermo del
computer osservò i dati che spuntavano sulla destra.
Frequenta: King’s Landing High
Risiede a: King’s Landing
Religione:
Culto dei Sette Dèi
Impegnata
con: Robert Baratheon
Cliccò
sull’ultima informazione, arrivando al profilo di un
avvenente diciottenne
dallo sguardo pieno di vita, che brandiva con fierezza una coppa
d’oro delle
dimensioni della sua testa. Scorrendo le ultime immagini caricate, la
sua
fidanzata lo vide circondare con un possente braccio le spalle
dell’amico Ned,
ballare in discoteca con un bicchiere di qualche cocktail pesante in
mano,
stringere alcune ragazze sconosciute, tenere per mano la bella Cersei
– e solo
in quella foto, notò lei, gli mancava il sorriso.
Sorse
invece sul volto della maggiore dei Lannister quando lo
notò, un sorriso simile
a un sogghigno: suo fratello minore – il
nano – avrebbe detto che
quell’espressione rivelava i suoi pensieri, che
somigliavano a un “Se non sono felice io, non hai diritto di
esserlo neanche
tu.” Avrebbe avuto ragione.
Il
suo IPhone squillò, costringendola ad alzarsi dal letto per
rispondere; quando
vide il volto grasso di Wanda, Cersei storse il naso e chiuse la
chiamata, pur
consapevole che presto o tardi le sarebbe toccato parlarle. Chiuse con
un colpo
secco il portatile e si sedette alla scrivania per finire i compiti:
come
prevedibile, era riuscita a scrivere il tema di psicologia e a
terminare gli
esercizi di fisica, ma trigonometria le dava ancora qualche problema.
Estrasse
la penna decisa a concludere tutto prima dell’appuntamento
con le sue amiche,
ma poggiandola sul quaderno si accorse che era finito
l’inchiostro; nel
cercarne un’altra nei cassetti della scrivania, le sue mani
trovarono una
vecchia cornice che Cersei aveva perfino dimenticato di avere messo
via. La
foto era stata scattata sette anni prima e ritraeva la famiglia
Lannister al
completo.
“No,
non siamo tutti. Lo siamo stati solo fino all’arrivo del
mostro.”
Il
“mostro” sorrideva tra le braccia del fratello
maggiore, agitando la piccola
manina. Aveva tre anni, ma la sua statura non sarebbe cresciuta di
molto nel
corso del tempo: avrebbe fatto meglio a non ridere quel patetico assassino. Se non fosse stato per lui,
in quella foto – accanto all’austero Tywin
Lannister, il direttore della
Westeros Bank – sarebbe apparsa anche Joanna, bella e fiera
com’era stata
perfino il giorno della sua morte, quando dando alla luce Tyrion aveva
represso
i gemiti di dolore mordendosi le labbra. Invece della vecchia famiglia,
“quella
vera” come la chiamava Cersei, restavano solo suo padre e i
due gemelli. Jaime
aveva gli stessi occhi verdi e i capelli dorati della sorella, ma era
stato il
solo a voler tenere in braccio Tyrion, l’unico a considerarlo
parte della
famiglia. Cersei accarezzò l’immagine del fratello
gemello, soffermandosi a
riflettere su quanto il suo volto – come quello di lei
– promettesse bellezza e
popolarità fin dai dieci anni…
Eppure
la popolarità di cui godeva Jaime era ben diversa da quella
di Cersei: a lui
non interessava uscire con gli studenti di ottima famiglia e ottenere
buoni
vuoti e riconoscimenti dalla scuola; Jaime sembrava divertirsi solo
facendosi
riprendere in continuazione dai professori e ascoltando musica a tutto
volume.
A Cersei non dispiaceva avere l’impressione di ascoltarla
insieme a lui, divisi
com’erano da una sottile parete rossa, ma avrebbe voluto che
suo fratello fosse
meno infantile e più predisposto allo studio.
D’altra parte, le redini della
società del padre sarebbero state prese da lei, per cui non
doveva preoccuparsi
dell’istruzione di Jaime.
Questo
le fece ricordare che doveva ancora concludere gli esercizi di
trigonometria.
Ripose nel cassetto la cornice e tolse il tappo alla nuova penna, ma in
quel
momento il suo telefono segnalò l’arrivo di un
messaggio.
“Lysa
è arrivata, maledizione.”
Avrebbe
dovuto rimandare lo studio alla sera, perché quello che
doveva fare al momento
era più importante di qualsiasi ripasso. E rispondeva al
nome di “shopping”.
Non
che lei acquistasse abiti nei centri commerciali, ma aveva bisogno di
guardare
le vetrine con le sue amiche per scegliere il vestito più
adatto e scattargli
una foto, così che il sarto rinomato che aveva vestito i
fratelli Lannister fin
da bambini potesse cucire una creazione simile a quella adocchiata da
lei.
Simile, non identica: il suo sarto avrebbe dato vita a un abito che
solo lei
avrebbe potuto indossare.
Si
mise un filo di trucco, confidando nella sua bellezza naturale, e
afferrò la
borsetta che giaceva sul letto. I suoi passi risuonarono nella casa
vuota: suo
padre era ancora a lavoro, la tata di Tyrion lo aveva accompagnato
dalla
fisioterapista e Jaime era chissà dove nella
città. Cersei sperava solo che non
si mettere nei casini, un giorno o l’altro.
Lysa
e Wanda attendevano nella macchina che il vecchio Hoster Tully aveva
prestato
alla figlia, ma Cersei passò loro accanto e salì
nella decapottabile rossa che
Tywin le aveva regalato per il sedicesimo compleanno; non disse nulla,
aspettò
solo che le sue amiche la raggiungessero.
«Sei
bellissima oggi, Cersei.» Walda la Grassa montò a
fatica nei sedili posteriori,
armeggiando con il seno prosperoso che le ostacolava ogni movimento. Si
diceva
che Walder Frey avrebbe dato come dote delle figlie e delle nipoti una
somma
pari al loro peso e solo questo poteva spiegare la costante presenza di
ragazzi
intorno a lei.
«Come
se fosse possibile per lei essere brutta»
ridacchiò Lysa, prendendo posto nel
sedile del passeggero. Scosse la testa per far ondeggiare i lunghi
capelli e
Cersei pensò che se stava cercando di risultare bella anche
lei aveva
decisamente fallito in partenza.
Walda
e Lysa, le ragazze che ronzavano sempre intorno all’ape
regina: Walda era del
terzo anno come lei, Lysa del secondo e la loro amicizia con Cersei le
rendeva
orgogliose e corteggiate da diversi studenti della King’s
Landing High. Loro
credevano che lo facessero per il fascino innato o una sorprendente
intelligenza, ma Cersei era l’unica a vedere realmente come
stavano le cose. E
cioè che Hoster Tully e Walder Frey grondavano denaro,
l’uno proprietario del
prestigioso hotel Trident nonché preside della scuola e
l’altro direttore della
più grande compagnia di assicurazioni del paese.
Lo
vedeva bene, perché era lo stesso motivo che aveva spinto
lei ad avvicinare le
sue ragazze. Con il tempo erano diventate “amiche”,
si poteva dire, ma non le
avrebbe mai degnate di confidenze preziose. Le interessava solo
stringere
legami con le loro famiglie.
Mise
in modo e avvertì la brezza primaverile agitarle i capelli
dorati, annuendo di
tanto in tanto per fingere di ascoltare le incessanti chiacchiere di
Lysa. I
suoi pensieri erano concentrati sull’abito perfetto che
avrebbe indossato in
occasione dell’incoronazione da reginetta della scuola;
doveva trovare la
stoffa e le scarpe adatte, oltre a occuparsi del completo di Robert,
ovviamente
coordinato al suo. Ricordò la foto che aveva visto poco
prima, ricordò anche la
freddezza con cui lui le aveva preso la mano: non c’era amore
tra di loro, solo
lo stesso tipo di legame che teneva unite Cersei, Lysa e Wanda.
Oltre
a un ardente desiderio di vendetta.
*****
«È
permesso?»
«Oh,
sei qui, meno male!»
Brienne
rimase sulla soglia, in attesa che l’unico studente facente
parte del SAC
recuperasse dal tavolo i fogli della riunione e li raccogliesse in una
cartellina, che mise poi diligentemente nella borsa. Lo
osservò con cura,
soffermandosi sulle dita che si affrettavano tra le fotocopie e i
documenti,
sui radi peli che spuntavano dagli avambracci scoperti, sul riflesso
della luce
artificiale dei lampadari sugli occhi scuri, sulle labbra increspate
nel
costante sorriso; Brienne non lo osservò con lo sguardo del
capo del Consiglio
Studentesco e vide tanti particolari che i suoi compagni – ne
era certa – non
avevano mai notato.
Soprattutto
perché erano impegnati a elogiare il fascino e il talento
sportivo del fratello
maggiore: capitano della squadra di football, organizzatore delle feste
più
popolari nonché fidanzato dell’indiscussa
reginetta della scuola, Robert
Baratheon aveva il fascino necessario a far passare chiunque in secondo
piano.
Chiunque, perfino suo fratello Renly, che tutta la scuola amava per
l’ottimo
ruolo svolto nel SAC da quando aveva iniziato a farne parte. Renly non
sembrava
curarsi di essere messo in ombra da Robert, però, e al
contrario era ben felice
di aiutarlo quando le sue folli idee rischiavano di farlo finire nei
guai.
«Il
preside Tully vuole che gli porti questi documenti»
esordì Renly, annientando
il silenzio che era calato nella stanza, mentre estraeva altre
cartelline
dall’armadio all’angolo. «E la
professoressa Tyrell esige che Jon le consegni
la lista degli studenti del terzo anno che non hanno intenzione di
frequentare
il college, così potrà “metterli a
cucire rose e fare soufflé, almeno si
renderanno utili”, parole sue.»
«Il
consiglio è andato bene?»
«Ottimamente,
direi. Eccetto per il momento in cui il vecchio Frey ha rischiato di
passare a
miglior vita in nostra presenza; per fortuna qualcuno gli ha ricordato
che ha
un matrimonio da organizzare, altrimenti sarebbe restato in silenzio
fino a
perdere conoscenza.» Renly rise, divertito dalla sua stessa
battuta. Brienne
represse un sorriso.
«Ha
intenzione di far parte del SAC anche il prossimo anno?»
«Sicuro,
uno dei suoi figli più piccoli sta per iscriversi alla
nostra scuola, insieme a
un paio di nipoti. Nipoti del ragazzo, intendo dire. Che hanno la sua
stessa
età.»
«Walder
Frey dovrebbe capire che è arrivato il momento di smettere
di giocare.»
«Non
lo farà» asserì Renly con una smorfia.
«Sforna assicurazioni ogni giorno e
quelle che servono a lui sono i suoi figli: non si darà pace
finché non sarà
certo che almeno un figlio su cento sia degno di ereditare la Frey
Insurance.»
«A
proposito di genitori, ho incontrato Rickard Stark mentre venivo qui,
l’ho
visto parlare con il docente di Biologia.»
«Ah,
il professor Pycelle! O “maestro”, come preferisce
essere chiamato lui. Ecco,
immagina che bel comitato è il nostro: Frey e Pycelle
rischiano di lasciarci le
penne durante ogni riunione, Olenna Tyrell non fa che sparare
frecciatine a
Stark e ai “lupi”, come lui chiama i suoi figli,
senza dargli il tempo di
replicare e poi ci sono io, il più giovane, che deve badare
a tutti loro. Ora
capisco perché il preside Tully fosse così restio
a farmi entrare nel comitato.
Troppe responsabilità, certo, ma credevo si riferisse agli
studenti.» Mise
sottobraccio le cartelle prelevate dall’armadio e ne
consegnò una a Brienne.
«Bene, andiamo.»
«A
chi devo portarla?»
«A
Jon Arryn, così ne approfitti per farti dare quella lista
– sperando che la
professoressa Tyrell non voglia davvero prendersela con quei poveri
studenti
del tuo anno! Sai dove si trova l’ufficio del counselor,
vero?»
Brienne
annuì. «Ci ho passato parecchio tempo, negli
ultimi mesi.»
«Bene.
Ti va di prendere una boccata d’aria?»
La
proposta di Renly fu improvvisa quanto piacevole. Brienne avrebbe
dovuto
ammettere che doveva ancora scrivere un tema per il giorno successivo,
presentare il verbale dell’ultima riunione del consiglio
studentesco e in più,
come lui le aveva chiesto, passare da Arryn, ma nel cielo
c’erano poche nuvole,
l’aria era calda e il suo cuore batteva più
velocemente quando aveva Renly
accanto.
«Sì»
acconsentì, seguendolo fuori dall’edificio
scolastico.
«Mi
servirebbe del riposo di tanto in tanto» confessò
lui. Si sedette sugli spalti
del campo da football e inspirò profondamente. «Le
lezioni, il consiglio, gli
esami di fine anno… Non ho più tempo neanche per
guardare un film.»
«Tuttavia
il lavoro che stiamo facendo adesso ci sarà utile in
futuro.»
Renly
ridacchiò. «Tipico di te, Brienne Tarth,
sottolineare l’aspetto onorevole
e vantaggioso di tutto ciò. A
proposito di “vantaggioso”, come sta andando il
ruolo di Ditocorto nel
consiglio studentesco?»
«Baelish?
Fa bene il suo lavoro, riesce sempre a trovare i fondi per organizzare
gli
eventi scolastici. Ha chiesto di potersi occupare personalmente del
prom.»
«Mi
sembra un’ottima idea, se davvero è in grado di
far apparire soldi dal nulla
come si dice.»
«È
così.»
“Le
lezioni, il consiglio, gli esami di fine anno”: tutto
ciò avrebbe dovuto
spronare Brienne ad abbandonare quella pausa e tornare tra le mura
della
scuola, ma poter passare qualche minuto in compagnia di Renly sembrava
quasi un
sogno…
«Ehi,
Renly!»
…
un sogno destinato a finire in fretta.
Brienne
osservò – e quanto poi
se ne pentì –
gli occhi del suo amato illuminarsi senza l’aiuto della luce
del sole o di una
lampadina alogena, mentre si posavano sul ragazzo in pantaloncini corti
che si
era avvicinato agli spalti.
«Loras,
ciao!»
Loras
Tyrell era bello; era
oggettivamente
bello, con i folti capelli ricci ancora bagnati – Brienne
immaginò che avesse
appena finito di svolgere il suo ruolo come capitano della squadra di
pallanuoto – e le guance rasate. La sua era bellezza
femminea, delicata, così
in contrasto con quella di Robert, eppure le sue ammiratrici alla
King’s
Landing High erano lo stesso numero del fidanzato di Cersei Lannister.
Ammiratrici che, stando a sentire le voci, avrebbero fatto meglio a
perdere la
testa per un altro ragazzo.
“Come
avrei dovuto fare io.”
Brienne
si alzò nel momento esatto in cui Loras li raggiunse.
«Scusate,» disse, «ma
devo correre a consegnare questi documenti prima che Jon vada
via.»
«Ah,
già, è vero. Mi dispiace averti distratta dal tuo
compito, Brienne.» Renly le
rivolse una smorfia mortificata.
Lei
avrebbe voluto rassicurarlo, dirgli che era stata felice di prendersi
qualche
minuto di pausa, ma la sensazione di un pugno alla gola glielo
impedì; si
limitò a fare un brusco cenno di saluto a entrambi e scese
gli spalti,
sentendosi una stupida.
Non
doveva dare adito alle chiacchiere che circolavano nella scuola, era un
comportamento da sciocchi: Renly e Loras erano amici da quando il
capitano di
pallanuoto era entrato alla King’s Landing High tre anni
prima e passavano
parecchio tempo insieme, ma questo non significava che fra loro ci
fosse
qualcosa più di una profonda amicizia. Si stimavano
reciprocamente, molto
probabile, e negli ultimi tempi Renly era stato più vicino a
Loras per aiutarlo
nella scelta del college; tutto finiva lì, però,
e quando Renly avrebbe
lasciato la scuola al termine di quell’anno per completare
gli studi in una
scuola estera…
“Abbandonerà
anche me.”
No,
non era questo a cui doveva pensare. Una volta che lui si fosse
trasferito
dalla King’s Landing High, Brienne avrebbe potuto prendere il
suo posto nel
Comitato Avvertenze Scolastiche; questo significava abbandonare il
Consiglio
Studentesco, ma lei era certa che Peter Baelish sarebbe stato un valido
sostituto. Già, non doveva pensare a cos’altro
avrebbe significato dire addio a
Renly, senza sapere dove sarebbe…
Il
suo sguardo fu attirato improvvisamente da una figura che, vedendola
arrivare, si
era nascosta dietro uno degli alberi del cortile. Brienne avrebbe fatto
finta
di niente, se qualche istante dopo non avesse notato una striscia di
fumo
nell’aria. Pur sapendo cosa – o meglio chi
– avrebbe trovato, pur consapevole che poco lontano da
lì Jon Arryn stava
lasciando l’edificio scolastico per tornare a casa, Brienne
fece un balzo per
cogliere sul fatto l’incauto studente.
«Oh,
sei tu! Mi hai fatto prendere un colpo, donzella»
esclamò Lannister con un
leggero sussulto. «Dovresti annunciare la tua presenza, la
prossima volta.»
Brienne
gli strappò la sigaretta di mano, la gettò a
terra e la spense con la punta
delle scarpe. Era adirata. «È vietato fumare a
scuola!» soffiò, fuori di sé. La
cartellina che teneva sottobraccio pareva urlare
“Urgente”.
«Non
lo sapevo, grazie dell’informazione.» Senza penarsi
di lei, Lannister estrasse
un’altra sigaretta dal pacchetto che teneva in tasca e
armeggiò con
l’accendino. «Accidenti, non funziona…
Non è che hai da accendere?»
Doveva portarlo dal
preside, di questo era consapevole; doveva trascinarlo fino al suo
ufficio
senza perderlo un momento di vista, attendere che Hoster Tully
terminasse la
sua ramanzina e affidare quello studente ribelle a un professore
– ma di
professori, ormai, non dovevano essercene più nessuno e
ciò voleva dire che
avrebbe dovuto assistere lei alla
sua
punizione. Gettò un’occhiata al parcheggio: Jon
stava cercando le chiavi della
macchina nella borsa di pelle.
«Non
ho tempo da perdere con te» disse a Lannister,
sequestrandogli pacchetto e
accendino. Fece per andarsene quando lui parlò di nuovo.
«Ehi,
niente preside oggi?»
Continuò
a camminare.
«Mi
stai lasciando andare? E i tuoi
doveri di capo del consiglio?»
Non
doveva ascoltarlo.
«Oh,
là c’è il caro Jon! Potrei raggiungerlo
e dirgli che ti ho beccata mentre
fumavi; d’altronde hai anche il corpo del
reato…»
«Non
ti crederebbe mai» mormorò Brienne, ma stava
cominciando a perdere la pazienza.
«Beh,
ma crederà facilmente alla storia di uno studente scoperto
nell’atto di infrangere
le regole e lasciato andare senza alcuna punizione. Gli
basterà sentire sui
miei vestiti l’odore del fumo…»
«Che
cosa vuoi?» sbottò infine,
inchiodando e voltandosi verso di lui.
Lannister
si strinse nelle spalle. «Solo divertirmi un
po’.»
«D’accordo,
aspetta che vada a parlare con Jon e poi tornerò a
prenderti…»
«Oh,
ma in quel caso io non sarò più qui»
sghignazzò.
«HEADSLAYER!»
Brienne gli diede un colpo con il palmo della mano in pieno petto.
Ormai era
disperata, tra lo stress dei doveri e degli esami, le voci che
circolavano
nella scuola e la presenza costante nella sua vita della persona che
più
detestava al mondo. «Devo consegnare questi documenti a Jon
prima che vada via,
scrivere il verbale della riunione del consiglio, studiare…
Cosa devo fare per
farti smettere?!»
«Esci
con me.»
Sbatté
le palpebre, certa di non aver capito bene.
«Co-cosa?»
«Non
ti sto chiedendo un appuntamento, donzella. Mi dispiace, ma non sei
proprio il
mio tipo. Voglio solo vedere come sei fuori da scuola e magari
sfidarti… che
so, a una partita a bowling?»
Ormai
erano a pochi metri dal parcheggio, ma Jon aveva trovato le chiavi e
stava
aprendo la portiera. Le restava solo una manciata di secondi.
«A
biliardo» decise in fretta. «Alle nove da Flea
Bottom.»
Lannister
storse le labbra in un ghigno divertito. «Non vedo
l’ora.»
*****
Il
Flea Bottom era, molto probabilmente, l’ultimo posto in cui
Jaime avrebbe
immaginato di trovare il capo del Consiglio Studentesco: si trattava di
un
locale malfamato, sul quale circolavano le peggiori leggende
metropolitane e
che veniva frequentato esclusivamente da poco di buono o studenti che
avevano
abbandonato il percorso di studi. Il posto perfetto per il ragazzo che
stava
diventando lui, a pensarci bene: forse Tarth voleva dargli un assaggio
di
quella che sarebbe stata la sua vita se non avesse smesso di fare il
ribelle.
“Ma
ne ho bisogno,” pensò, ispirando il fumo dalla
sigaretta.
Era
il modo migliore che aveva per fuggire, perché lui era strano – malato, degenerato
– e allora a cosa serviva impegnarsi
per diventare l’erede di Tywin Lannister quando ciascuno dei
Sette Dèi giocava
a suo sfavore?
Non
doveva pensarci. Spense la sigaretta e lanciò
un’occhiata alla strada: dovevano
essere le nove ormai e Tarth ancora non si vedeva. Gli avrebbe dato
buca? No,
non era il tipo, era fin troppo onorevole e amante del dovere. Jaime
stava
pensando di avvicinarsi al parcheggio per andarle incontro, temendo che
qualcuno avrebbe potuto aggredirla, ma in quel preciso istante la
“donzella”
comparve all’orizzonte, le mani che riponevano nella borsa un
mazzo di chiavi,
e lui continuò a sostare sulla soglia del locale. Vedendola
incedere con
sicurezza, si chiese anche come avesse potuto pensare che esistesse un
uomo
tanto stupido da cercare grane con quell’enorme orso biondo.
“Cazzo,
se è brutta.”
Per
fortuna aveva avuto la decenza di non mettersi un abito scollato o roba
del
genere – ma, di questo, Jaime fu lieto soprattutto
perché così lei stava
evitando di offrirsi come bersaglio di un mucchio di motociclisti
pronti a
deriderla. Attese che si avvicinasse e le rivolse un sogghigno
compiaciuto.
«Benvenuta,
donzella» la apostrofò con un finto inchino.
«Spero che il posto sia di suo
gradimento.»
«Altrimenti
non l’avrei scelto» si limitò a
mugugnare Tarth, superandolo e facendo il suo
ingresso nel Flea Bottom. Jaime la seguì immediatamente.
Il
locale era rimasto come le due volte in cui lui era stato lì
per prendere una
sbronza: c’era puzza di fumo e una nebbiolina aleggiava tra i
clienti, mentre
una barista piuttosto succinta sui trent’anni si faceva largo
tra di loro,
accogliendo con un sorriso malizioso le pacche sul sedere. Alcuni
uomini ancora
in abiti da operai si stavano concedendo una birra intorno al tavolo al
centro
del pub; il loro aspetto era poco rassicurante, ma ben presto per Jaime
fu
chiaro che non avrebbero fatto del male a una mosca e che, al
contrario, il
proprietario del locale sembrava utilizzarli per impedire agli altri
avventori
di prodigarsi in scazzottate. C’erano diversi tavoli liberi,
ma Jaime preferì
avvicinarsi al bancone e prendere posto su uno degli sgabelli.
“Vediamo
se questa pertica riuscirà a reggersi qui sopra.”
Ci
riuscì, dopo aver barcollato un po’.
«Ti
offro da bere.»
«Posso
pagarmelo da sola, Lannister.»
«Allora
pagati il tuo primo drink, se tieni tanto al tuo stupido orgoglio.
Vorrà dire
che ti offrirò il secondo giro, il terzo, il quarto: bevi
pure fin quanto
riesci a fare entrare in quel tuo gigantesco corpo.»
«Non
devi darti arie solo perché sei pieno di soldi.»
«E
a che serve essere pieni di soldi se non per darsi arie?»
Jaime fece un cenno
al corpulento barista. «Una birra scura. E la gentile
donzella prende…?»
«Un’altra
birra. Chiara.»
Il
barista borbottò qualcosa, apparentemente infastidito, poi
tirò fuori dal lavandino
due bicchieri macchiati e li restituì loro quando furono
pieni di schiumosa
birra nera.
Jaime
ridacchiò. «A quanto pare, devi adattarti al loro
menù.»
Tarth
aggrottò la fronte, ma non replicò;
avvicinò invece il bicchiere al volto, lo
annusò e bevve un sorso della birra.
«Perché
hai scelto questo posto?»
«È
il primo che mi sia venuto in mente pensando al biliardo.»
«Non
conosci altri locali? Devi venire in questa… Senza offesa,
amico» Jaime si
rivolse al barista, che si limitò a grugnire. «Bettola?»
«Qui
non hanno problemi a giocare contro una donna.»
Jaime
scoppiò a ridere. «Mi sembra un’ottima
motivazione: rischio di infezione e di
malattie mortali, norme igieniche neanche prese in considerazione,
pessima
compagnia, ma non ti trattano come una
donzella. Vorrei davvero possedere la tua furbizia, mi
aiuterebbe molto
nella vita. Perlomeno se avessi intenzione di morire giovane e con un
coltello
da macellaio infilato nelle budella.»
Lei
aggrottò di nuovo la fronte, ma scelse di non rispondere
alla provocazione.
Quella serata non si stava rivelando divertente come Jaime aveva
prospettato.
Mandò giù il resto della birra in silenzio,
osservando due operai sulla
cinquantina che si sfidavano a biliardo; la barista succinta
provò ad
abbordarlo diverse volte, fingendo di doversi chinare per pulire il
balcone e
tentando di dargli una bella visuale dell’abbondante seno, ma
Jaime non la
degnò di attenzione.
C’era
una sola donna nella sua vita.
E,
a quel pensiero, ordinò rapidamente un bicchiere di vodka,
lo bevve in un sorso
e lo sbatté sul bancone, alzandosi. «Su, fammi
vedere quanto sei brava.»
Lo
era, brava. Lui non se ne rese conto finché non si accorse
del suo gioco:
sembrava che fosse in grado di reggere una stecca tra le mani, ma senza
conoscere
le regole del biliardo, perché per diversi turni le sue
palle non rischiarono nemmeno
di entrare in buca; solo in seguito Tarth si rivelò
un’ottima giocatrice.
Tendeva le braccia sul tavolo, concentrandosi sullo schema migliore da
attuare,
e dopo un po’ arrivò persino a rilassarsi e a
permettersi qualche sorriso di
scherno da rivolgere a Jaime. Invece che dargli fastidio,
però, quel
comportamento lo fece sentire meglio.
«Mi
concedi una rivincita, donzella? Credo di essere un po’
arrugginito… La mia
stecca è scivolosa, aggiungerei.»
Tarth
si tolse il giacchetto e lo lanciò sulla sedia vicina,
scoprendo le possenti
braccia. La maglietta bianca che indossava enfatizzava ancora di
più le
ridicole dimensioni del suo seno e Jaime si chiese se in quel luogo
nessuno la
trattasse da donna perché la massa di imbecilli che
frequentava il locale non
si era accorta che lo fosse.
«Bella
scusa, Headslayer. Perché non ammetti che una donna ti sta
stracciando?»
«Concedimi
quella rivincita e potrai vantarti che si tratta davvero di
questo.»
Dopo
un paio di tentate rivincite, tuttavia, Jaime cominciò a
irritarsi: “Brienne la
Bella”, come era soprannominata a scuola, impugnava la stecca
con la stessa
attenzione di una spada, tenendola poi ritta davanti a sé
mentre studiava le
mosse del suo avversario e questo atteggiamento lo innervosiva. Si
riteneva
bravo nel biliardo – si esercitava spesso con quello che
aveva in casa, contro
un Tyrion che doveva arrampicarsi su una sedia per tirare - e allora
perché
sembrava impossibile battere Tarth?
«Sai,
donzella, se impiegassi la stessa abilità nel cercarti un
uomo, di sicuro
saresti piena di pretendenti nonostante la tua brutta faccia.»
«Non
mi interessano i pretendenti.»
Ma
Jaime doveva aver colto nel segno, perché le guance della
ragazza arrossirono
lievemente.
«Nessuno
vuole sposare la figlia di un gioielliere?»
insisté, approfittando del suo
momentaneo imbarazzo per mandare un colpo in buca. «Si dice
che gli zaffiri che
vende tuo padre siano i più pregiati della
città.»
Tarth
rimase in silenzio, concentrata sul gioco.
«Eppure
è impossibile che dentro quell’enorme corpo non ci
sia un cuore.»
«Certo
che c’è un cuore.»
«E
non ha mai battuto per qualcuno? Non ti rattrista essere sempre
sola?»
«Non
ti ho mai visto con una donna» sbottò, voltandosi
verso di lui. «Non sfogare la
tua frustrazione su di me come fai sulla scuola.»
Jaime
rimase momentaneamente interdetto. «Frustra…?
Credi davvero che sia frustrato
perché non ho nessuno che mi scaldi il
letto?» Ancora una volta, Tarth non rispose, così
lui continuò: «Le donne che
mi faccio, non le prendo certo da scuola. Faccio un giro in qualche
locale, ne
abbordo una e me la fotto, e il giorno può pure andarsene a
fanculo.»
Non
era vero: l’unica persona di cui gli fosse realmente
importato qualcosa non lo
avrebbe mai degnato di uno sguardo – se non come un fratello.
Lui, però, non
avvertiva il bisogno di soddisfare le proprie voglie con
un’altra donna, stava
bene così; forse avrebbe cominciato, un giorno, ma non ora.
Ora nella sua mente
vagava solo l’immagine di Cersei.
Decise
di allontanare l’attenzione da sé. «E
tu? Qualcuno ha mai avuto il coraggio di
fotterti? Per quanto tempo passi dentro la scuola, gli unici che
potrebbero
farlo sono il vecchio Tully, i professori o i tuoi sudditi
del consiglio… Ah, dimenticavo il piccolo
Baratheon: anche
lui deve aver preso un posto letto nella scuola. Ma quello non
c’è rischio che
ti guardi, è troppo impegnato a farselo mettere dentro
da...»
Qualcosa
lo sollevò da terra e lo spinse contro la parete, facendo
crollare a terra la
stecca e l’ennesimo bicchiere di vodka che stava bevendo. A
pochi centimetri
dalla sua faccia, i denti storti di Tarth gli ringhiavano contro e
Jaime si
aspettò di vedere la sua bocca schiumare.
«Chiudi
quella bocca.»
«Perché?»
la sfidò. «È Renly il ragazzo perbene
che vorresti presentare al tuo paparino?»
«Non
parlare di lui.»
«Gli
hai mai detto che ti piace? No, certo che no: sei fin troppo uomo per i
suoi
gusti.»
«BASTA!»
L’urlo
di Brienne la Bella fece voltare tutti i presenti nel pub, che smisero
di colpo
di ridere e parlare. Jaime la fissò negli occhi azzurri,
improvvisamente serio.
«Non
lo biasimo» mormorò, calmo. «E non
biasimo nemmeno te. Non possiamo scegliere
chi amare.»
Le
stesse parole che gli avevano attraversato la mente qualche giorno
prima,
accompagnate dalla stessa malinconia; quasi non si accorse che Tarth
l’aveva
lasciato andare, che gli aveva rivolto un ultimo sguardo tra il furioso
e il
sospettoso e che infine, dopo aver raccolto il giacchetto e la borsa,
era
uscita dal Flea Bottom. Jaime rimase qualche istante assorto nei propri
pensieri, la schiena ancora poggiata al muro, poi scosse la testa e
decise di
riprendersi e di abbandonare quel locale di merda. Avanzò
verso il bancone e
lasciò una banconota di grosso taglio – neanche
controllò quanti soldi fossero
– alla barista, che lo stava guardando con gli occhi
sgarrati, probabilmente
sorpresa della scena che aveva appena visto.
«Ripagaci
pure il bicchiere rotto e, che ne so, qualche cazzata come i
“danni morali”.»
Gli
operai, invece, si erano immersi di nuovo nella loro conversazione,
come se una
ragazza che urlava contro un suo coetaneo non fosse degno del loro
intervento;
forse avevano visto delle coppie avere delle scenata del genere, forse
non
credevano che una donna avrebbe potuto mai rappresentare un serio
pericolo per
un uomo, a Jaime non importava. Lasciò il Flea Bottom e si
diresse verso la
strada di casa, consapevole che a quell’ora non ci fossero
più autobus e che
avrebbe dovuto farsi una lunga camminata; sperava solo che, al suo
arrivo,
sarebbe stato troppo stanco per passare un’altra notte
insonne a pensare a sua
sorella.
«Non
lo
biasimo.»
Alcune
voci dal parcheggio del locale attirarono la sua attenzione. Jaime si
fermò,
pensò per un momento di proseguire e infine udì
una voce conosciuta gridare:
«Lasciatemi!»
Senza
riflettere oltre, si fiondò verso il parcheggio per scoprire
un gruppo di
cinque uomini ammassato intorno a un gigante dalle fattezze femminili;
per
qualche strana ragione, il gigante stava avendo la peggio, ma
c’era un altro
aggressore poco lontano che imprecava, tenendosi tra le mani il volto
pieno di
sangue.
«Mi
ha spaccato il naso! Quella troia mi ha spaccato il naso!»
La
sua voce raschiata, decise Jaime, non gli piaceva, così si
avvicinò a lui e gli
assestò un colpo dietro la nuca per farlo svenire. Poi
pensò che la cosa
migliore da fare fosse allontanare gli aggressori dalla loro vittima.
«Ehilà,
gente!» urlò, facendoli voltare. «Che ne
dite di lasciar stare la donzella e
farvi offrire qualcosa da bere? La barista mi deve dei soldi.»
Le
labbra spezzate di Tarth si mossero a formare, sorprese, la domanda:
«Lannister?»
Uno
di quegli uomini – quello che sembrava un caprone e che aveva
tutta l’aria di
essere il capo della gang – scrocchiò le dita e si
fece avanti con un sogghigno
divertito sul volto barbuto. «Ehi, ragazzi, il figlio di
papà vuole offrirci da
bere.»
Per
tutta risposta, Jaime sfoggiò il suo migliore sorriso.
«Mi avete riconosciuto,
quindi.»
«Si
sente la puzza di Tywin Lannister lontano un miglio,
ragazzino.»
«Stando
a ciò che si dice di mio padre, dev’essere la
mancetta che mi ha dato ieri.
Allora, ragazzi, cosa ne pensate? Volete un giro di birra?»
Il
caprone scoppiò in una risata sgradevole, rauca, e con un
gesto secco della
mano fece avvicinare i suoi compagni. «Non ci piacciono i
figli di papà»
rispose. «Né tantomeno i Lannister.»
«Come
non detto, speravo potessimo diventare amici. Ehi, donzella, si va a
casa.»
«Io
non credo proprio.»
Jaime
aveva osato troppo: riuscì a schivare il colpo di uno dei
malviventi, ma non fu
in grado di proteggersi dal secondo pugno che volò dritto
contro il suo
stomaco. Fu costretto a piegarsi e il suo avversario ne
approfittò per piantare
un altro colpo contro la sua schiena. Sentì Tarth gridare
poco lontano, ma la
fulminò con lo sguardo per avvisarla di non muoversi:
quell’unica occhiata gli
fece capire che lei stessa era consapevole di non poter fare nulla,
perché si
teneva il braccio destro come se fosse rotto. Il caprone e il suo
gruppo
andarono avanti per un po’, riempendolo di calci alle gambe e
allo sterno,
sputandogli addosso e spingendogli il volto nel fango; Jaime
provò a reagire
per quanto riuscì, ma era impossibile cavarsela uno contro
cinque. E Tarth, per
quanto inutile, sembrava essere sparita.
«Eccoli!»
sentì poi la sua voce gridare.
Gli
operai erano con lei, ma Jaime poté solo immaginarlo,
perché la testa gli
doleva in modo pazzesco e la sua vista era coperta dal fango. Non
riusciva
nemmeno a muovere le gambe.
«Lannister!»
Tarth si chinò accanto a lui, pulendogli lo sporco dal viso
e sollevandogli il
mento per controllare una ferita che Jaime non poteva vedere.
«Stai bene?»
«Non
sono un giocattolo che si rompe facilmente» rispose Jaime con
un accenno di
risata che lo fece tossire.
Il
volto preoccupato e livido di Tarth divenne sfocato, poi scomparve del
tutto.
Prima di tutto, perdonate il preoccupante ritardo con cui aggiorno. Mi dispiace, ho impiegato un sacco per scrivere questo capitolo, spero non sarà così anche per i prossimi.
Sì.
Certo.
Voglio proprio vedere, mh.
L'importante è che l'aggiornamento arriverà, su questo non ci sono dubbi.
Un grazie immenso ad A g n e, che mi ha dato una mano ache con questo capitolo nonostante gli impegni in Inghilterra. Ti voglio bene, donna ♥
In questo capitolo (per la precisione nella terza parte) ci sono dei richiami alla storia originale di Mart- della serie tv. Della serie, ovvio. Non si può scrivere sui libri *si appunta anche questo*. Alcune frasi del dialogo fra Jaime e Brienne sono riprese dalla terza stagione ("I don't blame you" e così via), come lo sono il tentativo di stupro da cui lui la salva e la vendetta che subirà. Il capo del gruppetto di assalitori ha l'aspetto di un caprone a causa della barba appuntita che ha nella serie tv; non c'entra niente l'originale Vargo Hoat, il Caprone, perché non si può scrivere sui libri. Pura casualità. Nella serie tv, Jaime salva Brienne a caro prezzo, ma qui ho preferito salvargli la mano: trovato che amputargliene una non fosse adatto al contesto moderno. E poi Jaime mi ha implorato di fargli andare bene almeno una storia.
Il SAC è il Consiglio Avvertenze Scolastiche americano, composto da uno studente, due professori e due rappresentanti dei genitori. Il Flea Bottom è un richiamo al Fondo delle Pulci che nella serie tv dev'essere certamente stato nomintato. Sì, di sicuro. Non mi baso sui libri.
Grazie a tutti per avere atteso e per aver letto anche questo capitolo, grazie anche a chi ha messo la storia nelle preferite/ricordate/seguite o l'ha recensita ♥
A presto!
Medusa, a Lannister