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Autore: MedusaNoir    27/10/2013    4 recensioni
Brienne Tarth, capo del Consiglio Studentesco, ha un problema che non riesce a risolvere; un problema biondo, arrogante e che risponde al nome di Jaime Lannister. Per causa sua, deve saltare ore di lezione e presentarsi quasi ogni giorno nell'ufficio del preside, ma l'"Headslayer" non pare curarsene: a lui importa solo poter fumare a scuola, fare impazzire i professori e stare il più possibile lontano dalla sorella Cersei, per la quale prova un amore che definisce "malato, folle".
Jaime si diverte a punzecchiare Brienne, che lo vorrebbe espulso dalla King's Landing High una volta per tutte, ma situazioni inaspettate potrebbero portare alla nascita di una nuova amicizia... e a trasformare Jaime Lannister in un vero "cuor di leone".
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Brienne di Tarth, Cersei Lannister, Jaime Lannister, Loras Tyrell, Renly Baratheon
Note: AU | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo primo

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Il puntatore del mouse si fermò sulla scritta “Cersei Lannister” in attesa che la pagina si caricasse. Con aria annoiata, la ragazza di fronte allo schermo del computer osservò i dati che spuntavano sulla destra.

 

Frequenta: King’s Landing High

Risiede a: King’s Landing

Religione: Culto dei Sette Dèi

Impegnata con: Robert Baratheon

 

Cliccò sull’ultima informazione, arrivando al profilo di un avvenente diciottenne dallo sguardo pieno di vita, che brandiva con fierezza una coppa d’oro delle dimensioni della sua testa. Scorrendo le ultime immagini caricate, la sua fidanzata lo vide circondare con un possente braccio le spalle dell’amico Ned, ballare in discoteca con un bicchiere di qualche cocktail pesante in mano, stringere alcune ragazze sconosciute, tenere per mano la bella Cersei – e solo in quella foto, notò lei, gli mancava il sorriso.

Sorse invece sul volto della maggiore dei Lannister quando lo notò, un sorriso simile a un sogghigno: suo fratello minore – il nano – avrebbe detto che quell’espressione rivelava i suoi pensieri, che somigliavano a un “Se non sono felice io, non hai diritto di esserlo neanche tu.” Avrebbe avuto ragione.

Il suo IPhone squillò, costringendola ad alzarsi dal letto per rispondere; quando vide il volto grasso di Wanda, Cersei storse il naso e chiuse la chiamata, pur consapevole che presto o tardi le sarebbe toccato parlarle. Chiuse con un colpo secco il portatile e si sedette alla scrivania per finire i compiti: come prevedibile, era riuscita a scrivere il tema di psicologia e a terminare gli esercizi di fisica, ma trigonometria le dava ancora qualche problema. Estrasse la penna decisa a concludere tutto prima dell’appuntamento con le sue amiche, ma poggiandola sul quaderno si accorse che era finito l’inchiostro; nel cercarne un’altra nei cassetti della scrivania, le sue mani trovarono una vecchia cornice che Cersei aveva perfino dimenticato di avere messo via. La foto era stata scattata sette anni prima e ritraeva la famiglia Lannister al completo.

“No, non siamo tutti. Lo siamo stati solo fino all’arrivo del mostro.”

Il “mostro” sorrideva tra le braccia del fratello maggiore, agitando la piccola manina. Aveva tre anni, ma la sua statura non sarebbe cresciuta di molto nel corso del tempo: avrebbe fatto meglio a non ridere quel patetico assassino. Se non fosse stato per lui, in quella foto – accanto all’austero Tywin Lannister, il direttore della Westeros Bank – sarebbe apparsa anche Joanna, bella e fiera com’era stata perfino il giorno della sua morte, quando dando alla luce Tyrion aveva represso i gemiti di dolore mordendosi le labbra. Invece della vecchia famiglia, “quella vera” come la chiamava Cersei, restavano solo suo padre e i due gemelli. Jaime aveva gli stessi occhi verdi e i capelli dorati della sorella, ma era stato il solo a voler tenere in braccio Tyrion, l’unico a considerarlo parte della famiglia. Cersei accarezzò l’immagine del fratello gemello, soffermandosi a riflettere su quanto il suo volto – come quello di lei – promettesse bellezza e popolarità fin dai dieci anni…

Eppure la popolarità di cui godeva Jaime era ben diversa da quella di Cersei: a lui non interessava uscire con gli studenti di ottima famiglia e ottenere buoni vuoti e riconoscimenti dalla scuola; Jaime sembrava divertirsi solo facendosi riprendere in continuazione dai professori e ascoltando musica a tutto volume. A Cersei non dispiaceva avere l’impressione di ascoltarla insieme a lui, divisi com’erano da una sottile parete rossa, ma avrebbe voluto che suo fratello fosse meno infantile e più predisposto allo studio. D’altra parte, le redini della società del padre sarebbero state prese da lei, per cui non doveva preoccuparsi dell’istruzione di Jaime.

Questo le fece ricordare che doveva ancora concludere gli esercizi di trigonometria. Ripose nel cassetto la cornice e tolse il tappo alla nuova penna, ma in quel momento il suo telefono segnalò l’arrivo di un messaggio.

“Lysa è arrivata, maledizione.”

Avrebbe dovuto rimandare lo studio alla sera, perché quello che doveva fare al momento era più importante di qualsiasi ripasso. E rispondeva al nome di “shopping”.

Non che lei acquistasse abiti nei centri commerciali, ma aveva bisogno di guardare le vetrine con le sue amiche per scegliere il vestito più adatto e scattargli una foto, così che il sarto rinomato che aveva vestito i fratelli Lannister fin da bambini potesse cucire una creazione simile a quella adocchiata da lei. Simile, non identica: il suo sarto avrebbe dato vita a un abito che solo lei avrebbe potuto indossare.

Si mise un filo di trucco, confidando nella sua bellezza naturale, e afferrò la borsetta che giaceva sul letto. I suoi passi risuonarono nella casa vuota: suo padre era ancora a lavoro, la tata di Tyrion lo aveva accompagnato dalla fisioterapista e Jaime era chissà dove nella città. Cersei sperava solo che non si mettere nei casini, un giorno o l’altro.

Lysa e Wanda attendevano nella macchina che il vecchio Hoster Tully aveva prestato alla figlia, ma Cersei passò loro accanto e salì nella decapottabile rossa che Tywin le aveva regalato per il sedicesimo compleanno; non disse nulla, aspettò solo che le sue amiche la raggiungessero.

«Sei bellissima oggi, Cersei.» Walda la Grassa montò a fatica nei sedili posteriori, armeggiando con il seno prosperoso che le ostacolava ogni movimento. Si diceva che Walder Frey avrebbe dato come dote delle figlie e delle nipoti una somma pari al loro peso e solo questo poteva spiegare la costante presenza di ragazzi intorno a lei.

«Come se fosse possibile per lei essere brutta» ridacchiò Lysa, prendendo posto nel sedile del passeggero. Scosse la testa per far ondeggiare i lunghi capelli e Cersei pensò che se stava cercando di risultare bella anche lei aveva decisamente fallito in partenza.

Walda e Lysa, le ragazze che ronzavano sempre intorno all’ape regina: Walda era del terzo anno come lei, Lysa del secondo e la loro amicizia con Cersei le rendeva orgogliose e corteggiate da diversi studenti della King’s Landing High. Loro credevano che lo facessero per il fascino innato o una sorprendente intelligenza, ma Cersei era l’unica a vedere realmente come stavano le cose. E cioè che Hoster Tully e Walder Frey grondavano denaro, l’uno proprietario del prestigioso hotel Trident nonché preside della scuola e l’altro direttore della più grande compagnia di assicurazioni del paese.

Lo vedeva bene, perché era lo stesso motivo che aveva spinto lei ad avvicinare le sue ragazze. Con il tempo erano diventate “amiche”, si poteva dire, ma non le avrebbe mai degnate di confidenze preziose. Le interessava solo stringere legami con le loro famiglie.

Mise in modo e avvertì la brezza primaverile agitarle i capelli dorati, annuendo di tanto in tanto per fingere di ascoltare le incessanti chiacchiere di Lysa. I suoi pensieri erano concentrati sull’abito perfetto che avrebbe indossato in occasione dell’incoronazione da reginetta della scuola; doveva trovare la stoffa e le scarpe adatte, oltre a occuparsi del completo di Robert, ovviamente coordinato al suo. Ricordò la foto che aveva visto poco prima, ricordò anche la freddezza con cui lui le aveva preso la mano: non c’era amore tra di loro, solo lo stesso tipo di legame che teneva unite Cersei, Lysa e Wanda.

Oltre a un ardente desiderio di vendetta.

 

*****

 

«È permesso?»

«Oh, sei qui, meno male!»

Brienne rimase sulla soglia, in attesa che l’unico studente facente parte del SAC recuperasse dal tavolo i fogli della riunione e li raccogliesse in una cartellina, che mise poi diligentemente nella borsa. Lo osservò con cura, soffermandosi sulle dita che si affrettavano tra le fotocopie e i documenti, sui radi peli che spuntavano dagli avambracci scoperti, sul riflesso della luce artificiale dei lampadari sugli occhi scuri, sulle labbra increspate nel costante sorriso; Brienne non lo osservò con lo sguardo del capo del Consiglio Studentesco e vide tanti particolari che i suoi compagni – ne era certa – non avevano mai notato.

Soprattutto perché erano impegnati a elogiare il fascino e il talento sportivo del fratello maggiore: capitano della squadra di football, organizzatore delle feste più popolari nonché fidanzato dell’indiscussa reginetta della scuola, Robert Baratheon aveva il fascino necessario a far passare chiunque in secondo piano. Chiunque, perfino suo fratello Renly, che tutta la scuola amava per l’ottimo ruolo svolto nel SAC da quando aveva iniziato a farne parte. Renly non sembrava curarsi di essere messo in ombra da Robert, però, e al contrario era ben felice di aiutarlo quando le sue folli idee rischiavano di farlo finire nei guai.

«Il preside Tully vuole che gli porti questi documenti» esordì Renly, annientando il silenzio che era calato nella stanza, mentre estraeva altre cartelline dall’armadio all’angolo. «E la professoressa Tyrell esige che Jon le consegni la lista degli studenti del terzo anno che non hanno intenzione di frequentare il college, così potrà “metterli a cucire rose e fare soufflé, almeno si renderanno utili”, parole sue.»

«Il consiglio è andato bene?»

«Ottimamente, direi. Eccetto per il momento in cui il vecchio Frey ha rischiato di passare a miglior vita in nostra presenza; per fortuna qualcuno gli ha ricordato che ha un matrimonio da organizzare, altrimenti sarebbe restato in silenzio fino a perdere conoscenza.» Renly rise, divertito dalla sua stessa battuta. Brienne represse un sorriso.

«Ha intenzione di far parte del SAC anche il prossimo anno?»

«Sicuro, uno dei suoi figli più piccoli sta per iscriversi alla nostra scuola, insieme a un paio di nipoti. Nipoti del ragazzo, intendo dire. Che hanno la sua stessa età.»

«Walder Frey dovrebbe capire che è arrivato il momento di smettere di giocare.»

«Non lo farà» asserì Renly con una smorfia. «Sforna assicurazioni ogni giorno e quelle che servono a lui sono i suoi figli: non si darà pace finché non sarà certo che almeno un figlio su cento sia degno di ereditare la Frey Insurance.»

«A proposito di genitori, ho incontrato Rickard Stark mentre venivo qui, l’ho visto parlare con il docente di Biologia.»

«Ah, il professor Pycelle! O “maestro”, come preferisce essere chiamato lui. Ecco, immagina che bel comitato è il nostro: Frey e Pycelle rischiano di lasciarci le penne durante ogni riunione, Olenna Tyrell non fa che sparare frecciatine a Stark e ai “lupi”, come lui chiama i suoi figli, senza dargli il tempo di replicare e poi ci sono io, il più giovane, che deve badare a tutti loro. Ora capisco perché il preside Tully fosse così restio a farmi entrare nel comitato. Troppe responsabilità, certo, ma credevo si riferisse agli studenti.» Mise sottobraccio le cartelle prelevate dall’armadio e ne consegnò una a Brienne. «Bene, andiamo.»

«A chi devo portarla?»

«A Jon Arryn, così ne approfitti per farti dare quella lista – sperando che la professoressa Tyrell non voglia davvero prendersela con quei poveri studenti del tuo anno! Sai dove si trova l’ufficio del counselor, vero?»

Brienne annuì. «Ci ho passato parecchio tempo, negli ultimi mesi.»

«Bene. Ti va di prendere una boccata d’aria?»

La proposta di Renly fu improvvisa quanto piacevole. Brienne avrebbe dovuto ammettere che doveva ancora scrivere un tema per il giorno successivo, presentare il verbale dell’ultima riunione del consiglio studentesco e in più, come lui le aveva chiesto, passare da Arryn, ma nel cielo c’erano poche nuvole, l’aria era calda e il suo cuore batteva più velocemente quando aveva Renly accanto.

«Sì» acconsentì, seguendolo fuori dall’edificio scolastico.

«Mi servirebbe del riposo di tanto in tanto» confessò lui. Si sedette sugli spalti del campo da football e inspirò profondamente. «Le lezioni, il consiglio, gli esami di fine anno… Non ho più tempo neanche per guardare un film.»

«Tuttavia il lavoro che stiamo facendo adesso ci sarà utile in futuro.»

Renly ridacchiò. «Tipico di te, Brienne Tarth, sottolineare l’aspetto onorevole e vantaggioso di tutto ciò. A proposito di “vantaggioso”, come sta andando il ruolo di Ditocorto nel consiglio studentesco?»

«Baelish? Fa bene il suo lavoro, riesce sempre a trovare i fondi per organizzare gli eventi scolastici. Ha chiesto di potersi occupare personalmente del prom.»

«Mi sembra un’ottima idea, se davvero è in grado di far apparire soldi dal nulla come si dice.»

«È così.»

“Le lezioni, il consiglio, gli esami di fine anno”: tutto ciò avrebbe dovuto spronare Brienne ad abbandonare quella pausa e tornare tra le mura della scuola, ma poter passare qualche minuto in compagnia di Renly sembrava quasi un sogno…

«Ehi, Renly!»

… un sogno destinato a finire in fretta.

Brienne osservò – e quanto poi se ne pentì – gli occhi del suo amato illuminarsi senza l’aiuto della luce del sole o di una lampadina alogena, mentre si posavano sul ragazzo in pantaloncini corti che si era avvicinato agli spalti.

«Loras, ciao!»

Loras Tyrell era bello; era oggettivamente bello, con i folti capelli ricci ancora bagnati – Brienne immaginò che avesse appena finito di svolgere il suo ruolo come capitano della squadra di pallanuoto – e le guance rasate. La sua era bellezza femminea, delicata, così in contrasto con quella di Robert, eppure le sue ammiratrici alla King’s Landing High erano lo stesso numero del fidanzato di Cersei Lannister. Ammiratrici che, stando a sentire le voci, avrebbero fatto meglio a perdere la testa per un altro ragazzo.

“Come avrei dovuto fare io.”

Brienne si alzò nel momento esatto in cui Loras li raggiunse. «Scusate,» disse, «ma devo correre a consegnare questi documenti prima che Jon vada via.»

«Ah, già, è vero. Mi dispiace averti distratta dal tuo compito, Brienne.» Renly le rivolse una smorfia mortificata.

Lei avrebbe voluto rassicurarlo, dirgli che era stata felice di prendersi qualche minuto di pausa, ma la sensazione di un pugno alla gola glielo impedì; si limitò a fare un brusco cenno di saluto a entrambi e scese gli spalti, sentendosi una stupida.

Non doveva dare adito alle chiacchiere che circolavano nella scuola, era un comportamento da sciocchi: Renly e Loras erano amici da quando il capitano di pallanuoto era entrato alla King’s Landing High tre anni prima e passavano parecchio tempo insieme, ma questo non significava che fra loro ci fosse qualcosa più di una profonda amicizia. Si stimavano reciprocamente, molto probabile, e negli ultimi tempi Renly era stato più vicino a Loras per aiutarlo nella scelta del college; tutto finiva lì, però, e quando Renly avrebbe lasciato la scuola al termine di quell’anno per completare gli studi in una scuola estera…

“Abbandonerà anche me.”

No, non era questo a cui doveva pensare. Una volta che lui si fosse trasferito dalla King’s Landing High, Brienne avrebbe potuto prendere il suo posto nel Comitato Avvertenze Scolastiche; questo significava abbandonare il Consiglio Studentesco, ma lei era certa che Peter Baelish sarebbe stato un valido sostituto. Già, non doveva pensare a cos’altro avrebbe significato dire addio a Renly, senza sapere dove sarebbe…

Il suo sguardo fu attirato improvvisamente da una figura che, vedendola arrivare, si era nascosta dietro uno degli alberi del cortile. Brienne avrebbe fatto finta di niente, se qualche istante dopo non avesse notato una striscia di fumo nell’aria. Pur sapendo cosa – o meglio chi – avrebbe trovato, pur consapevole che poco lontano da lì Jon Arryn stava lasciando l’edificio scolastico per tornare a casa, Brienne fece un balzo per cogliere sul fatto l’incauto studente.

«Oh, sei tu! Mi hai fatto prendere un colpo, donzella» esclamò Lannister con un leggero sussulto. «Dovresti annunciare la tua presenza, la prossima volta.»

Brienne gli strappò la sigaretta di mano, la gettò a terra e la spense con la punta delle scarpe. Era adirata. «È vietato fumare a scuola!» soffiò, fuori di sé. La cartellina che teneva sottobraccio pareva urlare “Urgente”.

«Non lo sapevo, grazie dell’informazione.» Senza penarsi di lei, Lannister estrasse un’altra sigaretta dal pacchetto che teneva in tasca e armeggiò con l’accendino. «Accidenti, non funziona… Non è che hai da accendere?»

Doveva portarlo dal preside, di questo era consapevole; doveva trascinarlo fino al suo ufficio senza perderlo un momento di vista, attendere che Hoster Tully terminasse la sua ramanzina e affidare quello studente ribelle a un professore – ma di professori, ormai, non dovevano essercene più nessuno e ciò voleva dire che avrebbe dovuto assistere lei alla sua punizione. Gettò un’occhiata al parcheggio: Jon stava cercando le chiavi della macchina nella borsa di pelle.

«Non ho tempo da perdere con te» disse a Lannister, sequestrandogli pacchetto e accendino. Fece per andarsene quando lui parlò di nuovo.

«Ehi, niente preside oggi?»

Continuò a camminare.

«Mi stai lasciando andare? E i tuoi doveri di capo del consiglio?»

Non doveva ascoltarlo.

«Oh, là c’è il caro Jon! Potrei raggiungerlo e dirgli che ti ho beccata mentre fumavi; d’altronde hai anche il corpo del reato…»

«Non ti crederebbe mai» mormorò Brienne, ma stava cominciando a perdere la pazienza.

«Beh, ma crederà facilmente alla storia di uno studente scoperto nell’atto di infrangere le regole e lasciato andare senza alcuna punizione. Gli basterà sentire sui miei vestiti l’odore del fumo…»

«Che cosa vuoi?» sbottò infine, inchiodando e voltandosi verso di lui.

Lannister si strinse nelle spalle. «Solo divertirmi un po’.»

«D’accordo, aspetta che vada a parlare con Jon e poi tornerò a prenderti…»

«Oh, ma in quel caso io non sarò più qui» sghignazzò.

«HEADSLAYER!» Brienne gli diede un colpo con il palmo della mano in pieno petto. Ormai era disperata, tra lo stress dei doveri e degli esami, le voci che circolavano nella scuola e la presenza costante nella sua vita della persona che più detestava al mondo. «Devo consegnare questi documenti a Jon prima che vada via, scrivere il verbale della riunione del consiglio, studiare… Cosa devo fare per farti smettere?!»

«Esci con me.»

Sbatté le palpebre, certa di non aver capito bene. «Co-cosa?»

«Non ti sto chiedendo un appuntamento, donzella. Mi dispiace, ma non sei proprio il mio tipo. Voglio solo vedere come sei fuori da scuola e magari sfidarti… che so, a una partita a bowling?»

Ormai erano a pochi metri dal parcheggio, ma Jon aveva trovato le chiavi e stava aprendo la portiera. Le restava solo una manciata di secondi.

«A biliardo» decise in fretta. «Alle nove da Flea Bottom.»

Lannister storse le labbra in un ghigno divertito. «Non vedo l’ora.»

 

*****

 

Il Flea Bottom era, molto probabilmente, l’ultimo posto in cui Jaime avrebbe immaginato di trovare il capo del Consiglio Studentesco: si trattava di un locale malfamato, sul quale circolavano le peggiori leggende metropolitane e che veniva frequentato esclusivamente da poco di buono o studenti che avevano abbandonato il percorso di studi. Il posto perfetto per il ragazzo che stava diventando lui, a pensarci bene: forse Tarth voleva dargli un assaggio di quella che sarebbe stata la sua vita se non avesse smesso di fare il ribelle.

“Ma ne ho bisogno,” pensò, ispirando il fumo dalla sigaretta.

Era il modo migliore che aveva per fuggire, perché lui era strano – malato, degenerato – e allora a cosa serviva impegnarsi per diventare l’erede di Tywin Lannister quando ciascuno dei Sette Dèi giocava a suo sfavore?

Non doveva pensarci. Spense la sigaretta e lanciò un’occhiata alla strada: dovevano essere le nove ormai e Tarth ancora non si vedeva. Gli avrebbe dato buca? No, non era il tipo, era fin troppo onorevole e amante del dovere. Jaime stava pensando di avvicinarsi al parcheggio per andarle incontro, temendo che qualcuno avrebbe potuto aggredirla, ma in quel preciso istante la “donzella” comparve all’orizzonte, le mani che riponevano nella borsa un mazzo di chiavi, e lui continuò a sostare sulla soglia del locale. Vedendola incedere con sicurezza, si chiese anche come avesse potuto pensare che esistesse un uomo tanto stupido da cercare grane con quell’enorme orso biondo.

“Cazzo, se è brutta.”

Per fortuna aveva avuto la decenza di non mettersi un abito scollato o roba del genere – ma, di questo, Jaime fu lieto soprattutto perché così lei stava evitando di offrirsi come bersaglio di un mucchio di motociclisti pronti a deriderla. Attese che si avvicinasse e le rivolse un sogghigno compiaciuto.

«Benvenuta, donzella» la apostrofò con un finto inchino. «Spero che il posto sia di suo gradimento.»

«Altrimenti non l’avrei scelto» si limitò a mugugnare Tarth, superandolo e facendo il suo ingresso nel Flea Bottom. Jaime la seguì immediatamente.

Il locale era rimasto come le due volte in cui lui era stato lì per prendere una sbronza: c’era puzza di fumo e una nebbiolina aleggiava tra i clienti, mentre una barista piuttosto succinta sui trent’anni si faceva largo tra di loro, accogliendo con un sorriso malizioso le pacche sul sedere. Alcuni uomini ancora in abiti da operai si stavano concedendo una birra intorno al tavolo al centro del pub; il loro aspetto era poco rassicurante, ma ben presto per Jaime fu chiaro che non avrebbero fatto del male a una mosca e che, al contrario, il proprietario del locale sembrava utilizzarli per impedire agli altri avventori di prodigarsi in scazzottate. C’erano diversi tavoli liberi, ma Jaime preferì avvicinarsi al bancone e prendere posto su uno degli sgabelli.

“Vediamo se questa pertica riuscirà a reggersi qui sopra.”

Ci riuscì, dopo aver barcollato un po’.

«Ti offro da bere.»

«Posso pagarmelo da sola, Lannister.»

«Allora pagati il tuo primo drink, se tieni tanto al tuo stupido orgoglio. Vorrà dire che ti offrirò il secondo giro, il terzo, il quarto: bevi pure fin quanto riesci a fare entrare in quel tuo gigantesco corpo.»

«Non devi darti arie solo perché sei pieno di soldi.»

«E a che serve essere pieni di soldi se non per darsi arie?» Jaime fece un cenno al corpulento barista. «Una birra scura. E la gentile donzella prende…?»

«Un’altra birra. Chiara.»

Il barista borbottò qualcosa, apparentemente infastidito, poi tirò fuori dal lavandino due bicchieri macchiati e li restituì loro quando furono pieni di schiumosa birra nera.

Jaime ridacchiò. «A quanto pare, devi adattarti al loro menù.»

Tarth aggrottò la fronte, ma non replicò; avvicinò invece il bicchiere al volto, lo annusò e bevve un sorso della birra.

«Perché hai scelto questo posto?»

«È il primo che mi sia venuto in mente pensando al biliardo.»

«Non conosci altri locali? Devi venire in questa… Senza offesa, amico» Jaime si rivolse al barista, che si limitò a grugnire. «Bettola

«Qui non hanno problemi a giocare contro una donna.»

Jaime scoppiò a ridere. «Mi sembra un’ottima motivazione: rischio di infezione e di malattie mortali, norme igieniche neanche prese in considerazione, pessima compagnia, ma non ti trattano come una donzella. Vorrei davvero possedere la tua furbizia, mi aiuterebbe molto nella vita. Perlomeno se avessi intenzione di morire giovane e con un coltello da macellaio infilato nelle budella.»

Lei aggrottò di nuovo la fronte, ma scelse di non rispondere alla provocazione. Quella serata non si stava rivelando divertente come Jaime aveva prospettato. Mandò giù il resto della birra in silenzio, osservando due operai sulla cinquantina che si sfidavano a biliardo; la barista succinta provò ad abbordarlo diverse volte, fingendo di doversi chinare per pulire il balcone e tentando di dargli una bella visuale dell’abbondante seno, ma Jaime non la degnò di attenzione.

C’era una sola donna nella sua vita.

E, a quel pensiero, ordinò rapidamente un bicchiere di vodka, lo bevve in un sorso e lo sbatté sul bancone, alzandosi. «Su, fammi vedere quanto sei brava.»

Lo era, brava. Lui non se ne rese conto finché non si accorse del suo gioco: sembrava che fosse in grado di reggere una stecca tra le mani, ma senza conoscere le regole del biliardo, perché per diversi turni le sue palle non rischiarono nemmeno di entrare in buca; solo in seguito Tarth si rivelò un’ottima giocatrice. Tendeva le braccia sul tavolo, concentrandosi sullo schema migliore da attuare, e dopo un po’ arrivò persino a rilassarsi e a permettersi qualche sorriso di scherno da rivolgere a Jaime. Invece che dargli fastidio, però, quel comportamento lo fece sentire meglio.

«Mi concedi una rivincita, donzella? Credo di essere un po’ arrugginito… La mia stecca è scivolosa, aggiungerei.»

Tarth si tolse il giacchetto e lo lanciò sulla sedia vicina, scoprendo le possenti braccia. La maglietta bianca che indossava enfatizzava ancora di più le ridicole dimensioni del suo seno e Jaime si chiese se in quel luogo nessuno la trattasse da donna perché la massa di imbecilli che frequentava il locale non si era accorta che lo fosse.

«Bella scusa, Headslayer. Perché non ammetti che una donna ti sta stracciando?»

«Concedimi quella rivincita e potrai vantarti che si tratta davvero di questo.»

Dopo un paio di tentate rivincite, tuttavia, Jaime cominciò a irritarsi: “Brienne la Bella”, come era soprannominata a scuola, impugnava la stecca con la stessa attenzione di una spada, tenendola poi ritta davanti a sé mentre studiava le mosse del suo avversario e questo atteggiamento lo innervosiva. Si riteneva bravo nel biliardo – si esercitava spesso con quello che aveva in casa, contro un Tyrion che doveva arrampicarsi su una sedia per tirare - e allora perché sembrava impossibile battere Tarth?

«Sai, donzella, se impiegassi la stessa abilità nel cercarti un uomo, di sicuro saresti piena di pretendenti nonostante la tua brutta faccia.»

«Non mi interessano i pretendenti.»

Ma Jaime doveva aver colto nel segno, perché le guance della ragazza arrossirono lievemente.

«Nessuno vuole sposare la figlia di un gioielliere?» insisté, approfittando del suo momentaneo imbarazzo per mandare un colpo in buca. «Si dice che gli zaffiri che vende tuo padre siano i più pregiati della città.»

Tarth rimase in silenzio, concentrata sul gioco.

«Eppure è impossibile che dentro quell’enorme corpo non ci sia un cuore.»

«Certo che c’è un cuore.»

«E non ha mai battuto per qualcuno? Non ti rattrista essere sempre sola?»

«Non ti ho mai visto con una donna» sbottò, voltandosi verso di lui. «Non sfogare la tua frustrazione su di me come fai sulla scuola.»

Jaime rimase momentaneamente interdetto. «Frustra…? Credi davvero che sia frustrato perché non ho nessuno che mi scaldi il letto?» Ancora una volta, Tarth non rispose, così lui continuò: «Le donne che mi faccio, non le prendo certo da scuola. Faccio un giro in qualche locale, ne abbordo una e me la fotto, e il giorno può pure andarsene a fanculo.»

Non era vero: l’unica persona di cui gli fosse realmente importato qualcosa non lo avrebbe mai degnato di uno sguardo – se non come un fratello. Lui, però, non avvertiva il bisogno di soddisfare le proprie voglie con un’altra donna, stava bene così; forse avrebbe cominciato, un giorno, ma non ora. Ora nella sua mente vagava solo l’immagine di Cersei.

Decise di allontanare l’attenzione da sé. «E tu? Qualcuno ha mai avuto il coraggio di fotterti? Per quanto tempo passi dentro la scuola, gli unici che potrebbero farlo sono il vecchio Tully, i professori o i tuoi sudditi del consiglio… Ah, dimenticavo il piccolo Baratheon: anche lui deve aver preso un posto letto nella scuola. Ma quello non c’è rischio che ti guardi, è troppo impegnato a farselo mettere dentro da...»

Qualcosa lo sollevò da terra e lo spinse contro la parete, facendo crollare a terra la stecca e l’ennesimo bicchiere di vodka che stava bevendo. A pochi centimetri dalla sua faccia, i denti storti di Tarth gli ringhiavano contro e Jaime si aspettò di vedere la sua bocca schiumare.

«Chiudi quella bocca.»

«Perché?» la sfidò. «È Renly il ragazzo perbene che vorresti presentare al tuo paparino?»

«Non parlare di lui

«Gli hai mai detto che ti piace? No, certo che no: sei fin troppo uomo per i suoi gusti.»

«BASTA!»

L’urlo di Brienne la Bella fece voltare tutti i presenti nel pub, che smisero di colpo di ridere e parlare. Jaime la fissò negli occhi azzurri, improvvisamente serio.

«Non lo biasimo» mormorò, calmo. «E non biasimo nemmeno te. Non possiamo scegliere chi amare.»

Le stesse parole che gli avevano attraversato la mente qualche giorno prima, accompagnate dalla stessa malinconia; quasi non si accorse che Tarth l’aveva lasciato andare, che gli aveva rivolto un ultimo sguardo tra il furioso e il sospettoso e che infine, dopo aver raccolto il giacchetto e la borsa, era uscita dal Flea Bottom. Jaime rimase qualche istante assorto nei propri pensieri, la schiena ancora poggiata al muro, poi scosse la testa e decise di riprendersi e di abbandonare quel locale di merda. Avanzò verso il bancone e lasciò una banconota di grosso taglio – neanche controllò quanti soldi fossero – alla barista, che lo stava guardando con gli occhi sgarrati, probabilmente sorpresa della scena che aveva appena visto.

«Ripagaci pure il bicchiere rotto e, che ne so, qualche cazzata come i “danni morali”.»

Gli operai, invece, si erano immersi di nuovo nella loro conversazione, come se una ragazza che urlava contro un suo coetaneo non fosse degno del loro intervento; forse avevano visto delle coppie avere delle scenata del genere, forse non credevano che una donna avrebbe potuto mai rappresentare un serio pericolo per un uomo, a Jaime non importava. Lasciò il Flea Bottom e si diresse verso la strada di casa, consapevole che a quell’ora non ci fossero più autobus e che avrebbe dovuto farsi una lunga camminata; sperava solo che, al suo arrivo, sarebbe stato troppo stanco per passare un’altra notte insonne a pensare a sua sorella.

«Non lo biasimo.»

Alcune voci dal parcheggio del locale attirarono la sua attenzione. Jaime si fermò, pensò per un momento di proseguire e infine udì una voce conosciuta gridare: «Lasciatemi!»

Senza riflettere oltre, si fiondò verso il parcheggio per scoprire un gruppo di cinque uomini ammassato intorno a un gigante dalle fattezze femminili; per qualche strana ragione, il gigante stava avendo la peggio, ma c’era un altro aggressore poco lontano che imprecava, tenendosi tra le mani il volto pieno di sangue.

«Mi ha spaccato il naso! Quella troia mi ha spaccato il naso!»

La sua voce raschiata, decise Jaime, non gli piaceva, così si avvicinò a lui e gli assestò un colpo dietro la nuca per farlo svenire. Poi pensò che la cosa migliore da fare fosse allontanare gli aggressori dalla loro vittima.

«Ehilà, gente!» urlò, facendoli voltare. «Che ne dite di lasciar stare la donzella e farvi offrire qualcosa da bere? La barista mi deve dei soldi.»

Le labbra spezzate di Tarth si mossero a formare, sorprese, la domanda: «Lannister?»

Uno di quegli uomini – quello che sembrava un caprone e che aveva tutta l’aria di essere il capo della gang – scrocchiò le dita e si fece avanti con un sogghigno divertito sul volto barbuto. «Ehi, ragazzi, il figlio di papà vuole offrirci da bere.»

Per tutta risposta, Jaime sfoggiò il suo migliore sorriso. «Mi avete riconosciuto, quindi.»

«Si sente la puzza di Tywin Lannister lontano un miglio, ragazzino.»

«Stando a ciò che si dice di mio padre, dev’essere la mancetta che mi ha dato ieri. Allora, ragazzi, cosa ne pensate? Volete un giro di birra?»

Il caprone scoppiò in una risata sgradevole, rauca, e con un gesto secco della mano fece avvicinare i suoi compagni. «Non ci piacciono i figli di papà» rispose. «Né tantomeno i Lannister.»

«Come non detto, speravo potessimo diventare amici. Ehi, donzella, si va a casa.»

«Io non credo proprio.»

Jaime aveva osato troppo: riuscì a schivare il colpo di uno dei malviventi, ma non fu in grado di proteggersi dal secondo pugno che volò dritto contro il suo stomaco. Fu costretto a piegarsi e il suo avversario ne approfittò per piantare un altro colpo contro la sua schiena. Sentì Tarth gridare poco lontano, ma la fulminò con lo sguardo per avvisarla di non muoversi: quell’unica occhiata gli fece capire che lei stessa era consapevole di non poter fare nulla, perché si teneva il braccio destro come se fosse rotto. Il caprone e il suo gruppo andarono avanti per un po’, riempendolo di calci alle gambe e allo sterno, sputandogli addosso e spingendogli il volto nel fango; Jaime provò a reagire per quanto riuscì, ma era impossibile cavarsela uno contro cinque. E Tarth, per quanto inutile, sembrava essere sparita.

«Eccoli!» sentì poi la sua voce gridare.

Gli operai erano con lei, ma Jaime poté solo immaginarlo, perché la testa gli doleva in modo pazzesco e la sua vista era coperta dal fango. Non riusciva nemmeno a muovere le gambe.

«Lannister!» Tarth si chinò accanto a lui, pulendogli lo sporco dal viso e sollevandogli il mento per controllare una ferita che Jaime non poteva vedere. «Stai bene?»

«Non sono un giocattolo che si rompe facilmente» rispose Jaime con un accenno di risata che lo fece tossire.

Il volto preoccupato e livido di Tarth divenne sfocato, poi scomparve del tutto.








Prima di tutto, perdonate il preoccupante ritardo con cui aggiorno. Mi dispiace, ho impiegato un sacco per scrivere questo capitolo, spero non sarà così anche per i prossimi.
Sì.
Certo.
Voglio proprio vedere, mh.
L'importante è che l'aggiornamento arriverà, su questo non ci sono dubbi.
Un grazie immenso ad A g n e, che mi ha dato una mano ache con questo capitolo nonostante gli impegni in Inghilterra. Ti voglio bene, donna ♥
In questo capitolo (per la precisione nella terza parte) ci sono dei richiami alla storia originale di Mart- della serie tv. Della serie, ovvio. Non si può scrivere sui libri *si appunta anche questo*. Alcune frasi del dialogo fra Jaime e Brienne sono riprese dalla terza stagione ("I don't blame you" e così via), come lo sono il tentativo di stupro da cui lui la salva e la vendetta che subirà. Il capo del gruppetto di assalitori ha l'aspetto di un caprone a causa della barba appuntita che ha nella serie tv; non c'entra niente l'originale Vargo Hoat, il Caprone, perché non si può scrivere sui libri. Pura casualità. Nella serie tv, Jaime salva Brienne a caro prezzo, ma qui ho preferito salvargli la mano: trovato che amputargliene una non fosse adatto al contesto moderno. E poi Jaime mi ha implorato di fargli andare bene almeno una storia.
Il SAC è il Consiglio Avvertenze Scolastiche americano, composto da uno studente, due professori e due rappresentanti dei genitori. Il Flea Bottom è un richiamo al Fondo delle Pulci che nella serie tv dev'essere certamente stato nomintato. Sì, di sicuro. Non mi baso sui libri.
Grazie a tutti per avere atteso e per aver letto anche questo capitolo, grazie anche a chi ha messo la storia nelle preferite/ricordate/seguite o l'ha recensita ♥
A presto!

Medusa, a Lannister
   
 
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