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Autore: TheHeartIsALonelyHunter    30/10/2013    10 recensioni
[Primo capitolo revisionato]
Questa idea mi è venuta da Mik_ che ha preso l'idea da Lunatica Lunastorta.
Quante volte avreste voluto entrare anche voi nel mondo di Harry?
Quante volte avreste voluto essere parte integrante della trama?
Quante volte avreste voluto baciare Draco Malfoy o Neville Paciock?
Quante volte avreste voluto volare su una scopa al fianco di Cedric Diggory?
Quante volte avreste voluto combattere Lord Voldemort al fianco di Harry Potter?
Quante volte avreste voluto essere la sorellafratello di Luna Lovegood?
Bè, ora avete la possibilità di farlo: in questa storia, ambientata dal quarto anno di Harry ad Hogwarts, potete entrare anche voi. Dovete solo compilare un breve questionario che metterò nel prologo e io materializzerò il vostro personaggio nella storia.
Naturalmente ci saranno anche i soliti personaggi che ci accompagneranno in questo viaggio. E ci sarò anche io tra gli studenti di Hogwarts.
Ma mi raccomando: NON rivelate qual'è il vostro personaggio. Perché? Semplicemente perché vorrei che fosse un segreto...
[ISCRIZIONI CHIUSE PER LA MIA SANITA' MENTALE]
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Cedric Diggory, Il trio protagonista, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Ron/Hermione
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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Sarah Taylor gettò molto rudemente lo zaino sul sedile, facendo sorridere Cho Chang che era già nello scompartimento da un bel pezzo.
“Questi libri…” borbottò la ragazza, massaggiandosi le spalle con la mano.
Dietro di lei, suo fratello gemello John sbirciò nello scompartimento e arricciò il naso alla vista della Chang: che tra i due non scorresse buon sangue era un fatto risaputo.
“Credo che cercherò un altro scompartimento” bisbigliò il ragazzo chinandosi verso la sorella.
A Sarah caddero le braccia.
“Non puoi continuare a evitarla per sempre” sussurrò di rimando la giovane, tenendo bene d'occhio Cho che li osservava aggrottando le sopracciglia.
“È l’ultimo anno, John, poi non la vedrai mai più!”
Il ragazzo alzò le spalle, rispondendo seccamente:
“È la tua migliore amica, non la mia”.
Detto ciò, John si voltò e sparì nel corridoio, probabilmente alla ricerca dello scompartimento di Allison Frost.
Sarah lo osservò allontanarsi con un sospiro di disappunto.
“Mi odia così tanto?” chiese Cho con la sua voce flebile.
Sarah si voltò verso la ragazza, esibendo il suo miglior sorriso per l’occasione.
“No, Cho” rispose, sedendosi sul sedile davanti all’amica. “È solo un pochino stanco…” finse, tentando di suonare il più convincente possibile. Non le piaceva dire bugie, non le piaceva affatto.
Cho parve non fare caso all’incertezza dell’amica e, con un sorriso, le strinse la mano felice.
Sarah rispose con un sorriso a 32 denti.
“Mi sei mancata, quest’estate…” disse la castana, sistemando alla bell’e meglio lo zaino sul sedile.
Cho aggrottò le sopracciglia.
“Ti ho mandato lettere ogni settimana” commentò, alzando le spalle.
“Ma non è come vederti” replicò Sarah tirando fuori dallo zaino un libro particolarmente voluminoso. “E avrò ben il diritto di vedere la mia migliore amica” disse, passandosi dietro l’orecchio una ciocca di capelli (se capelli si potevano definire quella massa marrone corta che aveva in testa).
“Cedric non c’è?” domandò la ragazza, cambiando velocemente argomento.
“No” rispose Cho, afferrando una Tutti i gusti +1che le passava l’amica e masticandola lentamente.
“Credo si sia infilato nello scompartimento di Allison Frost”.
Sarah quasi sputò la caramella che aveva in bocca, all’udire quel nome.
“Oh…” sussurrò, sorridendo conciliante.
Cho invece pareva serena, per nulla insospettita da quella che, ai suoi occhi, pareva una tragedia.
“Lei e Cedric sono così uniti” commentò Cho, mentre lei annuiva poco convinta. “Non mi stupirei se un giorno si fidanzassero” eruppe lei in una risata.
Sarah ridacchiò, tentando di trattenere il nervosismo: non poteva certo mettersi a cantare a squarciagola sul treno per Hogwarts…
“Già…” sussurrò Sarah, bevendo rumorosamente un sorso d’acqua da una bottiglia che aveva portato.
Ci mancava solo quello.
Suo fratello, la sua migliore amica, e la migliore amica di suo fratello.
Chi altro?
Era da quando l’anno prima suo fratello aveva deciso di essersi innamorato di Cedric Diggory (perché in fondo cosa poteva essere quella passione se non una fantasia di suo fratello?) che lei si sentiva come fuori posto quando parlava con Cho, come se parlare con la ragazza che stava con il ragazzo che interessava a suo fratello fosse un peccato mortale, una disobbedienza a una regola prestabilita tra fratelli, un qualcosa fuori natura.
Era una sensazione talmente astratta essere consapevole di stare parlando con una figura di tale importanza nella vita di John che lei non sarebbe mai riuscita a definirla.
Come era indefinibile la sensazione che la accompagnava da quando aveva scoperto che suo fratello era omosessuale.
Non che avesse qualcosa contro simili persone, anzi, ma semplicemente non riusciva ancora ad accettare a fondo quella realtà. Forse il tempo l’avrebbe aiutata ad accettare tale verità, forse distrarsi un pochino sarebbe stata una buona soluzione per quella sensazione di vuoto che a volte la afferrava con prepotenza e la strattonava senza ritegno.
Sarah sorrise: sì, forse la scuola l’avrebbe aiutata ad assimilare tutto quello che era accaduto in quei pochi mesi, tutto quello che era mutato, tutto quello che era cambiato in lei e in John.
Cho le strinse la mano, afferrando un’altra Tutti i Gusti+1 dal pacchettino che l’amica le porgeva.
Sì, forse prima o poi ci avrebbe fatto l’abitudine…

Auror appoggiò la guancia al finestrino, mentre il suo respiro faceva appannare lievemente il vetro.
Il freddo le attanagliava le membra, sebbene avesse addosso già una maglietta a maniche lunghe e una felpa pesante.
ODIAVA l’inverno con tutta sé stessa.
Con un lento movimento, la sua mano andò al suo zaino, appoggiato al sedile, alla ricerca di quella dannata sciarpa.
Sua madre le aveva detto almeno cento volte, prima della partenza, di sistemarsela al collo, ma lei aveva rifiutato, con un secco e deciso:
“Sembra un foulard della nonna…”
Ed ora andava alla ricerca disperata del “foulard della nonna”, tentando di riscaldarsi almeno minimamente dal gelo della stagione.
Sbuffò, mentre si passava la sciarpa intorno al collo.
Odiava ammettere che la sua famiglia avesse ragione. Lo odiava più di qualsiasi altra cosa nella sua vita.
Era semplicemente orrido sentirsi sbeffeggiare da quella civetta lecchina di Brame, mentre stringeva i pugni tentando di non risponderle a tono. E sua madre sempre a darle corda, ripetendo quelle cavolate sul “valore degli ideali” o sull’ “importanza della buona educazione”. A lei di certo non mancavano né gli uni né l’altra, ma non aveva certo intenzione di vivere tutta la vita come una suora!
Aveva sempre tentato, nella sua vita, di distinguersi dal resto della sua famiglia, forse per ribadire la sua diversità, forse per fare dispetto ai suoi e a Brame, forse perché semplicemente non voleva, come quell’ochetta di sua sorella, nascondere la sua vera natura dietro una maschera di finta perfettina.
Era stato per fare dispetto a sua sorella che si era tagliata i capelli in quel modo, corti e biondi (quasi bianchi), sparati all’insù sulla testa. Vedere l’espressione shoccata che si era dipinta in viso alla sua cara Brame era stata una ricompensa sufficiente alla perdita dei suoi bei capelli lunghi e neri.
Successivamente aveva sempre cercato di distinguersi dalla folla, con gesti e azioni a volte fuori luogo, certo, ma sempre ponderati e non esageratamente volgari. Non teneva certo a perdere la sua dignità, nemmeno davanti a quella viziata Serpeverde.
I suoi genitori, Mandy e Louis Potion, erano due Magonò, e fino all’arrivo della sua lettera non avevano mai, MAI accennato alla magia.
Dunque per lei era stata una vera e propria sorpresa vedere entrare in casa un gufo, perdipiù con una busta tra le zampe, mentre i suoi non parevano essere affatto stupiti da quell’apparizione. Aspettavano quel momento da molto tempo, probabilmente. Sua madre più di suo padre.
E così era iniziata la sua carriera scolastica ad Hogwarts, che continuava da ben quattro anni senza troppi intoppi. Con i suoi compagni Corvonero andava tutto alla grande, e voti bassi non ne aveva mai avuti.
Era una ragazza intelligente, lei, ed era una sua personale soddisfazione sapere di essere una studentessa modello.
Ai suoi non poteva importare di meno: erano troppo impegnati a litigare e a sputarsi addosso le più orride sentenze per gioire con lei di una buona media.

Susan si sistemò la sciarpa dei Serpeverde intorno al collo, con estrema fierezza.
Adorava la sua Casa, e adorava farne parte.
Non c’era mai stata una Serpeverde più fiera di essere Serpeverde di Susan Fawn Crimson: la giovane quindicenne era certa come era certa del suo nome che quella era in assoluto la Casa che più la rappresentava.
E in quale altra Casa il Cappello Parlante avrebbe potuto smistarla? Forse con quei rimbambiti dei Grifondoro o quegli smidollati Tassorosso?
No, no, la via di Salazar era la sua via, e i Serpeverde la sua famiglia.
Strano come una Mezzosangue potesse essere tanto ben inserita in un gruppo di ragazzi solitamente così restia a legare con persone non pure di sangue.
Sua madre era una Veela, una bellissima donna dai capelli del colore delle piume di corvo e dagli occhi di ghiaccio di nome Elizabeth Sparks. A suo tempo sua madre era stata una ragazza allegra, scaltra e istintiva, Serpeverde come lei e a tratti incredibilmente crudele. Ora era una dipendente del Ministero della Magia, dolce e devota sposa, almeno all’apparenza. L’aveva vista più volte praticare la magia dopo l’arrivo della sua lettera, con una passione tale da spaventarla. Naturalmente aveva sempre compiuto tutto in gran segreto, all’oscuro da suo padre: Jonathan Crimson, professione avvocato, era un Babbano letteralmente terrorizzato della magia, che aveva scoperto il gran segreto di sua madre solo dopo averla sposata, attratto dalla sua innegabile bellezza. Quando ormai il misfatto era stato fatto, Jonathan non aveva potuto far altro che accettare a testa bassa la situazione, facendosi però promettere da sua madre di non usare mai la magia di fronte a lui o davanti ai figli che sarebbero arrivati.
Susan sbuffò, contrariata. Voleva tenerla lontana dalla magia, il suo paparino. Voleva privarla di quella immensa opportunità. Voleva negarle il suo destino…
Ma nulla aveva potuto fermare la sua entrata nella Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, nessuna promessa e nessun patto: sebbene suo padre avesse per lungo tempo litigato con sua madre riguardo a quell’ “abominio orrido” (così Jonathan definiva la magia) e al fatto che la loro “bambina” mai avrebbe imparato a praticarla, alla fine era stata Elizabeth a spuntarla. La promessa che avevano fatto non implicava che all’arrivo della lettera a Susan sarebbe stato negato l’accesso alla prestigiosa Scuola. Come sempre, sua madre era stata più intelligente di suo padre.
Alla fine la ragazza era partita, ed era nella Casa di Serpeverde ormai da quattro anni.
Jonathan non aveva mai accettato quella situazione, ma non aveva potuto certo intervenire: ormai ciò che era fatto era fatto, e Susan era ufficialmente un membro della Scuola di Magia più rinomata del paese. E non poteva esserne più fiera.

Ginger si appoggiò alle gambe di Shaula con un miagolio di soddisfazione.
La ragazza non poté fare a meno di sorridere, accarezzando dolcemente il pelo rosso del gatto che ora era accoccolato tra le sue braccia.
Era un regalo di sua nonna, quella dolce e morbida palla di pelo, un regalo della sua cara e vecchia nonna.
Gli occhi le si appannarono per un istante, al ricordo del viso della vecchia e delle serate passate accanto al fuoco ad ascoltare le sue favole.
Subito si passò la mano sotto gli occhi, nel tentativo di stroncare sul nascere quello che probabilmente sarebbe diventato un pianto dirotto.
Era facile che si mettesse a piangere con quell’orrido clima: la sua metereopatia non perdonava mai.
Ma non voleva farsi vedere in lacrime da Susan quando sarebbe entrata nello scompartimento: non avrebbe perso l’occasione di scherzare su quell’avvenimento, con quel suo tono scherzoso e strafottente, senza capire quanto male le facesse.
Certo, anche lei non era da meno: non era passato giorno nella sua vita passata ad Hogwarts in cui non avesse, almeno una volta, sbeffeggiato qualcuno, fossero stati i suoi genitori totalmente fissati con la storia della “purezza del sangue” o qualche Tassorosso frignone. Non che a lei importasse qualcosa della “purezza del sangue” o di tutte quelle cavolate dei Serpeverde: era tutto un gioco per lei, e non poteva importarle di meno se una compagna fosse Nata Babbana, Mezzosangue o Purosangue.
Ma era da quando l’estate era finita che qualcosa era cambiato, che qualcosa si era come spezzato in lei, che qualcosa aveva cambiato la sua visione della vita.
La morte di sua nonna era stata tanto dolorosa per lei quanto proficua per i suoi genitori: Jamie Marshall aveva ereditato tutto ciò che la vecchia, anche lei maga e rigorosamente Purosangue, aveva guadagnato in una più che rispettabile carriera di Auror, e ora sua madre e suo padre navigavano praticamente nell’oro. Non c’era certo tempo per rimpiangere qualcuno che aveva lasciato tanti soldi.
Lei, invece, di lacrime ne aveva versate, e anche tante, per lungo e lungo tempo: aveva vissuto con sua nonna praticamente per tutta la vita, alla cara e confortevole casa al mare che tanto amava.
Era lì che lei era cresciuta, era lì che aveva raggiunto le tappe più importanti della sua vita: lì aveva sperimentato per la prima volta la disperazione da “primo brufolo”, lì aveva ricevuto la sua lettera per Hogwarts, lì aveva passato notti intere a sognare ad occhi aperti guardando le stelle, lì si era fatta il piercing sul naso, tutto sotto la vigile e amorevole supervisione di sua nonna, che non aveva affatto disapprovato la scelta della nipote di “bucarsi il naso” (così avevano definito i suoi genitori il piercing).
Ora che la nonna se n’era andata, lei era tornata a vivere con i suoi, ancora più insopportabili di come erano un tempo e ancora più protettivi: la sera le era praticamente vietato uscire e inoltre avevano preteso che si togliesse il piercing o l’avrebbero diseredata.
A lei però non poteva importare di meno: appena avesse raggiunto la maggiore età, se ne sarebbe andata a vivere a casa della nonna (che lei le aveva lasciato nel testamento) e avrebbe passato tutte le serate alla discoteca che stava in spiaggia.
Con un sorriso, la ragazza sfilò da una tasca dello zaino il piercing e se lo rinfilò, trionfante, al naso: in fondo i suoi non potevano vederla…

Gwen non aveva mai capito come sua madre non fosse mai riuscita a far scomparire quella cicatrice sul lato destro del collo: Edyth Weasley lavorava al San Mungo da tanto di quel tempo che la ragazza si era ormai auto convinta che la sua mamma potesse fare di tutto, anche far sparire quella dannata cicatrice.
“Lavoro nel reparto Ferite da Creature Magiche, Gwen” aveva ribattuto lei quando gliel’aveva proposto. “Avresti dovuto pensarci prima di Smaterializzarti in quel modo…”
“Avevo otto anni, mamma” aveva ribattuto Gwen, seccata come non mai che qualcuno le rimbeccasse, per la centesima volta, quanto stupida fosse stata a tentare un incantesimo tanto difficile. Ma in fondo non era del tutto colpa sua: i suoi erano stati sempre così distanti che non avevano mai neanche assistito alla sua prima magia. Se magia si poteva definire dare fuoco a un tappeto in soggiorno. Perfino suo fratello Jason che la detestava (o almeno questa era ciò che Jason diceva) aveva passato più tempo con lei di quanto i suoi ne avessero passato con tutti e due.
Non che non gli volessero bene, anzi: si vantavano in continuazione delle pagelle di Jason e Gwen (soprattutto di quest’ultima) con amici e parenti, con un tono di voce così fiero e sicuro che la ragazza non poteva negargli, almeno per pochi minuti, un po’ dell’affetto che loro mai gli avevano esplicitamente dato.
Era un dato di fatto, per lei, che i suoi le volessero bene ma che, come in fondo anche lei, non riuscissero a mostrarlo al meglio.
Di quella cicatrice, in realtà, non le importava così tanto: non aveva mai avuto la premura di coprirla con delle sciarpe o di nasconderla al mondo, neppure quando era più piccola, lieta di potersi distinguere e di poter mostrare quel segno della sua diversità.
Il problema non era certo l’aspetto esteriore, che per lei contava tanto quanto poteva contare una vecchia scarpa puzzolente.
Era solo che a tratti diventava scomodo avere sempre davanti agli occhi il monito di un proprio fallimento, il ricordo perenne di qualcosa che di storto c’era in lei.
Gwen Noctis era consapevolissima di essere “diversa”, e ne era fiera.
Peccato che altre persone non la pensassero esattamente così.
“Che vadano al diavolo!” borbottò la ragazza quando si accorse che la sua busta di Gelatine Tutti i Gusti+1 si era disciolta nello zaino, lasciando un’enorme macchia sulla stoffa.
A Gwen venne voglia di battere i pugni da qualche parte. ODIAVA quella Susan Crimson.
Un bello scherzetto non glielo risparmiava nessuno, adesso…

La testa di Selene pesava dolorosamente sul sedile imbottito del treno.
Le sue gambe si erano quasi totalmente addormentate, non distese completamente.
La ragazza tentava di prendere sonno da circa una mezz’oretta.
E da circa una mezz’oretta tutto ciò che otteneva dai suoi infruttuosi tentativi era semplicemente l’aumentare del mal di testa.
“Maledetto…” sussurrò tra sé e sé, sibilando le lettere una dopo l’altra.
Non era certo strano che avesse attacchi di emicrania, anzi: già da quando era molto più piccola essi la colpivano con una certa frequenza, a volte anche per giornate intere, senza che lei potesse fare concretamente qualcosa per far cessare il dolore.
Ma era odioso, sempre dannatamente ODIOSO, quel gran peso che si sentiva al centro della testa e che per lunghe e lunghe ore non voleva saperne di andarsene via. Qualcuno aveva addirittura ipotizzato una sinusite cronica, ma Selene li aveva liquidati con uno sbruffo e un “Al diavolo”.
Selene Byron non era tipo da tacere l’antipatia verso quella o quell’altra persona, e forse per quello non si era procurata molti amici nemmeno nella sua Casa.
Era una ragazza senza peli sulla lingua, all’apparenza incredibilmente dura, nascosta in una scorza che mai si era infranta dopo quella fatidica notte di ben undici anni prima.
Se si concentrava, riusciva ancora a sentire la tensione sull’aereo, e sua madre che la stringeva a sé sussurrando “Va tutto bene, va tutto bene”. Riusciva a sentire il suo respiro affannoso e le sue mani che tremavano dalla paura, mentre la baciava con le lacrime agli occhi. Riusciva a vedere i suoi genitori stringersi in un ultimo, doloroso abbraccio, mentre lentamente l’aereo precipitava verso la sua imminente fine.
Lei si era salvata grazie al suo potere di Animagus, che al tempo ancora non controllava bene ma che, per una volta, aveva deciso di accorrerle in soccorso: si era salvata svolazzando precipitosamente fuori dal finestrino, mentre i suoi genitori morivano davanti ai suoi occhi di civetta.
Da allora la sua vita era stata un Inferno, un Inferno che l’aveva plasmata e l’aveva resa ciò che era ora: una ragazza forte e sicura di sé, che non permetteva al mondo di entrare se non in occasioni rare.
Probabilmente i suoi compagni Serpeverde erano troppo ottusi per capire ciò che aveva passato, ciò che era stata la sua vita, che lotta era stata ogni giorno, una lotta per tentare di sopravvivere e di vivere. Probabilmente era per quello che la respingevano.
Per quello e per il fatto che fosse lesbica.

Simon si sedette accanto a Blaise senza fare troppi complimenti.
“Aspetto Draco” borbottò il ragazzo a denti stretti, senza neanche rivolgergli uno sguardo.
“Mi sembra improbabile che arriverà considerando che ora è nello scompartimento di Harmony Lewis con Tiger e Goyle” commentò il Serpeverde con un sorriso malizioso.
Blaise lo fulminò con lo sguardo e non rispose, evidentemente ferito.
“Quella ragazzina…” sibilò il ragazzo di colore, lo sguardo iniettato di ira profonda.
Simon alzò le spalle, con un largo sorriso scherzoso.
“È la vita, ragazzo mio…” sospirò con fare ironico. “Se Draco Malfoy avesse tempo per tutte le ragazze che gli vanno dietro, avrebbe ancora meno tempo per te, caro”.
Blaise gli riservò un’ultima occhiata assassina prima di uscire dallo scompartimento sbattendo la porta.
Simon sorrise, soddisfatto, e appoggiò confare sornione i piedi al sedile davanti.
Se c’era una cosa tipica di Blaise Zabini, era che lui aveva una sorta di venerazione verso Draco Malfoy che non era ancora riuscito a spiegarsi del tutto: il ragazzo di colore era solo una spalla del biondo Serpeverde, che per lui non aveva mai compiuto gesti di amicizia o almeno di complicità, quali quelli che invece riservava a quegli armadi di Tiger e Goyle. Eppure Blaise era sempre una costante nella vita di Draco, sempre accanto a lui durante i molteplici scherzi contro questo o quell’altro Tassorosso, sempre pronto a ridere con lui, sempre pronto a fare la parte del servo mai ringraziato.
Non lo capiva, quel ragazzo, davvero.
Come non capiva cosa le ragazze ci trovassero in Draco Malfoy.
Non era certo una grandissima bellezza, con quel naso aquilino e quei capelli quasi bianchi.
Eppure le ragazze gli andavano dietro come un cagnolino va dietro al padrone, attratti da quella strana forza che il ragazzo emanava, che lui e i suoi amici avevano ribattezzato, scherzosamente, “Fattore Malfoy”.
Con uno sbadiglio, Simon si portò le mani dietro la testa, pronto a essere svegliato, come sempre, solo all’arrivo ad Hogwarts.
Prima che però potesse anche cominciare a rilassarsi, una ragazza dai capelli castani e mossi aprì la porta dello scompartimento, seguita a ruota da un ragazzo che pareva avere almeno un paio di anni più di lei, anche lui castano.
La ragazza sospirò di sdegno quando lo vide così sistemato e chiese, una punta di ironia nella voce:
“Quei due posti sono occupati?”
Lui chiese, irritato dall’interruzione:
“Non potete cercarvi un altro scompartimento?”
Lei rispose, risoluta e ferma:
“Qualcuno ha fatto esplodere nel nostro una Caccabomba”.
Simon sorrise, lievemente divertito da tutta la situazione e dallo sguardo di disprezzo che la ragazza gli stava lanciando.
“Beh, credo che potrei anche farti restare, bellezza, ma il tuo ragazzo rimane fuori” disse lui, assumendo il tono da playboy che aveva fatto capitombolare già due o tre ragazze.
Vide il ragazzo arrossire improvvisamente e la ragazza gli rispose, la voce velenosa:
“Sei disgustoso, Serpe”.
Prima che potesse dire altro, la strega aveva già chiuso la porta con forza.
Simon Hale sorrise: però, era davvero carina…

Thomas Finch fremeva ormai da tempo.
Il nuovo anno si prospettava particolarmente interessante, soprattutto per l’ultimo articolo della Gazzetta del Profeta che lasciava intendere che un grande evento avrebbe avuto luogo alla scuola.
Il ragazzo aveva passato praticamente tutta la notte insonne, leggendo e rileggendo quell’articolo che pareva confermare, con i suoi toni altisonanti, quello che lui aveva ipotizzato: sì, qualcosa sarebbe accaduto ad Hogwarts, qualcosa di grandioso.
Già da tempo Daisy aveva accennato a un evento di cui suo padre, dipendente al Ministero della Magia, aveva parlato molo discretamente a casa con sua madre, Babbana come la sua, ma solo quel breve testo l’aveva veramente convinto che qualcosa, qualcosa di grande, stesse per accadere.
Riusciva a sentirla nell’aria, quell’agitazione che era palpabile e che si poteva tagliare con un coltello tanta era. Perfino sua sorella Paris, che solitamente, data la sua età, non veniva mai informata su nulla di ciò che avveniva nella scuola, aveva inteso qualcosa e gli aveva addirittura chiesto, il suo famoso tono supplice e i suoi occhioni spalancati in un’espressione tenerissima, di accompagnare anche lei con sé, perché voleva vedere coi suoi occhi la “grande novità”. Thomas aveva sorriso e le aveva passato una mano sulla chioma bionda e l’aveva abbracciata strettissima a sé.
Amava sua sorella come non aveva mai amato nessun altro, e anche Paris sembrava avere un’adorazione totale per lui. Quella bambina lo conosceva meglio di chiunque altro, riusciva a capirlo e a prenderlo per il verso giusto, cosa che non sempre Daisy o Zach facevano. Riusciva a farlo star bene, sua sorella.
Lei riusciva a vedere oltre la maschera dello scapestrato, a tratti troppo schietto Thomas, e riusciva a far venire fuori il dolce e amorevole Thomas.
Per l’ennesima volta, il ragazzo rilesse l’articolo, ancora emozionato.
Sarebbe stato un anno magnifico.

“Cedric, sta zitto, per favore!”
La civetta si quietò un pochino quando, irritata, Allison Frost batté sulla gabbietta leggermente indispettita dal suo comportamento.
“È tutto il giorno che frigna…” sbuffò la ragazza, mentre John Taylor, accanto a lei, tentava di mantenersi in equilibrio con le borse in mano. Due Serpeverde passarono loro di fianco e, con una risatina sardonica e una pernacchia, si allontanarono senza proferire parola.
Ally sbuffò nuovamente, mentre John le afferrava la spalla tentando di calmarla. Sapeva bene che quando l’amica era provocata poteva diventare una belva.
“E molla…” disse lei stizzita, allontanandosi dalla presa di John.
“Ci fosse UNO scompartimento libero…” borbottò lui, causando l’ira della ragazza che, ancora più spazientita, precisò, con cipiglio sicuro:
“Io con quella Serpe non ci divido lo scompartimento, sia chiaro!”
John alzò le sopracciglia, replicando, conciliante:
“Tanto io non potrei starci comunque. Lo hai sentito, no?”
“E io senza di te non mi siedo, Johnny” lo rassicurò lei, come a voler ribadire che mai, MAI lo avrebbe abbandonato in balia dei Serpeverde. “Dobbiamo solo trovare un paio di posti” continuò alzando le spalle e dando un altro colpetto alla gabbia di Cedric che si lamentava ancora.
“Il signore vorrebbe una gabbia a cinque stelle…” sorrise lei, riferendosi alla civetta che, come se avesse colto il riferimento scherzoso, subito spostò lo sguardo su di lei, fissandola con sguardo truce.
“Potremmo anche andare a vedere se Cedric…” iniziò Ally, speranzosa, ma John la fermò prima che potesse dire altro.
“Alt, alt, alt, alt!” esclamò, portando le mani avanti. “Io con lui NON ci vado, è chiaro?” scandì, prima di riprendere le valigie e aprire la porta di uno scompartimento. Subito la richiuse quando la visione di Draco Malfoy e Daphne Grengrass intenti a sbaciucchiarsi lo investì.
“Imbarazzante…” sussurrò John dopo un lungo silenzio, gli occhi sbarrati.
“Prima o poi dovrai farci i conti, Johnny” tentò la ragazza, sperando di poter convincerlo a trovare un sicuro posto a sedere: Cedric Diggory era uno dei suoi migliori amici, e non le avrebbe certo negato un favore.
“Beh, non ci voglio fare i conti” rispose secco il ragazzo. “Se ci fosse lei, scusa?”
“Ma l’hai detto anche tu che era con tua sorella…” aggrottò le sopracciglia Allison.
“Sì, ma potrebbe essere tornata da lui!” rispose John, per nulla incline ad arrendersi.
Allison sospirò demoralizzata.
“Dio mio, Johnny…”
“Almeno tu sei amica sua!” ribatté John, osservando senza successo in un altro scompartimento. “Io invece praticamente non esisto per lui!”
“Ma scherzi?” domandò Allison, rimbeccando una terza volta Cedric. “Sei il Portiere della Squadra di Quidditch, qualcosa dovrai pur valere per lui…”
“Evidentemente non abbastanza” riprese lui sdegnato. “E comunque piace pure a te, e non credo siamo gli unici due che abbiano ceduto al fascino Diggory!”
Allison sbuffò, mentre Cedric ricominciava a borbottare.
“Se lo sapesse il signor Diggory..:”
John sorrise.
“Il Club dei Senza Speranze è sempre pronto ad accogliere nuovi membri” scherzò il ragazzo, scoppiando a ridere insieme a Ally.

Merida aveva sonno.
Orrendamente sonno.
Era da quando c’era stata la Finale della Coppa del Mondo che non aveva chiuso occhio, memore ancora di quell’orrenda apparizione. Tutte le rassicurazioni che il padre di Ernie si era sentito di farle dopo averla “spaventata in quel modo” l’avevano davvero rincuorata, e così anche la perizia con cui la madre del ragazzo si era curata di calmarla dopo quell’orrido spavento.
Le era capitato di essere per l’ennesima volta vittima di un “attacco lunatico”, come Josh, suo fratello più piccolo, li definiva: si era spaventata a tal punto che aveva cominciato a inveire sull’Irlanda, sulla Mondiale e persino sul Ministero della Magia. Erano serviti gli interventi coordinati di Ernie, la signora MacMillan e il signor MacMillan per farla sbollire e per farla ritornare alla ragione prima che qualcuno del Ministero potesse prendersela con lei: Amos Diggory era nei paraggi, e così anche Barty Crouch.
Dopo alcuni minuti, Merida era riuscita a calmarsi e a pensare nuovamente a mente lucida, ma l’orrido Marchio Nero le era rimasto impresso nella mente a fuoco e aveva continuato, per molte notti, a popolare i suoi incubi.
E dire che solitamente lei era una non facilmente impressionabile…
Forse era stata l’imprevisto di quell’avvenimento, forse lo shock per l’arrivo di quegli uomini in nero, forse semplicemente per il nome che, lei sapeva, c’era dietro a quel Marchio. Voldemort…
Bastava pensare quel nome perché un brivido freddo le corresse lungo tutta la spina dorsale, e la ragazza cominciava a sudare freddo.
Le notti che aveva passato insonni erano state così tante ed erano parse così lunghe che i suoi genitori, entrambi Babbani, avevano addirittura pensato di attaccar bottone coi MacMillan per aver “accompagnato la loro bambina a un simile evento”. Lei stessa aveva dovuto calmarli, spiegando che l’idea di andare alla Finale era stata anche sua, e che se non avesse sollecitato Ernie per andarci loro non avrebbero certamente pensato di invitarla.
Le sue palpebre fluttuavano ora, sempre più prossime a chiudersi, mentre la sua testa, ancora persa nel ricordo della Finale, si appoggiava al finestrino freddo.
“Non credevo di essere così noioso…” commentò Ernie con una risatina.
Merida rispose a stento con un sorrisetto, troppo stanca per poter riposare.
“Ho passato notti e notti in bianco…” si scusò lei, la voce flebile.
“Ma certo” rispose Ernie, sorridendole rassicurante. “Capisco benissimo”.
Merida gli rivolse un ultimo sorriso e poi chiuse gli occhi, esausta.

Daisy osservava la conversazione dei due ragazzi senza osare intervenire. Sorrideva imbarazzata mentre Zach e Thomas continuavano a discutere, per quanto discutere si poteva chiamare quella sorta di divertito “scambio di opinioni”, come ai due piaceva chiamare quelle dispute: nessuno dei due era abbastanza “cattivo” per poter davvero attaccare bottone, Zach così impacciato con quella sua massa informe di capelli che sembrava un fungo e Thomas con quel suo fare un po’ spaccone ma in fondo bonario.
Daisy se ne stava zitta, mentre i due stavano discutendo su un improbabile avvenimento che “presto avrebbe avuto luogo a Hogwarts”, secondo le parole di Thomas, mentre secondo Zach “nulla sarebbe accaduto, come ogni anno, del resto”. L’ultimo commento le aveva strappato una risata, ma niente più.
Daisy Kapner davvero non ci riusciva ad aprirsi con gli altri, davvero non poteva.
Non capiva cosa fosse che la bloccava sempre persino con quelli che considerava i suoi migliori amici (qualcuno aveva addirittura ipotizzato che tra lei e Zach Terrinson ci fosse del tenero), cosa fosse quel qualcosa che la lasciava sempre senza fiato e senza parole quando anche solo tentava di avvicinarsi a una persona.
La sua dannata timidezza non era certo una scusa, ma Daisy aveva sempre tentato di giustificare, con sé stessa e con gli altri, quel suo atteggiamento proprio con la sua innata introversione.
E per lungo tempo tutti se l’erano bevuta: Zach, Thomas, persino i suoj genitori.
Ma in cuor suo Daisy sapeva, e lo sapeva anche molto bene, che la timidezza non c’entrava assolutamente nulla, o almeno non c’entrava abbastanza.
Forse era la visione che lei aveva del mondo che le impediva di parlare di cose da lei stessa definite futili, come quelle manifestazioni di amore esagerato che tante sue compagne avevano reso pubbliche negli anni passati o l’eccezionalità di questo o quel giocatore di Quidditch. Daisy sapeva che non era certo il singolo giocatore ad essere eccezionale: c’era dietro un duro allenamento, e una pratica di ore ed ore, combinata anche a una certa dose di fortuna. Se la fortuna esisteva.
Daisy era abituata a ragionare in quel modo sin da quando era piccola: analizzare tutto ciò che c’era intorno a lei, trarne varie conclusioni e poi dare un verdetto esaustivo ma quasi sempre corretto.
Forse per questo si era chiusa nel suo guscio sin da bambina: il suo modo di pensare era totalmente opposto a quello delle sue compagne Grifondoro e anche a quello di gran parte dei ragazzi nella scuola.
Era semplicemente una ragazza riflessiva.
Una ragazza riflessiva con una grande, enorme timidezza.

Lesath non ne poteva davvero più di quei viaggi da casa sua alla Scuola di Hogwarts ogni anno.
Oltretutto, suo padre lo rivoleva con lui a Natale (forse per tentare di sopprimere un pochino la mancanza di Linda e Lori) e il viaggio non era affatto corto. E tra l'altro quelle visite erano perennemente odiose, sia per lui che per Wallace.
Ogni Natale suo padre lo accoglieva a casa con una freddezza davvero impressionante, senza un abbraccio, un bacio, un semplice “Bentornato, Lesath”. Se non ricordava male, era da quando Linda se n’era andata che Wallace si risparmiava un qualsivoglia segno puramente affettuoso, preferendo accoglierlo con un viso tirato dalla rabbia e dalla tensione.
Lesath non capiva davvero perché suo padre lo volesse a casa a Natale quando in realtà non facevano mai nessuna delle tipiche attività  natalizie: nessun cenone, nessuna festa, nessuna veglia di fine anno. Nessun regalo.
Non da quando Linda non c’era più.
Dopo la morte della sua sorellina, avvenuta mentre lei camminava su un laghetto ghiacciato che si era infranto sotto i suoi piedi, sia lui che suo padre erano profondamente cambiati.
Quello che un tempo era un ragazzo allegro e entusiasta, sempre speranzoso di poter far colpo sui suoi genitori (troppo concentrati a viziare Linda per avere il tempo di accorgersi di lui) era diventato un ragazzo triste e perso nel suo dolore, ormai indifferente ai suoi genitori come i suoi lo erano verso di lui.
Era tutto cambiato, dopo la morte di Linda.
Era diventato cinico, e orrendamente freddo con le persone che lo conoscevano e anche con quelle che non lo conoscevano. Freddo come quel laghetto in cui la sua sorellina aveva perso la vita…
Il ricordo dell’accaduto era ancora vivido in lui, penetrato troppo a fondo nella sua mente per poter essere da lì rimosso.
Non poteva dimenticare.
Lesath non poteva dimenticare quella mattina di gennaio in cui tutto, TUTTO era cambiato.
Come non poteva dimenticare il viso di sua madre mentre la vita volava via dalle sue membra stanche, e le lacrime che, fino all’ultimo, le avevano rigato il viso.
Non poteva dimenticare le notti passate rannicchiato nel suo lettino sperando che suo padre non alzasse troppo il gomito, e che non arrivasse, gettandosi sul suo giaciglio come un lupo famelico e costringendolo a nascondersi nella cantina per tutta la notte, al freddo pungente dell’inverno.
Hogwarts certo era stato un buon motivo per andarsene, ma Lesath non aveva mai potuto DAVVERO rompere i ponti con Wallace.
Non ci era riuscito. Era troppo doloroso dire addio a un padre, anche se quel padre era violento e ogni istante della sua vita pareva rimproverarlo di non averla salvata dalle acque di quel laghetto.
Aveva già perso sorella e madre, e probabilmente già da tempo aveva perso suo padre.

Filiana era chinata su un libro di Difesa contro le Arti Oscure, troppo impegnata a tentare di capire un incantesimo per riuscire a sentire i Serpeverde dietro di lei che, capitanati da Draco Malfoy, urlavano come delle cornacchie “Nata Babbana! Nata Babbana!”
A quegli insulti ormai Filiana aveva fatto l’abitudine: non era strano che gli alunni di Hogwarts, di qualunque Casa essi fossero, le rammentassero di essere solo, in fondo, una Babbana come un’altra, che aveva avuto la fortuna di essere nata con dei poteri magici nel DNA (come era possibile, questo non lo capiva). Ma a lei, sinceramente, non poteva importare di meno: l’importante era dare il massimo di sé e far vedere ai professori di che pasta era fatta Filiana Basile.
Era anche un suo piacere personale poter dimostrare di essere di gran lunga più intelligente di quei superbi Serpeverde o dei tanto lodati Corvonero: voleva essere la più brava, anche più brava di Hermione Granger.
Ambizione? No. Voleva semplicemente dimostrare che anche i Nati Babbani potevano essere grandi maghi.

Zach Terrison conosceva Daisy sin dall’infanzia più tenera, quando entrambi erano solo dei bambinetti che giocavano a fare i maghi con le bacchette dei genitori. Ricordava ancora quella volta che avevano dato fuoco al ficus di sua madre, causando l’ira di quest’ultima.
Era da quando erano piccoli che Zach si era sempre sentito, in un certo senso, “legato” a Daisy, in un modo particolare che neanche lui capiva a fondo: era il suo migliore amico eppure con lui la ragazza non si era mai aperta del tutto. In un certo senso non ce n’era bisogno: lui capiva Daisy e Daisy capiva lui. Bastava così poco per rendersi conto di cosa le passasse nella testa: uno sguardo, un sorriso, un sospiro e Zach poteva dire con esattezza cosa affliggesse l’amica. Erano come connessi, loro due, uniti dalla nascita ma stranamente separati.
Daisy aveva sempre saputo che un pochino le piaceva, e forse per questo si era sempre tenuta non troppo vicino a lui, tentando di respingerlo non appena aveva capito cosa l’amico provava per lei.
Lui, di conseguenza, aveva provato ad avvicinarsi, con la sua innocente speranza che un giorno, forse, qualcosa sarebbe successo tra loro due.
Ma Daisy continuava a respingerlo, non perché non gli volesse bene, ma perché, semplicemente, come diceva lei, non riusciva “ad amarlo”.
Zach si era sentito per lungo tempo avvilito da quella situazione, ma era riuscito a risollevarsi anche grazie al continuo affetto che la ragazza gli dimostrava, ora più di prima: se inizialmente quel suo amore non corrisposto li aveva divisi, ora li riavvicinava, in quanto Daisy faceva di tutto per farsi, in un certo senso, “perdonare” di quella sua incapacità di provare verso di lui qualcosa che non fosse più che semplice affetto.
E Zach aveva ricominciato a starle accanto, sua goffa spalla, continuando a stringerla a sé in abbracci ora più tesi, mentre dentro di sé un po’ piangeva.
Non si era mai innamorato di nessun altra come di Daisy.

A volte le dava fastidio l’atteggiamento di Draco, soprattutto verso quella Filiana o verso quei ragazzi che nella vita non avevano fatto nulla di male se non nascere con genitore o genitori babbani.
Harmony lo rimproverava spesso di quell’atteggiamento “razzista”, come lo definiva lei, ma lui non si degnava di ascoltarla.
“Che pillole, Harm…” sbuffava ogni volta che gli rinfacciava la faccenda. “Quegli sporchi Mezzosangue se lo meritano”.
Harmony Lewis era Serpeverde in tutto e per tutto ma quegli istinti razzisti propri della sua Casa davvero non le erano comprensibili: perché prendersela con chi era solo stato tanto sfortunato da nascere da persone comuni e ereditare poteri magici? Perché poi considerarli addirittura “inferiori” rispetto a loro Purosangue? Se lo chiedeva spesso, Harmony, e spesso lo chiedeva anche a Draco che, con un’alzata di spalle, le rispondeva seccato:
“Sono inferiori e basta, Harm”.
Harmony voleva bene a Draco come non aveva mai voluto bene a nessuno, ma quando faceva così davvero non riusciva a reggerlo, come anche i suoi genitori non riuscivano a reggere lui e la sua famiglia.
Da tempi immemori un’amicizia perdurava tra Malfoy e Lewis, a dispetto delle idee prettamente razziste che i primi avevano: Draco e Harmony erano convissuti insieme sin da quando erano bambini e riuscivano a capirsi al volo, tanto ormai conoscevano l’uno il carattere dell’altro. Harmony non era più un mistero per Draco ormai da tempo, e Draco non era un mistero per Harmony.
Eppure la ragazza non riusciva davvero a rendersi conto del perché, semplicemente PERCHE’ dovesse comportarsi in quel modo tanto ingiusto e perché dovesse mostrarsi sempre così cattivo davanti agli altri e davanti ai suoi genitori.
Lei sapeva che non era così.
Draco non era QUEL Draco.
O almeno lo sperava…

Evangelin si sedette nello scompartimento senza troppi problemi, accavallando contenta le gambe, dopo averne cercato per lungo tempo uno libero.
Kristen era stata sloggiata dal suo scompartimento con Allison Frost e John Taylor, dopo che qualche Serpeverde vi avevano sganciato una Caccabomba, e quando l’aveva incontrata nel corridoio lei non aveva potuto fare altro che borbottare, indispettita:
“Serpi…”
Aveva vagato per così tanto tempo nei corridoi che ormai non le importava neanche più se lo scompartimento in cui si era infilata fosse libero o no.
Ed effettivamente il posto davanti a lei era occupato: un ragazzo dai capelli neri corti la osservava imbarazzato, come in fondo si poteva osservare una sconosciuta che era appena entrata nel proprio scompartimento, con un sorriso tirato che stonava totalmente con il sorriso aperto che, invece, Evangelin gli stava rivolgendo.
“Ciao!” lo salutò la ragazza  in tono solare, agitando la mano. Era davvero troppo eccitata per quell’anno: Thomas le aveva accennato a un evento che, secondo lui, sarebbe successo ad Hogwarts e Evangelin fremeva dall'ansia. Si prospettavano eccitanti avvenimenti…
Il ragazzo quasi sobbalzò quando lei le rivolse la parola, poi rispose, balbettando lievemente:
“C... Ciao”
Evangelin aveva sorriso e aveva detto, con fare allegro:
“Ehi, tranquillo, non ti mangio mica!” scoppiando poi in una lieve risatina.
Il ragazzo aveva ridacchiato anche lui, ma con una tale tensione che Evangelin si era quasi sentita offesa dal comportamento schivo del ragazzo: non aveva la peste, diamine!
Poi si era accorta dell'espressione timida che si era dipinta sul suo viso, e del rossore delle sue gote, che aumentavano ogni secondo di più.
Allora, intenerita dall’aspetto e dal comportamento del giovane, aveva detto, tendendo la mano:
“Evangelin McCole”.
Il moro aveva osservato per pochi istanti la mano, indeciso se stringerla o meno. Quando si decise a ricambiare la stretta, un lieve sorriso si dipinse sul suo viso e sussurrò, ancora imbarazzato:
“Paciock… Neville Paciock”.

"Quei Serpeverde…"
Daniel le stringeva la mano sulla spalla, cercando di calmarla mentre, mentalmente, Kristen imprecava contro tutti i Fondatori, tutti gli Eroi, tutti i membri dell’Ordine della Fenice e tutti i Magiamorte.
“Calma, Kristen, stavano solo scherzando…” tentò con voce bassa Daniel, ben conscio di quanto furiosa fosse l’amica.
“Sono calmissima, Dan” rispose la ragazza, bussando a uno scompartimento con rabbia. “Siete troppo impegnati a limonare o c’è ancora un posto libero?” urlò strafottente.
Daniel si affrettò a allontanarla, reggendola per le spalle e correndo lungo il corridoio.
“Andiamo…” sibilò il ragazzo, mentre lo scompartimento in questione si apriva rivelando il viso di Selene Byron.
“Non è divertente, Harrowl!” le urlò dietro la ragazza, diventando rossa d’ira.
“Oh, perdono, Sel!” gridò lei, per niente intimorita dalla bacchetta che la Byron aveva impugnato, pronta a formulare chissà quale incantesimo.
“KRIS!” le gridò perentorio Daniel quando anche lei tirò fuori la bacchetta, convincendola, un po’ a forza un po’ a parole ad entrare in un altro vagone.
Kristen sbuffò mentre, finalmente, Daniel si infilava in uno scompartimento apparentemente vuoto con un sospiro di sollievo.
“Mi rovini sempre il divertimento” commentò la ragazza, appoggiando rudemente lo zaino sul pavimento.
“E tu per poco non ci facevi ammazzare” replicò Daniel.
Kristen ridacchiò beffarda, appoggiandosi finalmente allo schienale del sedile con piacere.
“Quella non sa neanche cos’è una Maledizione senza Perdono, figurati se la usa contro di noi…”
Daniel si guardò intorno circospetto, mentre Kristen appoggiava i piedi sul sedile accanto a quello del ragazzo.
Con un gesto stizzito della mano il Grifondoro la obbligò a rimetterli a terra e disse, quasi spaventato:
“Non dovresti saperlo neanche tu, se è per questo…”
Kristen alzò le spalle.
“L’ho letto in un libro, tranquillo, non ho fatto nulla di illegale”.
Daniel si concesse un respiro di sollievo.
“Bene, mi ricordo ancora quella volta che ti sei intrufolata nella Biblioteca nel Reparto Proibito…”
“Ero in buona fede!” esclamò lei, tentando per la seconda volta di appoggiare i piedi sul sedile.
Daniel le fece rimettere i piedi a posto e lei sbuffò.
“Guastafeste…”
“OK, tu fammi capire come può essere in buona fede qualcuno che infrange le regole e che rischia di essere espulsa a vita da Hogwarts!”
Kristen ruotò la testa come a testare la sicurezza del solitario scompartimento e poi, avvicinandosi a Daniel, gli sussurrò, l’aria misteriosa e il tono cauto:
“Stavo cercando un modo per farla pagare a quelle Serpi…”
Daniel fece tanto d’occhi.
“Hai tutto il mio appoggio, Kris” scherzò sorridendo.

Keira si chiedeva spesso cosa diamine ci fosse nella sua testa: a volte le pareva di impazzire mentre tentava di trovare il bandolo della matassa, mentre cercava di comprendere cosa esattamente provava e quali esattamente fossero le sue emozioni, ma era così difficile capire sé stessi che ormai ci aveva rinunciato da tempo.
Ma, come diceva spesso anche sua madre Carine, “non si può comprendere gli altri se non si comprende prima sé stessi”. Spesso Carina pensava che sua madre avrebbe dovuto fare la psicologa invece che la Medimaga.
E dunque lei, in teoria, non sapeva nulla, assolutamente nulla delle persone che intorno a lei vivevano: certo, riusciva a capire lontano un miglio che un Serpeverde fosse di certo più crudele di un Grifondoro (non per discriminare la Casa di Salazar), ma della profondità dell’animo umano non riusciva davvero a concepire la grandezza.
O meglio, sì, sapeva quanto un’anima potesse essere complicata (la sua ne era una prova) ma non aveva certo intenzione né capacità di provare a capire quella di altre persone.
Ma in fondo quella non era lei, no: non la fredda e distaccata Carina Black, cinica e scostante con chiunque non fosse suo stretto amico; ma chi le era amico, in fondo, dopo la morte di Syrena?
Keira chiuse gli occhi: il ricordo della ragazza era ancora così impresso in lei che da quando se n’era andata non aveva più voluto avvicinare qualcuno a meno che non fosse stato prettamente necessario. Perché volere bene a una persona se poi quella persona se ne andava?
Perché illudersi che sarebbe rimasta per sempre con lei se poi la vita dell'uomo era lunga quanto la vita di una farfalla in confronto all’immensità dell’universo?
Eccola di nuovo, la riflessiva Keira…
Basta, non doveva più farla uscire da quel momento in poi: a casa si poteva anche concedere un qualche minimo segno di affetto o qualche lacrima, ma ad Hogwarts no.
Ad Hogwarts non si poteva permettere di sbagliare, di far trapelare troppo, di non mostrare lo stretto necessario: sarebbe stato un errore madornale, assolutamente madornale.
Aveva già fatto entrare qualcuno nella sua vita, e quella persona era stata Syrena. Se ne pentiva ancora amaramente.
E sebbene i suoi genitori avessero tentato, in tutti i modi, di consolarla di quella orrida perdita, per Keira non c’era stato mai modo di dimenticare, di scordare lei e tutto quello che era lei.
I suoi non potevano capire.
Non potevano capire perché pensavano che fosse stata una semplice amica.
Ma Syrena non era una semplice amica, o no.
Lei aveva amato Syrena.
Con tutta sé stessa e con tutta la sua anima.

Note d'autrice masochista:
Per la vostra gioia e per la mia dannazione, inizia FINALMENTE questo progetto.
So che non è granchè, ma vorrei far conoscere i personaggi poco alla volta, vorrei che si svelassero da soli attraverso la storia, e non tutti in un colpo.
Nel prossimo capitolo, ad esempio, comincierò a far interagire quelli che ho fatto riflettere e riflettere quellic he ho fatto interagire, cercando di far capire attraverso pensieri e azioni la loro storia e la loro filosofia.
Devo dire che mi sono arrivati davvero molti, MOLTI personaggi.
Inoltre, nota importante: ho deciso che dividerò la storia per anni (quindi questa sarà ambientata SOLO nel quarto anno) e alla fine di ogni anno ogni utente potrà decidere di continuare la storia del proprio OC o magari di fermarsi per essere solo un personaggio secondario.
Chiarirò nel prossimo capitolo passaggi poco chiari, se me li segnalerete e...
So di aver fatto davvero poco con ogni singolo personaggio, ma è davvero estenuante gestirne tanti tutti insieme...
Come preannunciato, c'è anche un mio OC (femmina) nella storia, che avrà anche lei una relazione amorosa, of course. Inoltre: ho dovuto accoppiare alcuni OC femmina con personaggi originali della saga perchè ci sono davvero pochi, POCHI OC maschi.
Per il prossimo capitolo, tenete a mente queste cose:
1)Gwen ha deciso di fare un bello scherzetto a Susan;
2)Allison e John interagiranno con altri OC nella ricerca dello scompartimento;
3)Kristen ha un ideuzza per vendicarsi dei Serpeverde;
4)Filiana incontrerà il ragazzo con cui avrà una relazione:
5)Merida incontrerà altri OC;
6)Zach ci proverà per l'ennesima volta con Daisy.
Cominciate a fare le vostre congetture su chi si metterà con chi ma vi avviso subito: Daisy e Zach NON si metteranno insieme. Mi spiace ma saranno solo migliori amici (tipo Harry e Hermione).
Per vari errori grammaticali dite pure perchè non ho ricorretto.
  
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