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Autore: Himenoshirotsuki    03/11/2013    20 recensioni
Il suo corpo era luce, la emanava come una stella nella volta celeste, i capelli simili a lingue di fiamma. Ledah guardò quell'anima splendente, mentre si faceva strada tra i rovi e le spine. In quel luogo opaco, a cavallo tra la realtà e il mondo dell'oltre, ogni suo passo era troppo corto, la sua voce non era sufficientemente forte perché lei si accorgesse che la stava febbrilmente rincorrendo. Per un tempo indistinto inseguì quelle tracce vermiglie, testimoni delle catene corporee che la tenevano ancorata a questo mondo. Poi lei si girò, incrociando lo sguardo disperato di Ledah, e in quell'istante egli capì: lei era il sole nell'inverno della sua anima, l'acqua che redimeva i suoi peccati, la terra che poteva definire casa. Lei era calore e fiamma bruciante. Lei era fuoco, fuoco nelle tenebre della sua esistenza.
Revisione completata
-Storia partecipante alla Challenge "L'ondata fantasy" indetta da _ovest_ su EFP-
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Guardiani'
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La caduta e l'alleanza

"Chi combatte con i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro. E se guarderai a lungo nell'abisso, l'abisso guardera dentro di te."
F. Nietzsche

Buio. Qualcosa di duro sotto la schiena. Attorno solo oscurità, nera e opprimente. E soprattutto dolore, cieco dolore. 
“Sono morto?” 
Mosse le dita intorpidite e lentamente aprì gli occhi. L'azzurro del cielo era accecante. Ledah tentò di coprirsi con una mano, ma una lacerante fitta alla spalla attraversò ogni sua fibra, bloccando il braccio a mezz'aria: la ferita inferta da Airis pulsava.
Quanto era rimasto incosciente? 
Provò ad alzarsi, ma il suo corpo a malapena rispondeva alla sua volontà. Ogni muscolo gemette e dalle sue labbra uscì un grido: sembrava che ciascun osso si fosse frantumato. Battè le palpebre un paio di volte per mettere a fuoco il panorama. Davanti a sé si estendeva un lungo corridoio scavato nella terra, pieno di sassi ricoperti di muschio. 
“Un letto di un fiume...?” 
Non ricordava che nelle vicinanze ce ne fosse uno. Prese un ramo che giaceva ai suoi piedi e con uno sforzo immane si tirò a sedere. Si chinò per toccare le pietre, ma un forte capogiro lo costrinse a sdraiarsi di nuovo. Tentò di scandagliare i ricordi alla ricerca di un indizio, un nome che lo aiutasse a capire, e qualcosa emerse dai recessi della memoria, un frammento di un passato dimenticato: il fiume Raal. Lui e Brandir, quando ancora la guerra non era arrivata a Llanowar, giocavano proprio lì vicino.
“Sono certo che l'ultima volta che ci sono passato era ancora in piena. Ma allora... cos'è accaduto qui?” 
Si mise in piedi barcollando e dopo vari tentativi recuperò l'equilibrio sulle gambe. Compì un passo, aiutandosi con il ramo per sostenere il peso del proprio corpo. 
Ricordava vagamente che stava combattendo in mezzo alla neve quando c'era stata un'esplosione ed era stato avvolto da una luce abbagliante. Poi il nulla. 
L'ombra di un albero si stagliò pigramente su di lui, concedendogli una tregua contro il sole che gli batteva sulle spalle. 
“Sarò stato scaraventato contro qualcosa e... e dopo essere caduto... avrò perso i sensi.” 
Chiuse gli occhi e accennò portarsi la mano sinistra alla testa quando una nuova fitta di dolore lo investì. Guardò il braccio che aveva tentato di sollevare: le vene erano tutte in rilievo ed era piegato in una posizione innaturale, troppo innaturale. 
“E' rotto, maledizione!” 
Doveva concentrarsi e trovare un modo per medicarlo. Volse lo sguardo intorno, cercando un appiglio al quale aggrapparsi per uscire dal letto del fiume, e poco più in là vide delle radici robuste che fuoriuscivano del terra. Si accostò ad esse, stringendo i denti più che poteva, e con le poche forze che gli rimanevano si arrampicò facendo affidamento sull'unico braccio sano. Non seppe quantificare quanto tempo ci mise, ma non appena percepì il terreno sotto il palmo si accasciò sfinito. 
Successivamente un acre odore di bruciato gli pizzicò le narici. Tastò tutto attorno e si avvide che qualunque cosa toccasse gli si sbriciolava tra le dita. Allarmato, sollevò la testa e osservò incredulo la cenere che ricopriva la vegetazione. Si diresse gattonando verso una sporgenza e a quel punto il cuore parve fermarsi nel petto. Trattenne il fiato, incapace a un tratto di incamerare ossigeno nei polmoni, troppo sconvolto ed esterrefatto per ordinare a quegli organi di svolgere a dovere il loro lavoro. Dappertutto regnava la più sconcertante desolazione che avesse mai visto ed era uno scenario che cozzava in maniera inquietante e sbagliata con l'immagine che possedeva di Llanowar. Non c'era più la tipica, rigogliosa e florida vegetazione, ma solo una landa deserta e arida, piena di alberi secchi e anneriti che protendevano i loro rami al cielo, simili alle dita scheletriche dei martiri. Inoltre, i cadaveri carbonizzati di elfi, uomini e animali ricoprivano tutta la piana. 
L'aria era satura di morte e il cielo era pieno di uccelli, corvi soprattutto, che si aggiravano in circolo come impazziti, forse in cerca dei loro nidi. 
- Ma cosa... che diavolo è successo? Llanowar... è... - rantolò con gli occhi fuori dalle orbite.
Non ebbe il coraggio di continuare la frase. Rimase impietrito in quella posizione per interminabili minuti, tentando di capire cosa avesse potuto ridurre una delle foreste più antiche e potenti dell'intero continente in una steppa sterile e vuota.
Il sole era ormai alto quando tornò dove si era svegliato, sperando di trovare ancora le sue armi. Accanto ad un albero lì nei pressi vide il suo enorme arco nero e sospirò di sollievo.
Lo strinse tra le mani accarezzando le incisioni sopra di esso e se lo rimise in spalla. Non che temesse di trovarlo rotto, il legno in cui era stato intagliato era magico, ma la possibilità che nell'esplosione fosse stato scaraventato chissà dove non era trascurabile.
“ Forse anche le daghe sono qui attorno.”
Scandagliò le scabre piante fino a che non notò lo scintillio dell'acciaio delle sue amate armi sotto quella che doveva essere stata una quercia, il cui tronco carbonizzato era precipitato al suolo. Si accinse a recuperarle, ma un attimo più tardi si ricordò della guerriera contro cui stava duellando appena prima che il disastro si abbattesse su Llanowar. Rapido rinfoderò una delle daghe, tenendo l'altra ben stretta nella mano sana mentre scandagliava i cespugli e le ombre nella boscaglia, ma non scorse nulla a parte arbusti ed erba bruciati. 
“Probabilmente sarà morta nell'esplosione.” 
L'ennesima fitta di dolore gli ricordò del braccio rotto. Doveva immediatamente steccarlo, pulsava in maniera insopportabile, tanto da fargli desiderare di staccarselo a morsi per trovare un rimedio a quel tormento. Solo che poi si sarebbe lamentato della perdita di sangue e di un altro tipo di sofferenza, forse ancora più forte, perciò optò per tenersi stretto l'osso danneggiato.  
Digrignò i denti e si avviò verso una macchia di alberi morti. Lo scricchiolio del legno incenerito sotto i suoi piedi riecheggiava in quel luogo desolato. 
A un tratto intravide una figura umana nascosta riversa sulle radici di una quercia e lì per lì non si fece troppi problemi a scambiarla per un cadavere. D'altronde, Ledah era circondato dai corpi bruciati e senza vita di amici e nemici, perciò non gli passò neanche per l'anticamera del cervello che quel soldato, di cui non vedeva nulla a parte un pezzo di schiena, fosse ancora vivo. Chissà che non avesse qualcosa di utile. Si avvicinò, ma dopo poco dovette fermarsi per concedere alla figura uno sguardo sbigottito: il cadavere del terzo Comandante degli umani, il Cavaliere del Lupo, giaceva supino a pochi metri da lui, tutt'intorno i pezzi della sua argentea armatura: del pettorale rimaneva soltanto qualche piastra, la sottoveste era quasi completamente bruciata e dei gambali non era praticamente rimasto nulla eccetto le cavigliere, che ancora  le avvolgevano i piedi. La cosa che più di tutti stupì il giovane elfo fu che sul corpo di Airis non vi era alcun taglio o ustione; solo lo stato in cui versava la sua corazza testimoniava che anche lei era stata colpita, che si trovava lì quando tutto era accaduto. Ma allora perché era rimasta completamente illesa?
“Un'armatura magica?” ipotizzò, ma persino a lui quell'idea parve improbabile. Anche gli umani sapevano usare la magia, ma non era così sicuro che fossero in grado di temprare l'acciaio con un incantesimo capace di contrastare un'esplosione di quella potenza.
Si avvicinò con circospezione e strinse la daga nell'unica mano che poteva ancora difenderlo. Ora che la osservava meglio, si accorse che il viso di Airis era completamente rilassato, come se stesse dormendo. I lunghi capelli rossi, che incorniciavano un ovale perfetto, mettevano in risalto il candore della pelle e dei lineamenti dolci, quasi infantili, che stonavano con l'immagine dell'efferata guerriera di poche ore prima. Si accovacciò sui talloni, ben attento a mantenere i sensi vigili e all'erta, ma non poté fare a meno di notare le curve nascoste malamente dalla sottoveste. Delle bellissime curve. Scrollò il capo e spostò l'attenzione sulle mani piccole e le dita affusolate, non così callose e malridotte come si era immaginato. Delle bellissime mani. Stavolta si diede un pizzicotto. 
Rimase a fissarla per un po', dimentico dei propri piani di fuga, quando a un certo punto lei emise un mugugno infastidito. 
Stava dormendo sul serio? 
Ledah accostò il viso al suo per verificare se respirava ancora e accertarsi che non era stato vittima di qualche allucinazione. 
- Cinque minuti... - farfugliò Airis dandogli poi le spalle e durante il movimento Ledah adocchiò la striscia di bava che le macchiava una guancia. 
L'elfo passò da un'espressione di meraviglia a una di sdegno in meno di dieci secondi.
- Ehi! Svegliati! - la scosse, - Svegliati ho det... - 
Però non fece in tempo a finire la frase che qualcosa si arpionò alla sua casacca e lo tirò giù. Con grande stupore, in un baleno si trovò schiacciato contro il corpo della guerriera dormiente, che lo stava abbracciando come se fosse il suo orsacchiotto di pezza, addirittura con la faccia compiaciuta affondata nell'incavo del collo di Ledah. L'elfo cercò di districarsi da quella morsa ferrea, ma Airis aveva una forza formidabile e l'arciere aveva già avuto modo di appurarlo. Tuttavia, se stava tentando di soffocarlo facendo finta di sognare, ci stava riuscendo egregiamente. Boccheggiò a corto di fiato e, facendo leva sul braccio sano, tentò invano di alzarsi con lei attaccata come una sanguisuga. Da quella posizione non riusciva neanche a maneggiare la daga. Era in trappola. 
Una spinta improvvisa lo scaraventò di lato, contro uno degli alberi lì intorno, incrinandogli dolorosamente le ultime costole rimaste intatte. Avvertì anche un colpo di frusta alla schiena, ma decise di non badarci, altrimenti si sarebbe messo a urlare insulti piangendo come un bambino. Sbatté le palpebre confuso, intenzionato a capire cosa diamine lo avesse scagliato con inaudita violenza contro un maledetto tronco, quando sentì un leggero movimento a qualche metro di distanza e lo scricchiolio di arbusti calpestati. In pochi istanti, una Airis sconcertata, allibita e un po' tremante entrò nel suo campo visivo.
- Che cosa avevi intenzione di fare, elfo? - indagò con voce carica di rabbia, raggiungendolo e arrestandosi ad appena un paio di passi, torreggiante su di lui come una dea vendicativa. 
Ledah schiuse le labbra e si incantò ad ammirare nuovamente quelli occhi bianchi, troppo opachi per riflettere la luce del sole. Si ridestò dalla contemplazione inopportuna e provò a schiarirsi le idee, mentre con estrema lentezza cercava la posizione seduta, la daga ben salda nel suo pugno. Ma le fitte che gli spedivano ossa e muscoli inibivano i suoi movimenti e lo rallentavano, e alla fine si abbandonò ad una smorfia.
- Non credevo ci saremmo rivisti. È una piacevole sorpresa, sommo Cavaliere. - replicò ironico. 
Con uno scatto repentino, tentò di colpirla al basso ventre, ma Airis lo distanziò prima che la lama violasse le sue carni.  Poi gli saltò addosso, bloccandogli entrambe le braccia al tronco dell'albero. Ledah digrignò i denti e ringhiò: la ferita alla spalla aveva ricominciato a sanguinare e a protestare per la rudezza con cui veniva bistrattata. Per quanto tentasse di liberarsi, non aveva energie sufficienti per far fronte alla forza della guerriera, quindi si arrese e smise di lottare: non aveva senso sprecare energie inutilmente, quello messo peggio era lui. In più, giunto a quel punto, non aveva più carte da giocare e l'unica soluzione intelligente era rassegnarsi.
- Non fare scherzi, elfo. Non ti conviene. -
Airis strinse la presa in modo da impedirgli un qualunque movimento, non che ce ne fosse realmente bisogno. 
- Cos'è stata quell'onda d'urto? - lo interrogò. 
- Ne so quanto te, umana. - volse il capo attorno a sé, scrutando cupo e pensieroso il cimitero arboreo che li circondava. 
- Non mentire. So che sai qualcosa. Noi umani non siamo in grado di incanalare così tanta energia in un unico attacco, perciò è sicuramente opera vostra. - fece scivolare la mano fino all'altezza del livido violaceo che gli macchiava la spalla e strinse.
Dalle labbra di Ledah uscì un gemito strozzato e serrò prontamente le palpebre per celare le lacrime che gli appannarono la vista.  
- Se non parli, ti spezzo il collo qui ed ora. -
Un sorriso sarcastico si dipinse sul viso dell'elfo.  
- E cosa pensi di risolvere uccidendomi? Anche se sapessi qualcosa, la verità morirebbe con me. - tornò a fissare la donna, stavolta con maggiore determinazione, - Probabilmente siamo gli unici superstiti. - 
Sul viso di Airis si disegnò un'espressione accigliata: - Gli unici superstiti? Impossibile. C'era un intero esercito a combattere. -
- Ma non vedi ciò che è successo? Non vedi che... - la frase rimase nell'aria.
“Non può. E' cieca.”
L'elfo fissò i suoi occhi incolori.
Ci fu un attimo di silenzio imbarazzante, poi la guerriera annusò l'aria e rimase in ascolto per alcuni minuti, lo sguardo fisso di fronte a sé e tutti i sensi tesi per percepire ogni suo movimento. 
- Quindi, questo odore di bruciato...? -
- Sì, non si è salvato nulla. A parte la tua e la mia presenza, non percepisco alcun altro segno di vita. - sospirò Ledah, ricacciando indietro le lacrime, - La foresta è stata spazzata via dall'esplosione. La mia casa... -
- Sono morti tutti? - chiese Airis con voce titubante, una voce simile a quella di una bambina spaurita.
Ledah si guardò nuovamente intorno e si imbatté ancora nella triste devastazione che regnava dappertutto. Quel mondo verdeggiante, pieno di colori, magia e vita si era trasformato in un limbo grigio ricoperto di cenere e morte. 
- Non è detto. Se noi siamo sopravvissuti, non escludo la possibilità che anche qualcun altro lo sia. - non aggiunse altro, si sentiva sempre più debole. 
Le ferite e il combattimento lo avevano sfinito. Perché lei invece era ancora completamente in forze?
"E' come se l'onda non l'avesse nemmeno sfiorata. Eppure eravamo insieme."
- Senti, propongo un'alleanza momentanea. - proseguì l'arciere ingoiando un gemito roco.
- Alleanza, dici? E perché mai dovrei allearmi con un elfo come te? Chi mi dice che alla prima occasione non mi tradirai? - si oppose con tono sprezzante, tornando ad essere la feroce guerriera che prima era quasi riuscita ad ucciderlo.
Ledah scoppiò in una grassa risata, pentendosene subito dopo a causa delle fitte lancinanti che gli arrivarono dritte al cervello.
- Sono ridotto ad uno straccio, non so neanche se mi è rimasto qualche osso intatto in tutto il corpo. Oltretutto... - sbuffò contrariato, - beh, d'accordo, riconosco la tua superiorità in combattimento. Se non fosse stato per l'esplosione, probabilmente mi avresti ammazzato. - 
Gli era costato molto fare quel discorso, ma preferiva di gran lunga accantonare il suo orgoglio piuttosto che finire con la testa staccata dal corpo.
Airis si avvicinò fino ad arrivare ad un palmo dal suo naso, però i suoi occhi rimasero fissi nel vuoto. 
- Non probabilmente: ti avrei ucciso di sicuro. - ghignò. 
Il braccio di Airis cadde rilassato lungo il proprio fianco, segno che non aveva più intenzione di trucidare Ledah. Sul volto dell'elfo si disegnò un'altra smorfia di sofferenza, ma dalle sue labbra stavolta non uscì nemmeno un gemito: non voleva darle ulteriore soddisfazione. Vero, non poteva vederlo e una parte di lui gioiva per questo, ma non aveva intenzione di mostrarsi debole. Aveva solo qualche osso rotto, e allora?
- Comunque hai ragione, anche se tu volessi non potresti farmi nulla. - concluse lei spavalda, poi gettò la daga ai piedi del suo proprietario, - Beh? Cosa hai intenzione di fare? -
- Propongo di dirigerci per prima cosa verso all'epicentro dell'esplosione, voglio capire che cosa è accaduto. Successivamente vorrei andare a Shellwood. -
- Shellwood? E perché proprio lì? -
- Perché ho la sensazione che lì troveremo delle risposte. - illustrò Ledah senza esitare.
“Ed è dove si trova mia sorella. Devo parlarle. Lei sicuramente saprà qualcosa o avrà qualche teoria.”
La guerriera rimase un attimo perplessa, ma alla fine scrollò le spalle: - Immagino di non avere scelta. Andiamo. Ma prima devo trovare qualcosa da indossare al posto di questi stracci. -
Ledah scrutò nella penombra, poi si avvicinò carponi ad un cadavere riverso supino a fianco di un'enorme roccia, a circa tre passi da lui. Un colpo d'ascia gli aveva fracassato il cranio rendendolo quasi irriconoscibile, ma le orecchie appuntite confermarono che era un elfo. Il suo braccio destro era stato completamente divelto dalla spalla, mentre l'altro rimaneva attaccato solo grazie agli ultimi legamenti rimasti integri. Doveva trattarsi di un mago, perché al posto dell'armatura portava una tunica nera. Dato però che il corpo non era carbonizzato, considerò che il masso aveva funto da scudo. Gli sfilò con attenzione il capo d'abbigliamento impolverato e logoro ai bordi e poi tornò da Airis.
- Vieni qui, prendi questa. Al momento non credo che troveremo di meglio. - disse porgendogliela. 
La guerriera non replicò. Si limitò ad afferrarla con uno strattone e ad indossarla sopra i resti della sottoveste. Mentre la ragazza si vestiva, Ledah si rese conto di non essere nelle migliori condizioni per camminare. Le ferite sanguinavano ancora e la spalla pulsava dolorosamente.
“ Devo farlo...”
Gettò un'occhiata alle sue spalle e, dopo essersi accertato che la guerriera stava ancora lottando per mettersi la veste, mormorò una frase a mezzavoce. Un piacevole calore si irradiò nelle sue membra martoriate e lentamente i tagli superficiali si rimarginarono, mentre sotto la pelle Ledah sentiva le ossa e i tendini lacerati saldarsi nuovamente. Quando il dolore si fu definitivamente placato, l'elfo aprì e chiuse le mani più volte, osservandole con occhio critico: alcune ferite, soprattutto quella sulla spalla, formicolavano ancora, ma almeno così camminare non sarebbe stata una tortura. “Inoltre, anche se l'osso non è completamente guarito, se non compio sforzi immani dovrebbe andare a posto anche più in fretta del previsto.” pensò sollevato.
- Muoviamoci, elfo.- la voce stizzita della guerriera lo riportò brutalmente alla realtà. Ledah alzò gli occhi al cielo e in poche falcate le fu difronte. Quanto avrebbe voluto toglierle quell'espressione sprezzante dal viso, ma ingaggiare un combattimento in quelle condizioni sarebbe stato un suicidio.
- Puoi almeno smetterla di chiamarmi solo “ elfo”?- sospirò, - Io un nome lo avrei.-
- Oh, per gli dei, abbiamo dimenticato di fare le presentazioni. Ma dove mai ho dimenticato le buone maniere, elfo?- lo provocò la ragazza, senza curarsi di nascondere il tono sarcastico, - E allora dimmi, quale sarebbe il tuo nome, elfo?-
L'arciere si impose di mantenere la calma, anche se aveva la tentazione di tagliarle di netto la testa. O provarci, almeno.
- Ledah, mi chiamo Ledah di Llanowar.- rispose infine, cercando di non far trapelare l'irritazione. Cercare di essere civile con quella donna si stava rivelando un estenuante esercizio di pazienza.
- Bene, io sono Airis Lullabyon. Adesso che mi hai riferito questa informazione essenziale, possiamo andare?- gli scoccò un'occhiata gelida e senza aggiungere altro si incamminarono.
Si misero in marcia che il sole stava già iniziando la sua parabola discendente. Ovunque volgesse lo sguardo, Ledah vedeva solo devastazione: sembrava che la vita avesse ormai abbandonato quel luogo e lo sconforto minacciò più volte di farlo crollare. Strinse il pugno cercando di scacciare il senso di impotenza che si stava lentamente impadronendo del suo animo, anche se si rivelò un'ardua impresa. Percorsero un paio di miglia nella speranza di scovare altre forme di vita, ma a parte i resti degli alberi e dell'antica vegetazione non trovarono nessun altro. I segni della battaglia erano ancora evidenti: spade e scudi giacevano abbandonati ovunque, sparpagliati o conficcati nel terreno, e rifulgevano in maniera macabra sotto i timidi raggi invernali. Molti dei cadaveri erano ormai irriconoscibili a causa delle beccate dei corvi, che avevano portato via loro la maggior parte della faccia; altri presentavano una vasta gamma di ferite diverse, da profondi tagli slabbrati sul petto o sulla gola a veri e propri arti amputati. Grovigli di intestini e viscere giacevano tra la cenere, essiccati come carta bruciata.
Nonostante fino a poche ore prima il vento freddo fischiasse tra le fronde e un sottile strato di neve ammantasse le foglie e i rami, l'aria si era fatta stranamente torrida e non faceva altro che tormentare le loro gole riarse. Mai in tutta la storia di Llanowar c'era stata una tale afa. Addirittura, lontani dal refrigerio elargito dall'ombra, il sole appariva caldo come se fosse estate inoltrata. Fortunatamente alcuni torrenti, quelli più distanti dall'epicentro dell'esplosione, si erano salvati. Altri, invece, anche se non erano spariti, si erano comunque ridotti a causa delle fiamme che li avevano attraversati. Decisero dunque di fermarsi sulla sponda di un ruscello per darsi una rinfrescata e lavare via il fango che imbrattava le loro facce.
- Credi che troveremo mai qualcuno? - domandò Airis rompendo il silenzio, mentre si passava l'acqua sul viso con un sospiro appagato, - Sì... insomma... non ci siamo ancora imbattuti in alcun superstite. -
- Perché tu pensi davvero che ci siano dei sopravvissuti? Sii realistica. - la schernì Ledah. 
Avevano camminato per miglia, incontrando solo cadaveri mutilati e alberi sradicati. Le probabilità che qualcuno fosse uscito indenne da quel disastro erano praticamente nulle.
- No. Però non capisco il perché di tutto questo. Non riesco ad immaginare quante vite siano state spezzate via oggi... e non solo umane. Avrei capito il gesto se i tuoi fossero stati risparmiati, ma così non è stato. Per quale ragione degli elfi avrebbero scagliato una magia così potente col rischio di falciare anche i propri alleati? È stata un'azione suicida. - rifletté ad alta voce, puntando gli occhi vacui di fronte a sé.
- Sicura che voi non c'entrate niente come vuoi farmi credere? Non mi stupirei che qualche umano abbia fatto il passo più lungo della gamba. Siete famosi per la vostra tracotanza e impulsività, non sarebbe strano se... -
- Ti sbagli. - lo ghiacciò, - Se proprio ti interessa, noi ci siamo limitati ad usare il Respiro del Drago per provocare un incendio in una parte della foresta e costringervi a venire allo scoperto. Però un disastro di una simile portata non è opera di un semplice miscuglio alchemico, ne conosco gli effetti. È chiaro che c'è ben altro sotto e intendo scoprire cosa. -
- Non pensarci troppo, sicuramente troveremo qualche traccia. È probabile che, come noi, chiunque abbia avuto la fortuna di sopravvivere stia andando a vedere cosa diavolo è successo. Forse li incontreremo lungo la strada. - concluse Ledah, cercando di rassicurarla. 
A quelle parole gli venne da ridere: un elfo rinnegato che rincuora il Generale dei nemici.
"Che situazione paradossale."
Proprio in quel momento una figura canina si gli avvicinò: era un lupo dal pelo bianco come la neve e dagli occhi color delle fiamme. L'elfo gli posò una mano sul muso, come per accarezzarlo, quando questo scomparve come se fosse stato fatto d'aria pura. Airis non aveva notato né percepito niente. O almeno, così gli pareva.
Ledah gettò uno sguardo attorno a sé, improvvisamente serio: - Abbiamo visite. -
- Visite? - ripeté, senza curarsi di nascondere la sorpresa. 
Fino a qualche secondo prima era rassegnata all'idea di essere l'ultima superstite del suo contingente, ma adesso una debole scintilla di speranza si riaccese nel suo cuore. Aguzzò tutti i sensi, cercando di capire chi o cosa si stesse avvicinando, e la mano corse alla propria spada. 
In mezzo al silenzio tombale risuonò in lontananza un leggero scalpiccio, che via via, col passare dei secondi, si fece sempre più concitato. Airis e Ledah rimasero immobili, le orecchie tese a cogliere anche il più insignificante rumore. Poi fu questione di pochi attimi: cinque esseri dalle sembianze umane, che un tempo dovevano essere stati soldati, li accerchiarono. La pelle completamente bruciata pendeva dai loro crani, lasciando intravedere le ossa e i muscoli sottostanti; alcuni pezzi delle armature si erano fusi col corpo e le loro braccia parevano un tutt'uno con le armi che impugnavano, come se fossero diventati prolungamenti degli arti. A due di loro erano stati mangiati gli occhi. 
Airis fissò a lungo nella direzione di quegli esseri, come se potesse vederli.
- Identificatevi! - ordinò secca, ma l'unica risposta che ricevette fu un suono gutturale, animalesco, simile a una risata. 
Il cerchio attorno a loro si strinse. 
Ledah imprecò. 
La sua voce poi giunse forte e chiara alle orecchie della ragazza: - Ora come ora ne posso fronteggiare al massimo due. - 
Non ebbe il tempo di finire la frase, perché tre di quei mostri caddero a terra con un enorme squarcio aperto sul petto. Si voltò verso Airis e la guardò come se le fossero spuntate le corna. Lei, con espressione granitica e determinata, se ne stava in posizione di difesa, leggermente piegata sulle gambe e il busto proteso in avanti, ignara delle occhiate a metà tra l'ammirato e l'oltraggiato che Ledah le scoccava, con la spada che grondava sangue fresco. 
-Oh... come non detto! - borbottò l'elfo, rodendosi il fegato per la bravura e i riflessi sviluppati dell'umana. 
Grugnì indispettito e si girò verso i due esseri rimasti dietro di lui.  
Sguainò la daga e in pochi istanti fu pronto a scattare. Osservò le pupille nere degli avversari, che non avevano più nulla di umano, e represse un brivido. Respirò a fondo e si concentrò sul battito del proprio cuore, cercando di controllarlo. I mostri attaccarono, le spade scheggiate alzate verso l'alto, assetate di morte. Strinse l'elsa della sua arma, aspettando che i suoi nemici divorassero i passi che li separavano. Il dolore al braccio sinistro si acuì e pervase ogni fibra del suo corpo, ma Ledah lo ignorò. Non poteva permettersi cedimenti. 
Il mondo circostante perse i suoi contorni e in un attimo contò solo il presente. Qualcosa fendette l'aria proprio sopra la sua testa e l'elfo rotolò a destra schivando la lama nemica, che tagliò il vuoto. Il mostro si voltò a guardarlo, già pronto ad un altro assalto. Le gambe di Ledah si tesero, scattarono e azzerarono la distanza. Le fauci dell'essere si aprirono per emettere un urlo di furia, ma ne uscì solo un sussulto, mentre la gola si riempiva del suo stesso sangue. Il braccio della creatura ebbe un ultimo fremito, poi la spada scivolò via dalle sue dita, ma prima di toccare il suolo l'elsa era già nelle mani di Ledah. Si girò per parare il fendente dell'altro mostro proveniente dalla sua sinistra e il colpo fu talmente forte che dall'incontro delle due lame si generarono delle scintille. L'elfo colpì nuovamente con tutta la foga, costringendo il mostro a indietreggiare.
Dopo un paio di affondi si sentì uno scricchiolio, poi un secondo, e la spada dell'essere si spezzò come se fosse di vetro. Ormai la creatura non aveva più nulla con cui difendersi, perciò la daga di Ledah accarezzò la sua gola e vi aprì un profondo squarcio. Il sangue imbrattò copioso quella terra arida e sterile. Non appena il mostro cadde a terra, ci fu solo silenzio.
- Allora... - esordì Ledah, dando un calcio alla spalla del cadavere per voltarlo supino, - Non siamo gli unici. -
- Io non li considererei vivi. Sembravano... posseduti. Le sensazioni che mi hanno trasmesso sono sbagliate... non so come descriverlo. - rispose Airis pacata.
- Comunque, da qui fino alle prossime dieci miglia non penso ci sia alcuna traccia di vita, quindi ritengo sia meglio accamparci da qualche parte prima che faccia buio. -
- Aspetta!- gli afferrò la spalla sana e lo bloccò sul posto, - Prima, quando eravamo ancora nella...- si morse il labbro, - nella foresta ho percepito una presenza per qualche secondo e anche ora, poco prima della battaglia. Cos'era? - la guerriera gli si affiancò, lo sguardo pieno di curiosità.
“Ah, se n'era accorta!”
- Era il mio famiglio, uno spirito elementale che nasce dalle forze primigenie della natura. Grazie a lui potremo stare tranquilli per eventuali imboscate, mi avvertiranno qualora fossimo in pericolo. - spiegò rapidamente l'elfo. La guerriera inclinò la testa, come se cercasse di assimilare l'informazione. Poi scrollò le spalle e fece ricadere il braccio lungo il fianco.
- Capisco.- assentì infine, ma all'elfo non sfuggirono le sopracciglia corrucciate e l'espressione dubbiosa sul suo volto.
- Non si stupiva più di tanto che non riuscisse a comprendere fino in fondo di cosa parlava -in fin dei conti era una guerriera non una maga- ma il fatto che si fosse resa conto della loro presenza gli faceva emergere molte domande. Gli gettò un'occhiata indagatrice, ma rinunciò a intavolare una conversazione: anche se avesse voluto, aveva la certezza matematica che la guerriera non si sarebbe scucita.
Si diressero verso est e sotto la luce lugubre della luna Ledah finalmente intravide una grotta dove passare la notte. Il muschio ne ricopriva le pareti e i tralci dell'edera si insinuavano nelle cavità delle pietre come serpenti. Entrò, imitato subito dalla ragazza, e si sedette esausto, assaporando quell'odore di fresco che gli era mancato nelle ore addietro. Il dolore al braccio era ancora presente, ma era troppo stanco per sentirlo. L'esplosione, la battaglia con Airis e lo scontro con quelle creature lo avevano sfiancato. Adesso doveva preoccuparsi di recuperare le forze, al resto avrebbe pensato l'indomani.
“Domani andrò a cercare delle erbe per velocizzare la guarigione...” 
Chiuse gli occhi e lentamente scivolò nel sonno, incurante del fatto che al suo fianco, a montare la guardia e a vegliare su di lui, c'era un'umana.

  
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