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Autore: MelKaine    03/11/2013    17 recensioni
Il piccolo Harry Potter ha sei anni e non ha assolutamente idea di cosa significhi essere felice. Quando viene portato via dalla famiglia dei suoi zii la sua vita è destinata ad intrecciarsi con quella di Severus Snape, giovane maestro di Pozioni. Una storia sulla compassione e l'affetto, il cuore di tutto ciò che è amore.
Genere: Avventura, Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Harry Potter, Minerva McGranitt, Severus Piton
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
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The Heart of everything 22
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Che dire... un altro anno scivolato via, ma non ho mai dimenticato il piccolo Harry e l'ho portato con me in vacanza, al mio nuovo lavoro, nella mia nuova casa e nella mia nuova vita. Naturalmente non ho più 18 anni come quando iniziai a scrivere e pubblicare e le necessità cambiano. Come scrivevo ad un mio caro amico poco tempo fa ci sono tanti privilegi nel vivere da adulti, ma anche tante responsabilità che prima qualcun altro si prendeva per te. Come ho scritto ad alcuni ( presto risponderò a tutti i commenti ) prima di ripresentarmi sono andata un po' avanti ed ho qualche capitolo già pronto, non dovrebbe mancare molto, forse non arrivo ai 30, non lo so con precisione, speriamo che il materiale in più mi dia il tempo di riprendere la scrittura nuovamente interrotta. Comunque mi godo questo momento, quest'anno è il mio anniversario, 10 anni dal giorno della mia prima storia su Ysal, 10 anni che scrivo e che sogno, insieme a tutti coloro che condividono le mie storie, le loro e la nostra passione. 

Mel Kaine

 

 

 

 

 



The Heart of Everything

 

 

 

 22 - / In the middle of the night  /


 


Lo sguardo di Lupin era stato solo il primo di molti altri e non tutti erano appartenuti al dannato lupo. Ma Severus sedeva diritto e impassibile, imperturbabile quasi nel suo tentativo di trasmettere sicurezza al figlio di Lily, sapeva che il bambino era in grado di percepire la rigidità del suo atteggiamento e convenne con se stesso che persino interessarsi all’insulsa conversazione che stava andando avanti poteva rappresentare una distrazione.

Albus stava parlando del cane pulcioso, quale momento migliore di questo per ascoltare? Tsk!

“Come ho già detto il presente arrangiamento è il migliore per tutti, eppure non possiamo contestare il diritto di Sirius, anche se la situazione andrebbe ponderata a fondo, dovrei parlargli di nuovo, ritengo…”

“A questo riguardo, Albus, riferisco quello che devo riferire e poi toglierò l’incomodo. Sirius ha inviato un gufo al Ministero, inutile parlargli ormai, la pratica di contestazione sull’affidamento di Harry Potter è stata iniziata. Appena ne saprò di più tornerò ad informarvi. Con permesso”.

E si congedò, non prima di aver fissato ancora una volta il suo sguardo in quello di Severus mentre raggiungeva la porta.

Un breve mormorio nacque nello studio, ma presto si chetò ad un gesto dell’anziana mano di Albus.

“Affidamento?” chiese quindi Arthur, interpretando i dubbi di molti altri.

“Sì, stavo appunto informandovi di questo prima della breve notizia riferita da Remus. Dopo alcune consultazioni fra di noi – ‘accese discussioni’ fornì la mente di Snape – abbiamo convenuto con Severus, non molto tempo fa, seppur prima della scarcerazione di Sirius, che il bambino avesse bisogno di un tutore legale in modo da fronteggiare per tempo qualsiasi mossa avventata da parte del Ministero” rispose Albus.

Dopo un attimo di pausa riprese.
“Come molti di noi certamente sapranno spesso la ‘benevolenza’ del Ministero della Magia si riversa su soggetti che difficilmente avrebbero avuto questo aiuto se non fossero stati, per così dire, straordinari nel loro genere e questo è il caso del nostro Harry…”

“Certo, il Bambino Sopravvissuto fa gola a quel branco di pecore belanti, così da grande potrà tessere le lodi del Ministro per averlo salvato dalla strada, tutti uguali questi politici, puah – sputò Moody – meglio con i suoi parenti Muggle piuttosto”.

“Altri cinque anni con quei… Muggle? Inaccettabile, Albus! Desideri forse che lo chiamino 
Il Bambino Sopravvissuto Per Davvero?” non poté trattenersi Snape.

“Severus…” lo ammonì Dumbledore.

Il giovane Maestro di Pozioni si alzò, dopo aver accompagnato gentilmente il bambino a terra.
“Appare evidente, dopo l’edificante notizia di Lupin, che qualsiasi cosa pensiate di decidere in questa riunione avverrà in tutta un’altra maniera. Per quanto estasiato dal pensiero di condividere con tutti voi illuminanti teorie su quello che sicuramente non accadrà mi trovo costretto a lasciarvi per motivi di tempo. Ho saputo quanto dovevo. Preside”.

E così dicendo si congedò, furibondo.


Il cane rognoso si era già mosso, ovviamente.
Come non aspettarselo?

Dannazione! Dannazione!

Senza accorgersene, col passo reso furioso dalle inanità sentite durante quell’insulsa riunione, Snape arrivò davanti al dipinto che nascondeva l’accesso ai suoi quartieri senza voltarsi.
Mentre entrava provò l’inusuale, strana sensazione di aver dimenticato qualcosa di fondamentale.
Nel girarsi per suggerire al bambino-Potter di andare a lavarsi le mani per la cena incontrò solo il vuoto di una stanza in cui era, chiaramente, solo.
Si lanciò fuori dalle sue stanze come se i suoi quartieri fossero improvvisamente diventati il nuovo campo della Coppa Mondiale di Quidditch e, quando il nero di un corridoio ancor più deserto dei suoi alloggi lo investì, corse in preda ad un senso di allarme che aveva provato solo un’altra volta nella vita.
La notte in cui Lily era morta.
Nella testa ripeteva il nome del bambino-Potter come un mantra che doveva, questa volta almeno, farlo arrivare in tempo.
L’urgenza che provava rischiò di soffocarlo all’ennesimo angolo che non rivelava niente se non stupide fiaccole incantate e odore di umido.
Il battito sconvolto del suo cuore pareva risuonare fra le pareti degli atri corridoi che avevano rapito Harry.
Stupido, stupido che non era altro.
Avrebbe dovuto ricordarsi di non camminare troppo veloce, il bambino-Potter era così piccolo da non riuscire a stare al suo passo e adesso l’aveva perso dentro Hogwarts, la stessa Hogwarts che aveva covato in seno vipere pronte a tutto come il signor Sorier.
Non ebbe neppure il tempo di finire quella furiosa invettiva contro se stesso che lo vide girare sperdutamente un angolo, le manine raccolte contro la pancia, gli occhi che persino da lontano sembravano lucidi.
Corse verso di lui ed Harry, quando lo vide, fece lo stesso, un sollievo mai visto prima sul suo visetto triste e tirato.
S’incontrarono ironicamente prima della metà del corridoio, Severus con la sua altezza aveva fatto molta più strada e l’aveva accolto fra le braccia quasi vicino all’angolo, là dove l’aveva visto.
Lo ghermì come un falco cala sulla preda e se lo strinse contro mentre il bambino-Potter mormorava singhiozzando tutta una serie di inutili scuse che Severus non ascoltò.
Sapeva già che non era stata colpa di Harry, che niente era colpa di Harry, ma adesso il loro tempo era davvero finito ed il solo pensiero di provare di nuovo la devastante sensazione di perderlo, questa volta per sempre, era sufficiente a fargli desiderare con tutto il cuore che non aveva un misericordioso Avada Kedavra.


Il maestro di Pozioni riportò Harry nei loro quartieri e lo aiutò a calmarsi. Cenarono e Snape diede al bambino degli esercizi nuovi, per distrarlo.
Lo vedeva lavorare, sapeva che al bambino-Potter piaceva imparare e che per lui era importante sapere di fare dei progressi, di avere ‘cose nuove’ da fare perché le ‘cose vecchie’ le aveva imparate, ma quella sera tutto era macchiato dall’impronta della recente paura. Gli  occhi del piccolo Harry si sollevavano spesso dal foglio e si puntavano su di lui, non direttamente, non sfrontatamente. Di nascosto, ma non per la paura di una sua violenta reazione, no, ma nello stesso modo in cui si potrebbe guardare una visione magnifica che da un momento all’altro potrebbe scomparire lasciando solo tristezza e rimpianto.
E Severus si dannava in quello sguardo perché sapeva di avergli insegnato, maldestramente, a contare su di lui, ad averlo accanto e se anche avessero avuto l’eternità davanti non si sarebbe mai sentito all’altezza di quello sguardo.

Inutile dire che neppure la bottiglia migliore che possedeva fu di una qualche attrattiva per lui quando rientrò quella sera.
Albus lo aveva chiamato per un incontro privato dopo cena.
Dopo aver controllato i compiti del bambino, preso il latte della sera con lui, messo il bambino-Potter a letto ed aver atteso un tempo congruo affinché pensasse che anche Severus fosse lì nel letto con lui il giovane maestro si era alzato ed aveva raggiunto lo studio di Albus.
Aveva istruito un elfo domestico affinché lo informasse tempestivamente nel caso in cui il bambino si fosse svegliato.
Dannato Albus!
Si era presentato da lui molto tempo dopo il suo invito, in cuor suo estremamente soddisfatto di aver avuto affari più urgenti che lo avevano scusato dal presentarsi al cospetto del suo burattinaio con la fretta che Albus sempre sapeva instillare nelle sue marionette preferite.
Non aveva che quelle misere rivolte contro di lui, pensò entrando.
Naturalmente Albus sorrise affabile e non menzionò il ritardo di Severus neppure una volta.

La loro conversazione era stata come Snape l’aveva immaginata durante il percorso dai suoi quartieri all’ufficio del Preside.

Di tutta l’inutile, insulsa ripetizione di quanto era emerso dalla loro riunione pomeridiana Snape non aveva tratto nessun beneficio.
Il punto chiave erano state le parole del lupo mannaro, ma Albus, una volta di più deciso a tormentarlo, vi arrivò solo dopo tutto il resto.
Di quello che si erano detti Severus si portò nelle sue stanze solo l’ultima conversazione.

Implacabile quando giungeva al punto Dumbledore lo morse alla giugulare.
“Severus… è meglio che tu sia preparato… il Wizengamot deve cinque anni di libertà a Sirius. Faranno di tutto per entrare nelle sue grazie, sperando così di evitare il risarcimento che gli devono, anche se questo volesse dire strappare il tuo documento di adozione e affidare a lui il bambino, nonostante Sirius non sia… pronto”.

La sua frustrazione era salita a livelli inimmaginabili, quella giornata sembrava interminabile e Severus stava esaurendo le proprie risorse.
Si alzò di scatto.
“Credi forse che non ci abbia pensato? Che non lo sappia? Che cosa posso fare, Albus? Desidererei non aver mai…”
“Non dirlo, ragazzo mio”.
Silenzio.
“Non dirlo perché sai che non è vero. Non sapevi cosa contenesse quel Pensatoio, ma se anche tu l’avessi saputo sono certo che avresti fatto la scelta giusta, come sempre”.

Severus si volse di scatto, furibondo.
“Allora è chiaro che non mi conosci affatto” sibilò per poi andarsene senza aggiungere altro.

Rientrò nei suoi quartieri senza far rumore.
Rimase in piedi in mezzo al salotto, così come aveva fatto il bambino-Potter tante volte in quei mesi.
Lanciò uno sguardo all’armadietto dei liquori e soppesò quello che andava fatto.
Un sorso non sarebbe bastato, forse neppure un’intera bottiglia.
Doveva essere sobrio per il bambino, se mai avesse avuto dei problemi durante la notte.
E poi non voleva andare a letto con l’odore dell’alcol addosso.

Così si ritirò nella propria camera, congedando silenziosamente l’elfo rimasto a guardia e stendendosi accanto al bambino-Potter.
Si preparò ad una notte di pessimo riposo, costellata dai brandelli delle conversazioni avute quel giorno. Una notte senza il sollievo dell’alcol o di una pozione, una notte in cui si sacrificava volentieri per chi dormiva con lui.

Nel buio assoluto una manina lo cercò, piano piano.
E con altrettanta, esitante, goffa, lentezza s’infilò nella sua.

Nel silenzio la voce del bimbo lo raggiunse.
“Harry sapeva che il maestro-Sevreus sarebbe tornato, Harry ne era sicuro e… ti ho aspettato perché dobbiamo dormire insieme. Buonanotte, maestro-Sevreus”.

“Buonanotte, Harry” fu la sua roca, spezzata risposta.

E se era vero che Severus aveva scacciato gli incubi del piccolo Harry, quella notte anche Harry scacciò i suoi.
Insieme dormirono fino al mattino.

Si scrutavano da sopra le loro tazze.
Il bambino-Potter sorrideva impunemente, mentre Snape finiva il suo tè.
La notte appena passata lo aveva ristorato, nel corpo e nello spirito.
Non che una stretta di mano e due parole nel buio avessero spazzato via la spada di Damocle che pendeva sopra le loro teste, ma Severus si sentiva più concentrato, più… pronto.

Nessuna corsa affannosa verso il successo avrebbe fatto maturare il bambino-Potter in un giorno, nessun programma anticipato lo avrebbe aiutato ad acquisire le normali abitudini di un bambino sano nello spirito.
Non sapevano quanto poco tempo restava, ma per coerenza Snape non avrebbe abbandonato il percorso scelto.
Tutto doveva restare come prima.
Con i loro piccoli traguardi giorno dopo giorno, finché gliene era concesso il tempo.
Il bambino-Potter aveva bisogno di stabilità, di equilibrio.
E adesso la priorità era mantenere entrambi e proseguire con le loro abituali attività.


I compiti al mattino, il giardino nel weekend, la cena insieme, il latte della sera.
Un’altra settimana.
Nessuna notizia di Lupin o peggio ancora, di Black.
Adesso che, seppur non scongiurata, la minaccia si era allontanata, Snape ebbe modo di riflettere su qualcosa che fin dall’inizio lo aveva turbato e che non cessava di farlo neppure adesso.

Il bambino-Potter dormiva ancora con lui.

Ormai era tedioso persino per se stesso ripetersi altre amenità su come dividere il letto con il figlio di James Potter fosse impensabile persino adesso che accadeva.
Il punto non era quello.
Il problema era il metodo scientifico di quell’approccio poco ortodosso.
Qualsiasi teoria, dalla più ridicola alla più complessa e affascinante, portava inesorabilmente verso quel momento che il giovane maestro di Pozioni attendeva sempre con innegabile aspettativa.
La verifica della sua attendibilità.
Per i profani, il risultato.
Ma questo singolare, anticonvenzionale esperimento condotto per liberare il bambino-Potter dagli incubi aveva l’indubbia lacuna di non presentare alcun mezzo di verifica.
In sua compagnia le pessime esperienze oniriche del bambino si erano ridotte fino a scomparire, ma era solo un risultato parziale che si verificava in sua presenza oppure poteva ritenere risolto il suo disturbo?
Non aveva modo di saperlo e, mai come in questo momento, detestò di non avere altra possibilità che quella di procedere per tentativi.
Severus Snape era un uomo di scienza che credeva fermamente nel potere della logica e del dimostrabile, ma come poteva ignorare quella sottile umanità che adesso gli sorrideva da dietro quegli occhi verde bosco?
Avrebbe potuto lasciarsi guidare dalle deduzioni e dall’osservazione, ma riteneva più giusto intervenire.
Il bambino dipendeva già da lui per troppe cose ed il suo animo poteva facilmente scivolare verso oscuri presagi di un dominio senza precedenti sul mago più potente di tutti.
Ma Severus non aveva promesso di fare del bambino-Potter un servo felice, aveva giurato a se stesso di renderlo forte, come Lily. La dolce, determinata Lily che aveva dato la vita affrontando il mago più oscuro di tutti i tempi, sapendo di non avere alcuna possibilità, ma coraggiosamente, fino all’ultimo respiro.
Era stata quella forza, quel coraggio a salvare suo figlio e adesso Snape era chiamato a fare quello che Lily non poteva più. Insegnare quello stesso coraggio a suo figlio, al suo piccolo Harry.
E non sarebbe stato facile, ma per Dio l’avrebbe fatto.
Ed avrebbe cominciato proprio da quegl’incubi che lo tormentavano.

Presa la sua decisione Severus osservò attentamente il bambino-Potter per qualche giorno. Sembrava tranquillo nella sua routine, la sera non impiegava mai troppo tempo ad addormentarsi e non cercava di procrastinare l’ora di andare a letto. Casualmente il maestro di Pozioni  introdusse l’argomento a colazione e chiese al bambino-Potter come avesse passato la notte. La risposta del piccolo sembrò incoraggiante.
Forse potevano provare a separarsi una di quelle sere.

Il piccolo Harry si mise al lavoro sui suoi fogli, ma sentiva che la sua testa era da un’altra parte. Il suo uomo-Sevreus gli aveva fatto delle domande su come Harry dormiva ed Harry non era stupido come diceva sempre Zio Vernon a tutti. Harry sapeva che l’uomo-Sevreus l’aveva portato a dormire con sé perché Harry faceva sempre dei sogni brutti e lo svegliava. Certo, da quando dormiva con il suo uomo-Sevreus non aveva avuto più nessuno di quei sogni, ma non si sentiva lo stesso pronto a dormire da solo. Non avrebbe saputo dire perché, ma lo sapeva. Però aveva capito anche che l’uomo-Sevreus voleva che Harry imparasse a dormire da solo di nuovo, certamente era stanco di dividere il suo letto con Harry. Magari Harry nel sonno faceva tutti quei versi che faceva sempre Zio Vernon e che tenevano sveglia Zia Petunia.
Harry non voleva essere un problema per il suo uomo-Sevreus e quindi avrebbe provato, per lui, a tornare in camera.
Presa la sua decisione cercò di lavorare al meglio sulle parole che il maestro Sevreus gli aveva dato.

Quella sera fu un susseguirsi di sguardi in un clima di strano silenzio.
Mentre Severus dibatteva con se stesso sulla tempistica e la maniera di trovare un riavvicinamento fra il bambino-Potter e la sua camera il piccolo Harry era in ansia per la notte che si avvicinava.

Appena finita la cena, ottenuto il permesso di alzarsi, Harry corse alla sua scatola dei compiti come se fosse una boa in mezzo ad un mare in tempesta.
Severus lo guardò con un sopracciglio alzato, ma non approfondì quel suo atteggiamento.

Per il piccolo Harry scrivere tutte quelle lettere era una cosa bellissima, una cosa che Harry sapeva fare e che non gli faceva pensare alle sue paure e alle cose brutte che gli erano successe da quando poteva ricordare, quindi scrisse tutta la sera, fino a che l’uomo-Sevreus non lo chiamò per dargli la sua tazza di latte.
Finito il latte non c’era davvero più niente che poteva fare per non andare a letto e quindi si rassegnò con un piccolo sospiro e, con la schiena ben dritta, come dicevano i grandi, seguì il maestro Sevreus lungo il corridoio.
Arrivato di fronte alla porta della sua stanza il piccolo Harry si fermò. Incerto se permettersi di chiamare il maestro o entrare senza dire niente il bimbo rimase lì.
Non sentendo dietro di sé la presenza del bambino-Potter Snape si volse senza perder tempo. Il figlio di Lily lo guardava da metà del corridoio, davanti alla porta chiusa di quella che era stata la sua stanza. I suoi occhi verdi erano un oceano di acque agitate in cui era impossibile leggere qualcosa tranne una profonda insicurezza.

“Cosa c’è, Harry? Mi devi dire qualcosa?” Snape fece attenzione a non dare nessun tono particolare alla domanda, non voleva scoraggiare i rari slanci di iniziativa che il bambino prendeva.

Di nuovo quell’infernale contorcersi di manine, una costante dei primi tempi che adesso si vedeva meno, ma ritornava quando il piccolo Potter non si sentiva a suo agio. Poi finalmente la risposta.

“Har... ehm, signore, io pensavo, chiedevo... volevo chiedere se posso...  tornarenellamiastanza,signore!”

Inutile dire quale sorpresa provò il maestro di Pozioni nel sentirsi fare quella richiesta.
Quell’argomento lo aveva tormentato tutto il giorno e adesso, come per magia, appunto, il bambino-Potter chiedeva di fare esattamente quello che Severus desiderava.
Oh sì, c’era stato un tempo lontanissimo, in cui Severus Snape aveva creduto alla fortuna, al caso e alla benevolenza delle stelle, ma quel periodo era finito molto, molto presto.
Non avrebbe pensato neppure per un istante che quell’insolita richiesta fosse venuta fuori per pura coincidenza.
Non poteva ancora affermarne appieno l’origine o il motivo, ma l’avrebbe accolta, almeno per il momento. In fin dei conti non era proprio quello che avrebbe dovuto fare?

“Ti senti... pronto, Harry?”

No rispose il piccolo nella sua testa, un no così forte da preoccuparsi che il maestro lo sentisse, ma non poteva, Harry non poteva fare questo al suo maestro Sevreus, dopo tutto, tutto quanto, non essere capace di fare quella piccola cosa per lui sembrava terribile, perché poteva vedere che il maestro lo voleva, voleva che Harry fosse bravo per lui, anche la notte.

“Sì, signore” rispose subito.

Severus si trattenne forzatamente dallo scuotere la testa. Erano tornati ai ‘Sì, signore’, ‘No, signore’.
Brutto segno.
Ma Snape poteva vedere oltre le apparenze ormai.
Il bambino-Potter, per qualche suo motivo, sembrava veramente convinto di quella decisione e Snape si preparò a castare in silenzio un incantesimo di monitoraggio sulla sua stanza, mentre acconsentiva e guardava il bambino rientrare nella propria camera.

Al piccolo Harry la stanza che il maestro Sevreus aveva preparato per lui piaceva, la sua prima, vera, camera, con il letto e le coperte e tutto quanto, ma non era come entrare nella camera del maestro e sapere di poterlo avere accanto.
Il piccolo Harry si mise sotto le coperte sotto lo sguardo attento del maestro e fece finta di essere felice con un piccolo sorriso tutto storto.

Severus non disse niente. Lo osservò con la certezza che non sarebbe andata bene e mentre il bambino era in bagno per le abluzioni della sera castò l’incantesimo che gli avrebbe notificato ogni cambiamento durante il riposo notturno del piccolo Harry.
Lo attese, dunque, sedette con lui, lo coprì e provò a leggergli un capitolo del loro libro sugli animali del Mondo Magico, poi lo lasciò.

L’allarme del suo incantesimo lo svegliò la prima volta poco dopo la mezzanotte, poi di nuovo alle due.
Un brutto sogno poteva capitare a chiunque, due nella stessa notte no.
Si alzò senza ulteriori indugi e senza fare rumore scivolò piano nella stanza del bambino.

Harry sedeva al centro del letto, le ginocchia al petto, le braccia appoggiate alle ginocchia, la testa affondata sulle braccia. Sembrava uno di quei maledetti gomitoli con i quali Minerva amava giocare nella sua forma di Animagus. Persino dalla soglia si poteva notare il vistoso tremore che lo scuoteva anche se, come sempre, il pianto del bambino-Potter era silenziosissimo.
Severus sospirò senza emettere suono. Chiuse rumorosamente la porta per rendere nota la propria presenza poi si avvicinò e prese il bambino in braccio.
Di nuovo avanti e indietro per la stanza, come aveva imparato a fare tempo prima. Era l’unica cosa che funzionava sempre. Un retaggio della sua primissima, felice, infanzia, forse.
Non lo sapeva, come non sapeva cosa volesse dire avere tutto quel dolore dentro a quell’età.
Snape non era stato un bambino felice e certamente non era un adulto contento, ma almeno aveva avuto una stanza sua, una madre presente e un’amica. Il bambino-Potter non aveva avuto nemmeno quel piccolo, insulso, conforto.
Gli accarezzava la schiena in piccoli cerchi concentrici mentre ascoltava i suoi piccoli singulti interrotti qua e là da pietose richieste di perdono per aver disturbato il suo sonno.
Come se importasse... aveva perso notti intere per questioni molto più frivole... come trucidare Muggle, ad esempio...
Quando il bambino si fu calmato lo riportò al letto e si sedette accanto a lui.
Il bambino alzò su di lui uno sguardo umido e colpevole.
“Mi dispiace, signore, mi dispiace tanto...”

“Di cosa ti dispiace, Harry?” chiese.

“Harry non è riuscito a dormire da solo. Harry... Harry sapeva che forse non sarebbe riuscito, ma voleva e sapeva che anche il maestro voleva, vero?”

“Certamente Harry avrei piacere nel sapere che riesci a dormire da solo senza avere incubi, ma se non eri sicuro perché lo hai fatto?”

“Harry doveva provare, maestro. Harry ha capito che era importante per il maestro, ma... - abbassò il capino - non ce l’ha fatta” si guardava le mani tristemente poi alzò la testa, gli occhi verde sottobosco fissi in quelli neri.
“Il maestro è... arrabbiato con Harry?”

Severus provava disappunto, certo, ma non per le ragioni che Harry poteva immaginare.
Non lo aveva fermato. Sapeva che non era pronto e non lo aveva fermato, lo aveva lasciato solo in quella stanza ed aveva aspettato di assistere nuovamente alla sua sofferenza, ancora una volta.
Non lo aveva aiutato, non lo aveva reso forte.
Aveva solo lasciato che si sacrificasse per lui, per il suo falso idolo egoista.
Avevano ancora molto su cui lavorare.
Intanto avrebbe cominciato col rispondere che non era arrabbiato e col riportarlo di nuovo nelle sue stanze per salvare quello che rimaneva di quella notte di stupidi tentativi.









Continua…

 

 

 

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.
 

   

   
 
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