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Che
dire... un altro anno scivolato via, ma non ho mai dimenticato il
piccolo Harry e l'ho portato con me in vacanza, al mio nuovo lavoro,
nella mia nuova casa e nella mia nuova vita. Naturalmente non ho più 18
anni come quando iniziai a scrivere e pubblicare e le necessità
cambiano. Come scrivevo ad un mio caro amico poco tempo fa ci sono
tanti privilegi nel vivere da adulti, ma anche tante responsabilità che
prima qualcun altro si prendeva per te. Come ho scritto ad alcuni (
presto risponderò a tutti i commenti ) prima di ripresentarmi sono
andata un po' avanti ed ho qualche capitolo già pronto, non dovrebbe
mancare molto, forse non arrivo ai 30, non lo so con precisione,
speriamo che il materiale in più mi dia il tempo di riprendere la
scrittura nuovamente interrotta. Comunque mi godo questo momento,
quest'anno è il mio anniversario, 10 anni dal giorno della mia prima
storia su Ysal, 10 anni che scrivo e che sogno, insieme a tutti coloro
che condividono le mie storie, le loro e la nostra passione.
Mel
Kaine
The Heart of Everything
22 - / In the middle of the night /
Lo sguardo di Lupin era stato solo il primo di molti altri e non
tutti erano appartenuti al dannato lupo. Ma Severus sedeva diritto e
impassibile, imperturbabile quasi nel suo tentativo di trasmettere
sicurezza al figlio di Lily, sapeva che il bambino era in grado di
percepire la rigidità del suo atteggiamento e convenne con se stesso
che persino interessarsi all’insulsa conversazione che stava andando
avanti poteva rappresentare una distrazione.
Albus stava parlando del cane pulcioso, quale momento migliore di
questo per ascoltare? Tsk!
“Come
ho già detto il presente arrangiamento è il migliore per tutti, eppure
non possiamo contestare il diritto di Sirius, anche se la situazione
andrebbe ponderata a fondo, dovrei parlargli di nuovo, ritengo…”
“A
questo riguardo, Albus, riferisco quello che devo riferire e poi
toglierò l’incomodo. Sirius ha inviato un gufo al Ministero, inutile
parlargli ormai, la pratica di contestazione sull’affidamento di Harry
Potter è stata iniziata. Appena ne saprò di più tornerò ad informarvi.
Con permesso”.
E si congedò, non prima di aver fissato ancora una volta il suo sguardo
in quello di Severus mentre raggiungeva la porta.
Un breve mormorio nacque nello studio, ma presto si chetò ad un gesto
dell’anziana mano di Albus.
“Affidamento?” chiese quindi Arthur, interpretando i dubbi di molti
altri.
“Sì,
stavo appunto informandovi di questo prima della breve notizia riferita
da Remus. Dopo alcune consultazioni fra di noi – ‘accese discussioni’
fornì la mente di Snape – abbiamo convenuto con Severus, non molto
tempo fa, seppur prima della scarcerazione di Sirius, che il bambino
avesse bisogno di un tutore legale in modo da fronteggiare per tempo
qualsiasi mossa avventata da parte del Ministero” rispose Albus.
Dopo un attimo di pausa riprese.
“Come
molti di noi certamente sapranno spesso la ‘benevolenza’ del Ministero
della Magia si riversa su soggetti che difficilmente avrebbero avuto
questo aiuto se non fossero stati, per così dire, straordinari nel loro
genere e questo è il caso del nostro Harry…”
“Certo, il Bambino
Sopravvissuto fa gola a quel branco di pecore belanti, così da grande
potrà tessere le lodi del Ministro per averlo salvato dalla strada,
tutti uguali questi politici, puah – sputò Moody – meglio con i suoi
parenti Muggle piuttosto”.
“Altri cinque anni con quei… Muggle?
Inaccettabile, Albus! Desideri forse che lo chiamino ‘Il
Bambino
Sopravvissuto Per Davvero?’
” non poté trattenersi Snape.
“Severus…” lo ammonì Dumbledore.
Il giovane Maestro di Pozioni si alzò, dopo aver accompagnato
gentilmente il bambino a terra.
“Appare
evidente, dopo l’edificante notizia di Lupin, che qualsiasi cosa
pensiate di decidere in questa riunione avverrà in tutta un’altra
maniera. Per quanto estasiato dal pensiero di condividere con tutti voi
illuminanti teorie su quello che sicuramente non accadrà mi trovo
costretto a lasciarvi per motivi di tempo. Ho saputo quanto dovevo.
Preside”.
E così dicendo si congedò, furibondo.
Il cane rognoso si era già mosso, ovviamente.
Come non aspettarselo?
Dannazione! Dannazione!
Senza
accorgersene, col passo reso furioso dalle inanità sentite durante
quell’insulsa riunione, Snape arrivò davanti al dipinto che nascondeva
l’accesso ai suoi quartieri senza voltarsi.
Mentre entrava provò l’inusuale, strana sensazione di aver dimenticato
qualcosa di fondamentale.
Nel
girarsi per suggerire al bambino-Potter di andare a lavarsi le mani per
la cena incontrò solo il vuoto di una stanza in cui era, chiaramente,
solo.
Si lanciò fuori dalle sue stanze come se i suoi quartieri
fossero improvvisamente diventati il nuovo campo della Coppa Mondiale
di Quidditch e, quando il nero di un corridoio ancor più deserto dei
suoi alloggi lo investì, corse in preda ad un senso di allarme che
aveva
provato solo un’altra volta nella vita.
La notte in cui Lily era morta.
Nella testa ripeteva il nome del bambino-Potter come un mantra che
doveva, questa volta almeno, farlo arrivare in tempo.
L’urgenza
che provava rischiò di soffocarlo all’ennesimo angolo che non rivelava
niente se non stupide fiaccole incantate e odore di umido.
Il battito sconvolto del suo cuore pareva risuonare fra le pareti degli
atri corridoi che avevano rapito Harry.
Stupido, stupido che non era altro.
Avrebbe
dovuto ricordarsi di non camminare troppo veloce, il bambino-Potter era
così piccolo da non riuscire a stare al suo passo e adesso l’aveva
perso dentro Hogwarts, la stessa Hogwarts che aveva covato in seno
vipere pronte a tutto come il signor Sorier.
Non ebbe neppure il
tempo di finire quella furiosa invettiva contro se stesso che lo vide
girare sperdutamente un angolo, le manine raccolte contro la pancia,
gli occhi che persino da lontano sembravano lucidi.
Corse verso di lui ed Harry, quando lo vide, fece lo stesso, un
sollievo mai visto prima sul suo visetto triste e tirato.
S’incontrarono
ironicamente prima della metà del corridoio, Severus con la sua altezza
aveva fatto molta più strada e l’aveva accolto fra le braccia quasi
vicino all’angolo, là dove l’aveva visto.
Lo ghermì come un falco
cala sulla preda e se lo strinse contro mentre il bambino-Potter
mormorava singhiozzando tutta una serie di inutili scuse che Severus
non ascoltò.
Sapeva già che non era stata colpa di Harry, che niente
era colpa di Harry, ma adesso il loro tempo era davvero finito ed il
solo pensiero di provare di nuovo la devastante sensazione di perderlo,
questa volta per sempre, era sufficiente a fargli desiderare con tutto
il cuore che non aveva un misericordioso Avada Kedavra.
Il
maestro di Pozioni riportò Harry nei loro quartieri e lo aiutò a
calmarsi. Cenarono e Snape diede al bambino degli esercizi nuovi, per
distrarlo.
Lo vedeva lavorare, sapeva che al bambino-Potter piaceva
imparare e che per lui era importante sapere di fare dei progressi, di
avere ‘cose nuove’ da fare perché le ‘cose vecchie’ le aveva imparate,
ma quella sera tutto era macchiato dall’impronta della recente paura.
Gli occhi del piccolo Harry si sollevavano spesso dal foglio
e si
puntavano su di lui, non direttamente, non sfrontatamente. Di nascosto,
ma non per la paura di una sua violenta reazione, no, ma nello stesso
modo in cui si potrebbe guardare una visione magnifica che da un
momento all’altro potrebbe scomparire lasciando solo tristezza e
rimpianto.
E Severus si dannava in quello sguardo perché sapeva di
avergli insegnato, maldestramente, a contare su di lui, ad averlo
accanto e se anche avessero avuto l’eternità davanti non si sarebbe mai
sentito all’altezza di quello sguardo.
Inutile dire che neppure la bottiglia migliore che possedeva fu di una
qualche attrattiva per lui quando rientrò quella sera.
Albus lo aveva chiamato per un incontro privato dopo cena.
Dopo
aver controllato i compiti del bambino, preso il latte della sera con
lui, messo il bambino-Potter a letto ed aver atteso un tempo congruo
affinché pensasse che anche Severus fosse lì nel letto con lui il
giovane maestro si era alzato ed aveva raggiunto lo studio di Albus.
Aveva istruito un elfo domestico affinché lo informasse tempestivamente
nel caso in cui il bambino si fosse svegliato.
Dannato Albus!
Si
era presentato da lui molto tempo dopo il suo invito, in cuor suo
estremamente soddisfatto di aver avuto affari più urgenti che lo
avevano scusato dal presentarsi al cospetto del suo burattinaio con la
fretta che Albus sempre sapeva instillare nelle sue marionette
preferite.
Non aveva che quelle misere rivolte contro di lui, pensò entrando.
Naturalmente Albus sorrise affabile e non menzionò il ritardo di
Severus neppure una volta.
La loro conversazione era stata come Snape l’aveva immaginata durante
il percorso dai suoi quartieri all’ufficio del Preside.
Di
tutta l’inutile, insulsa ripetizione di quanto era emerso dalla loro
riunione pomeridiana Snape non aveva tratto nessun beneficio.
Il
punto chiave erano state le parole del lupo mannaro, ma Albus, una
volta di più deciso a tormentarlo, vi arrivò solo dopo tutto il resto.
Di quello che si erano detti Severus si portò nelle sue stanze solo
l’ultima conversazione.
Implacabile quando
giungeva al punto Dumbledore lo morse alla giugulare.
“Severus…
è meglio che tu sia preparato… il Wizengamot deve cinque anni di
libertà a Sirius. Faranno di tutto per entrare nelle sue grazie,
sperando così di evitare il risarcimento che gli devono, anche se
questo volesse dire strappare il tuo documento di adozione e affidare a
lui il bambino, nonostante Sirius non sia… pronto”.
La sua
frustrazione era salita a livelli inimmaginabili, quella giornata
sembrava interminabile e Severus stava esaurendo le proprie risorse.
Si alzò di scatto.
“Credi forse che
non ci abbia pensato? Che non lo sappia? Che cosa posso fare, Albus?
Desidererei non aver mai…”
“Non dirlo,
ragazzo mio”.
Silenzio.
“Non
dirlo perché sai che non è vero. Non sapevi cosa contenesse quel
Pensatoio, ma se anche tu l’avessi saputo sono certo che avresti fatto
la scelta giusta, come sempre”.
Severus si volse
di scatto, furibondo.
“Allora è chiaro
che non mi conosci affatto” sibilò per poi andarsene senza aggiungere
altro.
Rientrò nei suoi quartieri senza far rumore.
Rimase in piedi in mezzo al salotto, così come aveva fatto il
bambino-Potter tante volte in quei mesi.
Lanciò uno sguardo all’armadietto dei liquori e soppesò quello che
andava fatto.
Un sorso non sarebbe bastato, forse neppure un’intera bottiglia.
Doveva essere sobrio per il bambino, se mai avesse avuto dei problemi
durante la notte.
E poi non voleva andare a letto con l’odore dell’alcol addosso.
Così
si ritirò nella propria camera, congedando silenziosamente l’elfo
rimasto a guardia e stendendosi accanto al bambino-Potter.
Si
preparò ad una notte di pessimo riposo, costellata dai brandelli delle
conversazioni avute quel giorno. Una notte senza il sollievo dell’alcol
o di una pozione, una notte in cui si sacrificava volentieri per chi
dormiva con lui.
Nel buio assoluto una manina lo cercò, piano piano.
E con altrettanta, esitante, goffa, lentezza s’infilò nella sua.
Nel silenzio la voce del bimbo lo raggiunse.
“Harry
sapeva che il maestro-Sevreus sarebbe tornato, Harry ne era sicuro e…
ti ho aspettato perché dobbiamo dormire insieme. Buonanotte,
maestro-Sevreus”.
“Buonanotte, Harry” fu la sua roca, spezzata risposta.
E se era vero che Severus aveva scacciato gli incubi del piccolo Harry,
quella notte anche Harry scacciò i suoi.
Insieme dormirono fino al mattino.
Si scrutavano da sopra le
loro tazze.
Il bambino-Potter sorrideva impunemente, mentre Snape finiva il suo tè.
La notte appena passata lo aveva ristorato, nel corpo e nello spirito.
Non
che una stretta di mano e due parole nel buio avessero spazzato via la
spada di Damocle che pendeva sopra le loro teste, ma Severus si sentiva
più concentrato, più… pronto.
Nessuna corsa affannosa verso il
successo avrebbe fatto maturare il bambino-Potter in un giorno, nessun
programma anticipato lo avrebbe aiutato ad acquisire le normali
abitudini di un bambino sano nello spirito.
Non sapevano quanto poco tempo restava, ma per coerenza Snape non
avrebbe abbandonato il percorso scelto.
Tutto doveva restare come prima.
Con i loro piccoli traguardi giorno dopo giorno, finché gliene era
concesso il tempo.
Il bambino-Potter aveva bisogno di stabilità, di equilibrio.
E adesso la priorità era mantenere entrambi e proseguire con le loro
abituali attività.
I compiti al mattino, il giardino nel weekend, la cena insieme, il
latte della sera.
Un’altra settimana.
Nessuna notizia di Lupin o peggio ancora, di Black.
Adesso
che, seppur non scongiurata, la minaccia si era allontanata, Snape ebbe
modo di riflettere su qualcosa che fin dall’inizio lo aveva turbato e
che non cessava di farlo neppure adesso.
Il bambino-Potter dormiva ancora con lui.
Ormai
era tedioso persino per se stesso ripetersi altre amenità su come
dividere il letto con il figlio di James Potter fosse impensabile
persino adesso che accadeva.
Il punto non era quello.
Il problema era il metodo scientifico di quell’approccio poco ortodosso.
Qualsiasi
teoria, dalla più ridicola alla più complessa e affascinante, portava
inesorabilmente verso quel momento che il giovane maestro di Pozioni
attendeva sempre con innegabile aspettativa.
La verifica della sua attendibilità.
Per i profani, il risultato.
Ma
questo singolare, anticonvenzionale esperimento condotto per liberare
il bambino-Potter dagli incubi aveva l’indubbia lacuna di non
presentare alcun mezzo di verifica.
In sua compagnia le pessime
esperienze oniriche del bambino si erano ridotte fino a scomparire, ma
era solo un risultato parziale che si verificava in sua presenza oppure
poteva ritenere risolto il suo disturbo?
Non aveva modo di saperlo
e, mai come in questo momento, detestò di non avere altra possibilità
che quella di procedere per tentativi.
Severus Snape era un uomo di
scienza che credeva fermamente nel potere della logica e del
dimostrabile, ma come poteva ignorare quella sottile umanità che adesso
gli sorrideva da dietro quegli occhi verde bosco?
Avrebbe potuto lasciarsi guidare dalle deduzioni e dall’osservazione,
ma riteneva più giusto intervenire.
Il
bambino dipendeva già da lui per troppe cose ed il suo animo poteva
facilmente scivolare verso oscuri presagi di un dominio senza
precedenti sul mago più potente di tutti.
Ma Severus non aveva
promesso di fare del bambino-Potter un servo felice, aveva giurato a se
stesso di renderlo forte, come Lily. La dolce, determinata Lily che
aveva dato la vita affrontando il mago più oscuro di tutti i tempi,
sapendo di non avere alcuna possibilità, ma coraggiosamente, fino
all’ultimo respiro.
Era stata quella forza, quel coraggio a salvare
suo figlio e adesso Snape era chiamato a fare quello che Lily non
poteva più. Insegnare quello stesso coraggio a suo figlio, al suo
piccolo Harry.
E non sarebbe stato facile, ma per Dio l’avrebbe fatto.
Ed avrebbe cominciato proprio da quegl’incubi che lo tormentavano.
Presa
la sua decisione Severus osservò attentamente il bambino-Potter per
qualche giorno. Sembrava tranquillo nella sua routine, la sera non
impiegava mai troppo tempo ad addormentarsi e non cercava di
procrastinare l’ora di andare a letto. Casualmente il maestro di
Pozioni introdusse l’argomento a colazione e chiese al
bambino-Potter come avesse passato la notte. La risposta del piccolo
sembrò incoraggiante.
Forse potevano provare a separarsi una di quelle sere.
Il
piccolo Harry si mise al lavoro sui suoi fogli, ma sentiva che la sua
testa era da un’altra parte. Il suo uomo-Sevreus gli aveva fatto delle
domande su come Harry dormiva ed Harry non era stupido come diceva
sempre Zio Vernon a tutti. Harry sapeva che l’uomo-Sevreus l’aveva
portato a dormire con sé perché Harry faceva sempre dei sogni brutti e
lo svegliava. Certo, da quando dormiva con il suo uomo-Sevreus non
aveva avuto più nessuno di quei sogni, ma non si sentiva lo stesso
pronto a dormire da solo. Non avrebbe saputo dire perché, ma lo sapeva.
Però aveva capito anche che l’uomo-Sevreus voleva che Harry imparasse a
dormire da solo di nuovo, certamente era stanco di dividere il suo
letto con Harry. Magari Harry nel sonno faceva tutti quei versi che
faceva sempre Zio Vernon e che tenevano sveglia Zia Petunia.
Harry non voleva essere un problema per il suo uomo-Sevreus e quindi
avrebbe provato, per lui, a tornare in camera.
Presa la sua decisione cercò di lavorare al meglio sulle parole che il
maestro Sevreus gli aveva dato.
Quella sera fu un susseguirsi di sguardi in un clima di strano
silenzio.
Mentre
Severus dibatteva con se stesso sulla tempistica e la maniera di
trovare un riavvicinamento fra il bambino-Potter e la sua camera il
piccolo Harry era in ansia per la notte che si avvicinava.
Appena
finita la cena, ottenuto il permesso di alzarsi, Harry corse alla sua
scatola dei compiti come se fosse una boa in mezzo ad un mare in
tempesta.
Severus lo guardò con un sopracciglio alzato, ma non approfondì quel
suo atteggiamento.
Per
il piccolo Harry scrivere tutte quelle lettere era una cosa bellissima,
una cosa che Harry sapeva fare e che non gli faceva pensare alle sue
paure e alle cose brutte che gli erano successe da quando poteva
ricordare, quindi scrisse tutta la sera, fino a che l’uomo-Sevreus non
lo chiamò per dargli la sua tazza di latte.
Finito il latte non
c’era davvero più niente che poteva fare per non andare a letto e
quindi si rassegnò con un piccolo sospiro e, con la schiena ben dritta,
come dicevano i grandi, seguì il maestro Sevreus lungo il corridoio.
Arrivato
di fronte alla porta della sua stanza il piccolo Harry si fermò.
Incerto se permettersi di chiamare il maestro o entrare senza dire
niente il bimbo rimase lì.
Non sentendo dietro di sé la presenza del
bambino-Potter Snape si volse senza perder tempo. Il figlio di Lily lo
guardava da metà del corridoio, davanti alla porta chiusa di quella che
era stata la sua stanza. I suoi occhi verdi erano un oceano di acque
agitate in cui era impossibile leggere qualcosa tranne una profonda
insicurezza.
“Cosa c’è, Harry? Mi devi dire qualcosa?” Snape
fece attenzione a non dare nessun tono particolare alla domanda, non
voleva scoraggiare i rari slanci di iniziativa che il bambino prendeva.
Di
nuovo quell’infernale contorcersi di manine, una costante dei primi
tempi che adesso si vedeva meno, ma ritornava quando il piccolo Potter
non si sentiva a suo agio. Poi finalmente la risposta.
“Har... ehm, signore, io pensavo, chiedevo... volevo chiedere se
posso... tornarenellamiastanza,signore!”
Inutile dire quale sorpresa provò il maestro di Pozioni nel sentirsi
fare quella richiesta.
Quell’argomento
lo aveva tormentato tutto il giorno e adesso, come per magia, appunto,
il bambino-Potter chiedeva di fare esattamente quello che Severus
desiderava.
Oh sì, c’era stato un tempo lontanissimo, in cui Severus
Snape aveva creduto alla fortuna, al caso e alla benevolenza delle
stelle, ma quel periodo era finito molto, molto presto.
Non avrebbe pensato neppure per un istante che quell’insolita richiesta
fosse venuta fuori per pura coincidenza.
Non
poteva ancora affermarne appieno l’origine o il motivo, ma l’avrebbe
accolta, almeno per il momento. In fin dei conti non era proprio quello
che avrebbe dovuto fare?
“Ti senti... pronto, Harry?”
‘No’
rispose il piccolo nella sua testa, un no così forte da preoccuparsi
che il maestro lo sentisse, ma non poteva, Harry non poteva fare questo
al suo maestro Sevreus, dopo tutto, tutto quanto, non essere capace di
fare quella piccola cosa per lui sembrava terribile, perché poteva
vedere che il maestro lo voleva, voleva che Harry fosse bravo per lui,
anche la notte.
“Sì, signore” rispose subito.
Severus si trattenne forzatamente dallo scuotere la testa. Erano
tornati ai ‘Sì, signore’, ‘No, signore’.
Brutto segno.
Ma Snape poteva vedere oltre le apparenze ormai.
Il
bambino-Potter, per qualche suo motivo, sembrava veramente convinto di
quella decisione e Snape si preparò a castare in silenzio un
incantesimo di monitoraggio sulla sua stanza, mentre acconsentiva e
guardava il bambino rientrare nella propria camera.
Al piccolo
Harry la stanza che il maestro Sevreus aveva preparato per lui piaceva,
la sua prima, vera, camera, con il letto e le coperte e tutto quanto,
ma non era come entrare nella camera del maestro e sapere di poterlo
avere accanto.
Il piccolo Harry si mise sotto le coperte sotto lo
sguardo attento del maestro e fece finta di essere felice con un
piccolo sorriso tutto storto.
Severus non disse niente. Lo
osservò con la certezza che non sarebbe andata bene e mentre il bambino
era in bagno per le abluzioni della sera castò l’incantesimo che gli
avrebbe notificato ogni cambiamento durante il riposo notturno del
piccolo Harry.
Lo attese, dunque, sedette con lui, lo coprì e provò
a leggergli un capitolo del loro libro sugli animali del Mondo Magico,
poi lo lasciò.
L’allarme del suo incantesimo lo svegliò la prima volta poco dopo la
mezzanotte, poi di nuovo alle due.
Un brutto sogno poteva capitare a chiunque, due nella stessa notte no.
Si alzò senza ulteriori indugi e senza fare rumore scivolò piano nella
stanza del bambino.
Harry
sedeva al centro del letto, le ginocchia al petto, le braccia
appoggiate alle ginocchia, la testa affondata sulle braccia. Sembrava
uno di quei maledetti gomitoli con i quali Minerva amava giocare nella
sua forma di Animagus. Persino dalla soglia si poteva notare il vistoso
tremore che lo scuoteva anche se, come sempre, il pianto del
bambino-Potter era silenziosissimo.
Severus sospirò senza
emettere suono. Chiuse rumorosamente la porta per rendere nota la
propria presenza poi si avvicinò e prese il bambino in braccio.
Di
nuovo avanti e indietro per la stanza, come aveva imparato a fare tempo
prima. Era l’unica cosa che funzionava sempre. Un retaggio della sua
primissima, felice, infanzia, forse.
Non lo sapeva, come non sapeva cosa volesse dire avere tutto quel
dolore dentro a quell’età.
Snape
non era stato un bambino felice e certamente non era un adulto
contento, ma almeno aveva avuto una stanza sua, una madre presente e
un’amica. Il bambino-Potter non aveva avuto nemmeno quel piccolo,
insulso, conforto.
Gli accarezzava la schiena in piccoli cerchi
concentrici mentre ascoltava i suoi piccoli singulti interrotti qua e
là da pietose richieste di perdono per aver disturbato il suo sonno.
Come se importasse... aveva perso notti intere per questioni molto più
frivole... come trucidare Muggle, ad esempio...
Quando il bambino si fu calmato lo riportò al letto e si sedette
accanto a lui.
Il bambino alzò su di lui uno sguardo umido e colpevole.
“Mi dispiace, signore, mi dispiace tanto...”
“Di cosa ti dispiace, Harry?” chiese.
“Harry
non è riuscito a dormire da solo. Harry... Harry sapeva che forse non
sarebbe riuscito, ma voleva e sapeva che anche il maestro voleva, vero?”
“Certamente
Harry avrei piacere nel sapere che riesci a dormire da solo senza avere
incubi, ma se non eri sicuro perché lo hai fatto?”
“Harry
doveva provare, maestro. Harry ha capito che era importante per il
maestro, ma... - abbassò il capino - non ce l’ha fatta” si guardava le
mani tristemente poi alzò la testa, gli occhi verde sottobosco fissi in
quelli neri.
“Il maestro è... arrabbiato con Harry?”
Severus provava disappunto, certo, ma non per le ragioni che Harry
poteva immaginare.
Non
lo aveva fermato. Sapeva che non era pronto e non lo aveva fermato, lo
aveva lasciato solo in quella stanza ed aveva aspettato di assistere
nuovamente alla sua sofferenza, ancora una volta.
Non lo aveva aiutato, non lo aveva reso forte.
Aveva solo lasciato che si sacrificasse per lui, per il suo falso idolo
egoista.
Avevano ancora molto su cui lavorare.
Intanto
avrebbe cominciato col rispondere che non era arrabbiato e col
riportarlo di nuovo nelle sue stanze per salvare
quello che rimaneva di quella notte di stupidi tentativi.
Continua…
Nota grammaticale: per mia decisione personale in
questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono
mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per
rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché
non approvo la dilagante malattia del
‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi
è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini
italiani corrispondenti. Grazie mille.
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