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Autore: Himenoshirotsuki    07/11/2013    15 recensioni
Il suo corpo era luce, la emanava come una stella nella volta celeste, i capelli simili a lingue di fiamma. Ledah guardò quell'anima splendente, mentre si faceva strada tra i rovi e le spine. In quel luogo opaco, a cavallo tra la realtà e il mondo dell'oltre, ogni suo passo era troppo corto, la sua voce non era sufficientemente forte perché lei si accorgesse che la stava febbrilmente rincorrendo. Per un tempo indistinto inseguì quelle tracce vermiglie, testimoni delle catene corporee che la tenevano ancorata a questo mondo. Poi lei si girò, incrociando lo sguardo disperato di Ledah, e in quell'istante egli capì: lei era il sole nell'inverno della sua anima, l'acqua che redimeva i suoi peccati, la terra che poteva definire casa. Lei era calore e fiamma bruciante. Lei era fuoco, fuoco nelle tenebre della sua esistenza.
Revisione completata
-Storia partecipante alla Challenge "L'ondata fantasy" indetta da _ovest_ su EFP-
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'Guardiani'
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Sopravvivenza

"Chi combatte con i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro. E se guarderai a lungo nell'abisso, l'abisso guardera dentro di te."
F. Nietzsche
 
I suoi occhi fissarono nell'oscurità a lungo, in attesa. Poi Airis percepì un respiro sempre più regolare e, anche se non poteva vedere, era consapevole che l'elfo era sprofondato nel sonno: le sue orecchie avevano ormai sostituito la vista da molto, molto tempo. Distese leggermente le gambe per mettersi in una posizione più comoda e si godette il tepore sprigionato dal fuocherello che avevano acceso quando erano arrivati, lasciando che le scaldasse le membra. 
Nonostante l'aria si fosse fatta torrida in seguito dell'esplosione, dopo che il sole era calato oltre l'orizzonte il freddo aveva avvolto nuovamente Llanowar. Da fuori non proveniva alcun suono, niente che potesse rivelare la presenza di forme di vita. La natura pareva essersi ammutolita, o semplicemente era stata falciata via da quel cataclisma di origini ignote. Il silenzio e la morte avevano reso la foresta un angosciante cenotafio. Se fosse stata  una normale ragazza, Airis avrebbe sicuramente avvertito i brividi correrle lungo la schiena e lo stomaco contorcersi dalla paura. Se fosse stata una normale ragazza, appunto. 
Si scostò un ciuffo di capelli dal viso e sorrise malinconica quando rapide immagini del suo passato le attraversarono la mente. Fin dal giorno in cui si era allontanata dal suo villaggio non aveva mai abbandonato la via della spada. Quando era entrata nell'esercito, l'unica cosa che le avevano fornito era stata una casacca di lino nera, un paio di stivali in pelle logori e una raccomandazione: mai tremare, mai temere la morte. E lei non l'aveva temuta, né durante gli estenuanti allenamenti né sul campo di battaglia. Neppure quando aveva  ucciso il suo primo nemico aveva avuto paura. Se fosse rimasta nella sua terra natia, senza dubbio avrebbe condotto una vita tranquilla come quella di una semplice donna del popolo, ma evidentemente non era quello il suo destino.
Scrollò la testa e la piegò nella direzione dove sapeva trovarsi Ledah. Lo sentiva ansimare e agitarsi, in preda a chissà quale incubo. Si avvicinò, allungò la mano e incontrò la stoffa ruvida e logora dei suoi abiti. Risalì piano, in punta di dita, sino a raggiungere la fronte madida di sudore: l'elfo aveva la febbre, forse la ferita alla spalla si era infettata. Tastò con attenzione finché non scovò il punto in cui la sua spada aveva penetrato la leggera armatura dell'arciere e disegnò con i polpastrelli i bordi del piccolo squarcio, sincerandosi che almeno avesse smesso di sanguinare. Il corpo di Ledah tremò ancora e il respiro si fece più affannoso. Airis slacciò le cinghie dello spallaccio e un forte odore di sangue le provocò una smorfia di disgusto, costringendola a voltarsi: a giudicare dal lezzo, la ferita era ormai in suppurazione. Si morse le labbra, indecisa sul da farsi. Benchè gli elfi possedessero spiccate capacità di rigenerazione, di questo passo Ledah non avrebbe visto l’alba. 
Si staccò per prendere delle erbe medicinali dalle tasche dei suoi vestiti, ma trovò solo cenere e polvere. Era andato tutto bruciato nell'esplosione. 
Un'espressione di dolore si dipinse sulla faccia dell’arciere, ma Airis non se ne accorse. 
- Svegliati! - lo scosse, ma non ricevette risposta.
Gli tirò su il capo e il suo corpo sussultò, scosso dall'ennesimo spasmo. 
Durante gli anni trascorsi nell’esercito, Airis aveva assistito alla morte di centinaia di soldati, molti dei quali erano stati condotti alla tomba proprio da un'infezione dopo giorni o settimane di atroci sofferenze. In quei casi, di solito i sacerdoti e i guaritori somministravano ai feriti una miscela di latte e fiori di papavero in modo da attenuare l'agonia, ma nulla potevano contro quel male. 
Lo scosse ancora, mettendoci più vigore.
- Ledah! Ledah, svegliati! - 
Gli occhi dell'elfo si aprirono debolmente. Le pupille erano dilatate a causa della febbre e le labbra erano secche e screpolate. Tentò di parlare, ma le parole gli rimasero incastrate in gola. Comunque, riuscì ad emettere un debole gorgoglio, che segnalò alla guerriera il suo risveglio.
- Ascoltami, rimani con me, va bene? Assolutamente, non devi chiudere gli occhi. - 
Ledah mosse appena la testa su e giù, ma ricordandosi che Airis era cieca diede fondo alle ultime energie per grugnire un assenso. Aveva sete, tanta sete. 
- Hai la febbre molto alta e se non troviamo qualcosa non sopravviverai alla notte. Hai delle erbe mediche con te che ci possano dare una mano? - chiese preoccupata.
Sentì la mano dell'elfo scivolare e cadere a terra con un tonfo. 
"Dannazione, ha perso conoscenza!" 
Lo schiaffeggiò, lo scrollò per le spalle con veemenza, cercò in tutti i modi di svegliarlo, ma ogni tentativo fu vano. Sferrò un pugno alla parete rocciosa della grotta, ferendosi le nocche con la fredda pietra. Inspirò profondamente e si impose di restare calma. Ripensò a tutte le nozioni apprese durante l'addestramento nell'esercito e sul campo di battaglia, finché non fu colta da un'idea. Si girò verso il fuoco, che ardeva vivace a un paio di passi, sfoderò la spada, infilò la lama sotto la brace ardente e attese che  diventasse incandescente. Non si curò degli eventuali danni che avrebbe potuto subire il metallo; l’arma era in argento alchemico e l'artigiano che gliela aveva forgiata le aveva detto che ci aveva messo cento giorni per farlo raffreddare e che ce ne sarebbero voluti altrettanti per farlo fondere. Quando ritenne che fosse trascorso tempo a sufficienza, avvicinò la punta, che ora ardeva di un bagliore aranciato, alla ferita di Ledah, ringraziando gli dei che fosse svenuto. Appena il metallo sfiorò la pelle, un grido disperato risuonò nel silenzio della notte e un forte odore di carne bruciata invase la caverna. 
Dopo che il taglio venne cauterizzato, Ledah perse di nuovo i sensi. Airis posò la mano sulla sua fronte e notò che la febbre era ancora troppo alta per considerarlo fuori pericolo. A tentoni sfilò la borraccia che l'elfo portava alla cintola e l'agitò, constatando con grande delusione che era vuota. L'unica soluzione era uscire a cercare una fonte d'acqua nei dintorni, sperando di non essere costretta ad allontanarsi troppo: non voleva lasciare solo Ledah a lungo e non perché la sua incolumità le stesse a cuore. Il motivo era assai diverso, molto più oscuro.
Poche ore prima, durante la battaglia, quando l'elfo aveva incrociato per caso il suo cammino, le parole di Lysandra si erano avverate: le tenebre dei suoi occhi erano state spazzate via per un fugace attimo e aveva scorto delle fiamme bruciare attorno alla figura che si stagliava innanzi a sé, come un'aura rossa, delineandone in modo netto i contorni. Le era subito apparso chiaro che l'elfo che cercava era lui, per questo non l'aveva ucciso. Inoltre, quando si era svegliata dopo l'esplosione, il terrore di aver perduto la sua preda le aveva stritolato le viscere e mozzato il fiato, ma si era tranquillizzata appena si era accorta che Ledah era sopravvissuto come per miracolo, proprio come lei. E così aveva deciso di rimanere con lui e fingere di non avere altri interessi a parte scoprire da dove era scaturito quel lampo di luce distruttivo, quando invece lo avrebbe sorvegliato in attesa del prossimo ordine di Lysandra. Ma se quello si fosse azzardato a spirare tra le sue braccia, lo avrebbe resuscitato e ammazzato lei una seconda volta, per poi riportarlo ancora in vita. Peccato solo non avesse i poteri per fare una cosa simile. Come se non bastasse, il pensiero della punizione che si sarebbe abbattuta sulle sue fragili ossa non appena Lysandra fosse stata messa al corrente della dipartita dell'obbiettivo la faceva rabbrividire da capo a piedi. Meglio impegnarsi il doppio per mantenere in vita Ledah, piuttosto che sottovalutare la situazione e lasciarlo morire.
Non appena uscì dalla grotta si tolse quel che rimaneva delle cavigliere e dei gambali per muoversi più agilmente nel sottobosco, e al contempo tentò di penetrare il silenzio sepolcrale che l'avvolgeva. Da sud-est, a qualche centinaio di passi da dove si trovava, le sembrò di udire un mormorio. Si mise in cammino, attenta a non far rumore con gli stivali. Seguì quel  flebile suono finché l'odore di fango e muschio non le invase le narici. L'allegro sciabordio dell'acqua del torrente in quel momento le parve la musica più soave che avesse mai sentito. Raggiunse la sponda e si accovacciò, per poi strappare un pezzo della veste nera che le aveva dato Ledah e immergervela. Si concentrò sui suoni ritmici che la circondavano, senza osare distrarsi nemmeno per un secondo: il fruscio del vento tra le foglie, lo zampillio dell'acqua, il proprio respiro calmo e regolare. Quando la stoffa fu completamente bagnata, se la passò sul viso, beandosi della sensazione di refrigerio. Dopo un minuto si rese conto di avere la gola secca, talmente secca da farla tossire. Uno strano calore si insinuò nei suoi polmoni e l'unico pensiero che fu in grado di elaborare fu "Ho sete".
Si portò dell'acqua alle bocca, ma il liquido cristallino non sortì alcun effetto. Bevve ancora e ancora e ancora. Conosceva quella voglia, quello spasmodico bisogno, e il solo realizzarlo le provocò ribrezzo, sia per la brama che l'aveva colta sia per se stessa. Assaporò l'amarezza della bile sul palato, ma ricacciò indietro il conato che le era risalito prontamente su per lo stomaco, continuando imperterrita a ingurgitare acqua. Si passò la lingua sulle labbra e, prima che la coscienza registrasse di che tipo fossero le fantasie che d'un tratto le ottenebrarono al mente, immaginò il collo di Ledah; ricordò la consistenza della sua pelle, ruvida e al contempo delicata, e le parve di averla sotto le dita, da stringere e accarezzare; disegnò persino la linea della carotide e le vene pulsanti, mentre davanti ai suoi occhi ciechi le vedeva aprirsi e rigurgitare sangue a fiotti. Sangue delizioso. Presto quelle immagini si confusero e dalla memoria riemersero i ricordi delle sue vittime, le loro urla agonizzanti, il disperato scalpiccio dei loro piedi, la fame che le aveva annebbiato la ragione e il gusto del prezioso fluido vitale, caldo e denso, che le aveva macchiato le labbra e riempito la pancia.
"No!" 
Scosse la testa e la immerse nell'acqua, sperando che il freddo placasse quel fuoco e la purificasse. Tremava come una foglia, come ogni volta che combatteva contro quell'istinto animale che pareva volerla divorare dall'interno. Strinse i pugni, concentrandosi sul battito frenetico del suo cuore. Trascorsero alcuni istanti che sembrarono un'eternità. Non appena riemerse inspirò a pieni polmoni e roteò lo sguardo verso la volta celeste, forse sperando di intravedere la rassicurante luce della luna, ma irrimediabilmente si scontrò contro un fitto velo di tenebra. Era da anni che non godeva più della vista dell'astro notturno e si chiedeva se dopo tutti quegli anni fosse ancora come la ricordava, splendida e lontana come la più bella delle dee.
Riprese contatto con la realtà e si accorse di aver indugiato fin troppo. Stava riempiendo le due borracce che si era portata dietro, quando percepì distintamente un brivido correrle lungo la schiena. Poi udì una voce che la chiamava.
Airis, vieni...
Le sue gambe si misero in moto da sole, senza che lei ne avesse il comando, e procedettero verso un punto imprecisato. Airis non tentò nemmeno di opporre resistenza, sapeva che era perfettamente inutile, così si fece guidare. Il silenzio che la avvolgeva, interrotto solo dallo scalpiccio dei suoi stivali sul terreno, le rendeva impossibile capire dove stesse andando. Camminò per svariati minuti, finché il potere che si era impadronito delle sue membra non l'abbandonò. Tese le orecchie e lo scrosciare dell'acqua del torrente le giunse alle orecchie, debole e lontano, ma non così tanto: non si era allontanata molto. Volse il capo in ogni direzione, i sensi acuiti e vigili. 
Dopodiché sentì una gelida fitta al petto. 
"Non temere e non tremare davanti alla morte." 
Un freddo innaturale le invase le ossa, poi una carezza leggera come un soffio di vento le sfiorò la pelle delle braccia e una voce femminile le sibilò all'orecchio: - Buonasera, mia piccola e dolce guerriera. - 
Delle unghie lunghe come artigli scivolarono lungo il suo collo, all'altezza della gola.
- Ti stai prodigando molto per quell'elfo, quasi come una dolce mogliettina. Non ti credevo capace di tanta gentilezza. -
- Non è certamente la tua ammirazione che voglio, Lysandra. Cosa vuoi ora? - ribatté Airis sprezzante. 
La donna affondò il viso nella folta chioma della ragazza, inalandone a fondo il profumo selvatico.
- Te l'ha mai detto nessuno che hai un odore terribilmente eccitante? - scostò una ciocca di capelli bagnati dalla fronte della guerriera, - Lui potrebbe impazzire per te. - chiocciò contenta. 
Airis si allontanò bruscamente. Il fatto di non poterla vedere la rendeva enormemente nervosa.
- Ti ho chiesto cosa vuoi da me. - ripeté con fermezza, cercando di mascherare il tremolio della voce.
Lysandra avanzò verso di lei, accorciando al distanza che le separava con tutta la calma del mondo, come una predatrice. 
Airis avvertì il suo sguardo diabolico che la scrutava fin nei più intimi anfratti dell'anima e ancora una volta non poté che sentirsi esposta, orribilmente vulnerabile. Era una sensazione che odiava, non le piaceva venire violata in quel modo, ma era consapevole di non poterlo evitare. 
Dopo un tempo che non seppe quantificare, la voce della donna le arrivò suadente alle orecchie, quasi la stesse pregando.
- Voglio che continui a prenderti cura di lui finché non sarà pronto. Sfortunatamente, il fatto che lui si ostini a combattere la sua vera natura non permette al suo vero essere di liberarsi in tutta la sua potenza. Per questo motivo dovrai provare a fargli abbassare la guardia, il tanto necessario da dare modo al suo "Io" di emergere. - 
In quel momento una mano afferrò Airis per il collo e la sollevò da terra come se fosse priva di peso. La guerriera sentì le unghie stringersi attorno alla gola e penetrarle nella carne. Si dimenò in cerca di ossigeno, ma ogni sforzo per liberarsi da quella presa d'acciaio si rivelò vana. Una lingua ruvida le leccò la pelle fin sotto l'orecchio. 
- Non provare a tradirmi, Airis, non pensarlo neanche. Non sei nella condizione per farlo. Rimanimi fedele e avrai quel che desideri. - 
Lysandra la gettò a terra come se fosse una bambola e Airis tossì tastandosi la gola per verificare se ci fossero lesioni. Forse aveva qualche livido, ma non aveva possibilità di appurarlo.
"Non tremare, non tremare."
L'altra tornò ad accarezzarle la guancia con fare quasi materno, ma alla giovane quel tocco fece rivoltare lo stomaco.
- Hai paura, bambina mia? Tranquilla, se farai la brava non ti farò alcun male. Anzi... - abbassò la voce e baciò le ferite sul collo, strappandole un piccolo gemito di sorpresa, - Farò tutto quel che è in mio potere per farti sentire meglio. - 
Airis udì una specie di fruscio, poi qualcosa di soffice si posò ai suoi piedi. Con dita tremanti strinse quella che era una veste talmente leggera da sembrare della stessa consistenza dell'aria. 
All'improvviso la mano di Lysandra premette dietro la sua nuca, costringendola ad abbassare la testa fino all'altezza del suo seno. Airis si allontanò da lei come se si fosse scottata. 
- Cosa stai facendo, demone? - la sua voce non era più velata da alcuna paura. 
Guardò avanti a sé senza vedere niente, trattenendo a stento la rabbia. 
- Non sono una bambina. Dammi quel che mi devi dare e finiamola qui per stanotte. - 
Per alcuni attimi non percepì alcun movimento, poi la fragorosa risata di Lysandra ruppe il silenzio.
- Quanto mi fai divertire, Airis! Cerchi sempre di essere forte e imbattibile. Si vede che sei... - ridacchiò e si morse le labbra, - anzi, eri un ottimo Cavaliere. -
- Sono ancora un Cavaliere. - la voce di Airis divenne gelida e tagliente.
- Ah, sul fatto che tu sia un valoroso guerriero non ci sono dubbi, mio dolce bocciolo. - 
Delle mani invisibili la stritolarono, obbligando la ragazza a inginocchiarsi davanti alla sua interlocutrice. 
- Ma ormai devi accettare la realtà dei fatti e smetterla di aggrapparti ai tuoi vecchi ideali. - Lysandra le tirò i capelli facendole alzare il capo, - Se non mi obbedirai, ti lascerò morire di fame, e tu sai cosa succede quando non bevi per troppo tempo, vero? - un sorriso crudele le si dipinse sul volto. 
Airis era piena di rabbia e frustrazione. La donna la sospinse lentamente verso il suo petto nudo e allora la guerriera titillò il capezzolo turgido e poi lo morse, finché i suoi denti non penetrarono nella carne. Lysandra le premette ancora di più la nuca, ansimando vicino al suo orecchio. Non appena il sapore del sangue le bagnò le labbra, un'improvvisa sete si impadronì di Airis, una sete innaturale, famelica. Strinse il seno del demone fino a graffiarlo, gustandosi ogni singola goccia di quel nettare ferroso. Non riusciva più a pensare, la ragione aveva ceduto di fronte a quell'impulso animalesco. 
Lysandra abbandonò la testa all'indietro in un gemito di piacere, sospirando in modo lascivo, mentre Airis artigliava la morbida pelle della schiena per trarla più vicino a sé. In seguito una stretta ben salda la costrinse ad allontanarsi e cessare di abbeverarsi a quella fonte squisita. Boccheggiò e subito dopo collassò a terra, ancora incapace di intendere e di volere. Un artiglio disegnò il profilo delle sue labbra sporche di sangue e alle orecchie le giunsero parole indistinte. Infine Lysandra sparì, così come era apparsa. 
Airis rimase riversa al suolo per alcuni minuti, aspettando che il velo rosso che vedeva si dipanasse per lasciare spazio alla familiare oscurità. Si alzò in piedi a fatica e con passo incerto tentò di ritrovare la strada per il torrente, dove si era dimenticata le borracce. 
La sensazione di intorpidimento le impediva di affidarsi ai suoi sensi, le sembrava di essere stata catapultata in un mondo onirico, in cui i suoni erano ovattati e gli odori inesistenti o distorti, difficili da interpretare. Camminò per un bel po' prima di riuscire ad orientarsi, ma alla fine recuperò le borracce e tornò alla caverna. 
Il respiro irregolare di Ledah la ridestò dallo stato di trance in cui era piombata. Immediatamente prese il pezzo di stoffa ancora umido e lo pose sulla fronte dell'elfo febbricitante, poi si appoggiò alla parete rocciosa e si passò una mano sul viso stanco, rifiutandosi di analizzare gli eventi e costringere il cervello a lavorare. Era sfinita, aveva esaurito le forze, e adesso tutto ciò che desiderava era dormire. Si umettò le labbra, scoprendo dei residui di sangue agli angoli, e con un polso si pulì meglio che poté, sperando che Ledah non notasse niente al suo risveglio. Si concesse un sospiro stremato e puntò lo sguardo nel vuoto, mentre dentro di sé ritrovava quella determinazione che credeva perduta. 
Doveva sbrigarsi a portare a termine la sua missione se non voleva impazzire.
  
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