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Autore: ___Ace    09/11/2013    4 recensioni
“Non è serata, Evidenziatore, torna un’altra volta”.
Osservai quell’energumeno che avevo avuto la sfortuna di incontrare: i capelli in disordine e un orrendo paio di occhiali con le lenti spesse era appoggiato sulla fronte, tenendo quei ciuffi rosso vermiglio alzati verso l’alto; la maglia sporca di nero, pantaloni neri, scarponi neri. Praticamente avevo davanti a me l’Uomo Nero in persona.
Avrebbe potuto spaventare i mocciosi qui intorno.
*
Ecco, lui sembrava infiammato. Costantemente. Sembrava sempre avere qualcosa da dire, da fare o da vedere; non stava mai fermo e si muoveva in continuazione; a volte sembrava calmarsi ed essere colto da un’improvvisa quiete e sonnolenza, ma si riprendeva subito dopo; adorava i fuochi d’artificio e il fuoco lo affascinava. Diceva che era caldo, e quindi apprezzato dalle persone, ma allo stesso tempo temuto perché poteva bruciare e fare del male. Questi aspetti contrastanti gli piacevano immensamente, tanto da suscitare anche la mia curiosità e facendo si che, ogni volta che passava, mi ritrovassi chino sul bancone ad ascoltare le sue stramberie per nulla annoiato.
Ace era certamente così: bello, scoppiettante e caldo. Era il fuoco.
*
Kidd/Law. Ace/Marco. Penguin/Killer. Accenni Zoro/Nami.
Genere: Fluff, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eustass Kidd, Marco, Portuguese D. Ace, Trafalgar Law, Un po' tutti | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
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Capitolo 6.
L’officina era come una seconda casa

«Bravo Kidd, ottimo lavoro!».
«Mpf, grazie» grugnii imbarazzato, non sapendo bene come comportarmi e decidendo di dare le spalle al mio capo e tornarmene a lavorare. A quanto pareva un coglione ubriaco aveva sbandato ed era andato a sbattere con la sua Lotus contro il muretto di un ponticello in periferia, sfondandolo e rischiando seriamente di finire nel fiume dove si sarebbe di sicuro schiantato dato che la portata d’acqua non era così voluminosa.
Così toccava alla miglior officina della città rimetterla in sesto, se così si voleva dire. Era ridotta veramente male, quasi quanto il proprietario che non avrebbe più potuto usarla.
Confiscata dalla polizia per guida in stato di ebbrezza, più ritiro della patente. Sfigato, pensai ghignando e girando attorno a quell’ammasso di ferraglia verde militare.
Sarebbe stato un lavoraccio rimetterla a nuovo, ma adoravo i casi disperati. Erano una sfida e più difficili e malconci erano, più mi divertivo a cimentarmi, imparando dai miei sbagli e migliorando le mie abilità.
La meccanica mi era sempre piaciuta, era la mia materia preferita a scuola e grazie al lavoretto part time che mi aveva offerto Franky quando ero solo un ragazzino mi ero potuto permettere di frequentare i corsi all’università per tre anni, ottenendo una laurea breve e venendo assunto poi a tempo indeterminato. Lavoravo in mezzo ai motori, sostituendo pezzi, apportando modifiche, impegnandomi nell’unica cosa che mi piaceva davvero fare e che mi dava soddisfazione a differenza del mondo schifoso che mi circondava.
L’officina era come una seconda casa e i colleghi erano la mia unica famiglia. Il gestore, un tizio un po’ svampito, ma pieno di vitalità, dagli strambi capelli azzurri che acconciava ossessivamente con tonnellate di gel, era sempre allegro e non si arrabbiava quasi mai, fatta eccezione per quelle volte che mi presentavo a lavoro ubriaco marcio, quando mi sembrava che la vita non avesse più senso.
Aveva sempre chiuso un occhio e mi accoglieva tra quelle mura come un figlio adottivo di cui occuparsi. Lui ci viveva in quella topaia, rappresentava tutto quello che possedeva e a cui teneva moltissimo. Si curava di tutto e di tutti, come un bravo capo e, sotto sotto, con profondo affetto.
E poi c’era Killer.
Il bambino che giocava con me per le strade sterrate e polverose di un paesino di campagna e che riusciva sempre a stupirmi con le sue trovate geniali, come quando aveva installato un motore a scoppio su una vecchia bicicletta. Il risultato non era stato dei migliori, ma l’idea era buona. Ricordavo ancora la sua faccia piena di sogni e speranze quando aveva visto per la prima volta un motorino. E ancora più contento lo era stato quando ne aveva comprato uno tutto suo.
Eravamo cresciuti insieme, lui ed io, e da buoni amici ci eravamo trasferiti in città in cerca di fortuna e arrangiandoci come potevamo. Per un periodo avevamo condiviso un appartamento, poi lui aveva instaurato una relazione affettiva e avevamo deciso di vivere ognuno per conto proprio per comodità, ma sempre a pochi chilometri di distanza. Giusto un centinaio di metri se volevamo essere precisi.
Anche se alla fine le cose non erano andate bene con la sua persona, non si era abbattuto, come sempre. Era forte e si era presentato il giorno dopo in officina invitando tutti a bere e a festeggiare il suo stato nuovamente single.
Era uno a posto lui, forse l’unico sulla faccia della terra che riuscivo a sopportare e che non trovavo insulso come gli altri esseri viventi.
Eravamo come fratelli.

I crashed my car into the bridge, I watched I let it burn!

«Ehi, alza il volume. Mi piace questa canzone».
Spostandomi la chiave inglese da una mano all’altra andai ad alzare il volume dello stereo adagiato sopra al tavolo da lavoro dove tenevamo tutti gli attrezzi, sghignazzando per i gusti commerciali del ragazzo biondo la cui testa spariva dentro al cofano di una vecchia carretta parcheggiata accanto al mio ammasso di ferraglia. La mia sfida del giorno.
«Che hai? Racconta praticamente la storia di quell’auto. E’ perfetta» constatò, lanciando un’occhiata a quello che rimaneva di una fiammante e veloce Lotus, ora con il motore a pezzi come il povero cuore del suo disattento proprietario.
La osservai meglio, indeciso da dove cominciare.
Dovrò ricostruirla da capo, immaginai rassegnato, pronto a rimboccarmi le maniche e a passare i prossimi mesi a ricongiungere i pezzi di quel puzzle fatto di cilindri, candele, marmitte e quant’altro.
Era un peccato che una macchina del genere dovesse subire certi trattamenti. Sarebbe stato molto meglio spingerla al limite della sua velocità in una strada dritta e spremerle il motore fino a farla esplodere. Quella sarebbe stata una fine gloriosa per un’auto che si rispetti.
«Amico, quella non è la tua Golf?».
Richiamato all’attenzione da Killer, guardai ad occhi sbarrati l’arrivo di una Golf nera e in ottime condizioni, anche se si trattava di un vecchio modello, entrare nel parcheggio in ghiaia sul retro dell’officina riservato ai dipendenti, sollevando una nuvola di polvere e seguita a ruota da una volante della polizia.
Mi passai nervosamente una mano sul viso, respirando profondamente per non dare di matto e trattenermi dal mandare a quel paese il commissario più stronzo di tutte le caserme di Sabaody: Smoker.
La cosa si fece più difficile quando notai che uscì dall’abitacolo con un sigaro in mano e con il solito cipiglio incazzato che non gli spariva mai dalla faccia. E poi quello violento ero io. Se c’era qualcuno che aveva bisogno di fare yoga quello era lui, altro che storie.
Mollai la chiave inglese a terra, giusto per evitare di averla a portata di mano se mai avessi perso la pazienza, e mi pulii le mani con uno straccio prima di andargli incontro, fulminandolo con lo sguardo per poi aggirarlo e fiondarmi sulla mia adorata macchina.
Ci avevo speso tutti i miei risparmi e doverne fare a meno per più di un mese mi era costato molto. Usare la moto non era sempre una buona idea, nonostante il brivido della velocità. Quando pioveva era una palla.
«Spero tu abbia imparato la lezione, mocciosetto» mi avvertì il poliziotto alle mie spalle, mentre aprivo le portiere per far uscire tutto il fumo passivo che, come temevo, era rimasto dentro per imbrattarmi i sedili che avevo rivestito in pelle per completare il design super aggressivo di quella vecchia amica.
Lo guardai in cagnesco, ricevendo in cambio un’occhiata ammonitrice mentre un dito della mano che reggeva quel sigaro di marca scadente era puntato contro di me.
«Abbiamo notato anche alcune modifiche. Ne sai qualcosa?».
Provai a trarlo in inganno con uno dei miei falsi sorrisi angelici, roba che non mi si addiceva per niente e che mi faceva sembrare un coglione. Ma per salvarmi il culo e per ingraziarmi il piedi piatti ero pronto a fare questo sacrificio. Mi avevano detto più volte che non funzionava e che sembrava piuttosto che avessi inghiottito una fetta di limone, ma tentare non nuoce.
«Non so davvero di che parli» risposi, anche se era ovvio che quel bastardo non si sarebbe di certo bevuto le mie stronzate.

I threw your shit into a bag and pushed it down the stairs.

Alzò gli occhi al cielo e poi gettò a terra il mozzicone rimastogli in mano, schiacciandolo con disinvoltura con la punta del piede.
«Ti faccio fare questa fine se ti becco oltre il limite. Chiaro?».
«Fottiti» sussurrai stizzito, dandogli le spalle e tornando a controllare lo stato di salute della Golf, infischiandomene altamente delle sue minacce e lasciando che raggiungesse il suo collega che lo stava aspettando nell’altra macchina.
Quando se ne fu andato mi rilassai e mi permisi di lasciarmi andare ad un sospiro di sollievo, lieto per il ritorno della mia fidata compagna di scorribande. Rappresentava tutti i miei risparmi fatti con anni di sacrificio, lavoro e studio e adesso potevo permettermela e mantenerla con lo stipendio per il lavoro di meccanico.
Mi ritenevo abbastanza soddisfatto e in pace con me stesso. Se da una parte ero un disadattato sociale, dall’altra mi mantenevo in modo onesto. Andava bene, tutto sommato.
«Vedo che è ritornata» fece Killer alle mie spalle, asciugandosi il sudore dalla fronte con la manica della tuta grigia e logora che indossava, scompigliandosi la frangia bionda e lunga che gli ricadeva sugli occhi vispi.
«Già, più in forma che mai» assicurai, impaziente di provarla su strada, cosa che avrei sicuramente fatto una volta finito il turno, correndo tutta la notte se fosse stato necessario per recuperare il tempo perso.
«Mi fa piacere» disse sincero, «Ora diamoci da fare con la Lotus e magari più tardi vediamo se riusciamo ad aggiungere al tuo motore qualche incentivo in più» propose ammiccando, rientrando nell’officina dove lo seguii poco dopo, allegro e di buonumore come non lo ero da tanto.
«Sai Killer? Oggi penso proprio che sia una giornata positiva».
Praticamente ogni settimana aveva le sue giornate e le mie si dividevano in positive e negative. Solitamente le negative comprendevano tutti e sette i giorni e quelle in cui mi sentivo meno propenso alla violenza e soddisfatto della vita erano rare. Forse una al mese o anche più. Era difficile per me mantenermi calmo quando ero propenso ad odiare tutti e ad agire di impulsi e istinti, fermandomi a riflettere solo dopo aver combinato un casino.
Per questo Killer mi aveva iscritto a yoga, nonostante le mie proteste e si era offerto per farmi da supporto per aiutarmi a sviluppare un ferreo autocontrollo.
Avevo difficoltà a contenere la rabbia, era vero, solo che dal mio punto di vista non era una cosa tanto grave. Insomma, bastava solo che la gente non mi provocasse facendomi scattare come una belva. Il problema era che, anche se le persone non si avvicinavano a me per paura, bastava che mi guardassero dall’alto in basso o che mi giudicassero per come apparivo e il danno era fatto. Non mi era mai interessato dell’opinione degli altri, in effetti, mi andavo bene così com’ero, solo non volevo essere deriso.

I don´t care! I love it!

Ma, e non solo secondo il mio amico, era arrivato il momento di farmi aiutare se volevo evitare di finire al fresco per un periodo di tempo indeterminato dato che per le risse e per il disordine pubblico ero portato.
«Questa è una buona notizia, vediamo di non rovinarla».
Ci rimettemmo a lavoro, ognuno concentrato a svolgere il proprio compito e chiacchierando di tanto in tanto per non annoiarci troppo, anche se cercare di sistemare quel catorcio era una vera impresa che portava via tempo e pazienza. Tanta pazienza.
Mantenni comunque la calma e cercai di fare del mio meglio, smontando i pezzi e facendo un inventario di tutto quello che era da rottamare e quello che poteva essere salvato, annotando in un foglio con la mia scrittura disordinata e incomprensibile tutto quello che mi serviva per lavorarci e renderla nuovamente un gioiello da mettere sul mercato.
A pomeriggio inoltrato il lavoro procedeva regolarmente e, tra una pausa caffè e l’altra, si avvicinava la sera e il mio meritato riposo.
«Buongiorno Signore, posso aiutarla?».
Dall’ufficio la voce di Franky arrivava forte e chiara mentre si presentava gentilmente ad un cliente dell’ultimo minuto.
«Chi è stavolta?» domandai sovrappensiero da sotto alla Lotus.
«Non ne ho idea, non l’ho visto perché ero in magazzino, ma quando sono tornato ho notato una R8 parcheggiata davanti all’ingresso».
«Porca puttana!» mi lasciai scappare, schivando per un pelo uno schizzo di olio per il motore dritto in faccia.
«Dev’essere uno pieno di soldi» ipotizzò Killer, sbirciando dalla porta che dava sull’area riservata e all’ufficio del capo e degli affari amministrativi e burocratici.
«Ehi ragazzi! Mi serve uno libero per fare una revisione!» urlò Franky.
«Vado io, tu finisci pure».
Non fui sicuro di aver sentito bene le parole di Killer per via della musica, ma non ci badai e, con un’alzata di spalle, continuai il mio lavoro sdraiato a terra sotto all’auto, canticchiando di tanto in tanto il ritornello della canzone che ormai davano alla radio per la terza volta in quella giornata.
Guarda qua che macello! Ci sono perdite ovunque. Ma chi gli ha dato la patente a quell’idiota? Guida peggio di me e di mia nonna che ha novant’anni e che sgomma comunque meglio di un diciottenne! Roba da distruggerlo interamente il ponte, altro che buttare giù il muretto.
Sbuffando per tutte quelle complicazioni chiesi al mio collega di passarmi una chiave particolare per vedere se riuscivo a salvare e fissare alla bell’è meglio un pezzo non del tutto distrutto, ringraziandolo quando mi passò l’attrezzò senza farmi aspettare troppo.
«Mi passeresti anche lo straccio sopra al cofano? Qua sotto è un disastro».
Sentii i passi spostarsi e per un secondo mi sembrò di notare un paio di Vans nere aggirarmi, ma si trattò solo di un istante, tanto che ignorai la cosa, sicuro di aver confuso le stracciate Converse di Killer.
La pezza mi arrivò dritta sul muso e sentii chiaramente una risata soffocata, cosa che mi indispettì parecchio dato che nessuno la dentro, conoscendo il mio carattere irascibile, si permetteva di farsi beffe di me. Non mi piacevano nemmeno i piccoli scherzi innocenti, li detestavo. Semplicemente non volevo essere oggetto di scherno. Mica ero un fottuto clown, anche se da piccolo tutti mi prendevano in giro per il colore dei miei capelli che richiamavano l’aspetto tipico di quei stupidi pagliacci da quattro soldi.
«Vedi di non fare troppo lo spiritoso» avvisai, certo di farlo smettere. Sapeva quanto fossero importanti le giornate positive ed era il primo ad incitarmi a continuare quello stupido corso per casalinghe disperate e con problemi esistenziali.
«Così è qui che lavori, Eustass-ya».
Al suono di quella voce strafottente lanciai un’imprecazione, dimenticandomi dov’ero e alzandomi di scatto da terra, sbattendo in pieno la fronte contro i cilindri di quell’auto infernale, lanciando ulteriori maledizioni verso la madre di ignoti e ricordandomi questa volta di scivolare sul pavimento e uscire.
Appoggiato bellamente alla fiancata della Lotus si ergeva la figura inconfondibile di quello stronzetto altezzoso di Trafalgar, il quale mi stava rivolgendo uno sei suoi più odiosi ghigni strafottenti, guardandomi con aria divertita.
«Che cazzo ci fai tu qua?» sbottai, ormai incazzato e con il malumore che saliva alle stelle.
Era maledettamente sconcertante il modo in cui quel ragazzino viziato riuscisse a farmi perdere le staffe anche solo con una delle sue occhiate saccenti. Se poi apriva bocca per graziarmi di uno dei suoi soliti commenti allora non c’era più scampo per nessuno. Andavo semplicemente fuori di testa, impossessato da un istinto omicida nei suoi confronti. Sembrava che sapesse perfettamente come fare per farmi imbestialire e la cosa lo divertiva assai. Doveva per forza essere di un altro mondo, quello dei demoni magari.

You´re on a different road, I´m in the Milky way.

«Ho portato la mia auto a fare alcuni controlli. Sai, le solite cose» spiegò distrattamente, mentre si guardava intorno incuriosito.
«Mi stai dicendo che l’Audi parcheggiata fuori è tua?» chiesi, mascherando il mio stupore nonché vivo interesse per qualsiasi macchina con un alto numero di cavalli.
E quel bastardo quando pensava di dirmelo che aveva un bolide del genere per le mani? Ormai era un po’ che mi girava attorno, facendomi infuriare e pagandone le conseguenze a letto, ma una cosa del genere e per giunta di mia competenza poteva anche avermela detta.
«Direi di si» confessò semplicemente, per niente toccato dalla mia reazione.
«Fammi capire, come mai non ho mai visto il tuo brutto muso qui prima di oggi?» gli domandai, massaggiandomi la fronte dove percepivo chiaramente pulsare il sangue.
Possibile che ogni volta che era nei paraggi io dovessi ritrovarmi con qualche livido o ematoma sparso per il corpo? Al diavolo lui e tutta la sfiga che si portava appresso.
«Beh, quando Penguin mi ha detto dove lavoravi ho pensato di cambiare carrozziere e venire a farti visita. Non sei contento?» fece malizioso, sondando il mio aspetto dall’alto in basso e soffermandosi sul colletto della giacca che indossavo per lavorare aperto sul petto.
Fui tentato di ghignare per quella sua debolezza, ma qualcosa in particolare nelle sue parole mi aveva colpito ed ero intenzionato a fare chiarezza visto che ragionavo bene solo quando avevo tutta la situazione sotto controllo.
«Aspetta, cosa centra il nanerottolo? Che ne sa lui di che cazzo faccio per vivere?».
Si strinse nelle spalle. «L’ha saputo da Killer-ya e poi l’ha detto a me» chiarì, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Rimasi spiazzato a fissarlo per un minuto buono, sbattendo le palpebre e ripensando a quello che mi aveva appena detto con una faccia da fesso.
«Puoi ripetere?» mi decisi a dire, incapace di prendere in considerazione l’ipotesi che mi si era formulata nella mente dopo la sua rivelazione. Andiamo, non poteva proprio essere che Killer se ne andasse in giro a raccontare i fatti miei, per giunta all’imbecille col cappello che viveva sotto lo stesso tetto del medicastro che veniva regolarmente sbattuto dal sottoscritto senza lamentarsi troppo.

You want me down on earth but I am up in space.

Sorrise sghembo, «Non lo sai? Quei due ogni tanto escono per una birra».
«Brutto bastardo!» imprecai allora, tirando un pugno al fianco dell’auto senza preoccuparmi minimamente della carrozzeria ormai a brandelli.
«Io o lui?».
«Tutti e due!» risposi, «Perché non me l’ha detto?».
«Forse perché voleva evitare la scenata che stai facendo ora» precisò sarcastico, «E poi, a dir la verità, Penguin non l’ha detto nemmeno a me».
Inarcai un sopracciglio, forse Killer non era andato del tutto perduto.
«E allora come fai a dire con certezza che…».
«Conosco il mio coinquilino e capisco quando mi nasconde qualcosa. E’ bastato metterlo un po’ sotto pressione per farlo vuotare il sacco» spiegò, non lasciandomi finire la frase e schiodandosi dalla sua posizione per avvicinandosi a braccia incrociate fino ad arrivare a fronteggiarmi, dovendo comunque alzare il capo per guardarmi in faccia dato che lo superavo con la mia stazza.
«Ce l’ho ancora con te per la botta di poco fa» precisai ringhiando, scoccandogli un’occhiata torva che lo fece alzare gli occhi al cielo, infischiandosene della minaccia mortale che incombeva su di lui.
Incosciente, sei nel mio territorio. Mi basta una chiave inglese o una spranga per smaltarti al muro.
«Ci vediamo più tardi per una botta come si deve, ti va?».
Rimasi spiazzato e a bocca aperta, incapace di abituarmi a quella sua sfacciataggine. Certo che era proprio fuori dal comune quel medicastro. Se ne andava in giro con quell’aria pacata e controllata, senza curarsi degli altri e pensando solo a fare il suo dovere. L’esatto mio contrario. Serio, all’apparenza educato, cordiale, tranquillo, sicuro di sé e col sangue freddo. Poi, appena poteva, si trasformava e diventava un lurido pezzo di merda, con la lingua biforcuta peggio di quella di un serpente e di sicuro più velenosa. Con un’occhiata poteva gelarti e farti venire i brividi, con una frase poteva farti crollare il mondo addosso o abbatterti l’autostima, rivoltando tutto il tuo essere e sfottendoti fino alla morte come se non ci fosse un domani. Non si arrabbiava, non perdeva la calma, ma forse era questo ciò che più odiavo di lui. Quel suo modo di essere sempre un gradino al di sopra degli altri. Al di sopra di me. Nonostante tutte le mie minacce riusciva sempre a tenermi testa e zittirmi con quei sui insulti velati e con quel tono di voce che faceva sembrare tutto una presa per il culo.
E a proposito di questo, altro aspetto che non capivo era come si permettesse di darmi le spalle quando se ne andava da casa mia, mostrandomi fiero quel fondoschiena che si portava in giro nei pantaloni e che spesso e volentieri mi veniva voglia di sfondare. Non solo a suon di calci a dire il vero.
E poi era così diretto e schietto da mettermi in imbarazzo, ma su questo ci somigliavamo, solo che io non ero portato per le chiacchiere. Quello che volevo me lo prendevo senza troppe cerimonie.
Con un sopracciglio alzato lo guardai sollevarsi in punta di piedi e sfiorarmi le labbra con le sue prima di salutarmi e avviarsi verso l’uscita, diretto a vedere come stava andando il lavoro con la sua auto.
«Ehi, stronzo» lo chiamai, afferrandolo per la manica del giubbetto nero che indossava prima che fosse fuori dalla mia portata e sbattendolo malamente contro la vecchia carretta sfasciata.
Mi chinai su di lui e gli intrappolai le labbra in un bacio famelico, bloccandolo tra il peso del mio corpo e quello che rimaneva del cofano della Lotus, godendomi quella sua visita inaspettata, ma tutto sommato piacevole.
Lo lasciai andare poco dopo, assicurandomi che ricevesse un morso piuttosto significativo.
«Questo è un bacio, non quella roba di prima. Ricordatelo» dissi, voltandomi dalla parte opposta alla sua e tornando al mio lavoro.
Cazzo, erano tempi moderni quelli, nessuno si stupiva più nel vedere due uomini a contatto, poteva benissimo darci dentro e non fare tanto il prezioso come suo solito.
Lo sentii ghignare ma lasciai perdere. Mi sarei occupato di lui più tardi, questo era certo.

You´re from the 70´s but I´m a 90´s Bitch!





Angolo Autrice.
Si, lo so, aspetto sempre l’ultimo minuto prima di pubblicare, portate pazienza, non so se cambierò mai. Comunque, questo racconta una parte della vita quotidiana di Kidd e ci dice qual cosina su di lui, ma scaveremo più a fondo mano a mano che la storia continua. In poche parole dovete continuare a starmi dietro per scoprire le stranezze che si celano dietro a questi due.
Beh, se avete domande o qualcosa non vi è chiaro vi prego di farmelo notare e provvederò ad illuminarvi.
Basta, me ne vado e, stavolta, un piccolo spoiler ve lo lascio:

“Non ti facevo così capace, ragazzino” disse ghignando e i suoi occhi scivolarono per un istante a fissare le mie labbra, svelandomi la via che stavano prendendo i suoi pensieri e le sue intenzioni.
Lo capivo, era ciò a cui non avevo smesso di pensare da quando mi ero ritrovato intrappolato tra lui e la cucina, ma che avevo abilmente nascosto. Però era anche vero che avevo fame e che il timer del forno stava scattando proprio in quel momento, segnando la fine della cottura e annunciando a tutti che era pronto.
Così dovetti calmare i suoi bollenti spiriti e ricordargli che avevo ancora io il coltello dalla parte del manico.
“Ho fatto molta pratica con i cadaveri, Eustass-ya. Vuoi offrirti volontario per una prova su carne viva?” proposi con innocenza.
 
Grazie a tutti, dal primo all’ultimo. Grazie, grazie, grazie!
See ya,
Ace.

 

 

  
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