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Autore: Lacus Clyne    13/11/2013    4 recensioni
"Cominciò con un incubo. Un incubo tornato dalle profondità dell’anima in cui avevo cercato di relegarlo innumerevoli volte, da quando ne ho memoria." Per Aurore Kensington i sogni si trasformano in incubi sin da quando era una bambina. Sempre lo stesso incubo, sempre la voce gentile del fratello Evan a ridestarla. Finchè un giorno l'incubo cambia forma, diventando reale. Aurore è costretta a fare i conti con un mondo improvvisamente sconosciuto in cui la realtà che le sembrava di conoscere si rivela essere una menzogna. Maschere, silenzi, un mistero dopo l'altro, fino al momento in cui il suo adorato fratello Evan e la loro mamma scompaiono nel nulla...
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buonasera! *---* Seconda parte del capitolo! Siccome devo farmi perdonare (Taiga-chan, aggiungi alla lista delle cose da perdonare perché Damien tarderà ancora un po' a farsi vedere... ç___ç), questa parte è bella lunga e con un bel po'... e intendo  davvero un bel po', di rivelazioni... e di ritorni! <3

Ringrazio di cuore, davvero, non so come dirvelo, ragazzi, se non dicendo che vi adoro, Taiga-chan, Giacchan, TheDarkness, per la pazienza e la costanza nel seguirmi nonostante ci metta così tanto ad aggiornare... ringrazio chi mi segue anche solo silenziosamente e chi ha aggiunto questa storia alle seguite! >_< Se volete dire la vostra, fatelo pure!! >_< Ok, alla prossima e buona lettura!! :D

 

 

 

Il mattino seguente, il cielo aveva un chiarore soffuso che mai, da quando ero nell’Underworld, avevo visto. Vivendo oramai nell’oscurità rischiarata dalle luci artificiali, era diventato piuttosto semplice distinguere le variazioni di luminosità, ma quella volta, mi resi conto che stava succedendo qualcosa di straordinario. Era il segno che la Croix du Lac aveva deciso di fare una nuova mossa. Durante la notte precedente, rinfrancata dal supporto di Violet, di Amber e di Rose, avevo deciso di raccontare loro quello che avevo scoperto. Sapevo bene che non avrei provato alcuna sensazione di liberazione nel dirlo e immaginavo che raccontare loro che mio padre era l’uomo che aveva scaraventato l’Underworld nell’oscurità avrebbe significato rischiare di perdere il loro favore, ma mi resi conto che loro avevano già intuito qualcosa e che le mie parole erano state la conferma alle loro ipotesi. Quando domandai loro cosa comportava questa notizia, fui rincuorata da Amber, che già in passato, mi aveva fatto notare come sembrasse strano per loro che una sola persona fosse stata responsabile della situazione in cui l’Underworld si era ritrovata. Per giunta, scoprii che i nobili della nuova generazione non credevano nella colpevolezza assoluta di mio padre e persino che la stessa famiglia Trenchard aveva aiutato i miei genitori, quando avevano avuto bisogno d’aiuto. Per giunta, Amber mi fece notare che Angus era partito da Shelton qualche giorno prima, per recarsi ad Adamantio. Quella strana coincidenza mi fece ripensare all’anziano che mi aveva rivelato la storia della mia famiglia… possibile che fosse Angus? E perché nascondersi? Ma soprattutto, perché cercare redenzione nei confronti di mio padre? Sperai che a tempo debito, anche quelle domande potessero trovare risposta. Fino allora, stabilimmo che una volta arrivati ad Adamantio, avremmo cercato di trovare mia madre e Jamie, che secondo Arabella erano prigionieri nel palazzo di diamante. Quando raccontai loro di quella ragazza, sembrò come se quel nome fosse loro familiare, ma per qualche motivo, nessuno ricordava con precisione dove l’avesse sentito. Per di più, dovevamo trovare anche Andres Oliphant, che stando alle parole di Blaez, era un membro del Consiglio degli oligarchi, esattamente come Angus e il professor Warren. In che modo avrebbe potuto aiutarci? Così, decidemmo che mentre Amber, Rose, Ruben e Blaez avrebbero preso parte alla cerimonia in quanto capifamiglia e custodi delle Pièces, io e Violet, assieme alla scorta di Ruben, avremmo cercato la mamma e Jamie. Certo, c’era la possibilità, per non dire la certezza, che entrambi prendessero parte alla cerimonia e persino che fossero i pezzi forti, motivo per cui, occorreva agire più velocemente possibile. Fu così che quella mattina ci recammo finalmente ad Adamantio, la capitale dell’Underworld. Già da quando varcammo i confini del cuore dell’Impero, tutto sembrava diverso. Mentre i quattro territori che circondavano Adamantio erano, in un certo senso, selvaggi, per via della vegetazione fitta e rigogliosa, il centro dell’Underworld era caratterizzato da pochissimi elementi naturali, se si escludevano le convergenze dei quattro fiumi principali, che facevano da divisori tra i vari confini. Adamantio era incredibilmente popolato. Cittadine ovunque, gente da ogni dove, confluita certamente per la cerimonia, ma di sicuro, c’era da tenere in considerazione i residenti. Era tutto affascinante, molto più moderno, anche, ma con un occhio di riguardo per la tradizione. In corrispondenza delle convergenze dei fiumi sorgevano i templi dedicati alle Pièces, ed esattamente al centro della capitale, Chalange, sorgeva il palazzo imperiale, col Sancta Sanctorum in cui viveva Croix du Lac. Rimasi davvero a bocca aperta, così come Violet, nel vedere quella città. Più grande persino di Darlington, trionfo di architetture maestose e classicheggianti. Ovunque, dove si guardasse, si poteva rimanere senza parole nell’osservare le pregiatissime costruzioni in granito rosato, uno dei più belli esistenti, ricche di porticati finemente dipinti. Era come se Adamantio fosse una sorta di compendio di tutte le bellezze e gli stili che coesistevano in quel mondo. Nelle grandi piazze c’erano fontane che raffiguravano animali mitici, e carrozze, carrozze ovunque. I ponti poi, erano stupendi. Grandi e in pietra, con torrette che un tempo, probabilmente, servivano da guardia. Per non parlare del profumo di magia che si respirava… era come se quel luogo ne fosse intriso, ed era pieno di vita. Era da così tanto che non ne vedevo...

Quando arrivammo presso la residenza che i Cartwright possedevano ad Adamantio (e in quell’occasione scoprii che tutte le famiglie nobili facenti parte dell’oligarchia avevano almeno un possedimento in città), Ruben ci propose di rimanere lì. Dal momento che in molti sospettavano il coinvolgimento di Amber nella vicenda che mi riguardava, non era il caso di esporla ad altri rischi. Personalmente, fui d’accordo, sebbene fossimo tutti consapevoli che la verità sarebbe venuta a galla, e probabilmente era solo questione di tempo. Poi fu il turno di Blaez, che mi fece vedere un ciondolo in tutto e per tutto uguale al mio. Sulle prime, ebbi per un istante il dubbio che fosse proprio quello, ma l’originale era al mio collo. Blaez spiegò che quel ciondolo sarebbe stato in mano ad Amber, che formalmente era in possesso dell’ametista smarrita. La precisione con cui era riprodotto e il brillio avrebbero ingannato chiunque avesse pensato male. Non sarebbe stata una soluzione duratura, certo, ma quantomeno, avremmo preso tempo. Fu così che prendemmo congedo da Blaez e Amber, almeno per qualche ora, fino alla cerimonia. La mia amica mi strinse forte, prima di salutarmi.

- Credi in te stessa, Lady dell’ametista, mia cara Aurore.

Mi disse.

- Grazie, Amber… fa’ attenzione, ti prego.

Risposi, ricambiando quell’abbraccio.

Poi, quando ci congedammo, varcammo la soglia del palazzo, in perfetto stile Cartwright. Trovammo ad attenderci Gourias, che era stato mandato da Ruben a verificare le sorti di Micheu Joel. Quando il Lord del rubino gli chiese l’esito della sua indagine, Gourias rispose che al suo arrivo, non vi era più alcuna traccia né di Micheu né dei cadaveri delle guardie imperiali che erano state fatte fuori. Quella risposta mi tranquillizzò, in un certo senso, ma sapevo che per i ragazzi, c’era sempre un margine di rischio, nonostante Micheu si fosse rivelato sincero con noi. Poi, una volta ricomposti i gruppi, fu il nostro turno di congedo.

- Aurore, Violet. Voi due starete insieme a Einer ed Eyde. Ci penseranno loro a proteggervi, ma non lasciateli per nessun motivo. Aurore, niente colpi di testa, qualunque cosa accada, stavolta.

Disse Ruben. Violet annuì e così feci io. Einer e Eyde si scambiarono un’occhiata determinata.

- C’è dell’altro. La Croix du Lac si mostrerà, dunque sarà meglio che tu non ti trovi nei paraggi quando questo accadrà. Altrimenti, tutti i nostri sforzi di segretezza risulteranno vani e beh…. qui basta poco per essere condannati.

Continuò Rose. Compresi bene la portata di quell’ammonimento, considerando la sorte che era toccata a mio padre e ai nobili della penultima generazione.

- Cosa proponi, Rose?

Le domandai. I suoi occhi color lavanda si strinsero in riflessione.

- Il modo migliore per nascondersi è confondersi nella mischia.

Osservò Violet. Rose e Ruben la guardarono perplessi.

- Se Aurore nasconde il ciondolo, non corre rischi, no? Dunque, sarà sufficiente stare tra la gente. Non potete impedirle di vedere coi suoi occhi cosa accadrà, del resto.

- Escluso.

Rispose Rose, tagliente.

- Sorella, aspetta. Dopotutto, Violet non ha torto.

Rose rivolse un’occhiataccia al gemello.

- Tu diresti che va bene anche solo se lei ti dicesse di puntarti la spada alla gola e sgozzarti.

- Non è così.

Contestò Ruben, rivolgendole la stessa occhiata. Quei due erano il giorno e la notte e più li guardavo, più ne avevo conferma.

- In fondo, Aurore è qui per una ragione. E forse, il momento di lasciar cadere le nostre maschere è prossimo. Dopotutto, avevamo già deciso di fare qualcosa, e si tratta solo di attendere il momento migliore. Quando la Croix du Lac si mostrerà e conosceremo le sue intenzioni, almeno avremo la possibilità di vedere in faccia il nemico e di agire. Che male c’è a darvi un’accelerata? E comunque, mischiarsi alla popolazione che interverrà alla cerimonia è un ottimo modo per nascondersi. Non darà nell’occhio, se il ciondolo sarà nascosto.

- Ruben…

Mormorai.

Il ragazzo mi sorrise gentilmente.

- Tuttavia, vale sempre il non fare di testa propria. Anche perché, di certo non mancheranno Liger e i suoi.

Annuii, cercando di nascondere il fremito all’idea di rivedere quell’uomo.

- Quanto a tua madre e al fratello di Warrenheim… di certo, al momento non possiamo fare nulla per portarli via. Non abbiamo agganci, né aiuto. Sarebbe una missione suicida adesso. Per ora, limitiamoci a osservare. In più, cercherò Andres Oliphant, per capire se sarà dei nostri. Hai ancora con te il ciondolo di Joel?

- Sì, naturalmente!

Esclamai, raccogliendolo dalla tasca e porgendoglielo. Il sigillo di Wiesen spiccava in tutto il suo valore. Ruben lo prese in mano, sotto lo sguardo scettico di Rose.

- Ruben?

Lo chiamò Violet, con un tono piuttosto preoccupato. Lui la guardò, rivolgendole uno sguardo rassicurante. Per quanto sembrasse sicuro di sé, tuttavia, era piuttosto facile immaginare quanto fosse inquieto. Tuttavia, fu piuttosto bravo a non darlo a vedere. Rose sospirò.

- Beh, sarà il caso che vada a prepararmi. Ci rivediamo.

- Grazie, Rose… ci rivediamo, sì…

Sussurrai, cercando di farmi forza.

- E piantala di fare quell’espressione così mogia, è snervante. Sei pur sempre una Lady delle Pièces. Dignità e orgoglio, ricordatelo.

Dopo aver detto quelle parole, che in qualche modo mi ritrovai ad apprezzare, considerando che si trattavano di una sorta di incoraggiamento, Rose se ne andò verso le sue stanze.

Mi ritrovai a guardare Ruben e Violet. Lui l’aveva stretta in un forte abbraccio e Violet era dolcemente appoggiata al suo petto. Istintivamente, mi strinsi le braccia, pensando a Damien e alle volte che mi aveva stretta a sé. Quanto l’avevo detestato un tempo… poi sentii dei brusii dietro di noi e voltandomi, vidi i ragazzi. Quasi quasi m’ero scordata che erano stati lì per tutto il tempo. Ridacchiavano, persino quando Ruben fece loro segno di andar via e lasciarli soli. Divertiti, obbedirono all’ordine del loro signore. Sorrisi, poi li lasciai soli anch’io. Quel momento era solo loro e non era giusto rimanere a fare il terzo incomodo. Mi sedetti sugli scalini, in disparte, a guardare il cielo di Adamantio e a sperare che poco distante, nel palazzo di diamante, la mamma e Jamie stessero guardando a loro volta quel panorama.

 

Circa un paio d’ore più tardi, nascoste dai mantelli e opportunamente camuffate con abiti e acconciature popolane, Violet e io, scortate da Eyde e Einer, giungemmo al palazzo di diamante provviste di cesti colmi di fiori freschi. Com’era facilmente prevedibile, la sorveglianza era alta e il posto brulicava di guardie imperiali. Il palazzo era enorme, molto più grande delle residenze delle famiglie nobili che avevo visto fino a quel momento. Dopotutto, si trattava pur sempre del luogo in cui si stabiliva il Despota per regnare sull’Underworld. “Una sorta di Casa Bianca”, mi fece notare Violet, bisbigliando. Quel commento mi fece sorridere. Rimasi davvero stupita nel vedere la maestosità di quel colonnato di marmo scultoreo che circondava la facciata del palazzo, per aprirsi sull’entrata, che a sua volta troneggiava su un ampio spiazzo che si diramava a stella, nelle direzioni che indicavano i vari territori che formavano l’Underworld. Compresi che si trattava proprio di quello poiché all’inizio di ogni corridoio alberato vi era un arco, con sopra una statua con sembianze femminili, nelle cui mani aperte a coppa vi era una pietra, di diverso colore. Istintivamente, fui attratta da quella viola. La strada per Challant. Per giunta, impresso nella pietra, su ogni arco era inciso il canto di ognuno dei territori, con l’esclusione di quello di Adamantio. Al centro dello spiazzo, poi, vi era una fontana molto grande, a tre piani, con in cima un sigillo molto elaborato a forma di croce. La Croix du Lac, così com’era probabilmente stilizzata per gli artisti, immaginai. Tutto intorno alla residenza, poi, si ergeva un muro perimetrale di circa due metri, intervallato spesso da aperture che componevano disegni armoniosi e perfettamente in linea con la natura. Era così suggestivo che era facile incantarsi. Lo stesso valeva per la residenza stessa. I balconi, tanti, si ergevano come dei baldacchini, ed era facile immaginare quante volte il Despota e la sua famiglia si erano affacciati, a contemplare lo spettacolo che si estendeva davanti ai loro occhi. Si diceva perfino che dal palazzo di diamante era possibile vedere i confini di quel mondo. Pensai a mia madre, che aveva sicuramente vissuto in quel luogo, e mi feci forza. Lei era lì, a pochi passi da me e non potevo più esitare. Eyde fece un colpetto di tosse, e lo guardai. Sia lui che Einer avevano indossato le uniformi degli imperiali, comprese di maschere. Alanora aveva cucito sui guanti il sigillo di Adamantio, probabilmente per evitare che fossero collegati a Camryn se fossero stati scoperti.

- Andiamo.

Disse. Violet e io ci guardammo, poi ci rivolgemmo alle guardie di servizio all’entrata.

- Mi chiamo Maeve e lei è mia sorella Enora. Siamo venute a portare dei fiori per la cerimonia.

Dissi, inchinandomi. Così fece anche Violet, delicatamente.

- Dobbiamo controllare.

Disse una delle guardie e io assentii. Ovviamente, all’interno dei cesti non c’era nulla tranne che dei meravigliosi fiori tipici di Adamantio, molto simili a delle calle bianche. Dopo aver controllato, ci dettero l’autorizzazione ad entrare. Senza mai alzare lo sguardo, sia Violet che io varcammo la soglia del palazzo, seguite dai nostri guardiani, che di sicuro, non avevano avuto bisogno di verifiche. Se mi ero meravigliata dell’esterno, non potei non farlo dell’interno. C’era una tale raffinatezza negli arredamenti e negli accostamenti di colore che non potei non pensare al gusto di mia madre. Il suo lavoro, dopotutto, era quello di arredatrice, e aveva grande successo, considerando il suo occhio per la bellezza e per la finezza. Vedendo quel luogo, non mi stupii più del motivo per cui aveva scelto quell’occupazione. Lungo le pareti, in marmo anche quelle, c’erano diverse nicchie, nelle quali qua e là si trovavano dipinti squisiti che raffiguravano l’Underworld in tutta la sua gloria e dei maestosi candelabri in oro e diamanti illuminavano tutti i corridoi che si diramavano nel palazzo. C’erano poi una moltitudine di vasi pieni di fiori, e dei tappeti rossi che proseguivano sino alle scalinate che cingevano il grande atrio che portava al piano superiore. Tutto intorno c’era un affaccendarsi di servitù impegnata negli ultimi preparativi.

- Dove andiamo adesso?

Bisbigliò Violet.

La guardai con la coda dell’occhio, poi mi voltai verso Eyde.

- Le stanze di Lady Cerulea si trovano al secondo piano. Ma immagino che sarà difficile avvicinarsi così tanto.

Certo, l’avevo messo in conto, e Ruben era stato chiaro. Per di più, quello che era successo a palazzo Devereaux era stato già abbastanza e non volevo che accadesse altro ai miei amici. Annuii a Eyde.

- Portiamo questi fiori al maître e vediamo cosa ci dirà lui. Mi basta sapere che mia madre e Jamie stanno bene.

Dissi, dirigendomi verso l’atrio. Violet e i ragazzi mi seguirono e ci ritrovammo ben presto in quell’ampio salone, sul cui soffitto si estendeva una cupola di cristallo che rifletteva la luce. Un tempo, quella sala doveva essere stata luminosissima.

- Cosa ci fate voi qui?

Chiese una voce femminile che ci fece trasalire. Per un attimo temetti che qualcuno ci avesse scoperto, poi quando ci voltammo, vidi una donna di più di mezz’età che ci guardava con un’espressione niente affatto accondiscendente, che mi ricordava Sybille arrabbiata quando non venivano rispettati i suoi dettami. Dall’abito, ipotizzai che si trattasse di una governante. Sarà lei!, pensai, e mi inchinai.

- Vi chiedo scusa per l’intromissione. Il mio nome è Maeve e insieme a mia sorella Enora, ho portato dei fiori freschi.

Violet si inchinò a sua volta.

La donna ci studiò ben bene, poi rivolse un’occhiata a Einer e Eyde.

- In realtà mi riferivo a voi. Non avete altro da fare se non andar dietro a delle ragazzine?!

Sobbalzai, ma evitai di voltarmi.

Fu Einer a rispondere.

- Signora, è nostro dovere scortare chiunque entri nel palazzo di diamante, oggi soprattutto.

La donna sbuffò.

- Voi e tutta questa smania di controllo. Aspettate qui. Lady Cerulea non vuole vedere guardie, almeno fino alla cerimonia. Voi due, venite con me.

Disse, girando i tacchi e incamminandosi sulle scale.

Rimasi senza parole. La mamma non voleva vedere delle guardie… e quella donna aveva sicuramente avuto contatti con lei. Il cuore mi batteva tanto forte da non riuscire a tenerlo sotto controllo. Violet mi sorrise, poi si alzò a sua volta. Mi alzai anch’io, raccogliendo il cesto e guardando Einer e Eyde. I due annuirono appena, nascosti dalle maschere sul volto. Poi seguimmo la donna, che era oramai arrivata al piano superiore.

- Quanta fatica… oramai ho una certa età io.

Si lamentò, sollevando le gonne per evitare di inciampare. Era piuttosto bella, nonostante le rughe che conferivano al viso tondo un aspetto severo. Aveva i capelli bianchi raccolti in uno chignon identico a quello che spesso vedevo anche su mia madre. Nel corridoio che portava al secondo piano, incrociammo altre guardie, e d’improvviso, quando sembrava che avessimo tutto a portata di mano, una seconda voce, tra le guardie, mi fece irrigidire.

- Questa sera, finalmente…

Disse.

Non mi voltai, ma anzi, tirai più su il cappuccio. Persino Violet l’aveva riconosciuto. Diversamente dalle altre guardie, non portava la maschera. Era da tanto che non lo vedevo, ma non avrei mai potuto sbagliarmi. Aveva i capelli castani più lunghi dell’ultima volta che l’avevo visto, ma il sorriso era infido tanto quanto lo ricordavo. Il professor Warren era a pochi passi da noi. Pregai con tutta me stessa che non decidesse di fermarsi. Guardò la donna che ci accompagnava, rivolgendole un saluto a mezzo inchino.

- Cara Alizea, andate a far visita a Milady?

Alizea, questo era il nome della donna dunque, sbuffò.

- Dovrei portarle i vostri saluti, Milord?

- Mpf. Ci ho già pensato io.

A quelle parole, strinsi più forte il cesto e sentii il peso del ciondolo che avevo ben nascosto sotto i vestiti, premermi sullo sterno. Non avrei mai creduto potesse essere possibile provare tanto odio per una persona, ma quell’uomo era quanto di più perfido esistesse al mondo.

- Andiamo.

Ordinò Alizea, e la ringraziai col pensiero per aver evitato di andare oltre. Non sapevo per quanto avrei potuto sopportare anche solo il sentire la voce di quel bastardo che non solo aveva catturato mia madre e Jamie, ma aveva provocato la morte di mio fratello e sorrideva, senza nemmeno curarsi del fatto che il suo primogenito potesse essere nell’Underworld, chissà dove. Violet mi urtò appena col gomito, una volta che fummo al secondo piano e io la guardai.

- Tutto ok?

Disse, senza voce, ma solo col labiale. Annuii, prendendo fiato.

Eravamo giunte nelle stanze in cui risiedeva mia madre. C’erano diversi archi in legno in quel corridoio, perfettamente incastonati nel marmo, che facevano da contrasto al bianco. C’era profumo, uno squisito e nostalgico profumo di the alle rose, il preferito della mamma. Mi vennero le lacrime agli occhi, tanto che dovetti asciugarle in fretta, prima che Alizea se ne accorgesse. Quando aprì la porta, bianca, con inserti e maniglie in oro, fu la prima a entrare.

- Muovetevi.

Ordinò e noi obbedimmo. Poi richiuse la porta. All’interno, la stanza era grande e vi troneggiava un baldacchino dalle cortine pesca. C’erano un grande comò d’avorio e un tavolo per la toeletta seminascosto da un separé, pieno di trucchi e profumi. Vicino alla finestra, con la tenda leggera chiusa, c’era un tavolino, su cui vi era ancora fumante una tazza di the.

- E’ stupenda…

Osservò Violet, incantata.

Cercai di non piangere di nuovo, nemmeno quando riconobbi lo stile inconfondibile della mia mamma.

- D-Dov’è Lady Cerulea?

Chiesi ad Alizea.

Si voltò a guardarmi, poggiando le mani sui fianchi. La sua espressione si accigliò nuovamente, e pensai di essere stata sfacciata e imprudente. Per di più, dovevo essere pallidissima.

- V-Vi chiedo perdono, non volevo…

La donna affilò lo sguardo, poi si voltò verso i bagni.

- Celia. Sono io!

Esclamò, con un tono alquanto informale.

Rimasi per qualche istante perplessa e mi sporsi a guardare. Così fece Violet, e quando sentii la voce della mamma che sospirava mi si mozzò il fiato e il cesto mi cadde di mano.

- Au-- 

Violet si voltò immediatamente verso di me, preoccupata e così fece Alizea. Ma il mio sguardo era fisso sui bagni e tutto il resto, in quel momento, non esisteva. E poi la mamma comparve. Indossava un abito lungo in chiffon, color perla e senza maniche, e aveva i capelli biondi raccolti appena, con un fermaglio d’argento a forma di fiore sul lato. Sgranò i suoi meravigliosi occhi azzurri e la sua bocca rosea si aprì in una muta esclamazione. Era incredula tanto quanto me, persino quando ci ritrovammo a camminare febbrilmente l’una verso l’altra.

- A-Aurore?

Domandò, con la voce tremante.

- Mamma…

Sussurrai, senza più riuscire a trattenermi.

- Mamma!

Esclamai, correndo ad abbracciarla.  

- Angelo mio!

Esclamò a sua volta, stringendomi con tale forza da non riuscire quasi a respirare. Mi inebriai di tutto il suo profumo, mentre con le mani mi toglieva il cappuccio e mi accarezzava impazientemente i capelli. Piangevamo entrambe, e mi baciò la fronte e le guance così tante volte che mi sembrò di essere tornata bambina. Sorridevamo, incredule entrambe, e ci stringevamo, sotto gli occhi di Violet e di Alizea.

- Aurore, bambina mia… mi dispiace… mi dispiace!

- Va tutto bene, mamma!! Mi sei mancata così tanto!!

La mamma annuì, bisbigliando un “Anche tu”, tenendomi stretta a sé, poi guardò Violet.

- Violet, mia cara, ci sei anche tu, vedo…

La mia amica annuì, sorridendo felice e commossa. La mamma mi rivolse un altro sguardo, baciandomi ancora, poi si rivolse ad Alizea.

- Sei stata tu, eh?

Alizea agitò la mano a mezz’aria.

- Quegli occhi… non appena l’ho vista non ho potuto sbagliarmi. Me ne avete parlato così tante volte che era proprio come l’avevo immaginata. Devo dire che è davvero identica a suo padre.

- Già… è proprio così…

Sorrise, con la tristezza che conoscevo quando si parlava di papà. Chissà se sapeva qual era stata la sorte che gli era toccata, oppure se l’aveva appreso una volta tornata nell’Underworld. Certo era che non sapeva che io avevo scoperto chi fosse mio padre.

- Mamma?

- Mh?

Mi accarezzò la guancia, dolcemente.

- So tutto, mamma… so che mio padre era Greal Valdes… e so che è innocente…

Le dissi, cercando di rassicurarla. Vidi il suo bel viso sconvolgersi, e i suoi occhi ancora umidi si riempirono di lacrime. Portò la mano alla bocca, singhiozzando.

- Va tutto bene, mamma…

La abbracciai forte e ricambiò il mio abbraccio. Quando si riprese, mi strinse forte le mani, poi raggiungemmo Alizea e Violet.

- Hai dovuto affrontare tutto quanto da sola, bambina mia… e anche tu, Violet… sono davvero mortificata per tutto quello che avete dovuto superare…

- L’ametista che mi hai dato, mamma, mi ha protetta…

Dissi, raccogliendola da sotto al vestito. La mamma sorrise, annuendo, mentre il mio ciondolo risplendeva pulsando.

- Da quanto non vedevo l’ametista… dunque, non è in mano ad A---

Mia madre la zittì, facendo cenno di fare silenzio.

- Però, non sono sola… con me c’è… c’era anche Damien…

- Damien?

Mi fece eco Alizea.

- Il figlio di Lionhart.

Spiegò la mamma.

- Stiamo cercando anche Jamie… solo che Damien e io ci siamo separati, a un certo punto… anche se non per nostra volontà…

Spiegai, raccontandole pur sommariamente, ciò che era accaduto a Wiesen.

- Capisco…

- E poi, mamma… Evan è…

Abbassai lo sguardo, sperando di non doverlo dire di nuovo. Non ce ne fu bisogno, perché la mamma mi strinse forte, facendomi intendere di averlo già capito.

- Indossi il suo braccialetto…

- Sì… l’ho trovato nei sotterranei dello Stonedoor la sera che siamo partiti…

- Dunque, è già tanto che sei qui…

Annuii. Quante domande che necessitavano di risposte… e quanto poco tempo a disposizione.

- Mamma, Jamie sta bene, vero?

La mamma fece cenno di sì con la testa.

- Lui risiede in un’altra ala del palazzo, ma ho avuto modo di vederlo spesso. E’ un bambino meraviglioso, che ben poco ha del padre.

- Già… e anche Damien è così…

Osservai, accennando un sorriso.

Alizea ci guardava.

- C’è una cosa che non capisco. Come avete fatto ad arrivare fin qui? Quelle due guardie che vi scortavano non si sono accorte di niente?

Violet le fece l’occhiolino.

- Sono conoscenti.

Spiegò, senza andare oltre, ma sia Alizea che la mamma compresero a volo.

- Celia, vostra figlia è tale e quale a voi quando si tratta di macchinare complotti.

Disse, a sorpresa e con un tono alquanto accusatorio.

- Che vuol dire?

Domandai, stupita. La mamma sospirò, sorridendo appena.

- Beh… diciamo che quando avevo la tua età, ero piuttosto brava a muovermi senza destare sospetti. Almeno fino a che non ho incontrato Greal…

Sorrisi anch’io. Era la prima volta che la mamma parlava di papà con il sorriso sulle labbra e senza piangere. Avrei tanto voluto ascoltare quella storia, ma purtroppo per noi, non avevamo tempo a sufficienza.

- Mamma, ascolta… ora non possiamo portarvi via da qui. Dopo la cerimonia, cercheremo un modo per riuscirci. Ti prego solo di resistere ancora e di aver pazienza, va bene?

I suoi begli occhi mi guardarono improvvisamente preoccupati.

- Aurore, che stai pensando? Tesoro, non è un gioco, è pericoloso. E non voglio che accada qualcos’altro a te… né a Violet, certo… dovete tornare a casa, non è sicuro…

- No!

Esclamai, stringendola forte e guardandola, sperando di risultare risoluta abbastanza da farle capire che non avrei desistito per nulla al mondo. Oramai ero lì e avrei fatto di tutto per salvarli e per cambiare le sorti di quel mondo.

- Mamma… non sono sola, te l’ho detto. Ti prometto che non mi accadrà nulla. L’ametista mi proteggerà! E poi, sia tu, che papà, che Evan, siete tutti accanto a me.

- Bambina mia…

Alizea sollevò la mano a grattarsi il mento.

- Non sta dimenticando forse qualcuno?

Domandò. La mamma la redarguì. Violet e io la guardammo.

- Beh… mi riferisco a…

Improvvisamente, mi venne in mente Arabella, la ragazza che mi aveva detto che la mamma e Jamie si trovavano nel palazzo di diamante. Già, dopotutto, lei mi aveva aiutata, nonostante la difficoltà della sua situazione. Guardai la mamma.

- Arabella.

Ricambiò il mio sguardo con improvviso dolore e si morse le labbra.

- Mamma?

- Come conosci questo nome?

Mi domandò, in pena.

- E’ stata lei a dirmi dove eravate tu e Jamie. L’ho vista in sogno… lei è… l’altra parte della Croix du Lac, giusto?   

- Oh, numi di Adamantio!

Esclamò Alizea, sollevando entrambe le braccia al cielo.

La mamma mi accarezzò i capelli, giocando con una delle mie ciocche corvine, poi le sue dita scivolarono calde sulla mia guancia. Esitò per alcuni istanti, come se volesse dirmi qualcosa di importante, ma non riuscisse a trovare le parole giuste, o come se fosse un segreto e fosse combattuta. Ma c’erano stati così tanti segreti fino a quel momento, e dopo aver scoperto di mio padre, cosa poteva esserci di ancor più doloroso da non poterne parlare? Infine, la mamma si fece forza, deglutendo e guardandomi seriamente.

- Arabella non è l’altra parte della Croix du Lac. E’ più corretto dire che la Croix du Lac ha preso il suo corpo, quasi diciassette anni fa. Era così piccola…

Prese fiato, poi mi strinse forte le mani.

- Arabella è la mia prima bambina. La prima figlia mia e di Greal… tua sorella maggiore, Aurore.

Disse, appena sussurrando, come se avesse paura di dirlo ad alta voce. Sgranai gli occhi, avvampando. Arabella… mia sorella maggiore? Quella ragazza che avevo visto nelle mie visioni era mia… sorella? Per diversi, lunghissimi istanti la portata di quella nuova rivelazione mi sconvolse al punto che non riuscii nemmeno a immaginare come potesse essere possibile. Certo, per qualche strana ragione che non riuscivo a comprendere fino a quel momento, mi sembrava così familiare, così simile alla mamma, ma con gli occhi color ametista, sebbene appena appena più scuri dei miei. Arabella, la ragazza che mi aveva aiutata, rivelandomi dove si trovavano la mamma e Jamie, colei che era stata sacrificata alla Croix du Lac, la sua ultima vittima… era mia sorella? Era quello il motivo per cui eravamo così legate, sebbene non conoscessimo nulla l’una dell’altra? Era forse per questo che eravamo così in connessione? Arabella…

- Mia… sorella?

Domandai, sentendo la mia voce risuonare estranea nelle mie stesse orecchie mentre lo domandavo.

La mamma, che si era portata dentro questo segreto per tutti questi anni, sembrava così indifesa, in quel momento. Aveva fatto di tutto per crescere me ed Evan senza mai farci pesare la vita senza un padre, e adesso, avevo scoperto persino di avere una sorella di cui ignoravo l’esistenza, ma che per qualche motivo, sentivo che mi era stata accanto, da molto prima, probabilmente, di rendermene conto. Probabilmente un tempo mi sarei arrabbiata, o avrei provato delusione nei confronti di questo ennesimo e così importante segreto, ma alla luce di tutto ciò che era accaduto da quando le guardie della Croix du Lac erano giunte nel nostro mondo, distruggendo la mia vita così com’era stata fino a quel momento, mi era impossibile provare sentimenti del genere. Troppa sofferenza aveva scosso l’esistenza stessa di mia madre. Aveva perso l’amore della sua vita, e ciononostante, gli era rimasta fedele per tutti questi anni, senza mai anche solo frequentare altri uomini. Aveva cresciuto me ed Evan, le sole cose belle che le rimanevano di lui, il miracolo che era nato da un amore grande e sfortunato. E aveva perso anche una figlia. Non ero madre né potevo mai immaginare se lo sarei mai diventata in futuro. Ero troppo giovane e non potevo sapere cosa significava perdere un figlio. Ma la mamma lo sapeva e indietro, in questo mondo privato della speranza, aveva perduto la sua prima bambina, il primo frutto di quell’amore così importante. Non potevo nemmeno pensare a quale dolore si portasse dentro da così tanto tempo, ma nonostante tutto, capivo la sua decisione di risparmiare a se stessa il dover ammettere ad alta voce di aver perso due persone fondamentali della sua vita. Anch’io avevo ancora timore a dire che il mio Evan non c’era più. E comprendevo il suo voler risparmiare anche a me un altro, ulteriore dolore. Ma Evan… Evan, il cui cuore era un mistero, sapeva che avevamo un’altra sorella? Ripensai immediatamente a Rose e Ruben. Arabella avrebbe avuto la stessa età di Evan, probabilmente. Dunque… erano gemelli? Era per questo che mio fratello era sempre triste, come se gli mancasse una parte di sè?

- Mamma… Evan sapeva di lei?

Chiesi, così tanto bisognosa di risposte. La mamma fece per dire qualcosa, poi chiuse gli occhi. Accanto a noi, Alizea aveva l’espressione affranta di chi avrebbe voluto tacere a tempo debito, mentre Violet era incredula e confusa tanto quanto me. Povera la mia amica, che si era ritrovata suo malgrado testimone di tutta la mia folle storia familiare.

- Aurore, ti dirò ogni cosa, te lo prometto, angelo mio. Ti dirò tutto, una volta che il pericolo sarà passato. E’ troppo complicato da spiegare, adesso.

- Mamma, dimmi solo se Evan…

- Lo sapeva. Sì, Evan sapeva ogni cosa.

Mi rispose, dando conferma ai miei sospetti. Poi mi attirò a sé, stringendomi forte, mentre i singhiozzi la scuotevano.

- Ti chiedo scusa, Aurore… scusa…

Deglutii, cercando di ricacciare indietro le lacrime, nella speranza che anche la mamma facesse lo stesso. Non volevo vederla piangere. L’avevo sempre vista forte, nonostante il dolore che si portava dentro. Era sempre stata la nostra colonna portante, e ora, dopo aver aperto il suo cuore, era improvvisamente fragile e insicura. Per di più, mi chiedeva scusa… la mia mamma…

- Va tutto bene, mamma… va tutto bene…

Le sussurrai, cercando la sua guancia vellutata e inumidita con la mia. Per la prima volta in tutta la mia vita, ero io a doverla consolare. Per una volta, dopo tutte le volte che era stata lei ad asciugare le mie lacrime e a fermare i miei singhiozzi. Le presi il volto tra le mani, arrossato dal pianto, e sorrisi. Non avevo mai sorriso così in vita mia. Non sapevo nemmeno di esserne capace. Volevo solo che la mamma smettesse di piangere.

- Mamma… quando tu e Jamie sarete in salvo, allora promettimi che mi racconterai ogni cosa… di papà, di Arabella… di chi era Cerulea Rosenkrantz… e troveremo il modo di riportare tra noi Arabella, così che sia papà che Evan… sì, insomma, così che anche loro potranno essere felici, finalmente…

La mamma mi guardò interdetta, poi si fece coraggio, annuendo e baciandomi i palmi delle mani.

- Ricorda, mamma… sei stata tu a dirmi che nulla può cancellare lo splendore della mia anima… ma se la mia anima risplende è solo perché tu mi hai dato la forza di affrontare le avversità. Il tuo coraggio, la tua forza e anche la tua testardaggine… tutto questo ha fatto sì che arrivassimo fino a qui. Mamma, non possiamo fermarci ora. Per questo, credi in me… ti prometto che andrà tutto bene!

- Aurore…

Sorrise, finalmente, poi poggiò la fronte contro la mia. Un gesto che faceva sempre quand’ero bambina, e che aveva fatto anche Arabella, l’ultima volta che mi era apparsa in una visione.

- Lei sta bene, mamma… Arabella sta bene e quando la vedrò, la prossima volta, le dirò che sua madre non l’ha dimenticata e che la ama…

Bisbigliai, senza riuscire a trattenere le lacrime, stavolta. Per quanto mi ripromettessi di essere forte, alla fine, sembrava proprio che non riuscissi a non essere emotiva.

Alizea intanto, che si era avvicinata alla porta, ci interruppe.

- Mi spiace rovinare questo momento, ma è ora che andiate. Celia deve prepararsi e quello sbruffone di un Warrenheim tornerà presto. Non è il caso che vi trovi qui.

Disse.

Violet annuì e così feci io.

- Mamma…

- Aurore, stai attenta, mi raccomando.

Mi disse, con la voce apprensiva e dolce che conoscevo bene.

Annuii, asciugando le lacrime.

- E tu promettimi che non cederai mai al professor Warren. Non mi piacerebbe affatto ritrovarmi Damien come fratello…

Violet soffocò una risatina, mentre Alizea sbuffò. Al contrario, la mamma mi accarezzò la testa.

- Greal, tuo padre, è il solo uomo che abbia mai amato e che amerò per sempre, bambina mia. Non preoccuparti.

Mi rassicurò, sorridendo. Poi ci alzammo e Alizea si affrettò a metter via i fiori che avevamo portato. La mamma ne approfittò per rassettarmi i vestiti e per tirarmi su il cappuccio, in modo che non mi riconoscessero. Poi guardò Violet, e fece lo stesso con lei, baciandola in fronte.

- Grazie per quel che fai per Aurore, Violet…

- E’ un piacere, signora Kensington… o forse dovrei dire Lady Rosenkrantz? Sono un po’ confusa…

La mamma sorrise di nuovo.

- Celia va più che bene, tesoro. Aurore?

Mi misi quasi sull’attenti, quando mi chiamava col tono imperativo dovevo fare attenzione. A sorpresa, prese il mio ciondolo e vi scoccò un bacio.

- Che l’ametista ti protegga, vita mia.

Poi la rimise al suo posto, sotto ai miei vestiti e mi accarezzò le guance.

- Ti voglio bene, Aurore.

- Anch’io, mamma.

Sorrisi, poi la scalpitante Alizea ci scostò l’una dall’altra, e fu così che salutai mia madre, pregando dentro di me affinché presto ci saremmo potute ricongiungere.

Mentre scendevamo velocemente le scale per tornare alla sala della cupola di cristallo, pensierosa più che mai all’idea di tutto quello che avevo scoperto fino a quel momento e dell’aver lasciato la mamma e Jamie, non mi accorsi che Liger stava attraversando la sala. Fu Violet a farmelo notare, prendendomi per mano. Quando sollevai lo sguardo, lo vidi. Se prima mi ero irrigidita nel vedere il professor Warren, stavolta provai un forte brivido. Liger si fermò davanti ad Alizea. Strinsi più forte la presa, tanto che Violet mi guardò perplessa, il viso seminascosto dal cappuccio. Immaginavo che non avendo mai visto Liger, non sapesse chi fosse. Il comandante indossava abiti leggermente diversi da quelli che avevo visto in precedenza. Probabilmente anche lui si stava preparando per la cerimonia. Il lungo soprabito bianco, bordato da inserti e bottoni dorati, stavolta, era aperto, lasciando intravedere un gilet nero, con ornamenti spiraliformi appena più chiari. Dello stesso colore erano i pantaloni, infilati negli stivali di pelle scuri e lucenti che gli arrivavano appena sotto il ginocchio. Aveva in mano dei guanti, e per la prima volta, sotto la luce riflessa dalla cupola, notai che i capelli, che portava sciolti e appena ribelli, erano castano scuro. Non indossava la stessa maschera che portava durante le occasioni ufficiali, ma una che gli copriva appena gli occhi, nera con lievi sfumature rosse, con dei laccetti dello stesso colore che scendevano lungo il collo. Per un attimo, ebbi l’impressione di averla già vista. Poi, ricordai anche dove. Nella prima visione che avevo avuto della Croix du Lac, lei era seduta sotto a un gazebo e stava intrecciando dei fili rossi. Sollevò il viso, come se ci stesse guardando.

- Volete rimanere lì per tutto il tempo, comandante?

Domandò Alizea, seccata.

- Perdonate la mia scortesia, signora. Mi è stato detto che siete voi ad occuparvi del vestiario.

- Avete forse bisogno che vi ricucia i guanti?

 Liger sorrise appena, con un sogghigno che mi fece quasi trasalire.

- No. Naturalmente no. La mia Lady desidera un vostro consiglio.

La sua Lady doveva essere sicuramente la Croix du Lac. Dunque Liger, che era il suo cavaliere, da quanto avevo appreso, aveva avuto la possibilità di incontrarla di persona? Un onore che era concesso soltanto al Despota, eppure quel giovane uomo non lo era affatto. Poi, ricordai che il palazzo imperiale era pur sempre il luogo in cui la Croix du Lac risiedeva. Nel Sancta Sanctorum, che chissà dove si trovava. Alizea si profuse in un inchino.

- Come Sua Grazia comanda. Verrò non appena avrò terminato qui.

Liger si sporse di poco verso di noi, e sia Violet che io chinammo ancor di più il capo. Fu in quel momento che mi resi conto che il braccialetto di Evan era appena visibile, sotto la mia manica larga. Deglutii, nascondendo il polso quando più possibile.

- Siete forse a disagio in mia presenza?

Domandò Liger. Sì, certo che lo sono, sei inquietante da morire…, avrei voluto dire, ma feci cenno di no, forzatamente. Poi sentii i suoi passi, e vidi le punte dei suoi stivali neri proprio di fronte a me e a Violet. Sentii improvvisamente mancarmi l’aria. Avrei così tanto voluto prendere Violet per mano e scappare quanto più lontano possibile. Se solo la mia amica avesse saputo che razza d’uomo era quel comandante… Violet si inchinò e io feci per fare lo stesso, ma mi fermò, prendendomi la mano. Sperai che non avvertisse il mio disagio. Quel tocco era così freddo che mi fece irrigidire. Eppure la sua mano, senza quel guanto, sembrava quasi adattarsi alla mia.

- Che state facendo, comandante?!

Lo richiamò Alizea, raggiungendoci allarmata.

- Ero soltanto curioso di tastare l’effetto che faccio alle persone.

Disse, con tono neutrale, lasciando la mia mano. Mi affrettai a riprendere la presa del mio cesto, sperando che quel momento avesse presto fine.

- E’ questo che significa mettere a disagio. Ma immagino che uno sbarbatello viziato come voi non se ne renda conto sul serio.

Gli rispose, sorprendentemente tagliente. Quel tono avrebbe fatto sicuramente innervosire qualunque nobile. Per di più l’aveva definito uno “sbarbatello viziato”… sollevai appena lo sguardo. Con quella maschera addosso, non avrei saputo definire la sua età, ma immaginai fosse sulla ventina, o giù di lì. Eppure la sua voce sembrava grave, più adulta. Rose aveva detto che apparteneva a un’antica famiglia di Adamantio e che aveva scalato in fretta le vette del potere. Di certo, avrebbe fatto desistere chiunque dall’idea di ostacolarlo. E Adam… chissà cosa gli era accaduto…

-  Perdonatemi.

Dissi, suscitando la loro attenzione.

- Si è fatto tardi e non possiamo trattenerci oltre. Mia sorella e io abbiamo ancora tante cose da fare, perciò…

Liger si scostò, e Violet si rialzò, senza mai sollevare il viso.

- Prego, My Ladies.

Disse, impeccabile.

- Grazie, Milord…

Dissi io, chinando il capo.

- Signora, grazie per aver accettato i nostri fiori e per la disponibilità. Con permesso.

Feci un piccolo inchino e così fece Violet, poi uscimmo dal palazzo, col cuore in gola, sperando che Liger non ci seguisse. E così fu. Mi voltai soltanto una volta, lo sguardo teso a scorgere, appena visibile dietro la tenda di poco scostata, la mia mamma.

Mamma, sii la mia forza.

  
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