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Autore: skippingstone    13/11/2013    3 recensioni
"Mi avevano detto che pensare troppo fa male, mi avevano detto che sarebbe passato tutto eppure la testa mi scoppia, gli occhi bruciano e respirare sembra la cosa più difficile da fare. Rifletto sulla mia probabile morte e sorrido, almeno potremmo stare vicino. Posso affermare di aver combattuto per tutti quelli che non sono riusciti a farlo: ho combattuto anche per te.
Se, invece, riuscirò ad uscire da questa Arena, non sarò più lo stesso: tutte le cicatrici si stanno aprendo nell'interno della mia bocca lasciando un retrogusto di sangue e troppe sono nel cuore. Anche se uscissi da questa Arena, non ne uscirei vincitore. Ho già perso tutto.
Tutto tranne una cosa: la voglia di vendetta.
Possa la luce essere, ora, a mio favore!"
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Altri tributi, Presidente Snow, Tributi edizioni passate
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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4. Costretto a non restare nel mio angolo

«Ti hanno mai detto che pensare troppo fa male?» 
«Anche non pensare fa male, no?»
Il maestro Leon sta mettendo della legna nel camino, vuole mostrarmi come accendere un fuoco.
«Sì, ma dovresti evitare di pensare più del dovuto. Sei un ragazzino di solo dieci anni e hai questo vizio di chiedere, domandare, vuoi sapere tutto e subito ma devi capire che non tutto si può capire semplicemente. Ci sono cose che, per essere comprese a pieno, hanno bisogno di tempo, giusta riflessione e di persone che ti accompagnino, mano nella mano, alla soluzione.»
«Perché, maestro? Perché devo sempre aspettare gli altri?»
Il signor Leon mi passa della carta.
«Perché da soli non si può vivere sulla terra.»
«Ma nemmeno devo vivere aspettando qualcuno che mi faccia vivere.»
«La verità è che le persone hanno un potere nelle loro mani che nemmeno loro sanno di avere. Basta uno sguardo, una parola, una scelta e tutto cambia.»
Inevitabilmente.


Ripenso, ora che ho sedici anni, a quella chiacchierata con il maestro Leon e capisco che queste persone hanno avuto il potere di uccidere il mio amico e mandare a morte me.
Dovevo capirlo sin da subito che io ero un bambino strano e che questo mi avrebbe causato solo guai.
Livius continua a restare a terra, io continuo a restare sulla terra con i miei vivi dilemmi. Mille pensieri che combattono tra loro, si scontrano e litigano.
Penso a cosa devo fare ora che mi stanno buttando nel forno, penso all'Arena, penso a me come tributo del distretto 2, penso a come il padre di Livius sia arrivato a questa conclusione, penso che, per assurdo, sospenderanno i giochi dopo questo evento, penso a come Livius si sia tolto la vita, penso a quanto odio il distretto 2, penso a quanto odio gli Hunger Games. Se fossi stato il Presidente di Panem, avrei abolito subito questa razza di gioco che di giocoso non ha niente. 
Mi avvicino al viso di Livius, la madre è ancora accasciata sul corpo del figlio. 
Inizio a sentire un qualcosa di nuovo nei confronti del mio amico: odio. Odio Livius. Con quale coraggio ha potuto schiacciare quel grilletto? Ha trovato il coraggio di togliersi la vita invece di combattere. Si è arreso, come ha potuto farlo? Non ha pensato a noi, la sua famiglia? Eppure me lo aveva detto qualche ora prima. Gli Hunger Games avrebbero affrettato il suo incontro con la morte, "tutti dobbiamo morire prima o poi". Lui aveva deciso di voler morire prima. 
Questa non poteva essere altro che una decisione sbagliata. O forse no?
Devo seguire le stesse orme di Livius, devo muovermi in fretta. Devo prendere il fucile di un Pacificatore e puntarmelo alla tempia destra, premere il grilletto e salutare la vita. Non saluterò il distretto 2. D'altronde loro hanno fatto morire il mio migliore amico e hanno acconsentito alla strage degli Hunger Games. I giochi della fame. Questi sono davvero i giochi della fame, una fame che non trova mai fine.
Non so quanti minuti siano passati dal momento in cui Livius ha deciso di spararsi ma, ora, i soldati ci stanno alzando con una forza spaventosa. La madre oppone più resistenza di me, io non rispondo a nessuna imposizione. Inizio a perdere il controllo di tutto, lo avevo già perso quando Livius è salito sul palco.
Più soldati prendono il corpo del mio amico e lo portano via da tutti noi. Cosa sarebbe successo ora? Victor Vict è scosso, sta parlando con coloro che registrano e, tornando sul palco, mi guarda e mi ordina di star fermo lì. Arriva una donna che mi ripulisce il viso, mi trucca rapidamente e mi infila una giacca alzando, infine, la zip. I pantaloni restano insanguinati. Victor, invece, mi toglie il laccio che ho alla vita e me ne mette uno nuovo sul petto. Sul cartello che è attaccato allo spago c'è scritto un numero diverso dal mio. C'è scritto il numero 427, il numero di Livius. 
Rimango paralizzato.
Si riaccende lo schermo e Victor urla come se nulla fosse successo. Ma qualcosa è successo e lui ne è ben consapevole perché trema, non riesce a tener fermo il microfono.
«Il tributo numero 427 è il tributo del distretto 2. Come ti chiami ragazzo?»
Mi si puntano in faccia i riflettori, il microfono, lo sguardo incredulo degli assassini del distretto. Sì, quelle non sono più persone, sono assassini.
«È serio?»
Quella è la mia unica risposta.
Victor allontana il microfono, lo copre con la sua mano e inizia a parlarmi sottovoce.
«Ora tocca a te far parte del gioco. Se non fai finta di niente, se fai scoprire a tutta Panem quello che è successo e qualcuno inizia ad insorgere, tutto il distretto 2 verrà distrutto dopo il gesto sconclusionato del tuo amico.» 
«Per me il distretto 2 può andare al rogo!»
«Anche i genitori del tuo amico? Anche gli altri distretti che non hanno nulla a che fare con questa storia? Siamo in onda, la soluzione più semplice è prendere in giro il pubblico e far credere che sia tu il numero 427. E poi sarebbe toccato lo stesso a te.»
«Tutti i distretti stanno mandando nell'Arena qualcuno dei loro ragazzi, sono tutti assassini.»
«No, non sono assassini, cercano di mantenere la pace. Sono costretti, come lo sei tu in questo preciso istante, come lo siamo tutti. Devi dire solo il tuo nome!»
Gli Hunger Games sarebbero il prezzo da pagare per avere la pace? Penso che questo sia uno dei contratti più brutti che l'uomo abbia mai creato.
Mi sbatte, di nuovo, il microfono in faccia e io non so cosa fare. Smascherare tutto o acconsentire? 
«Io...»
Riesco solo a dire questo. Qualcuno, tra la folla, urla il mio nome. Rimango interdetto nello scoprire che laggiù mi stanno tradendo, nuovamente.
«Bene, il tributo maschio del distretto 2 è Coriolanus Snow!»
La mia vista diventa offuscata. Tutte quelle teste diventano dei semplici puntini non ben definiti perché non riesco più a distinguere tutti loro. È come se io fossi in mezzo ad una mandria inferocita di tori. Loro, i tori e io sono vestito di rosso, un rosso acceso che fa impazzire quegli animali che vogliono un pezzo di me. Domani avranno un altro uomo vestito di rosso ma, oggi, quell'uomo sono io. 
Nessuno verrà a salvarmi. Se voglio vivere, devo contare solo su di me.
Sento il mio nome ripetuto più volte e poi quella frase: possa la luce essere sempre a vostro favore.
Il mio amico ha scelto le tenebre invece di un piccolo fascio di luce perciò niente è a favore di nessuno. 
Tutte le telecamere cessano di registrare, le luci si spengono e la gente inizia a tacere. Un Pacificatore ordina al pubblico di tornare a casa ma nessuno gli dà retta. Forse vogliono vedere cosa succederà e se uno dei due tributi si ribellerà a causa di quel che è successo ma non accade niente. Io resto fermo a guardare un punto oltre la folla.
Un colpo di pistola rimbomba nell'aria. Ci abbassiamo tutti, me compreso.
«Tornate a casa!»
Tutti si guardano impauriti e, come tanti bambini che escono da scuola, rapidamente iniziano a spingersi uno contro l'altro per andare via. Qualcosa dentro di me urla, mi dice che devo fermarli, che non posso farli andare via così.
«Ehi!»
Urlo per farmi sentire anche dalla persona più lontana, devono sentire quello che ha da dire la persona che dovrà rappresentare il distretto 2 di merda.
Immediatamente si riaccendono le luci, le telecamere e io rubo il microfono dalle mani di Victor.
«Siete contenti?»
Tutti si voltano.
«Andrete a dormire tranquilli stasera? Mangerete e aspetterete che parleremo bene di voi durante le interviste? Riuscirete a guardarvi allo specchio e tornare a lavorare come se non fosse successo niente oggi? Per me siete dei mostri! Parlate male dei Giochi eppure non fate niente per fermarli! Dite che non è giusto, non è bello vedere i ragazzini di ogni distretto morire e, poi, siete voi stessi a scegliere due tributi. Livius è morto e, anche se non avete le mani sporche del suo sangue come ce le ho io, voi siete più sporchi di me.» 
Mostro a loro le mie mani insanguinate. Non mi importa della pace apparente che bisogna essere mantenuta, voglio giustizia, vendetta, voglio che il gesto di Livius resti nella loro testa fino a farli uscire pazzi. Sono, dunque, ancora più determinato nel dire quanto debbano sentirsi male, quanto facciano pena come persone e come popolo.
Non posso, però. continuare perché qualcuno mi dà un colpo alla testa e perdo i sensi.
  
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