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Autore: Fyamma    14/11/2013    2 recensioni
Crossover Shadowhunters x Hunger Games
Due mondi che entrano in collisione. Dei ragazzi che si ritrovano nell'occhio del ciclone. Una storia che parla di distruzione, di morte, di dolore, ma anche di gioia e di amore, perchè anche tra le ceneri della distruzione più totale, rimane sempre la scintilla della speranza che, se alimentata nel modo giusto, può trasformarsi in un incendio che illuminerà tutti i mondi.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CLARY

-Uccidimi.- È la prima cosa che mi viene in mente guardando quegli occhi dorati, che mi sono terribilmente familiari. Le parole mi escono dalla bocca quasi senza che me ne accorga.

L'unica cosa che provo è rassegnazione, mentre guardo la punta di quella strana spada puntata alla mia gola. Sono terribilmente stanca. Ogni volta che provo a scappare dal mio passato torna a bussare alla mia porta, incessantemente, ed è tutto inutile, tutto inutile...

Non ho mai aspirato alla felicità estrema. Tutto quello che volevo, e che voglio, è un po' di pace, e Dio sa se non ho lottato per ottenerla...

Ho sofferto, ogni dannatissimo giorno, per poter solo tornare a casa sapendo che si, domani sarà orribile come oggi, ma almeno la mia vita precedente starà al suo posto... Dove farà male solo a me. Ma forse chiedo troppo.


JACE

Per un attimo rimango stordito. Cosa vuol dire "Uccidimi"?!

E poi il suo sguardo... Non penso che lo dimenticherò mai. Non era rassegnato... Non solo. Era stanco. Vuoto. Come chi ha già smesso di vivere da tanto ormai, come se la gioia di vivere fosse stata succhiata via da quella piccoletta. Lo sguardo di chi riceve dalla vita l'ennesima batosta, ed è così arrabbiato che decide di farla finita. Di vivere per aspettare la morte.

Quanti anni ha, dodici? Tredici? È così minuscola che non so dirlo. Cosa le può essere successo per avere quello sguardo?

Quello sguardo che ho visto una sola volta in vita mia... Negli occhi di mia madre. Qualche giorno prima che si suicidasse.


 

 

Cammino svelto lungo il corridoio e giù per le scale, i miei piedi nudi che non fanno rumore sul pavimento di pietra freddo. Rabbrividisco, stringendomi nelle spalle, in una specie di auto-abbraccio. Fa freddo, e piove.

Sbircio fuori da una finestra, e rimango quasi incantato. Sembra di essere sott'acqua... Si distingue a malapena la sagoma del Vecchio Stanco, in giardino.

Mio padre odia quando lo chiamo così, dice che il suo nome esatto è quercia, Quercus robur per l'esattezza. Uno splendido albero nel pieno dello sviluppo merita rispetto, e un nomignolo simile non è appropriato, dice. Per me invece rappresenta qualcuno a cui puoi dire tutto, che non ti tradirà mai. Un amico, il solo che ho.

Oggi però non posso andare a trovarlo, papà si arrabbierebbe se uscissi con questa pioggia.

Rimango triste a guardare fuori dalla finestra il mio vecchio amico, piegato su se stesso, come se fosse triste per qualcosa. Poggio una mano su vetro, ignorando il freddo che mi assale. C'era un motivo per cui dovevo andare da papà, ma non lo ricordo più. Tanto vale stare qui.

Poggio la fronte sul vetro freddo, continuando a fissare il vecchio albero, con una voglia matta di andare a salutarlo. Ma il pensiero della punizione che sicuramente riceverei mi trattiene.

Strizzo gli occhi per vedere meglio tra la pioggia battente: no, non mi sono sbagliato. C'è qualcosa appeso a uno dei rami più bassi della pianta. Sembra un lenzuolo, è tutto bianco. Sarà volato via mentre era steso ad asciugare... Se continua a stare li si rovinerà.

Senza pensarci due volte, mi metto a correre lungo il corridoio, dimentico del freddo, felice di poter cogliere l'occasione di sfogarmi con il Vecchio. Supero le varie foto e i numerosi dipinti appesi alle pareti, la foto più recente è di qualche mese prima, il giorno del mio settimo compleanno.

Spalanco il portone principale, ansimando per la corsa, gli occhi brillanti di gioia. Non posso essere punito, voglio aiutare mamma, mi ripeto mentalmente.

Corro fuori, incurante della pioggia battente che mi inzuppa i vestiti e mi bagna i capelli biondi, lisciandomi i ricci e appiccicandomeli sulla fronte. I miei piedi nudi sono tutti sporchi di fango, ma non m'importa.

Arrivo di fronte all'albero con un sorrisone stampato in faccia.

-Ciaoooo! Sono tornato!- Urlo per sovrastare il rumore della pioggia.

Come per rispondermi, il vento agita i rami, che sembrano salutarmi.

-Aspetta un attimo, ti libero da quello straccio, ok?-

Quasi scivolo per il fango. Mi avvicino al lenzuolo penzolante, e mi strofino gli occhi per liberare le ciglia dalle gocce di pioggia. Adesso che ci vedo meglio, noto che è un po' strano per essere un lenzuolo, è troppo grosso.

Mi avvicino di più, strizzando gli occhi per cercare di vedere meglio, ma è troppo buio e c'è troppa pioggia per distinguere bene ciò che ho di fronte. Almeno finché un lampo non illumina tutto.

Sobbalzo così forte da scivolare finendo nel fango, e così facendo mi ritrovo dritto sotto il manichino. Perché di sicuro è un manichino, insomma, non esistono persone così pallide, con le labbra blu, e gli occhi aperti che non battono le palpebre... Ma perché qualcuno ha appeso per il collo un manichino sul mio albero? E perché quel manichino ha il viso della mamma?

Scoppio a ridere, isterico. Uno stupido scherzo, è solo uno stupido scherzo. Per forza. Ancora ridendo rientro in casa tutto inzaccherato, sporcando tutto il pavimento.

Afferro un sgabello e ritorno fuori, poi mi posiziono sotto l'albero e tiro giù il pupazzo. È terribilmente pesante, per essere uno spaventapasseri. Mentre lo tiro giù rischio di cadere, e nel riacquistare l'equilibrio il suo corpo preme sul mio viso... E sento il suo odore.

A quel punto rischio di crollare, perché sento quel l'odore da quando sono nato, l'ho sentito quando mi sono sbucciato un ginocchio a cinque anni e lei mi ha abbracciato, e quando mio padre ha ucciso il mio falcone e mi ha confortato. È l'odore che ho sempre associato a "mamma", e non è dovuto a profumi o shampoo... È il SUO odore.

Crollo a terra, urlando, bagnato fradicio e ricoperto di fango, tra le braccia troppo deboli per sostenerne il peso tengo il cadavere di mia madre. Scoppio in singhiozzi isterici e disperati, guardando il mio albero con uno sguardo vuoto offuscato dalle lacrime, che si mischiano alla pioggia.

Mi sento tradito... perfino un albero è riuscito a ferirmi, dopo tutto. Mia madre ha preferito suicidarsi piuttosto che stare con me.

Quasi non mi accorgo dei passi che si avvicinano a me. Mi ritrovo a fissare due occhi neri come pozzi senza fondo, che scrutano il corpo senza vita tra le braccia del figlio di sette anni con sguardo freddo e distaccato. -Spero che tu abbia capito cosa intendevo un anno fa, con quel tuo falcone. Amare significa distruggere.-

E Valentine mi lasciò sotto la pioggia.


 

 

Riemergo dai miei ricordi come un se stessi affogando e fossi riuscito a riemergere da un oceano di dolore. Vedo un po' appannato, e sbatto le palpebre per scacciare la sensazione. Mi rifiuto di piangere.

Mi sembrano passate ora, mentre probabilmente sono passati solo pochi secondi.

Sento qualcosa spingermi di lato e crollo a terra inerme e stordito. Izzy mi guarda furiosa, gli occhi che mandano scintille. Io rimango impassible.

-Ma sei impazzito?! Non vedi che è solo una ragazzina?! Minacciarla in quel modo!- Urla brandendo la sua frusta.

Non mi spaventa, so che non mi colpirebbe mai.

-Hai pensato al fatto che potrebbe essere la responsabile di quel che ci è successo?!- Replico io, iniziando ad alterarmi.

-La colpa di quel che ci è successo- mormora lei -è solo tua, Jace Lightwood. Se non avessi premuto quel maledetto bottone non saremmo qui!-

Scrollo le spalle.

-Forse. O forse è colpa sua.- Insisto.

Izzy strilla esasperata, gettando le braccia al cielo. Un movimento che noto con la coda dell'occhio mi fa scattare la testa di lato, ma è solo la ragazzina che si mette seduta, abbracciandosi le ginocchia, scrutandoci con quegli occhi inquietanti, uno ad uno, analizzandoci in cerca di pericoli.

È guardinga, si vede da come sta rigida, e quando i nostri sguardi si incrociano distoglie subito lo sguardo, come se non sopportasse di vedermi.

Izzy le si avvicina cauta, con fare tranquillizzante, come se fosse un animale selvatico. I suoi occhi guizzano subito verso di lei, minacciosi, e Iz si ferma più che altro per non spaventarla. Di certo non la teme.

-Hey.- Mormora Isabelle rassicurante. -Come ti chiami?-

-Clary- risponde lei piatta.

-Ok, Clary. Sai dirci dove siamo?- Continua con lo stesso tono.

La ragazza inclina la testa di lato e la guarda divertita, le palpebre socchiuse come i gatti. Ora sembra assolutamente rilassata.

-Non mi trattare come una bambina. Ho sedici anni.- Replica.

Noi la guardiamo stupefatti. Non li dimostra assolutamente, non avrei mai detto che è quasi mia coetanea.

-Ah... Beh, si certo, io...- Farfuglia Izzy imbarazzata.

-La domanda resta. Sai dove siamo?- Interviene Alec, che fino a quel momento non aveva proferito parola.

-Si certo.- Risponde lei.

Cala un silenzio carico di attesa.

-Allora?!- Sbotta Alec ad un certo punto.

Lei sorride di nuovo, si sdraia e si mette una mano dietro la nuca.

-Mi avete chiesto se sapevo dove ci troviamo, e ho detto di si. Ma non credo di aver mai detto che avevo intenzione di dirvelo.- Risponde.

Ad Alec viene un tic all'occhio. Izzy invece scoppia a ridere, non so se per l'isteria o se per esasperazione. Invece va da Clary e le dice: -Mi piaci!- E ridacchia ancora.

Io è Alec ci guardiamo straniti. Clary inclina la testa di lato, sfoderando un altro dei suoi sorrisi.

-Deve essere ubriaca. Per forza.- Bofonchia Alec.

Io, stufo mi alzo e vado verso la ragazzina, levando di nuovo la spada.

-Diccelo, prima che perda la pazienza.- Minaccio.

Lei sbuffa.

-Sei duro d'orecchie? Non so se l'hai notato, ma non m'importa granché di morire.- Sussurra lei, negli occhi di nuovo quello sguardo spaventoso.

-Beh, forse dovresti preoccuparti di quel che ti accadrà PRIMA di morire- replico io.

Lei scrolla le spalle.

-Fa pure.- E si sistema più comoda sull'erba.

All'apparenza è completamente rilassata, ma noto che la sua postura è rigida e si suoi muscoli contratti. Tiene ancora una mano dietro la nuca o mò di cuscino.

-No- interviene Iz -per favore, no. Non c'è bisogno di arrivare a tanto. Vogliamo solo sapere dove siamo finiti.- Implora.

È sull'orlo di una crisi, come tutti noi. Clary si volta a guardarla e vacilla un po.

-Promettete che non farete del male a nessuno.- Impone.

-Ma per chi ci hai preso?!- Sbotto indignato.

Lei mi guarda storto.

-Mi hai puntato una spada alla gola, cosa avrei dovuto pensare?!- Replica.

Non so che rispondere.

-Ok, lo promettiamo.- Interviene precipitosamente Alec.

-Molto bene. Seguitemi.- risponde lei, alzandosi.

A quel punto noto che sulla schiena ha una faretra e un arco, e capisco perché si era sdraiata con la mano dietro la nuca. Avrebbe potuto ucciderci quando voleva.

Sorrido. Quella ragazza inizia a piacermi.

 

HOEK AUTHOR

Oggi tocca all'africano! 

Alloooora, rieccomi con un leggerissimo ritardo (tanto per cambiare, lol) per farmi perdonare ho deciso di fare un capitolo un pò più lungo... I'm sorry. La scuola mi impegna tantissimo, ed è arrivato il tanto temuto periodo-pagelline ç.ç

Un minuto di silenzio per tutti gli studenti nella mia situazione. Sono con voi ragazzi. 

Anyway, questo capitolo mi ha fatto piangere mentre lo scrivevo, giuro. Credo che mia madre mi voglia mandare da uno psicologo. L'ispirazione mi è venuta in un giorno di pioggia, mentre tornavo da scuola imbarcando acqua peggio del Titanic. Maaaa tanto non ve ne frega una mazza.

Adesso vado, mia madre ha fatto le crepes per cena ^*^

Non per essere ripetitiva, ma una recensione è sempre gradita.

 

Un beso

 

Fyamma


  
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