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Autore: Lacus Clyne    16/11/2013    3 recensioni
"Cominciò con un incubo. Un incubo tornato dalle profondità dell’anima in cui avevo cercato di relegarlo innumerevoli volte, da quando ne ho memoria." Per Aurore Kensington i sogni si trasformano in incubi sin da quando era una bambina. Sempre lo stesso incubo, sempre la voce gentile del fratello Evan a ridestarla. Finchè un giorno l'incubo cambia forma, diventando reale. Aurore è costretta a fare i conti con un mondo improvvisamente sconosciuto in cui la realtà che le sembrava di conoscere si rivela essere una menzogna. Maschere, silenzi, un mistero dopo l'altro, fino al momento in cui il suo adorato fratello Evan e la loro mamma scompaiono nel nulla...
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buon pomeriggio! :D Prima di darmi alla macchia per tornare a studiare, ne approfitto per velocizz mettere la parte finale del capitolo XIV! Ebbene, eccola qui, Taiga-chan, anche se so che mi odierai per una certa faccendina *coughDamcough*... eh, lo so, pazienta ancora un pochettino... poco poco, promesso!! Bene bene, la misteriosa cerimonia con convocazione della nuova generazione è cominciata... e per il popolo di Adamantio, è tempo per la prima volta, di incontrare colei che per secoli è stata considerata una divinità... e non soltanto! Cosa accadrà? Buona lettura!! *---*

 

 

 

 

Camminammo a lungo, senza dire nulla, fino a che, lontane dal palazzo di diamante e dalle ultime verità che avevamo scoperto, ci ricongiungemmo coi ragazzi. Eyde ed Einer avevano abbandonato la tenuta da imperiali e indossavano dei mantelli, esattamente come le altre persone che popolavano la città. Ero abituata a vedere tanta gente, poiché avevo viaggiato molto in vita mia, ma mai ero stata testimone di un evento come quello che l’Underworld si apprestava a vivere. La Croix du Lac, che possedeva il corpo di mia sorella maggiore, Arabella, si sarebbe mostrata. In tempi recenti, almeno, non c’erano stati precedenti e nemmeno le vecchie generazioni potevano anche solo immaginare quale fosse il volto della dea che veneravano. Cos’avrebbe fatto? E io, che non avevo potuto portare in salvo la mamma e Jamie come Arabella mi aveva chiesto?

- Com’è andata?

Domandò Eyde, sollevando la mano a mezz’aria in segno di saluto.

- Eyde! Beh…

Violet mi guardò, preoccupata.

- Non vi hanno scoperte, vero?

Le fece eco Einer.

- No. No, siamo state attente.

Li tranquillizzai.

- Mia madre sta bene… e anche Jamie Warren.

Pensai a Damien, e a quanto mi sarebbe piaciuto potergli dare personalmente quella notizia. Certo, non avevo incontrato il suo fratellino, ma la mamma mi aveva rassicurato personalmente circa il suo benessere.

- Quanto a voi? Come mai non ci avete aspettate a palazzo?

Domandò Violet, perplessa.

Einer si stiracchiò, poi si sistemò i lunghi capelli color cioccolato.

- In realtà vi abbiamo attese, ma dal momento che Liger era nei paraggi, abbiamo preferito fare quattro passi nei dintorni per evitare di attirarne le attenzioni.

- Ma se ci fosse successo qualcosa?

Eyde le fece l’occhiolino.

- Per questo eravamo nei paraggi. Non lasceremmo mai che accada qualcosa alla futura moglie del nostro signore.

Violet arrossì e io li guardai incredula. Come potevano parlare con tanta facilità di una cosa del genere? Dopotutto, la mia amica e Ruben si conoscevano da così poco…

- Eyde!!

Protestai.

- Oh, ovviamente nemmeno a voi, Aurore, beninteso.

Mi fece eco.

Lo guardai di sottecchi. Non era certo quello ciò a cui mi riferivo.

- Comunque, anche noi abbiamo scoperto qualcosa. Certo, non è stato facile, ma a quanto pare, il passaggio che collega il palazzo di diamante alla cattedrale esiste davvero. E il Sancta Sanctorum si trova proprio nel cuore della cattedrale.

- Nel cuore della cattedrale?

Einer mi fece notare, in lontananza, un’imponente costruzione che avrebbe fatto invidia persino alle architetture maestose di Karelia. Poi ricordai di aver letto qualcosa in proposito mentre studiavo la storia dell’Underworld. Quel luogo era stato eretto dai Delacroix ed era uno dei pochissimi edifici rimasti pressoché integri, risalenti alla loro epoca. Non sapevo tanto della prima famiglia, ma vedere coi miei occhi quello spettacolo, sicuramente mi era servito da conferma alle parole di Lady Octavia. I Delacroix avevano reso quel mondo florido.

- Andiamoci.

Dissi. I ragazzi annuirono, mentre Violet mi rivolse un’occhiata che ben poco nascondeva la sua preoccupazione.

- Aurore, non sarà il caso di tornare a palazzo Cartwright, prima?

La mia Violet, che desiderava la felicità di chi le stava intorno prima ancora che della sua. Le sorrisi.

- No. Non ora, Violet. Se tornassimo distrarremmo Ruben e Rose. Non possiamo permettercelo, adesso.

- Non è per questo… è solo che mi chiedevo se… beh, insomma… se stessi bene.

I ragazzi mi guardarono perplessi. Di certo quell’osservazione non era l’ideale.

- Sto bene. Ma starò ancor meglio quando la mamma e Jamie saranno al sicuro.

Le dissi. In realtà, non sapevo se lo dicessi più per autoconvincermi che per tranquillizzare soltanto Violet, ma quantomeno, il mio tono risultò abbastanza determinato da incitarci tutti quanti. Fu così che, cestini alla mano, ci inoltrammo nelle luminose e brulicanti vie del centro di Adamantio, mischiandoci alla popolazione in fermento, in attesa che la Croix du Lac facesse la sua comparsa. E se il mito della torre di Babele non mi era mai sembrato particolarmente eclatante, considerando tutte le persone che avevo avuto modo di vedere, rimasi stavolta particolarmente stupita, a tratti affascinata, dall’atmosfera così carica di speranza che si respirava. Era come partecipare a un gigantesco evento. Ogni singola città dell’Underworld, coi suoi usi, coi suoi costumi, con doni di ogni genere, e soprattutto, con tutta la diversità delle proprie genti, era lì. C’era musica, tanta, c’erano bambini in festa. Moltissimi di loro non avevano mai visto la luce, proprio come Livia Devereaux, eppure, non c’era alcuna nota di tristezza o di sconforto nei loro occhi. C’erano donne che intrecciavano corone di fiori e fanciulle che lanciavano petali per aria. Ci ritrovammo istintivamente a ridere, sotto quella pioggia profumata e a danzare con i ragazzi e le ragazze di quel luogo, come se fosse stata la cosa più naturale che potessimo fare. Già, dopotutto, nonostante fossi nata e cresciuta nel mondo della luce, i miei genitori erano originari dell’Underworld, e in un certo senso, era come se quella fosse allo stesso modo casa mia. Se fossi nata lì, cosa sarebbe stato di me? Ma c’era Violet, che osservava estasiata e felice tutto quanto. Se lei non mi fosse stata accanto in quel momento, avrei anche potuto chiudere gli occhi e dimenticare la realtà dalla quale provenivo. Violet era la mia ancora verso il nostro mondo. E poi, mentre la piazza gremita di gente continuava i festeggiamenti, mentre assaggiavo una delle specialità di Adamantio assieme ai ragazzi, il mio sguardo fu rapito da qualcuno che indossava un lungo mantello blu scuro, col cappuccio appena calato. I capelli ricci, così scuri… era lontano, certo, ma per qualche istante il mio cuore smise di battere. Mi guardai intorno, cercando di individuare la via migliore per arrivarci, mentre continuava a inoltrarsi tra la folla.

- Damien…

Sussurrai, quando Violet si accorse della mia espressione.

- Damien? Dove?

Si voltò a guardare anche lei, cercando tra migliaia di persone il volto che avevo scorto.

- Ne sei sicura?

- No. No, io… io…

Istintivamente, feci qualche passo per raggiungerlo, ma fui trattenuta per il polso.

- Non potete andare.

Mi ricordò Eyde, con aria severa.

Lo guardai in tralice.

- Vieni con me allora, per favore.

Lo tirai, cercando di non perdere d’occhio quello che speravo con tutta me stessa che fosse Damien. D’improvviso, com’era stato prima per mia madre, non c’era più nulla, soltanto il proposito di verificare che fosse lui. Camminai facendomi largo tra la gente, che continuava a festeggiare ignara del dramma che mi aveva appena scosso l’anima. Damien poteva essere lì, a pochi passi da me.

- Dam--

- Non urlate! Volete attirare l’attenzione?!

Sibilò il biondino.

- Scusami!

Mi affrettai a rispondere, e finalmente, intravidi il ragazzo di spalle, in procinto di voltarsi. Avevo il fiato corto e una moltitudine di sensazioni che non avrei saputo certamente definire una per una, optando per una generica “ansia”, mi pervase. Tesi il braccio verso di lui, quando si voltò. Sarei persino morta in quell’attimo, nel vedere che il viso di quel ragazzo, seppure somigliante a quello di Damien, non era lo stesso. Mi venne quasi da piangere, ma mi trattenni, sentendo tutta la delusione e lo sconforto dopo aver cantato vittoria troppo presto. Eyde se ne accorse, ma allo stesso tempo, se ne rese conto quel ragazzo.

- Tutto bene?

Mi domandò, notando il mio braccio teso ancora a mezz’aria. Lo lasciai ricadere sul fianco, deglutendo.

- S-Sì, vi ho scambiato per un’altra persona…

Confessai, mentre Eyde borbottò. Il ragazzo, dapprima stupito, mi sorrise. Aveva gli occhi scuri, troppo lontani dallo smeraldo degli occhi di Damien, ma il suo sorriso era gentile.

- Mi dispiace non esserlo. Ma certo è che visto quello sguardo così triste, dev’essere importante.

Annuii incredula, quasi interdetta. Quel ragazzo non poteva sapere chi ero, né chi era la persona di cui parlassi, eppure, aveva mi aveva appena messa a nudo, smascherando i sentimenti che provavo per Damien. Gli fui grata e ricambiai quel sorriso.

- Grazie… e scusatemi…

Lui prese un paio di dolcetti da un bancone vicino. Poi, scherzando, si fece dare un mazzetto di fiori viola, che tanto mi ricordavano le violette del pensiero. Nonostante la contrarietà di Eyde, me li porse entrambi, mettendoli nel cesto che portavo con me, stupendomi ancora una volta.

- Siate lieta, mia cara, in questa notte di festa!

Mi raccomandò, per poi allontanarsi, disperdendosi per sempre nella folla brulicante.

- Ma chi accidenti era?

Protestò poi Eyde, guardando i regali di quel ragazzo sconosciuto.

- Non ne ho idea… e certo non era Damien… ma è stato davvero gentile…

Dissi, voltandomi verso di lui.

Eyde mi osservò, puntando i suoi occhi verde scuro nei miei.

- Però dovreste essere più accorta.

- Lo so, mi dispiace…

Sospirò, poi si grattò la testa. Alla fine, mi dette un piccolo buffetto e mi risistemò il cappuccio.

- Su una cosa aveva ragione, però. Siate lieta.

Sorrisi e annuii anche a lui. Poi, facemmo per tornare da Violet ed Einer, ma finimmo con l’incrociare qualcuno di inatteso.

- Ma tu guarda. A quanto pare chi non muore si rivede, eh?

Eyde balzò in difesa, ma quel tono seccato e saccente era inconfondibile. Mi sporsi da dietro Eyde, scorgendo, sotto a un mantello blu scuro, niente poco di meno che Leandrus.

- Leandrus!

Esclamai, stupita.

- Ragazzina. E… c’è anche uno degli sguatteri del Lord rosso.

Disse, inarcando il sopracciglio bruno. Notai che rispetto a Eyde, era più alto di almeno una spanna e mezzo. Certo che… sguatteri del Lord rosso. C’era da immaginare rivalità anche tra loro, considerando quella tra Blaez e Ruben.

- Achard. Sono felice anch’io di vederti.

Rispose Eyde, con tono tagliente. Davvero non correva buon sangue tra di loro. Ma dopotutto, considerando il caratteraccio di Leandrus, c’era da immaginarlo.

- Il tuo cognome è Achard? Non me l’avevi mai detto…

Dissi a Leandrus.

- Tu non me l’hai mai chiesto.

Mi fece notare, poi indicò il mio cesto.

- Hai fatto la spesa?

- Non proprio…

Dissi, sollevandolo.

- Piuttosto… cosa ci fai tu qui?

Domandai, mentre si avvicinava e prendeva un dolcetto, per poi addentarlo sotto lo sguardo contrariato di Eyde, che affilò lo sguardo, preparandosi a rispondergli per le rime. Detti a lui il secondo dolcetto, sperando di scongiurare la contesa. Mentre quei due mangiavano, Leandrus fece strada, dicendo che avrebbe risposto alla mia domanda una volta che fossimo stati più isolati. Fu così che raggiungemmo un porticato meno affollato, e lì ritrovammo anche Violet ed Einer.

- Aurore!

Esclamò la mia amica, abbracciandomi, quando li raggiungemmo.

- Allora? Era lui?

Feci cenno di no, ricambiando l’abbraccio.

- Mi dispiace…

Rispose, con voce triste. Dopotutto, anche per lei Damien era una persona in qualche modo importante. Violet lo conosceva da più tempo di me, da prima che mi trasferissi a Darlington, e sapeva cose di lui che ignoravo io stessa.

- Va bene così…

La rassicurai, poi guardai Leandrus, che nel frattempo chiacchierava con Einer e Eyde.

- E lui chi è?

Domandò Violet.

- Leandrus.

Dissi.

- Leandrus? Questo nome mi è familiare…

- E’ il ragazzo che ha accompagnato me e Damien a Wiesen.

Spiegai.

- Mh?

Chiamato in causa, Leandrus si voltò a guardarci. Violet lo salutò con la mano, lui si avvicinò, riconoscendo Violet come la ragazza che aveva visto nell’aggeggio demoniaco. Quando gli ricordai che il nome di quell’aggeggio era cellulare, fece spallucce e si rivolse a lei.

- Lieto di conoscervi, ma non ricordo il vostro nome…

- Violet. Violet Hammond.

Si presentò la mia amica, sorridendo gentilmente. Leandrus le rivolse un perfetto inchino. Quel gesto mi costrinse a storcere la bocca. Era sempre screanzato soltanto con me?

- Leandrus Achard. Per servirvi, Milady.

- Ehm…

Violet ridacchiò mentre gli tiravo l’orecchio.

- Senti un po’… non hai ancora risposto alla mia domanda.

- Ahi!

Si lamentò Leandrus, mentre i ragazzi scommettevano in lontananza su chi potesse vincere in un ipotetico scontro tra me e lui. Poco male, non avrei avuto molti dubbi considerando il tipo. Lasciai la presa, e lui si massaggiò l’orecchio.

- Sei sempre la solita… avresti dovuto chiedermi scusa per avermi lasciato ad ammuffire mentre tu e il tuo compare ve ne andavate a seminare zizzania.

- Ti ricordo che sei stato tu a dire che avresti contattato Blaez.

Mi guardò di sottecchi, poi guardò verso la piazza centrale, sul sagrato della cattedrale, parecchio distante da noi, ma ben in vista.

- Ad ogni modo. Dopo che s’è scatenato il putiferio a palazzo Devereaux, sono subito corso a vedere cosa fosse successo. Potete immaginare la mia preoccupazione nel sentire che le guardie imperiali al comando di Liger stavano controllando i paraggi. Devo ammetterlo, ho temuto che vi foste fatti scoprire. Quando sono arrivato, comunque, ho scoperto che stavano dando la caccia al Cavaliere Nero, che a quanto pare, era a Wiesen, quella sera. E’ stata un’ecatombe. Non si vedevano tanti nobili uccisi dai tempi del massacro voluto da chi sapete… e poi, non appena mi è stato possibile, vi ho cercati, anche se con risultati pressoché nulli. Dannati ragazzini, se non ho perso la testa quella volta, non la perderò mai. Comunque, Blaez era a dir poco furioso dopo aver saputo che vi avevo persi e mi ha ordinato di cercarvi. Ma le tue tracce, Aurore, erano labili. Al contrario di quelle di Warren, che sono riuscito a seguire fino a Fellner.

- Fellner? Dunque Damien è vivo?!

Domandai tutto d’un fiato, aggrappandomi al suo mantello. Anche Violet tirò un sospiro di sollievo. Tuttavia, Leandrus smorzò il nostro entusiasmo.

- Lo è. Ma sono arrivato fin lì. Dopodichè l’ho perso.

Nonostante quella rivelazione, la conferma che Damien fosse vivo e non fosse morto per mano di Liger quella sera era ciò che più desideravo sentire.

- E poi cos’è successo?

Domandai, ansiosa.

- Beh… proprio un paio di giorni fa, dopo essermi consultato con Blaez, son venuto ad Adamantio e lì, ho potuto seguire una pista. Peccato che sia sfumata poco fa, col tizio che non si è rivelato Warren, ma solo un semplice popolano.

- Oh, intendi il ragazzo di poco fa? In effetti, ho notato anch’io una certa somiglianza… per questo motivo, mi sono affrettata a raggiungerlo.

Dissi.

- E a quanto pare non era lui. Buco nell’acqua. Ad ogni modo, so per certo che è qui. Le mie fonti non sbagliano. Il punto è che non ho idea di dove possa essere, tra tutte queste persone.

Riprese, guardando la folla in festa.

- Damien è qui…

Mi soffermai su quell’osservazione, sentendo un rinnovato calore nel cuore. Se Damien era lì, allora significava che stava bene e che forse, chissà, stava cercando Jamie, e magari anche me. Posai il cesto a terra e con un improvviso quanto inaspettato moto, strinsi forte Leandrus, che mi guardò con gli occhi sgranati. Violet si mise a ridere, così come i ragazzi, stupiti.

- Grazie, Leandrus, grazie!

Esclamai, così incredula all’idea di poter provare tutto d’un tratto una sensazione come quella. La speranza, che brillava fioca ogni istante che passava senza alcuna notizia su Damien, prese a scintillare ardentemente. Ero inebriata e al tempo stesso piena di dubbi riguardo alla capacità del mio stesso cuore di contenere così tanta gioia. Erano state così tante le volte in cui avevo pianto la morte di qualcuno, e così poche quelle in cui ero stata davvero felice, che temevo fosse quasi irreale.

- N-Non c’è di che…

Rispose a tratti Leandrus, sempre più perplesso. E non mi importava che credesse fossi matta, perché probabilmente un po’ lo ero. Ma la verità era che su tutto, ero felice di sapere che Damien fosse ancora vivo. E ora, non vedevo l’ora di rivederlo, e di salvare insieme Jamie e la mamma. Saltellai, poi ripresi il mio cesto. Violet sorrise, sistemandomi per bene il cappuccio che era sceso, poi d’improvviso, sentimmo risuonare le campane. Calò un silenzio reverenziale e tutti, noi compresi, attendemmo. Poi, sul sagrato della cattedrale, preceduto dalla sfilata degli oligarchi dell’Underworld, compreso Angus Vanbrugh, il professor Warren fece il suo ingresso. Indossava abiti da cerimonia, un lungo soprabito bianco, con una croce argentata sul petto e non portava la maschera, ma la mia attenzione non fu sollecitata tanto da lui, quanto dalle persone che erano con lui. Riconobbi Amber e Blaez, seri e composti, così come Rose e Ruben. Livia, sprezzante e orgogliosa, accompagnata da una donna che immaginai essere la sua stessa governante. Vidi Amelia Dobrée, la Lady dello smeraldo, col suo sorriso malizioso e poi, scortati dalle guardie imperiali, vidi finalmente il piccolo Jamie, con indosso un farsetto blu scuro e un mantello dello stesso colore, e mia madre, incantevole nel suo abito color panna, coi capelli raccolti. Tra tutti, spiccava come un diamante e somigliava incredibilmente alla Croix du Lac, Arabella… mia sorella. Il fiato mi rimase in gola, così come a tutti gli intervenuti. Poi, sorsero brusii.

- Quella non è forse… la Lady del diamante?

Domandò un uomo, poco lontano da noi. Leandrus lo guardò, poi guardò me. Qualcosa nella mia espressione l’aveva insospettito. Violet mi prese la mano, mentre il professor Warren prese la parola.

- Miei carissimi concittadini dell’Underworld. Con grande gioia e con grande letizia, vi ringrazio di essere convenuti in questa importante occasione. A nome del Consiglio di Adamantio, io, Lionhart Warrenheim, vi do il benvenuto.

Si profuse in un inchino magistrale, poi continuò.

- Vedo che siete stupiti tanto quanto lo fui io non appena mi ritrovai di fronte la Lady del diamante. Ebbene, miei cari amici, posso confermarvi che si tratta proprio di lei. La nostra diletta Lady Cerulea Rosenkrantz, sposa del compianto Despota Ademar. Dopo tanti anni di lontananza dal nostro mondo, finalmente la nostra signora ha fatto ritorno, con la ferma intenzione di rimanere al nostro fianco. Lasciate che vi dica che a lei vanno tutto il nostro calore e il nostro amore. Milady, sappiate che ora niente e nessuno vi costringerà più a compiere azioni che vanno contro il vostro volere. La follia che attraversò la mente del traditore Greal Valdes, l’abominevole essere che sterminò la prima famiglia e rapì la nostra Lady, oramai è un lontano ricordo. Da oggi in poi, Lady Cerulea vivrà assieme a noi, la sua gente, e confido che il suo sorriso torni presto a dilettare e a donare speranza alle genti di questo mondo, ahimè così martoriato.

Detto ciò, raccolse la mano di mia madre e la accompagnò allo scranno più importante, sedendosi al suo fianco. Quel bastardo, bugiardo e folle. Ora capivo perché Shemar nutriva così tanto odio verso di lui. Warren era un manipolatore provetto e a giudicare dalla reazione entusiasta che seguì le sue parole, all’annuncio del ritorno di mia madre, aveva certamente colto nel segno. E soltanto allora mi resi conto di quanto l’Underworld amasse Cerulea Rosenkrantz. Tutta quella felicità mi rese segretamente orgogliosa della mamma. Non che non lo fossi stata fino a quel momento, certo, ma vedere con i miei occhi la reazione di tutte quelle persone mi fece realizzare d’improvviso quanto importante e benvoluta lei fosse. Eppure, sul viso di mia madre non c’era felicità. Sorrideva appena al suo popolo, ma dietro quel sorriso c’erano la tristezza, l’angoscia e la preoccupazione.

- Mamma…

Mormorai.

- Ci avviciniamo?

Mi propose Violet.

- No, meglio di no.

Le dissi, sebbene avessi tanto voluto farmi largo in mezzo alla folla e correre da lei. Ma non potevo farlo, o per la mamma, per Jamie e per tutti i miei amici sarebbe stata la fine. Strinsi il pugno libero, sperando che quell’agonia avesse presto fine. Era paradossale come potesse esistere una contrapposizione così netta tra la gioia e il dolore. Come mai nessuno si rendeva conto di quanto la mamma stava soffrendo? E di quanto il professor Warren fosse terribile? Forse, era vero che in un mondo senza alcuna speranza, ci si aggrappava a tutto ciò che sembrava un’ancora di salvezza. E poi mi resi conto che la mamma, così amata dalla sua gente, era quella speranza. Già… in un mondo in cui tutti i mali avevano fatto strage, finendo col privarlo della stessa luce, lei era un raggio flebile che era tornato a brillare. Ripensai alla mia ametista, al suo fioco brillio e alla forte luce emanata a Challant, nonostante il dolore causato dalla distruzione. Già, sul fondo del Vaso rimane solo la speranza.

Poi, rispondendo a un cenno della mano di uno degli oligarchi, sul sagrato apparvero dei giocolieri, che rallegrarono i presenti coi loro giochi. Mi ricordai quando con la mamma ed Evan andammo a vedere il circo per la prima volta. Che strana esperienza… riportai la mente a una sera d’inverno, la sera del dodicesimo compleanno di mio fratello. A quel tempo, eravamo in Gran Bretagna, e dopo aver visto la magnificenza dei Cirque du Soleil in tv, l’idea che un circo si fosse stabilito in città era bastata a convincere la mamma ed Evan a festeggiare in modo diverso. Non vidi mai così tanti animali e così tanti giochi tutti in una volta. Ricordo ancora il fiato sospeso mentre i trapezisti compivano le loro evoluzioni a mezz’aria, così come i saltimbanchi che eseguivano i balletti più disparati tutto intorno allo spiazzo centrale. C’erano anche delle ragazzine della mia età. E fu proprio quello il motivo che mi spinse a desiderare di prendere lezioni di danza. E poi c’era Evan, che osservava incuriosito gli animali. Cammelli, scimmie, coccodrilli perfino. E ricordo anche le tigri e i leoni, che gli piacquero particolarmente. “Vedi, Aurore? Quelli sono gli animali più forti e letali al mondo.” Mi aveva detto, lasciandomi alquanto stupita. E ricordo anche la risatina della mamma, divertita al pensiero di non aver preso un cucciolo di cane per lui. E ora, guardandola in lontananza, su quello scranno, tra il professor Warren e il piccolo Jamie, sembrava impassibile alle evoluzioni dei giocolieri, che con fiamme, lance e spade, si dilettavano nelle acrobazie più disparate, rallegrando e incitando la gente dell’Underworld. E vidi anche Jamie, che al contrario della mamma, sorrideva divertito, come solo un bambino innocente poteva fare.

E ancora, dopo quello spettacolo che durò all’incirca mezz’ora, quello stesso oligarca, un uomo sulla sessantina passata, che dai mormorii compresi poi essere Andres Oliphant, annunciò il momento che tutti attendevano. D’improvviso la piazza intera si ammutolì e mentre i nobili intervenuti si alzarono, il resto della popolazione si inchinò in preghiera. Così fecero anche i giocolieri, che dopo essersi allontanati dal sagrato, si chinarono in attesa. I ragazzi, accanto a me e Violet, ci suggerirono di seguire il cerimoniale, cosa che facemmo. Sentii crescere la tensione dentro di me. Pochi istanti e la Croix du Lac si sarebbe mostrata al suo popolo, annunciando l’elezione del prossimo Despota.

Damien… ti prego, ovunque tu sia, non fare nulla di sconsiderato… pensai tra me e me.

E poi, il portone centrale della cattedrale, di mastodontico ferro battuto, venne aperto da diverse guardie imperiali. Dall’abbigliamento, stabilii che si trattava delle guardie personali della Croix du Lac. Vidi il comandante Liger, il volto sempre nascosto dalla maschera nera che avevo riconosciuto, con indosso gli abiti che avevo visto al palazzo di diamante, con un lungo mantello bianco. Spiccava, in mezzo ai colori della notte rischiarata dalle luci artificiali. Deglutii e sentii il cuore stringersi in una morsa d’acciaio, quando rivolse il suo inchino dapprima alle genti dell’Underworld, e poi dietro di sé, raccogliendo il braccio d’opale su cui scintillava, perfettamente visibile anche a distanza, il tatuaggio che meglio conoscevo. Calò il silenzio più assoluto, come se d’improvviso chiunque avesse smesso di respirare. E mi accorsi di trattenere il fiato a mia volta, quando leggiadra e delicata, la Croix du Lac fece il suo ingresso, tra la riverenza e l’incredulità più assolute, mostrandosi per la prima volta al suo popolo.

 

 

 

  
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