Libri > Hunger Games
Segui la storia  |       
Autore: skippingstone    17/11/2013    3 recensioni
"Mi avevano detto che pensare troppo fa male, mi avevano detto che sarebbe passato tutto eppure la testa mi scoppia, gli occhi bruciano e respirare sembra la cosa più difficile da fare. Rifletto sulla mia probabile morte e sorrido, almeno potremmo stare vicino. Posso affermare di aver combattuto per tutti quelli che non sono riusciti a farlo: ho combattuto anche per te.
Se, invece, riuscirò ad uscire da questa Arena, non sarò più lo stesso: tutte le cicatrici si stanno aprendo nell'interno della mia bocca lasciando un retrogusto di sangue e troppe sono nel cuore. Anche se uscissi da questa Arena, non ne uscirei vincitore. Ho già perso tutto.
Tutto tranne una cosa: la voglia di vendetta.
Possa la luce essere, ora, a mio favore!"
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Altri tributi, Presidente Snow, Tributi edizioni passate
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
5. Il tributo sfacciato

Mi risveglio in una stanza.
È tutto tetro e buio. Non c'è nessuna finestra, nessuno spazio dove possa filtrare la luce del sole e immagino, di conseguenza, che sia notte fonda. 
Arrivo, però, ad una conclusione, immediatamente: questa non è casa mia, casa mia ha tante finestre grandi. Mi tiro su ma inizia a girarmi la testa. Che questo sia l'inferno? Che questa sia l'Arena? Sbarro gli occhi pensando che quest'ultima opzione sia la più probabile e veritiera. Se sono nell'Arena, sono una persona già morta. Non ho fatto allenamenti, interviste, la sfilata. Come possono gli sponsor conoscermi e, quindi, aiutarmi? Il cuore batte forte e sento mancarmi l'aria in questo spazio chiuso e male odorante. 
Improvvisamente si apre una porta grandissima e io mi nascondo dietro la spalliera del divano su cui sono seduto. Se questa è l'Arena, qualcuno starà cercando un tributo da ammazzare e qui ci sono solo io.
«Sta' tranquillo Snow, sono Victor Vict.»
Penso che questa sia la scusa perfetta per farmi uscire allo scoperto e perciò continuo a nascondermi. Sarò debole, ma non stupido. 
Sento i passi della persona che è nella stanza con me più vicini e cerco una specie di arma, anche un semplice bastone per potermi difendere. Quando lo sento ancora più vicino, decido di buttarmici addosso creando un effetto sorpresa per disorientare l'avversario ma la sorpresa la ricevo io quando scopro che son andato contro al vero Victor.
Per un attimo rimango spaesato, poi mi rialzo e mi appoggio al divano.
«Perché lo ha fatto?» - mi chiede l’uomo. Non so cosa rispondere. Mi gira ancora la testa e non ho chiaro quello che mi sta attorno.
Victor, dopo essersi rialzato, si aggiusta la camicia azzurra, la rimette nei pantaloni e fa entrare della luce nella stanza spostando le tende.
«Sono passate due ore da quando sei svenuto.»
«Uno non resta svenuto per due ore, sarei potuto sembrare un morto.»
Un tonfo allo stomaco mi ricorda che non dovrei ironizzare sulla morte visto che è morto Livius.
«Ora siamo solo io e te.»
Lui mi passa un bicchiere d'acqua e io bevo.
«Vedi quello che hai fatto ora? Non lo fare mai più!»
Dopo aver buttato giù tutto il liquido, guardo il bicchiere e, poi, colui che mi è di fronte.
«L'Arena non è un gioco. Non tutta l'acqua sarà sana e pulita, non tutto il cibo sarà buono. Insomma non tutto quello che vedrai sarà quello che credi che sia.»
Poggio il bicchiere sul tavolino e porto la mano alla fronte. Troppe informazioni in una volta mi mandano in black-out.
«Ho appena aperto gli occhi e tu mi dai questo buongiorno?»
«Il buongiorno te lo hanno dato appena sei stato scelto per diventare un tributo. Non avrai tempo per risvegliarti e trovare la colazione a letto. Qui conti solo tu!» - il suo tono non è duro, anzi, lui sta provando a consolarmi e darmi forza.
Resto ancora abbastanza intontito ma ritorno a vedere con lucidità e la voce di Victor diventa più chiara e comprensiva.
«Tu sei il tributo del distretto 2.»
«Ma va... Dimmi una cosa che ancora non so.» - rispondo acidamente.
«Una cosa che non sai? Sei sfacciato!»
«Questo lo sapevo prima di te.»
«No, tu sei più sfacciato degli altri.»
«Perché?»
«Il presidente Morse vuole parlar con te!»

Sono seduto su una sedia sontuosa rivestita di pelle color marrone. Il Presidente Morse è seduto su una sedia più grande e spaziosa della mia. Che questo sia segno della sua grandezza o una pura coincidenza? Ha delle scarpe spigolose e pelose di color viola. Indossa un pantalone nero lucido, una cintura borchiata e una camicia. Il tessuto della camicia sembra essere di velluto ed è bucato in più parti. Il collo viene decorato da un papillon, anch'esso viola. Quello che mi inquieta di più è, oltre al suo stile, il gatto viola portato a spasso con un guinzaglio d'oro. Quel gatto ha, paradossalmente, più valore di me. Il gatto mi guarda in cagnesco. Forse quello non è davvero un felino, sarà qualche strana creatura, qualche strano esperimento di Capitol City. 
Più guardo quel gatto, più capisco che c'è dell'altro.
«Si chiama Mohr. Puoi accarezzarlo, se vuoi.»
Io guardo il gatto, lui guarda me e io non ho voglia di toccarlo. Il suo pelo è ben curato, lucido e pulito ma quello sguardo e quel suo corpo mi inquietano. Perciò no, non lo tocco e non lo accarezzo, non mi avvicino neanche per farlo giocare con i lacci della mia scarpa destra. Pensandoci meglio, sono i gatti normali che amano giocare con i lacci, chissà questo essere indefinito cosa farebbe ai miei poveri lacci o, addirittura, al mio piede.
«Passiamo alla conclusione in cui lei mi dice perché sono qua?»
«Dritto al punto signorino Snow?»
«Non vorrei farle perdere tempo, e non vorrei perderlo.»
Il Presidente chiude gli occhi e respira a fondo inebriandosi di un profumo che sente solo lui.
«Amo l'adolescenza, il vostro essere così schietti e non curanti delle conseguenze. A tratti siete infantili, a tratti adulti.» 
Riapre in uno scatto gli occhi. Il gatto strano inizia ad annusare.
«Tu puzzi. Pu - zzi.»
Sbarro gli occhi e mi annuso sotto le ascelle.
«Non penso di puzzare, anz...»
«Puzzi di latte. D'altronde il tuo amico, quel Livius, ha detto così. La cosa che non sapeva è che lui non è l'unico a puzzare.»
Ripercorro tra i vari nastri della mia memoria la scena in cui Livius diceva di puzzare ancora di latte. Mi chiedo, riflettendoci bene, come il Presidente faccia ad avere questa informazione.
«Con questo dove vuole arrivare?»
«Beh, tirando le somme, quel ragazzino è stato molto mol - to co-ra- ggio- ssssssso! Perché ci vuole un atto di coraggio a prendere un fucile e spararsi ad una tempia. Un coraggio che non ho mai visto durante ventiquattro Hunger Games.» 
Inizialmente non riesco a capire fino a fondo il suo discorso. Vuole portarmi ad un ragionamento, secondo lui, esatto e io gli lascio il terreno spianato: voglio capire fin dove vuole arrivare.
«È un vero peccato, mi sarebbe piaciuto scoprire il suo coraggio nell'Arena. Quello che intendo signorino Snow... È che non possiamo permetterci un altro atto di coraggio ora. Sarebbe superfluo perché, ormai, il dado è tratto.»
Inarco le sopracciglia per fargli intendere che il suo discorso non mi è chiaro ma, invece, inizia a diventare limpido, cristallino. Lui non vuole la morte di un altro tributo se non nell'Arena. 
«Signorino Snow, lei è il tributo del distretto 2 e deve restarci tale fino alla fine dei giochi.» 
«E se non volessi?
«Tu lo farai.»
«È una minaccia?»
«Mi crede capace di cotanta viltà? Lo prenda più come un consiglio. Tu, Coriolanus, hai anche dei motivi validi per ambire alla vittoria.»
«Mi chiami Snow, tutti mi chiamano così… e tutti hanno dei motivi validi, la vita stessa è un motivo più che valido.»
«Certo, ma lei ha ben due motivi in più per odiare il distretto 2: sia perché, se non fosse stato Livius, sarebbe stato lei la prima scelta sia perché Livius è morto per colpa loro.»
«I motivi che lei mi ha appena detto sono motivi per odiare il distretto 2, non per ambire alla vittoria. Dovrei morire, dovrei portare in svantaggio il mio distretto e non fargli avere l'onore di avere un vincitore nel distretto.»
«E qui sbagli. Lei, si - gno - rino, facendo così, sarebbe solo un'altra effimera persona, non riuscirebbe a smuovere di una virgola l'ego di quelle persone. Per far sentire la sua voce, per non farsi dimenticare, per colpirli davvero, deve vincere. Lei può combattere per Livius e farla pagare al distretto 2 muovendo il loro senso di col - pa.»
Rimango a pensare a lungo. Inoltre mi infastidisce questo suo cambiare persona usando sia il “tu” sia “lei”. Deve essere un modo tutto particolare di parlare il suo.
«In che modo riuscirei a farlo sentire in colpa?»
«Perché ora può dire a tutta Panem la verità: sono tutti mostri! Non capiranno il loro vero essere se qualcuno non glielo sbatte in faccia. Lei può essere quel qualcuno.»
Lungo la schiena dei brividi. Rimango scosso dall'affermazione che ha appena fatto.
«Se facessi aprire gli occhi a loro sa che potrebbe esserci una rivolta? Se loro capissero che sono diventati quello che sono per colpa degli Hunger Games?»
So che questa è un'affermazione che potrebbe cacciarmi in un mare di guai ma, ormai, sono già una persona sfacciata. Lui sorride e batte la mani. Si aprono le porte e arriva una signora vestita da cameriera. Ho un attimo di esitazione quando scopro che la cameriera non è altro che la madre di Livius. Lei mi sorride anche se ha uno sguardo triste, consumato. Chi può biasimarla? Il Presidente Morse mi guarda con particolare attenzione.
«Rivolta? La pagherebbero cara e nessuno vorrebbe pagare più di quel che già sta pagando, giusto?»
Il gatto emette una specie di ringhio, simile a quello di una pantera e diventano visibili i canini molto allungati.
«E poi, fidati, gli occhi di coloro che guardano gli Hunger Games sono fin troppo aperti. Non agiscono per non averli chiusi. Hanno paura di reagire perché son tutti egoisti, tutti affezionati ai loro averi  e non abbastanza ai loro cari. Comprendi, Snow, com - pre - ndi. Il tuo nemico non sono io, non sono i giochi, sono loro: il distretto 2!» 
Negli occhi del Presidente scatta una scintilla, una luce che lo fa sentire vincitore. Batte le mani sulle gambe e fa degli strani versi per chiamare il gatto. Questo, con un balzo, si poggia sul padrone.
«Bello il mio Mohr, chi è il più cucciolo?»
Il gatto inizia a far le fusa e si lascia accarezzare dalle mani calde del padrone.
«Hai qualche domanda da fare signorino?»
Lo guardo, cerco di studiarlo, analizzarlo ma non riesco. Mi sembra di essere a casa del maestro Leon dove mi spiega la differenza tra la lettera "p" e la lettera "q".
«Perché avete scelto me? Perché questo discorso lo state facendo proprio a me?» 
Il gatto mi guarda e sposta, come in una danza di serpente acquatico del distretto 4, il collo. 
«Vedo delle potenzialità in te e tu sei quello che odia, tanto quanto me, questo popolo. Coriolanus Snow, sii il vincitore degli Hunger Games e fa' comprendere a tutti la cattiveria di questo mondo. Io ti sto già aiutando nel mio piccolo.»
Mi fa un sorriso dolce e tranquillo. La sua calma mi smuove dentro e non so se la sua sia una promessa sincera o una stupida chiacchiera. 
Tacitamente mi fa capire che lui è un mio alleato e vuole far parte della mia nuova squadra.
Dovrei accettare il suo aiuto o dovrei voltarmi e fare di testa mia? Nell'arena lui non ci sarà, durante l''intervista lui non mi suggerirà le risposte giuste da dare, non potrà aiutarmi ma dovrei permettergli di farlo ora che può? La mia testa sta scoppiando molto più di prima. Di tutte quelle parole, di tutte quelle sue idee, riesco solo a percepire che lui guida un popolo che effettivamente odia. Vuole usare la mia figura per avere una piccola rivincita. Che io sia il mezzo giusto per aumentare il volume della voce della giustizia?
«E' arrivato il tempo di andare, segui il mio consiglio. Va e torna, se non come unico vincitore.»
Lui ride e fa scendere la bestiolina viola dalle sue gambe. Scopro che, oltre a dividere parole e alzare il tono di voce con determinate lettere, ama davvero fare battute subdole. Infatti, se tornassi dall'Arena, potrei farlo solo essendo il vincitore. Si alza, allarga gli estremi del papillon e ordina alla madre di Livius, ora sua cameriera, di aprire le porte.
«Signor...»
Il Presidente si gira e sorride, ancora.
«Non serve ringraziarmi, almeno su questo sei stato ben educato.»
Sorrido di ricambio ma indico la madre di Livius.
«No, io volevo parlare con lei.»
Il Presidente volta il capo verso la sua cameriera e contemporaneamente il gatto, che mi mostrava il suo sedere viola, gira la testa verso di me per fulminarmi con quello sguardo ossessivo. Stessa procedura di prima, si gira uno e si volta l'altro, sempre ridendo.
«Non puoi, o meglio, lei non può parlare.»
Senza congedarmi e senza concedermi un minuto con la madre del mio migliore amico morto, lui va via e io sono più confuso di prima.
Per almeno una decina di minuti resto solo, sdraiato sul divano. Penso di avere lo stesso sguardo di Livius perché ora cerco di attaccare alla mia mente tutte le immagini di questa stanza, cerco di lasciare qualcosa del distretto 2 perché questo luogo occupa, comunque, uno spazio nel mio cuore. È qui che sono cresciuto ed è la gente che abita questo spazio che lo distrugge. 
Si aprono le porte e, questa volta, non è più il Presidente ma il mio mentore.
«Allora che ti ha detto?»
«Niente di speciale.»
«Niente di speciale? Io non ho mai ricevuto una sua visita quando è stato pescato il mio nome.»
«La tua non era la prima edizione della memoria.»
Victor mi guarda con disappunto, sa che non gli risponderò ma non molla.
«Allora perché non ha parlato con Level?»
Alzo le spalle e non rispondo, non mi va di iniziare a creare una storia e nemmeno mi va di dirgli come le cose sono andate veramente. Victor appare deluso da questo comportamento.
«Spero cadrà al più presto questo muro tra me e te, in quanto dobbiamo collaborare! Ora vieni con me, spostiamoci nella sala del saluto.»
La sala del saluto.
Già il nome conserva un qualcosa di macabro, di mai più ritorno. Come può un tributo convivere con quest'ansia? Io sollevo solo un po' il capo e gli chiedo se è necessario: non voglio salutare nessuno. Penso questo per più motivi: non ho voglia di salutare i miei genitori e mio fratello. Sia perché mio fratello mi ha già salutato quando ha fatto intendere di voler salvare sia me sia Livius alla scelta dei tributi, sia perché la mancanza dei miei genitori non la sentirò molto (i miei ricordi felici con loro son davvero pochi e rari). Un altro motivo è che io non voglio nemmeno dire addio al distretto. L'ho capito ora, ora che vedevo la tappezzeria argentata del solaio, il cielo limpido della mia parte di mondo. Quest'ultimo motivo è quello che mi sorprende di più. 
Mi alzo rassegnato all'idea di dover dare l'ultimo saluto alla normalità, la fuori mi aspetta un mondo governato dalla fama, dalla fame.
Nella sala del saluto trovo mio padre e mia madre, com'è giusto che sia. Se non fossero stati presenti nemmeno in questo momento, sarebbe stato davvero surreale. Mi abbracciano ed è strano. Non ricordo l'ultima volta in cui ci siamo abbracciati.
Chiedo di mio fratello e loro mi rispondono che lui è tornato a casa, voleva vedermi ma non è potuto venire dopo la sua bravata. Ovviamente so che è una menzogna, lui è voluto restare a casa per non vedermi così, per lasciare "felice" il nostro ultimo scambio di battute, sguardi e lo apprezzo.
I miei parlano molto velocemente, è come se sentissero il tempo scorrere sotto le loro dita e cercano di afferrarlo senza riuscirci. Mi dicono di non mollare, di non provare ad uccidermi senza combattere, di combattere con tutte le forza, di essere l'onore della famiglia e del distretto che rappresento. 
«Dovrei vincere per il distretto?»
Mia madre risponde con un secco sì. Mio padre anche.
«Dove eravate voi mentre loro sceglievano Livius e poi me? Dove eravate mentre Livius si sparava per non andare nell'Arena?»
Mio padre risponde dandomi uno schiaffo sonoro.
«Rifletti prima di puntate il dito, Snow. Ti ho forse insegnato questo?» 
Mi prende per il colletto e mi tira a sé. Occhi contro occhi, riesco a vedere le sfumature di verde che rendono particolari i suoi occhi. Sento il suo profumo e il suo fiato contro il mio viso.
«Se non fossi stato tu, sarebbe stato un altro. Non frignare, non incolpare nessuno. Non buttare merda sul tuo popolo! Sii l'onore del distretto 2.»
Guardo mio padre, sento ancora del calore sulla guancia che sta pulsando e penso solo che, ora, mio padre aveva detto la parola "merda". Una parola che può descrivere il modo in cui mi sento.
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: skippingstone