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Autore: LaGraziaViolenta    21/11/2013    13 recensioni
Stufi dei soliti cliché di Harry Potter? Annoiati marci dalle fantastiche avventure sentimental-sessuali di tre generazioni di Serpeverde? Vi sentite smarriti e frustrati di fronte a dei Grifondoro codardi e dei Corvonero dal QI in singola cifra?
Serena Latini è quello che fa per voi. Le avventure di una sfigata Tassorosso alle prese con incantesimi, fanfiction, pony, cucina inglese e delle sue relazioni coi figli dei personaggi che tanto abbiamo apprezzato.
Zuccherosità, storielle amorose e di amicizia, figure da quattro soldi e battute demenziali attendono una povera Tassorosso made in Italy.
Genere: Comico, Demenziale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
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Dove gli unicorni la fanno da padrone, Rarity mostra il suo amore per la moda nonché una certa predilezione per la lana e dove un tè un po’ rustico scioglie l’atmosfera. E non solo quella. Parte 1.
 
 
 
Montgomery: presente.
Nastro per capelli: presente.
Borsa con zuccherini nascosti nella tasca interna sperando che ai quadrupedi non venisse una reazione allergica: presente.
Sciarpa modello Tassorosso: presente.
Mi appoggiai al muro di pietra. Sporsi la testa e sbirciai oltre. Albus e Scorpius erano in piedi in fondo al corridoio, che terminava in un vicolo cieco. Scorpius disse qualcosa e agitò una mano. Albus rise.
Uscire con Albus Potter: non aveva prezzo.
C’erano cose che non si potevano comprare, e per tutto il resto bisognava accendere un mutuo. Ecco perché un’uscita a vedere gli unicorni era così speciale. Era gratis.
Inspirai l’aria fredda e umida dei sotterranei. Quando se ne sarebbe andato Scorpius? Non sapevo bene perché, ma avevo vergogna a farmi vedere tutta in tiro perché stavo per uscire con Albus.
Quando Scorpius rientrò a Serpeverde avevo le dita delle mani rosse e gelate, e probabilmente era rossa anche la punta del naso.
Albus si guardò intorno. Incrociò le braccia e fece qualche passo avanti e indietro.
Oh, andiamo, perché non si dava una mossa?
Pensai a cosa mi avrebbe detto Jeanie: era lui il ragazzo, era lui che doveva muovere le chiappe, se ci teneva.
Be’, forse non avrebbe scelto quelle parole, ma il senso era quello.
Lui era il cane, io ero il padrone, e da che mondo è mondo sono i cani a correre dai padroni.
Ok, questo lo avrebbe detto.
Ma ormai le mie estremità rischiavano la cancrena e l’amputazione. Al diavolo Jeanie. Deglutii, presi un respiro e spuntai da oltre il muro.
Lo sguardo di Albus incrociò il mio. Lui arrossì. Infilò le mani nelle tasche del cappotto e avanzò verso di me.
«Serena.»
Avvampai. Cribbio, che impressione sentir pronunciare il proprio nome. «A-Albus.»
«Andiamo?»
Se avessi parlato la voce mi sarebbe uscita di sicuro roca, così annuii.
Uscimmo dai sotterranei e ci trovammo nel salone d’ingresso. Un gruppetto di studenti rientrò dal cortile. Un ragazzo sciolse la sciarpa e la scrollò. Un mucchietto di neve cadde sul pavimento. Rabbrividii. Sperai che ad Albus non venisse l’insana idea di fare a palle di neve. Un altro gruppo di ragazze stava in piedi vicino alle clessidre. Una di loro indicò quella di Grifondoro.
«Oh, la cocca di Paciock.»
Il mio cuore perse un battito, poi di botto accelerò il ritmo. Mi imposi di fare finta di niente e attraversai il salone al fianco di Albus. Chi aveva parlato? La cocca di Paciock? Mi tornò in mente la ramanzina del professore, la lettera di richiamo ai miei genitori, la scampata punizione. Si era sparsa la voce? Gli occhi mi si riempirono di lacrime.
Albus posò la mano sul portone di legno e lo spinse. «Prego» disse.
Sbattei le palpebre, poi realizzai che mi stava invitando a passare per prima.
Albus corrugò le sopracciglia. «Tutto ok?»
Mi morsi il labbro. «Tutto ok» ripetei. Presi un respiro. L’aria gelida mi bruciò il naso, la gola e mi arrivò fin nei polmoni.
Posai il piede sul gradino di pietra.
La scarpa slittò sul ghiaccio. Lanciai un grido e mulinai le braccia per aria. Le mie dita affondarono nel tessuto e mi sentii afferrare per un braccio.
Sbattei le palpebre, cercando di prendere coscienza della situazione. Ero in piedi. Ero ancora in piedi. Le nuvolette di fiato si condensavano ad ogni mio respiro.
«Ehi!»
La voce di Albus. Lo guardai. Albus mi stava reggendo per il braccio e io ero ancora aggrappata alla sua sciarpa verde e argento.
«Ti sei fatta male?»
Dovetti pensarci seriamente. Allungai la mano e tastai la borsa, il fianco, la coscia.
Un secondo dopo mi sentii una demente.
«Sì… Cioè, no, no, non mi sono fatta male. Figurati.»
Albus annuì. «Allora puoi lasciarmi la sciarpa, per favore?»
Ritrassi la mano di scatto.
«Grazie» disse Albus. Accennò un sorriso. «Pensavo volessi strozzarmi.»
Strozzarlo… Gas Gas incominciò a correre. Il proiettore collegato alla ruota iniziò a mostrare al mio cervello le immagini di Albus Cinquanta Sfumature. I giochini sadomaso.
Serena, diventa la mia Sottomessa.
«Oh, mai nella vita.»
Albus arrossì. Sorrise ancora. «Allora, andiamo?»
Annuii. Allungai il piede e scesi lo scalino.
La neve era stata spianata per formare una strada che serpeggiava per il parco. Ci incamminammo lungo il sentiero gelato. La neve accumulata ai lati in alcuni punti mi arrivava a metà polpaccio, in altri addirittura al ginocchio.
«Scommetto che non sei un tipo da palle di neve, vero?»
Come volevasi dimostrare. Sfilai i guanti dalla borsa e li infilai. «Diciamo che preferisco i pupazzi di neve.» Diedi un calcio a un grumo di neve sul sentiero. La punta del piede affondò nel mucchietto bianco e lo ruppe in tanti pezzettini. Poco più in là un gigantesco pupazzo di neve con un cappello verde sorrideva nella nostra direzione. «Hai mai visto The Nightmare Before Christmas
Albus si passò una mano dietro la nuca. «C’entra con la televisione, per caso?»
Miracolo! Sapeva cos’era la televisione! «Sì, è un film. Avete la tv a casa?»
«In realtà no.»
Mannaggia. Se non avevano la tv, figurarsi il computer. Figurarsi internet. Figurarsi le fanfiction.
Un punto in meno, Albus.
«È che mio nonno è un grande appassionato di cose babbane. Una volta che siamo andati a trovarlo ci ha mostrato un televisore, ma non funzionava.»
«È un peccato. Così deve essere sembrato una banale scatola.»
«Più o meno…»
«Aspetta, io ho pensato ai televisori vecchi. Per caso quello di tuo nonno era con lo schermo al plasma?»
«Ehi, ehi, chiedi troppo.» Albus alzò le mani in segno di resa. «Era un televisore. Non funzionava. È tutto quello che so.»
Ridacchiai. Allungai la gamba e con un salto posai il piede su un’impronta già impressa nella neve.
«Posso farti una domanda?» chiese Albus.
Già immaginavo. Come funziona la televisione? Come sono i film? «Dimmi.»
«Come mai hai tagliato i capelli?»
Fui scossa da un brivido. Che c’entrava con la tv? Mi vergognai. Fui subito assalita da una vampata di calore.
«Intendo dire…» Albus arrossì e fece una risatina nervosa. «Intendo dire, fino all’anno scorso li hai sempre avuti lunghi. Non che tu non stia bene così, eh. Però…»
L’aria fredda mi pizzicava il viso. Sollevai la sciarpa per coprirmi fino al naso. «In verità è una storia ridicola.»
Come tutte quelle che mi riguardavano, d’altronde.
«Mi incuriosisce.»
No, sul serio, che gliene fregava dei miei capelli? «Quest’estate i miei hanno deciso di ridipingere la mia camera. Ne sono stata felice, anche se ormai ci passo ben poco tempo. Hanno steso per terra il telo per non macchiare il pavimento. Così…»
Mi voltai verso Albus e incrociai i suoi occhi verdi. «Così?»
Arrossii. Era strano avere caldo al viso mentre tutto il resto del corpo gelava. Tornai a guardare il sentiero di neve. «Così il telo mi è scappato da sotto i piedi, sono scivolata, ho rovesciato la latta di vernice e mi è finita sui capelli.»
Mi sfiorai i capelli lunghi fino alle orecchie. Le dita dentro i guanti di lana mi facevano male. Ormai eravamo vicini alla capanna del guardiacaccia. Ma aspettavo.
E non lo faceva.
Perché?
Guardai Albus. «Non ridi?»
Albus era ancora rosso, ma probabilmente ora era per il freddo. «Dovrei?»
Restai ammutolita. Dovrei? Come, dovrei? Tutti quelli a cui l’avevo raccontato avevano riso, meno Jeanie che mi aveva dato dell’imbranata.
«Sei contenta di averli così corti, almeno, o li vuoi lasciar crescere di nuovo?»
No. Qualcosa non tornava.
Gas Gas si mise a correre a spron battuto. Perché Albus non rideva? Forse perché i capelli corti non gli piacevano. Un taglio anni venti era molto drastico. Forse gli sembravo un maschio, per questo non ci trovava nulla da ridere.
Poi realizzai che mi aveva posto una domanda.
Non me la ricordavo più.
«Ehm… Non saprei…»
Corrugai la fronte, cercando di ricordare la domanda. I capelli… Ah, già, se volevo lasciarli crescere!
Non che la risposta fosse granché diversa.
Secondo te come starei meglio?
La domanda mi esplose in testa. Mi sembrò civettuola e sciocca. Arrossii.
Che odio. Che odio! Come facevo a non trovare niente di cui parlare? Niente al quadrato, al cubo, niente in assoluto?
«Ah, guarda!» Albus puntò l’indice contro qualcosa. «Da qua si vede già!»
Alla nostra sinistra avevamo la capanna del guardiacaccia, mentre di fronte a noi, alle soglie della Foresta Proibita, un grande unicorno bianco era legato ad un albero. Il suo mantello era più candido della neve. L’animale si voltò verso di noi e scosse la testa. La criniera bianco perlato riluceva alla luce del tiepido sole di gennaio.
Man mano che ci avvicinavamo, un solo pensiero si faceva strada. Mi invadeva. Mi occupava la mente.
«Rarity» mormorai.
«In effetti sono una rarità.» Albus sorrise e si fregò la punta rossa del naso.
No, lui non poteva capire. Un mago qualunque non poteva capire. Rarity. La stilista dei My Little Pony. L’unicorno bianco. Tutto coincideva. Solo lei poteva avere un aspetto così maestoso.
«Non sapevo che fosse… Così.»
«Bello, vero?» disse Albus. Mi sembrò di notare un non so che di compiaciuto nella sua voce.
Ci fermammo a pochi passi dall’unicorno. Da vicino si notava che il corno era ricurvo e brillava. Sembrava metallico. L’animale emise uno sbuffo. Dalle sue narici uscivano ogni pochi secondi delle nuvolette bianche di condensa.
«Può essere che pensavi agli esemplari di unicorno giovani?» fece Albus. «I puledri sono dorati, magari avevi in mente quelli. Hai notato i suoi zoccoli? Ecco, sono di quella tonalità d’oro, più o meno. Il corno invece è d’argento ed è usato in alcune pozioni.»
Continuai a fissare l’unicorno. Una vocina fastidiosa nella mia testa mi avvisava che forse Albus se la stava un po’ tirando per farmi vedere quanto ne sapeva. Vabbé, se voleva essere ammirato poteva sempre cambiare il suo Patronus in un pavone. Affondai i piedi nella neve e girai intorno a Rarity. Albus mi seguì.
«Il sangue di unicorno invece è potentissimo, è un elisir di lunga vita ma ha delle controindicazioni terribili. L’unicorno è una creatura magica e purissima, quindi…»
Mi voltai verso Albus e gli sorrisi. «Dici che mangia gli zuccherini?»
Albus sbatté le palpebre. «Oh, non saprei… Non è che gli zuccherini si trovino in natura…»
«Sì che ce li mangia!»
La voce tonante mi fece sobbalzare. Mi voltai.
Accanto ad Albus stava in piedi il guardiacaccia. O meglio, il guardiacaccia torreggiava su Albus, che gli arrivava si e no a metà torso. La barba folta e grigio scuro impediva di vedere qualsiasi altra cosa oltre agli occhi neri.
«Hagrid!» esclamò Albus. Allargò le braccia e lo strinse in un abbraccio che non riusciva nemmeno a circondarlo. Io spostai lo sguardo dal guardiacaccia all’unicorno. L’unicorno sbuffò e scosse la criniera bianca. Tornai a guardare il guardiacaccia.
«Quanto era che non mi venivi a trovare, eh, ragazzino?» La voce tonante di Hagrid fece sbuffare ancora l’unicorno. «Ci ho detto a tuo padre che era un sacco che non venivi. Lily e Rose vengono molto più spesso!»
Albus sorrise. «Hai ragione Hagrid, scusami. Hai passato un buon Natale?»
Bene, la loro conversazione si stava orientando verso i convenevoli. Sembrava che si conoscessero da anni. Poi pensai che se il padre di Albus era famoso difficilmente qualcuno non lo conosceva da anni.
Per una volta mi distinguevo dalla massa.
Mentre loro parlavano, io magari potevo cercare di socializzare. Mi girai verso l’unicorno. «Rarity, bella…»
Rarity mi guardò e con uno zoccolo dorato raspò la neve.
Mi potevo avvicinare? Temevo che Rarity scalciasse, o peggio, che cercasse di attaccarmi col corno.
Ma no, non poteva farlo, si sarebbe rovinata l’acconciatura alla criniera.
Mossi un passo verso Rarity. L’unicorno mi fissò. Mi venne in mente che gli animali si spaventano se vengono fissati: a fissare sono i predatori, non le prede. Abbassai lo sguardo. Sfilai un guanto, infilai una mano nella borsa e tirai fuori uno zuccherino. Lo tesi.
Rarity allungò il collo e annusò l’aria. Mi avvicinai di un altro passo. Le dita rosse risaltavano accanto al bianco dello zucchero. Attesi. E Rarity si avvicinò. Scoprì i denti e con le labbra afferrò lo zuccherino. Indietreggiò e cominciò a masticare.
«… si chiama Serena.»
«Eh?»
Mi voltai. Albus e Hagrid mi stavano fissando. Immediatamente arrossii.
«E quanto aspettavi a presentarla?» fece Hagrid. Scoppiò in una risata fragorosa.
Mi sentii attanagliare lo stomaco dalla vergogna. Scoccai un’occhiataccia ad Albus.
Albus si schiarì la voce. «Ehm… Lo aspettavi?»
«Sicuro! Ci ho sempre detto a tuo padre che sei uno con la testa sulle spalle, tu, non ci vai in cerca di guai come tuo fratello.»
Mi domandai che parte della conversazione mi fossi persa mentre davo lo zuccherino a Rarity. Hagrid doveva essere uno sveglio, se associava me ai guai. O forse non lo era abbastanza, visto che non mi aveva riconosciuta come un guaio ambulante. O il senso del pericolo di Hagrid era molto relativo. Improbabile, visto che era anche un insegnante.
«Perché non venite a prendere un tè da me? Così vi riscaldate un po’ le ossa.»
Ok, il senso del pericolo di Hagrid era molto relativo.
«Oh… Non saprei se è il caso…» Albus guardò verso di me.
Mi voltai. Alle mie spalle c’era solo Rarity, che scosse il muso. Il corno argentato catturò la luce del sole e luccicò. Mi voltai di nuovo verso Albus.
Dovevo arrendermi all’evidenza, ce l’aveva proprio con me.
Hagrid ridacchiò. «Signorina, ci piaci proprio a quell’unicorno, ma se ci tieni a quel guanto ti conviene riprenderlo.»
Corrugai la fronte. «Il guanto?» Guardai la borsa. Il guanto non era più appoggiato lì su. Mi voltai verso Rarity. Stava masticando il mio guanto.
«No!» pigolai. Tirai subito fuori un altro zuccherino e lo tesi all’unicorno. «Ecco, tieni, mangia questo Rarity…»
«Rarity?» ripeté Hagrid.
«… è più buono di quel guanto di lana, dai… Brava tu, bella tu, su… Non sei Charlie the Unicorn, sei molto più carina…»
«Che sta farneticando?» mormorò Hagrid.
«Quando fa così lasciala fare» rispose Albus a mezza voce. «Assecondala. Lily ha detto che Rose ha detto che la sua amica ha detto di fare così.»
«Non ci sono amuleti magici, c’è solo questo magnifico, succulento, dolcissimo, croccantissimo zuccherino. Vuoi zuccherino? Vuoi zuccherino, Rarity?»
Avvicinai lo zuccherino al muso dell’unicorno. O prendeva quel fottutissimo zuccherino, o presto mi si sarebbero congelate le dita. Cancrena. Tutta la mano. Su per il braccio. Fino al gomito…
«Zuccherino» ringhiai, e lo cacciai davanti a una narice dell’unicorno. Rarity smise di masticare e lasciò cadere il guanto. Prese lo zuccherino.
Mi chinai a prendere il guanto. Lo presi tra pollice e indice e lo sollevai. Era fradicio. Storsi il naso.
Guardai Albus. «Non è che anche la bava di unicorno ha una qualche potenzialità superpotentissima?»
Hagrid scoppiò a ridere. Albus accennò un sorriso.
Lo presi come un no. A testa bassa tornai da lui. Se questa era Rarity, chissà cos’era Spike.
«E quindi, ‘sto tè?»
«Ehm, be’…» Albus storse la bocca e mi lanciò un’occhiata implorante.
Tacqui.
«Ok» disse infine.
Inutile domandarsi cosa c’entrassi io con il guardiacaccia. Era un tè, come nella miglior tradizione inglese, ed ero invitata. Li seguii verso la capanna.



Nota dell’autrice: prevedendo lo sconcerto di alcuni di voi, vi metto qui la mia risposta preconfezionata. Agitare prima dell’uso. Tenere fuori dalla portata dei bambini.

*Nooon conoscete Charlie the Unicorn, l’unico e solo Banana King? °A° Rimedio per voi, comodissimo ed efficacissimo link a video sub ita. Adorate il Banana King. ♥ http://www.youtube.com/watch?v=MOmyIHhew-A *

Inoltre. Siccome il cervello di LaGraziaViolenta corre sempre più in là di dove effettivamente arrivi, vorrei porre a tutti una domanda. Ipotizzando di dover scrivere (in contemporanea o dopo la storia di Serena) un’altra storia, e voi doveste scegliere tra due alternative, ovvero tra una serie di drabble su Narcissa Black/Malfoy e una vera e propria storia a capitoli su Ade e Persefone (ovviamente in versione più ampliata rispetto al mito!) voi cosa preferireste leggere?
Toglietemi questa curiosità, per favore. *u* Se non volete scrivermelo in una recensione mandatemi pure un messaggio privato, senza vergogna. Rispondetemi in tanti! ♥

Un’altra misera postilla e poi prometto di lasciarvi in pace. Volevo festeggiare con voi le 2500 visualizzazioni del primo capitolo (duemilacinquecento, non so se mi spiego!) e ho pure fatto la scan, ma… Nel momento in cui scrivo si è già a 2560. *u* In pochi giorni! Quindi, un ringraziamento supermegaspecialissimo a tutti quelli che spargono il Verbo di Serena. E anche il Verbo dei Pony, ovviamente. Un grande e sentito grazie. ♥

Prossimo traguardo: 300 recensioni! Attualmente 293… Cercherò di festeggiarlo degnamente! :D


 
  
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