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Autore: Saerith    30/04/2008    5 recensioni
Sanae sta cercando di dimenticare Tsubasa, ma sarà poi così facile? E che cosa succederebbe se si ritrovasse di fronte il suo unico grande amore? Intanto la famiglia Hiyuga si ritroverà riunita dopo tanti anni. Incontri e separazioni che aiuteranno i cuori dei nostri amici a sbocciare.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 20

Prendi la mia mano

L’odore forte degli analgesici e dei disinfettanti dava alla testa, ma Kasumi ormai aveva fatto l’abitudine a quegli effluvi nauseabondi, che intaccavano l’aria dell’ospedale. Già da una settimana si divideva tra la casa e il ritiro, dove andava ad informare suo fratello sulle condizioni della madre e dei bambini.

Quando Kojiro era tornato da Okinawa, aveva cercato di mantenere le distanze da lui e suo fratello l’aveva lasciata, stranamente, in pace. Kasumi avvertiva come un cambiamento in lui, anche se, forse, il suo atteggiamento era dettato dagli impegni con la squadra e le responsabilità di trascinarla, a causa delle condizioni non proprio ottimali del capitano Ozora, che sembrava giocare con la testa altrove. Lei non aveva più visto, né sentito Wakashimazu: sapeva solo che il suo ex giocava per la Yokohama Flūgels tramite i giornali. Certo, la loro separazione era stata dolorosa e spesso sentiva un magone soffocarla, quando pensava a loro due, ma era andata così ed era inutile struggersi tanto per una storia durata il tempo di un soffio.

Kojiro, invece, stava diventando la stella delle eliminatorie asiatiche, mettendo in ginocchio le formazioni più forti del torneo con le sue giocate spettacolari, frutto degli allenamenti ad Okinawa. Kasumi era andata alle sue partite, nonostante il gelo che c’era tra loro due e aveva apprezzato moltissimo le prodezze del fratello, che giocava con una nuova luce negli occhi.

Nonostante si sentisse insoddisfatta, almeno poteva dire che attraverso lui aveva qualcosa per cui essere contenta. Anche se era stupido vivere una felicità riflessa, questo le era bastato, fino alla settimana precedente.

“Tua madre ha avuto un incidente sul lavoro Kasumi, è in coma all’ospedale”. Il tono fermo e controllato del signor Mitsui le risuonava nella testa come un martello. Rimirò la sua mano stretta in quello della piccola donna e risalendo con lo sguardo lungo il braccio, in cui brillava l’ago della flebo, si soffermò sul viso sofferente costretto dalle bende che le fasciavano la testa. Si sentiva tremendamente in colpa per quello che era accaduto, forse se fosse rimasta in Cina a finire gli studi, sua madre non si sarebbe prodigata a lavorare di più per farla studiare alla Toho, non sarebbe stata male e suo fratello non avrebbe litigato con Wakashimazu, ma era troppo tardi per pentirsi, poteva solo prendersi le responsabilità delle sue scelte e stare vicino alla sua famiglia come poteva.

In quei momenti, aveva temuto di essere sola, ma il sostegno degli amici di famiglia, dei compagni di squadra di suo fratello e, soprattutto, il prezioso aiuto di Yayoi che si occupava dei suoi fratellini erano stati di grande conforto. La manager della Musashi era una persona estremamente dolce e, nonostante la conoscesse poco, sapeva che non avrebbe potuto lasciare i bambini in mani migliori.

La sera precedente era andata a salutare suo fratello, che sarebbe partito per Jakarta. Il ghiaccio tra loro non si era ancora sciolto, ma il dolore adesso era più forte: avevano già perso il loro padre e ora la vita sembrava volerli mettere di fronte a nuove sfide. Le aveva posato le mani sulle spalle e le aveva detto con gli occhi lucidi.

- Dobbiamo essere forti, Kasumi. Per noi e per i ragazzi.-

Kasumi lo abbracciò, bisognosa del conforto di una figura maschile.

L’attrito che si era creato tra loro, non aveva più alcuna importanza, esisteva solo l’esigenza di sostenersi.

- Credevo che, dopo la morte di papà, non potesse accaderci nulla di più doloroso, ma mi sbagliavo.- lasciò andare le lacrime.

Kojiro si strinse alla sorella, anche lui piangeva. Ora si rendeva conto di quanto fossero vere le parole della madre: sfuggire al dolore era impossibile. L’allontanò e le diede un bacio in fronte.

- Ti affido la mamma, stalle vicino anche per me.- strinse ancora di più le spalle della sorella per infonderle forza.

Kasumi sollevò le mani e gli strinse i polsi delicatamente.

- Devi vincere, Kojiro, fallo per noi.-

Il ragazzo annuì e con il dorso della mano si asciugò gli occhi. Entrambi volsero lo sguardo in alto a cercare, nel cielo stellato, il conforto del defunto genitore.

- Papà aiutaci.- sospirò serrando gli occhi per non piangere.

Uno sguardo all’orologio da parete le ricordò che la partita era prossima a cominciare. Chiamò un’infermiera, chiedendo se fosse possibile avere un apparecchio radio. Voleva che la madre, sebbene incosciente, avesse la possibilità di ascoltare le prodezze del figlio.

Selezionò la stazione radio, giusto in tempo per sentir annunciare la formazione.

- Attaccanti: Shun Nitta e Kojiro Hyuga.- comunicò la gracchiante voce dello speaker.

Il cuore le bussò nel petto a sentire il nome del fratello e con un sorriso orgoglioso guardò la madre esanime e le strinse forte la mano.

“Coraggio Kojiro” lo incitò mentalmente.

La televisione era sintonizzata sulla partita. Yayoi aveva portato i piccoli Hyuga a casa sua, per permettere loro di vedere il fratellone giocare contro la Cina. Quando avevano inquadrato Misugi la piccola Naoko le aveva fatto l’occhiolino, facendola arrossire con il suo sorriso furbetto. Giunse le mani e pregò, perché il Giappone vincesse quella partita che sembrava avesse acquistato una valenza maggiore, dopo ciò che era accaduto alla signora Hyuga.

Il primo tempo si era concluso con il vantaggio dei nipponici, ma la Cina si era ripresa ed ora la Nazionale del Sol Levante era in difficoltà. Tutti i giocatori correvano per il campo, cercando di contenere le incursioni dei cinesi. Misugi aveva vinto un paio di contrasti, scatenando l’ammirazione dei piccoli spettatori che si complimentavano con Yayoi per le doti del ragazzo. Hyuga aspettava di poter sfondare verso l’area avversaria, ma la palla non arrivava, perché i centrocampisti dovevano coprire i pasticci di Tsubasa, che, evidentemente, da un po’ di tempo non era in forma.

- Recuperiamo la palla, Misaki!- gridò Matsuyama, che faceva le veci del capitano, troppo distratto per guidare la squadra.

Hyuga s’involò su un cross della wild eagle e, con una bordata magistrale, infilò la rete del portiere Jo. I compagni lo attorniarono festanti, ma lui era concentrato sul capitano che gli stava tendendo la mano per complimentarsi della splendida azione.

- Che cazzo combini, Ozora!- gridò additandolo.- Svegliati, io voglio vincerla questa partita!-

Tsubasa annuì mortificato, comprendeva che la sua condizione mentale stava pregiudicando le sue prestazioni, ma non riusciva a scacciare il pensiero doloroso di Sanae dalla sua testa. Il calcio ora era tutto ciò che aveva, non poteva rovinare la fama che si era creato per i suoi problemi di cuore. Una mano si posò sulla sua spalla e si voltò ad incontrare lo sguardo rassicurante di Matsuyama.

- Non prendertela. E’ solo preoccupato per sua madre.-

Hikaru lo aveva consigliato spesso, in passato, sui comportamenti da tenere con Sanae, ma lui non gli aveva dato retta e ne stava pagando le conseguenze, ciononostante il compagno si era dimostrato comprensivo con lui e lo aveva sostenuto continuamente. Scosse la testa e scrutò il campo: doveva concentrarsi sulla partita in quel momento, tutto il resto non contava.

Il Giappone aveva vinto, ma le condizioni della signora Hyuga non erano migliorate. Kojiro aveva fatto una breve scappata all’ospedale, per congedarsi con il cuore gonfio di dolore, dopo aver visto la madre inchiodata nel letto e la sorella prostrata dalla sofferenza. Stava tornando al ritiro, quando notò una figura famigliare sulla soglia dell’entrata all’impianto sportivo.

Si guardarono in silenzio per alcuni istanti, attimi in cui la tensione sembrò insostenibile, finché non fu Kojiro a reagire avvicinandosi piano e stendendo le braccia a cercare il conforto del suo migliore amico.

- Scusa il ritardo.- Ken gli passò un braccio attorno al collo in una stretta energica.

Kojiro si aggrappò al suo ritrovato sostegno come un naufrago in mezzo alla tempesta.

Wakashimazu ascoltò in silenzio lo sfogo del ragazzo, che cercava di dominare le lacrime con l’orgoglio che lo aveva sempre contraddistinto, limitandosi ad appoggiare la mano sulla sua spalla.

- C’è qualcosa che posso fare per te?- chiese, quando calò il silenzio.

Kojiro scosse la testa. Aveva già fatto il primo passo per recuperare la loro amicizia, dopo quell’episodio poco decoroso che li aveva visti protagonisti, cosa avrebbe potuto fare di più? Un volto balenò nella sua mente come una folgorazione.

- C’è una cosa che puoi fare.- lo guardò negli occhi e aggiunse.- Stai vicino a mia sorella, lei ha bisogno della tua presenza più di quanto voglia ammettere.-

Ken spalancò gli occhi sbalordito, non avrebbe mai pensato che proprio lui gli avrebbe dato l’occasione per tornare sui suoi passi. Era stato troppo orgoglioso per ammetterlo, ma da quando aveva lasciato Kasumi, si era pentito ogni giorno di quanto le aveva detto e avrebbe tanto voluto poter tornare con lei.

- Kojiro, ma tu…-

- Tu la ami, vero?-

Ken si limitò ad annuire, senza mutare lo sguardo perplesso rivolto al suo interlocutore. Kojiro non disse nulla, ma gli diede una pacca sulla spalla e si diresse verso le stanze del dormitorio. Quel tacito consenso fu più che sufficiente e, senza esitare, guadagnò l’uscita del ritiro per dirigersi verso l’ospedale.

Kasumi stava parlando per stimolare la madre incosciente. Ormai era normale per lei comunicare con la donna esanime, ma l’assenza di risposta da parte sua stava diventando sempre più difficile da accettare. Ken la osservò in silenzio, mentre le lacrime le sgorgavano dagli occhi. Stanca ed abbattuta, Kasumi si piegò poggiando la fronte sulla mano della donna e il suo corpo fu scosso dai singulti. Una mano le accarezzò amorevolmente la schiena che al contatto s’irrigidì.

Si drizzò immediatamente e vedendolo, la sorpresa durò il tempo di un battito di ciglia, quando lesse amore e comprensione nello sguardo del ragazzo che la strinse a sé, mentre lei sfogava lo scoramento e la stanchezza sulla sua spalla, bagnandola di lacrime.

- Sono qui, Kasumi.- sussurrò baciandole il capo.

Annuì aggrappandosi forte a lui, traendo forza da quel contatto che tanto le era mancato. I suoi occhi umidi lo guardarono con ritrovata dolcezza, prima di chiudersi ad imprimere il conforto del bacio che si scambiarono.

L’orario delle visite era terminato e Kasumi dovette lasciare la madre alle cure dei medici che consigliarono alla ragazza di tornare a casa e dormire decentemente almeno per una sera, altrimenti si sarebbe sentita male anche lei, di lì a breve. Voleva opporsi, ma anche Ken insistette per riaccompagnarla a casa, quindi lasciò che lui la portasse via e si diressero verso Meiwa.

Aggrappata a Ken che la teneva per la vita, si trascinò fino a casa. Giunti alla soglia, lo guardò intensamente scoprendo una nuova emozione dentro di sé. Normalmente, si sarebbero salutati con la promessa di rivedersi il giorno dopo, ma in quel momento si sentiva diversa, aveva un grande bisogno di lui. Gli passò le braccia attorno al collo e con la fronte appoggiata al suo petto sospirò.

- Non mi lasciare da sola.- lo supplicò.

Il ragazzo le passò le mani sulla schiena e l’attirò a sé. Non sarebbe andato via, voleva proteggerla, rimediare al male che si erano fatti e dimostrarle che lui ci sarebbe stato sempre per lei. Coccolandola come una bambina, la portò dentro casa.

L’ambiente era deserto. Kasumi andò al telefono per chiamare Yayoi e chiedere dei fratellini.

- Ciao, Yayoi, sono Kasumi. Come stanno i ragazzi?-

- Ciao Kasumi. Va tutto bene, oggi li ho portati al Luna Park per farli distrarre un po’ e dopo cena sono letteralmente crollati.-

- Ah, mi spiace che ti diano tanto disturbo.- disse mortificata.

- Non dirlo nemmeno per scherzo.- l’ammonì dolcemente.- Lascia che si riposino, poi domani con calma li porto in ospedale a trovare tua mamma.-

- Grazie Yayoi, sei una persona meravigliosa.- rispose commossa.

- Di nulla, gli amici non hanno abbandonato Jun, quando è stato male: è ora che dimostriamo un po’ di gratitudine.- spiegò. -Buonanotte, Kasumi, cerca di riposare tranquilla.-

- Grazie ancora e buonanotte anche a te.-

Ken era andato in cucina per cercare qualcosa da mettere sotto i denti, sia lui che Kasumi non avevano mangiato ed ora sentiva un certo appetito. La ragazza entrò in cucina e trovò la tavola già apparecchiata per due.

- Sei un angelo.- sospirò, mentre lui frugava la credenza in cerca di qualcosa di commestibile. Spuntò un secondo per rivolgerle un sorriso e poi si rimise al lavoro, sbuffando perché non riusciva a trovare nulla. Stava quasi per arrendersi, poi emerse con un’espressione soddisfatta tenendo in mano una busta di riso al curry liofilizzato.

- Tu vai pure a rinfrescarti, ci penso io qui.-

Kasumi lo guardò sconvolta, era troppo bello per essere vero.

- E non guardarmi così, sono le doti del figlio unico.- esclamò strizzando l’occhio.

Scoppiò a ridere divertita: dopo tanto tempo riusciva a ritrovare il sorriso.

Andò in bagno e si crogiolò sotto la doccia calda. Appagata dal rilassante getto d’acqua uscì e si asciugò velocemente. Spostò il fusuma dell’armadio e sfilò dai suoi indumenti un vecchio yukata di sua mamma. Mentre si allacciava la cintura, andò in cucina, dove trovò Ken ai fornelli che sapientemente stava rimestando il contenuto della busta in una pentola. Si appoggiò allo stipite della porta e lo guardò divertita con le braccia conserte e lui sentendosi osservato, si voltò.

- Sei bellissima!- esclamò, ammirandola, cinta da quell’indumento costellato di ibiscus stampati su una tinta color crema, che risaltava la lucentezza dei suoi capelli corvini che ricadevano morbidamente sulle spalle.

Si avvicinò a lui, posando la mano sulla sua che teneva le hashi. Ken le cinse la vita con un braccio inspirando il dolce profumo fiorito che emanava. Si guardarono teneramente e si baciarono, mentre lei tirava le hashi dalla sua parte per togliergliele. Risero ancora persi in quel bacio, lottando per il possesso delle bacchette. Ken gliele lasciò e si allontanò alzando le mani in un gesto di resa, mentre lei prendeva posizione di fronte ai fornelli.

Dopo cena, andarono in camera di Kasumi. Seduti accanto alla finestra da cui filtrava la luce della luna, rimasero abbracciati a parlare di loro, della loro separazione e di quanto entrambi avrebbero voluto che tra loro fosse andata diversamente. Ken le confessò quello che gli aveva detto Kojiro al ritiro.

- Mio fratello ha qualcosa di diverso.- sentenziò, prendendosi il mento tra le dita. Strizzò gli occhi e si morse il labbro, nello sforzo di riflettere sul cambiamento di posizione di Kojiro.

- L’importante è che adesso non ci metterà più i bastoni fra le ruote.- le baciò il capo stringendola a sé.

Kasumi rise, nascondendo il viso contro la sua spalla.

- Sarà meglio che andiamo a dormire.- si alzò e aprì il fusuma comunicante con la camera di Kojiro, ma lei lo trattenne.

- No.- disse lei e buttandogli le braccia al collo lo baciò con passione.

Ken fece scorrere le mani lungo i fianchi e andò ad accarezzarle la schiena, mentre sentiva che lei lo tirava verso di sé. Invitato dal suo abbandono, la prese in braccio, la posò sul futon e si liberò della maglietta restando a torso nudo, poi riprese a baciarla, mentre con le mani le afferrò la cintura. Si rovesciò sulla schiena e il suo volto fu accarezzato dalla pioggia di ciocche corvine di Kasumi che succube della passione gli stava calando la lampo dei pantaloni. Le accarezzò le spalle e fece scivolare via lo yukata, sfiorando la pelle liscia della sua schiena facendola rabbrividire. Voltandosi nuovamente la fece adagiare sul morbido materasso. Le scostò i capelli dalla fronte e le sussurrò quelle parole che avrebbe voluto dirle da tanto tempo. I suoi occhi scuri brillarono, illuminando il dolce sorriso che lui aveva imparato ad amare sopra ogni cosa e gli si offrì senza più timori o esitazioni.

Dei passi veloci lo fecero sussultare, ma prima che si rendesse conto di dove si trovasse e di che ore fossero, Ken si trovò faccia a faccia con Kojiro che stava impalato sulla soglia come pietrificato. L’attaccante, passato lo stupore iniziale, si ritirò imbarazzato nella sua stanza, maledicendosi per il suo brutto vizio di non bussare.

Ken avrebbe voluto sprofondare e si girò a guardare Kasumi che sdraiata su un fianco e con un braccio steso sul suo torace, dormiva beata e ignara di tutto. Scivolò piano fuori dalle coperte e afferrò velocemente i suoi indumenti per rivestirsi, poi si voltò e, vedendo la sua ragazza mezza nuda, prese lo yukata e glielo sistemò come poté sulle spalle e andò a cercare suo fratello.

Kojiro stava in cucina con una tazza piena di ocha fumante, sconvolto per quello che aveva appena visto. Quando Ken entrò nessuno dei due aveva il coraggio di guardarsi in faccia.

- Ehm, Kojiro…-

Hyuga stese una mano per invitarlo al silenzio e lui obbedì immediatamente, temendo che un’altra lite violenta fosse nell’aria.

- Non c’è bisogno che mi spieghi.- tagliò corto in evidente imbarazzo.

- Vedi noi...-

- Lo so cosa è successo, non ho due anni. –

Kasumi comparì sulla porta e guardò entrambi, cercando di capire la situazione, ma prima che potesse chiedere spiegazioni il telefono squillò e lei si affrettò a rispondere.

- Signorina Hyuga, sua madre si è risvegliata.- il tono rassicurante del dottore, rese la notizia ancora più piacevole.

Con le lacrime agli occhi Kasumi ringraziò il medico che cercò di minimizzare, ricordandole che era un dovere della sua professione. Corse in cucina e si buttò felice nella stretta di Ken, poi si voltò verso Kojiro che sorridente le tese le braccia e l’accolse nel suo abbraccio. Le asciugò le lacrime e lasciò che andasse a prepararsi per andare tutti insieme in ospedale.

Ken sentì una mano sulla spalla e vide l’amico che lo guardava con un’espressione insolita.

- Grazie.-

  
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