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Autore: biberon    23/11/2013    2 recensioni
Dieci anni dopo il reality, Courtney incontra per caso Trent e Duncan, il quale nel frattempo ha avuto un figlio con Gwen. Pazza di gelosia, Courtney si lancia in una storia flash con Trent e cade in una gravidanza indesiderata.
La sera in cui lo confida alla sua migliore amica Heather, inquietanti sms e messaggi cartacei iniziano a perseguitarla. C'è qualcuno che sa tutto di lei, che sa TROPPO di lei, della sua storia con Trent, del suo amore, della sua vita.
Ma lei non l'aveva detto a nessuno oltre che a Heather.
Ma non può essere stata lei, non la sua migliore amica. Ma allora, chi ...?
Dal testo, capitolo 10
- Courtney, io chiamo la polizia. Se quel bastardo è in casa tua possiamo prenderlo.
- Heather, non so se è veramente lì o lo dice solo per depistarmi …
- C’è un solo modo per scoprirlo.
Io annuii.
Heather frugò nella borsa, poi mi guardò con gli occhi sbarrati.
- Courtney … non trovo più il mio cellulare.
Genere: Romantico, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Courtney, Duncan, Gwen, Heather, Trent | Coppie: Duncan/Courtney, Duncan/Gwen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
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Il battello era sudicio e puzzava di merda.
Ma almeno ci avrebbe portate da Gwen.
E lì, se Dio avesse voluto, avrei avuto le mie risposte.
La mia mano scivolò istintivamente sulla mia pancia un tempo piatta. Nel sentire il rigonfiamento, un conato di vomito mi risalì su per la gola.
Lo ricacciai giù con fatica.
Tutto quel casino doveva finire.
E sarebbe finito proprio lì, nel posto dove tutto era iniziato.
“WAWANAKWA!” urlò Heather dalla stiva, indicando un ammasso di terra e piante davanti noi.
Mi venne in mente la prima volta che l’aveva vista via mare: quando ero giunta lì con lo yot di Crhis per A Tutto Reality: L’Isola.
Sorrisi amaramente e tornai dentro, accanto al volante.
Jorge, il tipo che ci aveva affittato la barca, guidava troppo lento, per i miei gusti.
Almeno lì la polizia non ci avrebbe trovate.
Questo era un problema in meno.
Ora dovevo solo sistemare il persecutore, chiunque fosse.
Non sapevo perché, ma ero convinta che non si trattasse di Quentin.
È vero, lui mi aveva minacciato a bordo della limousine, ma … insomma, era solo un bambino, dopotutto.
Solo un bambino.
La navetta prese a rallentare per ancorarsi a riva.
Heather uscì dalla sottocoperta, prese una cima appoggiata sul ponte e si terre pronta per ormeggiare.
Cozzammo contro il ponte di legno marcio, e l’urto mi fece barcollare all’indietro. Guardai l’isola.
Erano passati dieci anni.
Dieci anni, e quella non mi sembrava più wawanakwa.
La vegetazione era fitta e non curata, la casa dei produttori era praticamente distrutta, con numerosi buchi e travi mancanti dappertutto. Le roulotte erano sparite.
Il cielo era bianco latte e alcuni gabbiani volano silenziosi.
Mi sembrava di stare dentro un fil horror.
Scesi dalla barca seguita da Heather, e individuammo subito la roulotte della gotica: era parcheggiata al margine dellla foresta.
“Gwen!” urlò Heather.
Il rumore della barca che ripartiva mi fece rendere conto che eravamo sole, ora.
“GWEN! SIAMO NOI!” ripeté battendo furiosi pugni contro la porta in rame.
Era nervosa, tesa come la corda di una chitarra. Io ero solo spaventata e stanca. Terribilmente stanca.
“GWEN! APRI QUESTA CAZZO DI PORTA!”
La porta si aprì con un click e noi entrammo velocemente.
Gwen era in piedi al centro della stanza, e non aveva un bell’aspetto.
I capelli colorati ricadevano disordinatamente sulle spalle, unti e arruffati allo stesso tempo. Delle profonde occhiaie sgnavano il bordo inferiore dei suoi occhi nero pece, le labbra erano piegate all’ingiù come in un fumetto giapponese.
“Lui dov’è?” chiese debolmente.
Heather sollevò a fatica il sacco che si stava trascinando dietro da tutto il viaggio.
“L’hai chiuso dentro un sacco?!” esclamò inorridita Gwen strappandoglielo dalle mani.
“Ragiona, deificiente, secondo te potevamo tenerci un bambino svenuto in macchina come se nulla fosse?”
“IN CHE SENSO SVENUTO?!”
“Courtney l’ha colpito con una pistola …”
Gwen lasciò cadere il sacco e guardò Courtney con odio.
“BRUTTA STRONZA!” le urlò, sciogliendo la corda che teneva chiuso il contenitore.
Quentin era raggomitolato su se stesso, gli occhi chiusi, la fronte sporca di sangue, il passamontagna ancora attaccato ai capelli e le mani strette a pugno.
“CHE COSA GLI AVETE FATTO?!” urlò la gotica oscultando con un orecchio il petto del figlio.
“è vivo, Gwen, calmati.”
“Calmati?! CALMATI?! MIO FIGLIO HA OTTO ANNI, CRISTO SANTO! TU L’HAI COLPITO CON UNA PISTOLA!”
“Perché secondo te, razza di idiota, io a otto anni andavo in giro a minacciare le ragazze con una pistola?!”
“Cercate di darvi una calmata, tutte e due!” intervenne Heather bruscamente.
“E ORA che facciamo, calcolatrice?” domandò acidamente Gwen.
Heather andò nella cucina, prese un bicchiere dalla credenza, lo riempì d’acqua e lo vuotò con un gesto secco in testa Quentin.
“CHE CAZZO FAI?!” ululò Gwen spaventata.
Il bambini tossì un paio di volte e aprì gli occhi.
“Grazie al cielo!” esclamò la dark abbracciandolo.
Courtney l’afferrò per le spalle e la trascinò lontana da lui.
Heather colpì il bambino con un leggero schiaffo in volto, per farlo riprendere.
“Quentin, ci sei?!” chiese.
“S-sì.” Balbettò lui.
“Tu ci devi spiegare un sacco di cose. Punto primo, sai qualcosa delle prove false fabbricate contro di noi?”
“Cosa sono le prove false?”
“Brutto stronzo, fai finta di non capire?!”
“Non si dicono le parolacce.”
“NON SI MINACCIA LA GENTE CON UNA PISTOLA. CHE CAZZO FACEVI IN QUELL’AUTO?!”
“Heather, ti prego. È solo un bambino.” Implorò Gwen dal fondo della camera, bloccata al muro dalle braccia possenti dell’ispanica.
“Sei stato tu a chiedere a Courtney di abortire? SEI STATO TU A PERSEGUITARLA?!”
“Che cazzo dici, Heather, è un Cristo di bambino … non ha nemmeno un cellulare!” esclamò la madre.
“STA’ ZITTA!” le intimò l’asiatica.
“Io non c’entro … non ho fatto niente.” Biascicò il bambino.
“E allora cosa ci facevi nella macchina?”
“Ma non è stata un’idea mia … LUI mi ha detto di farlo …”
“Lui CHI?!”
“Quel signore …”
“QUALE SIGNORE?!”
“Non so chi è! Non so niente! Io non volevo essere cattivo! Mi avevano detto che lei e mio papà avevano fatto sesso e io non volevo che la mamma veniva tradita …” disse indicando Courtney.
“Di’ un po’, Gwen, ma gli hai insegnato a usare i congiuntivi?” sputai.
“Cazzo, Courtney, ha solo otto anni. Ritornando alla questione del sesso …”
“Aspetta, tuo figlio sa che cos’è il sesso?!” chiese Heather quasi divertita.
“A grandi linee …”
“Scommetto che gliel’avete spiegato con una dimostrazione pratica.” Sbottai indispettita.
“è tutto chiaro. Il piccolo pensava che tu e Duncan aveste avuto un rapporto tradendo Gwen, ed era convinto che quel figlio che porti in ventre fosse del suo papà … volveva quindi eliminarlo prima che nascesse in modo che il suo papà non tornasse da te e non volesse più bene a lui …” rifletté ad alta voce Heather rivolta a me.
“Ma un bambino non può avere una mente così contorta da escogitare un piano simile! Insomma, qui di parla di stalking, violenza, aborto, minaccia a mano armata …”
“Ed è qui che subentra l’uomo che ha nominato … qualcuno deve avergli messo in testa questa idea e deve averlo usato come capro espiatorio per le sue azioni …”
“Ma potrebbe odiarmi così tanto? E perché?”
“Perché se odiosa.” Sussurrò Gwen.
“Vaffanculo” sibilai io, tenendola ancora più stretta.
“Ma adesso che facciamo?” chiese Heather.
“Adesso restiamo qui finché non capiamo che diavolo sta succedendo. Se non è Quentin e non è Duncan … allora … chi è?” bisbigliò Gwen a mezza voce.
“Ehy cervellona, non pensare troppo che se non l’unico neurone che hai va in sovraccarico” dissi sarcasticamente.
“Courtney! Piantala, una buona volta! Abbiamo alle calcagna un criminale spietato, probabilmente non solo, che vuole uccidere la creatura che hai nel ventre e tutta la polizia di Toronto! Non mi sembra il caso di litigare per una vecchia faccenda …”
“Una vecchia faccenda? UNA VECCHIA FACCENDA?! Non so se ti rendi conto che questa escort mi ha RUBATO il mio ragazzo …”
“ESCORT A CHI?!” esclamò la gotica dimenandosi.
“Sh! Ascoltate!” esclamò l’asiatica mettendosi un dito sulle labbra.
C’era un rumore strano, in effetti.  Come di pale rotanti. Un rumore che si faceva sempre più forte, proveniva da fuori.
Heather sbirciò dalla finestra.
“MERDA!” urlò, in preda al panico. “SIAMO FOTTUTI!”
Lascia andare Gwen e mi precipitai a vedere.
Fuori, davanti alla roulotte, in cielo, c’erano almeno due elicotteri della polizia e alcuni agenti si stavano calando giù.
Una voce mi fece gelare il sangue nelle vene.
“USCITE FUORI CON LE MANI BENE IN VISTA …” disse un poliziotto nell’altoparlante.
“Che cosa facciamo?!” strillai io.
“RIPETO: USCITE FUORI CON LE MANI SOPRA LA TESTA …”
Gwen si accucciò a terra singhiozzando, e Quentin scoppiò a piangere.
“OH, ma per favore!” esclamai. La alzai con un gesto deciso. “Reagisci, rammollita!” urlai. “Chissà cosa penserebbe Duncan se ti vedesse in queste condizioni …”
“Non me ne frega niente!”
“Lo so che non te ne frega niente di lui! Non te ne è mai fregato niente!”
“Piatatela, voi due!” esclamò l’asiatica.
Le sirene e gli allarmi mi stavano per fare scoppiare le orecchie.
“Usciamo di qui.” Dissi con voce ferma.
Gwen prese per mano Quentin e uscimmi tutti e quattro, ordinatamente.
Anche se c’era ancora luce, appena fummo fuori un agente ci punto in faccia una torcia enorme.
L’elicottero era atterrato con frastuono e ora una decina di polizotti si erano riversati fuori, tutti armati.
“Eccovi, finalmente, gli invisibili persecutori …” disse uno con ari soddisfatta.
“MA NOI NON ABBIAMO FATTO UN CAZZO!” urlò Heather.
“Sì’, come no … ammenettateli.”
Due guardie si avvicinarono a noi con le manette in mano.
“Che facciamo?” chiese disperata Gwen, stringendo Quentin al petto.
Provai l’impulso di correre, ma sapevo che non sarebbe servito a nulla.
Così misi i polsi in avanti. Forse, se mi avessero portata in tribunale, avrei avuto un giusto processo con gli avvo cati squali e forse l’incubo sarebbe finito.
Forse.
Sentii le manette chiudersi ai miei polsi con un click metallico e avvertii il freddo del ferro contro la pelle delicata.
Io, Courtney Barlow, sarei stata incarcerata.
Io, la dama della legge.
Una lacrima involontaria mi si formò nell’occhio destro, e appena battei la palpebra cadde sulla guancia color cioccolato bagnandola.
“FERMI TUTTI!” urlò una voce.
Il poliziotto che mi stava incatenando si voltò di scatto.
Sull’isola volteggiava un altro aereo, grigio, senza riconoscimenti particolari, in metallo lucido.
“FERMI!” ripeté quella voce.
Una scala sbucò dal portellone e si srotolò fino a terra.
Un uomo voltato di spalle scese appendendosi ai pioli molto, molto lentamente.
Quando si voltò, ebbi un tuffo al cuore. Le parole mi uscirono di bocca come se fossero dotate di vita propria.
“E TU CHE CI FAI QUI?!”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
   
 
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