Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: Honey Tiger    23/11/2013    4 recensioni
Sono Eva Salmons, uno dei tanti frutti del Dexcell. Ho 18 anni, e sono una ragazza estremamente riservata e poco socievole.
Non conosco molta gente, sicchè la mia madre adottiva mi ha sempre tutelata nei riguardi del mondo che mi circondava, così fino ad ora, ho avuto poco più che qualche paio di amici.
Ultimamente, non faccio altro che riflettere e farmi domande su una persona che non dovrei affatto avere tra i miei pensieri. Però non riesco proprio a levarmi dalla testa quei suoi occhi corrucciati dal dolore che mi trasmisero un malessere profondo con solo alcuni timidi scambi di sguardi.
Queste sono tutte certezze che io, come voi, che state leggendo questa sciocca sintesi della mia vita sino a questo momento, avete forse afferrato la significanza, ma quello che voi non sapete, cari miei lettori, è ciò che si cela dietro al mio sorriso spento di oggi. Quello che voi non sapete, e che forse nemmeno io riesco bene a comprendere è che questa cosa, che fa di me una "diversa" cambierà la mia vita per sempre. Da oggi a questa parte, nulla sarà più come prima. La scuola, le mie confidenze, le mie passioni...che cosa saranno?
Genere: Fluff, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

Licenza Creative Commons

Quest'opera "Solum" scritta da "Krystal Darlend & Emide" è distribuita con la Licenza
 Creative Commons Attribuzione - Non opere derivate 3.0 Unported.

                                                                                                               

 5. Il compleanno. 

      «Come tutti noi sappiamo, la parola Bariesu deriva dal nostro creatore: Bar» il professor Konnor, dopo aver fatto una pausa per osservare i suoi alunni e quindi controllare se stessero attenti alla sua ennesima spiegazione giornaliera, riprese la parola e continuò: «Bar come Ocarin e Victor diedero vita alle tre specie che ora dominano e popolano la terra. Non possiamo affermare precisamente chi di queste tre specie sia la più evoluta oppure la più estesa, ma quello che sappiano e possiamo dichiarare con certezza è che noi Bariesu, siamo superiori a tutti gli altri in quanto dominatori e vincitori delle ultime tre grandi guerre tra i popoli» concluse fiero e a testa alta il professore di Storia della civiltà Bariesu.
Percepisco le parole del professore, non dissimili da quelle di molti altri Bariesu, graffiarmi la coscienza avidamente, poiché sento questo delirio di onnipotenza da parte nostra, solo come un futile mezzo per schiacciare, dominare e contrastare il prossimo.
«Professore, io so per certo che Bar e Ocarin fossero anche amanti oltre che nemici durante la prima guerra che si svolse tra le tre razze» interviene la mia compagna di stanza, saccente e piena di sé come al solito.
L'ho conosciuta il primo giorno che siamo arrivati qui a Richford, esattamente una settimana fa, nel dormitorio che condivido con lei e Mona, e la prima impressione che ho avuto su di lei è stata quella di pensare che fosse una ragazza sola, che cercava l’accettazione del prossimo tramite la sua conoscenza e cultura, indubbiamente superiore a chiunque altro della nostra età.
«E ti pareva che non dicesse la sua» commenta Mona sottovoce, catturando la mia attenzione.
«Eccellente signorina Legrand, stavo giustappunto per arrivarci io» si congratula il professore mostrando un sorriso enigmatico e camminando per quella classe abbellita in stile neobarocco, caratterizzata nel dettaglio da merletti e statue di vetro soffiato fuoriuscenti dal muro color perla, mentre i banchi di marmo lucido lasciavano percepire uno stile altrettanto antico e delicato. «Ocarin, la capostipite degli Ocuber, ingannò e raggirò con la sua bellezza accecante il povero Bar e lo indusse a procreare il frutto del peccato. Cinque bambini nacquero dall'unione dei due, ma di loro e della loro discendenza si sa ben poco».
La ragazza dai capelli color nocciola a caschetto sembrò voler alzare nuovamente la mano per intervenire, ma il professore la zittì mettendo fine a questa lezione tanto breve quanto introduttiva, ripromettendoci il proseguimento l’indomani.
«E anche questa lezione è andata» sospira Mona, guardandomi con un volto stanco e provato, mentre la nostra coinquilina si alza sbuffando. «Spero che la prossima volta non ci soffermeremo a discutere solo di queste sciocchezze».
«Da quando in qua per lei, qualcosa non è sciocco?» chiedo a Mona, osservando Emily che si allontana dalla classe indispettita, portandosi i capelli con un gesto preciso e fulmineo dietro le spalle. «Non riesco a capire se lo fa apposta oppure è ignara di quello che le accade intorno» borbotto, riferendomi al suo comportamento da ragazza viziata e saputella.
«Lasciala in pace, siamo solo alla prima settimana e tu già non sopporti la tua coinquilina. Non è da te Eva» dice ironicamente Mona, raccogliendo il suo materiale da sopra il banco biancastro. «E non solo con lei, vogliamo parlare di Key e della sua amichetta? Non hai fatto altro che parlare e pensare al motivo per cui quella ragazza ti possa aver indicato» aggiunge lei riaprendo una ferita non ancora in via di rimarginazione.
«Key» pronuncio il suo nome sottovoce, senza però farmi udire da Mona, che sta uscendo dalla classe continuando a farmi la predica sul mio comportamento fuori luogo e non adatto ad una ragazza riservata come me.
«Parli del diavolo e spuntano le corna…» borbotta Mona indicando la direzione opposta nella quale dobbiamo procedere. Key insieme alla bambola bionda, con cui l’avevo visto parlare l’ultima volta, stanno attraversando il corridoio proprio davanti alla mia aula.
I suoi occhi, spenti e senza nessuna luce che illumina quel colore particolare quanto affascinante, sembrano persi nel nulla, mentre la sua interlocutrice continua a sostenere un monologo solo a lei conosciuto.
“Che cosa si cela dietro il tuo sguardo?” penso tra me e me, emettendo un sospiro e osservandoli finché non scompaiono dalla mia visuale una volta per tutte.
Camminando con la testa totalmente da un’altra parte vado a urtare contro qualcosa di decisamente solido.
«Ma allora il tuo è un vizio!» sbraita una voce maschile estremamente famigliare davanti a me.
«Darkan!» esclamo io, alzando lo sguardo verso quegli occhi azzurri come il cielo che sembrano entrarmi fin dentro le ossa.
«Eva, ti stavo cercando sai?» dice prendendomi per entrambe le spalle e avvicinandomi a sé con aria quasi divertita.
«Ah si? D-davvero? Come sapevi che mi fossi iscritta proprio qui a Richford?» balbetto intercettando l’espressione quasi del tutto sconvolta di Mona, che sembra essere un ritratto dettagliato della mia, la quale vorrei davvero avere uno specchio per poter vedere.
«Ti ho vista il primo giorno durante l’accoglienza dei nuovi iscritti e sembravi un coniglietto spaventato» sorride lui, accarezzandomi i capelli e continuando il suo discorso: «cosi ho pensato di non compromettere ulteriormente le cose, evitando di farmi vedere».
Nell’accarezzarmi delicatamente il volto mi fa avvampare come solo lui è in grado di fare. I suoi capelli sempre ordinati e lucenti, che ora si adagiano morbidamente contro la mia fronte imperlata di sudore, sintetizzano l’enorme cura quasi maniacale, che Darkan ha per il suo corpo. «Che volevi dirmi?» domando io per togliermi dalla mente i vecchi ricordi che mi legavano a lui. «Questa sera spero che tu non abbia altri impegni perché non potrei accettare il tuo ennesimo rifiuto, specialmente perché questa sera è il mio compleanno e tu sei una delle poche ad essere stata invitata. Beh, perlomeno del primo anno…»
«Una delle poche?» domando subito io, stupita da quella sua sfrontataggine.
«Sì, se ci verrai sarai in compagnia della tua coinquilina se non erro, la sorella minore di Legrand»
«Emily?» esclama Mona sorpresa, facendosi avanti in quella conversazione che non la riguardava affatto.
«Sì, forse, non lo so, ma comunque spero che verrai, la tua presenza mi sarebbe davvero cara» conclude lui riportando il suo sguardo da me a Mona in un lampo, facendomi l’occhiolino.
So che il suo sorriso, le sue attenzioni e quei gesti apparentemente interessati, sono rivolti a me solo in segno di quell’affetto che provava tempo addietro nei miei confronti; gentilezza che nasconde sicuramente un’indifferenza priva di doppi fini.
«Sono mortificata. Mi dispiace dover interrompere questo continuo lancia sguardi, ma Eva e io abbiamo una lezione tra meno di due minuti» annuncia Mona, riportandomi alla realtà e, prendendomi alla sprovvista, mi tira via per la manica della maglia, indispettita.
«Aspetta Mona, che ti prende?»
«Non pensarci nemmeno, lo so a cosa stai pensando! Non voglio assolutamente che tu ci vada a quella festa. Ricordi quanto sei stata male i primi mesi, dopo la vostra rottura?» mi domanda lei leggermente preoccupata una volta che la figura di Darkan fu totalmente scomparsa dalla mia vista in un modo così brusco.
Rimembro il dolore che ho provato dopo la nostra separazione, anche se oggi, a distanza di anni, non riesco a comprendere pienamente il motivo che mi ha spinto a lasciarlo andare, seppure sono sicura che in questa strana decisione c’entrino i miei sogni.
A distrarmi dal mio mondo di pensieri e congetture è il professor Masosky, la stessa persona che, giorni prima ci aveva parlato e rivelato delle informazioni riguardanti la vita di Key, e il quale ci fa notare di essere entrate all’interno della sua classe in maniera irruenta, durante il nostro breve dialogo.
«Signorine, avete intenzione di restare lì per tutta la durata della lezione?» sorride lui indicandoci i posti restanti.
Io e Mona, entrambe distratte dai nostri pensieri non ci eravamo accorte di esserci fermate cosi, senza una vera spiegazione e motivazione, in mezzo alla classe, scaturendo l’interesse di tutti i nostri compagni.
«Ci scusi» diciamo noi all’unisono e andiamo subito a metterci sedute negli ultimi posti disponibili: penultima fila, accanto alla finestra.
La sala è pressoché identica a quella precedente, l’unica cose che la rende differente è il colore della parete: verde chiaro.
«Ho intenzione di andare a quella festa» sussurro io una volta sedutami al mio posto, sorprendendo Mona che mi fissa con gli occhi fuori dalle orbite. «Pensandoci bene, Darkan non mi ha mai fatto nulla di male e andando a quella festa avrò l’occasione di incontrare molte persone interessanti, visto che, oltretutto, non conosciamo quasi nessuno qui» sorrido a lei che mi fulmina con i suoi occhi castani.
«Questo non è mai stato un problema!» mi confida lei, riferendosi allo scarso interesse che ho sempre provato nei confronti delle persone che mi circondavano. O meglio, ho sempre avuto l’incessante bisogno di potermi confrontare con una qualsiasi altra persona all’infuori di Mona e Sally, ma questo mio, seppure ormai scemato, desiderio di socialità è sempre stato placato da una forza superiore, da qualcosa di più grande perfino della mia volontà stessa. Devo sembrare del tutto fuori di senno, nell’ammettere che la persona, o meglio la cosa, a me più cara in assoluto è una stupida voce con la quale dialogo spesso la notte, durante il dormiveglia, la quale mi consiglia e fa sì che io riacquisti sempre la voglia di continuare questa mia eterna battaglia contro tutto e tutti. Ma sta volta è diverso, sta volta lui non c’è. E’ da quando sono entrata in questa scuola che i miei sogni, e quindi la medesima voce fioca che la mia mente filtra prima di addormentarsi del tutto, non riescono più ad avere luogo e quindi ad appoggiare le mie scelte. E’ come se questo qualcuno mi avesse improvvisamente reso quell’indipendenza che io non avevo mai espressamente richiesto ma che da tempo avevo segretamente aspirato a raggiungere. Non ho mai parlato né a Sally né a Mona di Nathan, perché in primo luogo, penso che mi avrebbero presa per pazza senza permettermi di replicare, e anche e soprattutto perché lui, il ragazzo invisibile che vive nella mia dimensione onirica, mi aveva fatto espressamente promettere, durante il mio quinto compleanno, che se avessi rivelato ad alcuna persona della sua presenza, lui sarebbe scomparso per sempre lasciandomi sola come lo ero prima di incontrarlo.
«Ora incomincia ad esserlo Mona! Guardati intorno, questa scuola è l’apice della sicurezza» dichiaro sicura di quello che sto dicendo, cercando di convincerla a desistere. Non mi importa così tanto della festa di Darkan, sebbene, quella con lui, sia stata la mia prima ed unica relazione di coppia, ma sento il bisogno di dover rivendicare le mie scelte. Mi sento come una ragazzina, a cui è stato appena concesso di poter uscire la sera senza genitori alle calcagna che, in lontananza osservino ogni suo movimento e azione, mi sento come una bambina alla quale sono state donate le prime monetine da spendere in tutta libertà. Sono paonazza al solo pensiero di poter compiere le mie scelte autonomamente, pur sentendomi completamente estraniata da quell’Eva che solo pochi giorni fa governava il mio corpo, pur consapevole che la voce di Nathan mi mancherà, a lungo andare.
«Se la metti così, allora verrò anch’io con te…» prorompe lei, appoggiando con violenza il quaderno degli appunti sul banco in marmo, producendo una sonora frustata.
«Non sei stata invitata Mona» le ricordo io ironicamente.
La mia amica sta per replicare, ma una ragazza, che davanti a noi aveva accennato già da un po’ il suo essere infastidita dalla nostra conversazione, ci fa segno di fare silenzio e rimandare il nostro turbolento colloquio.
«Sta sera, se mi aspetterai sveglia, ti farò il resoconto della serata» solennizzo rizzandomi in piedi per uscire dall’aula di storia del Dexcell, perdendomi così la prima lezione con il professor Masosky, il quale con lo stesso sguardo enigmatico e raggelante di Mona, lasciava intendere, come la mia amica, che mi avrebbero seguita e osservata ovunque.

Il terzo piano dell’istituto di Richford è in assoluto il più bello che fin’ora ho avuto l’occasione di vedere. Delle cascate di fuoco vivo e intenso, si aizzano, scoppiettando, tra le varie decorazioni del corridoio principale, facendomi così strada, verso quello che deve essere uno dei dormitori maschili del terzo anno. I bordi delle pareti, i merletti e le ringhiere, totalmente composte da fuoco e fiamme sembrano essere l’unica fonte di luce in quella via a me del tutto sconosciuta, illuminando così il mio passo cauto e insicuro che ad ogni tratto sembra incespicare dallo stupore.
La musica forte, proveniente da chissà quanti metri più giù e le urla paonazze, mi aiutano a capire che la festa di compleanno di Darkan non deve essere poi tanto lontana da qui.
«Chissà oggi quanto sarà bello...» sento esclamare da una ragazza più grande di me, che sta camminando insieme alla sua amica nella mia medesima destinazione, probabilmente riferendosi all’aspetto fisico del festeggiato.
Arrivata davanti all’entrata dove un grande arco di fuoco azzurro mi da il benvenuto, ho la possibilità di osservare tutti gli invitati di Darkan. «Una delle poche ragazze ad essere stata invitata, eh?» faccio io, sbuffando e osservando tutte le ragazze che si muovono al ritmo dell’ultimo pezzo in voga di questo periodo.

Przez całe lato tańczyliśmy. 
Jesteś szalony, zakochałem się.
Piliśmy, kochali.
Za każdą godzinę, za wszystkie godziny.

Gracchia a squarciagola l’altoparlante fissato sul soffitto azzurrino.
La ragazza che mi aveva zittita al corso di Storia del Dexcell mi urta la spalla e poi se ne va come se niente fosse accaduto, facendomi percepire per la prima volta fuori luogo in quel posto così caotico. Valanghe di cibo perlopiù caramellato, si fanno spazio tra i vari tavoli curati nel più minuzioso dettaglio, mentre una caraffa alta almeno la metà di me, si erige al centro del dormitorio C-10 illuminando lo sguardo degli invitati già ebbri. Quello stesso recipiente, il quale sembra contenere un liquido giallastro mai visto prima di allora, mi consente però di specchiarmi, tra i vari spintoni dei ragazzi sbronzi. Avevo comprato questo vestito, proprio in vista di occasioni come queste a Richford, ma non pensavo che avrei avuto l’occasione di sfoggiarlo così presto; due fasce bianche che s’intrecciano fra loro mi coprono il petto per poi scendere lungo la pancia e trasformarsi in una gonnellina che mi arriva leggermente sopra le ginocchia. Dei cinturini del medesimo colore invece, uniscono le due fasce scoprendo quasi del tutto la parte superiore dei fianchi.
Le scarpe, con un piccolo tacco, mi slanciano, rendendomi leggermente instabile, ma sicuramente molto elegante.
Avanzando tra la folla intenta a ballare e a canticchiare a squarciagola il testo della canzone, mi ritrovo vicino ad un divano di pelle nera ad osservare Darkan,il quale sta conversando con ragazze di ogni età. La cosa bella è che non mi da minimante fastidio il suo comportamento, benché io continui a sentirmi decisamente avulsa da questo folle contesto.
«Ehi, dolcezza vuoi qualcosa da bere?» mi sento domandare da un ragazzo alto e moro che sembrava fissarmi da chissà quanto tempo. Faccio cenno di no con la testa e quando sto per andarmene avvisto Mona, in lontananza.
«Sapevo che saresti venuta» sospiro tra me e me, osservando la sua figura avanzare secondo dopo secondo, probabilmente cercandomi con gli occhi. Seppure io non mi senta entusiasta di stare qui, in questo luogo così angusto, Mona deve comprendere e rispettare le mie scelte, positive o negative che siano.
«Guarda, se offri da bere a quella ragazza sono sicura che accetterà» suggerisco io a quello stesso ragazzo che poco prima aveva tentato un approccio fallimentare con me, cercando di nascondermi dietro il suo corpo massiccio.
«Se lo dici tu…» dice lui incerto, guardandomi con quell’aria lievemente perduta in un mondo in cui solo la droga e l’alcol fanno da padroni, per poi seguire il mio consiglio e andare nella sua direzione.
Io intanto, furbamente, mi avviò verso l’uscita, facendomi spazio tra la gente, cercando di scappare dalle “grinfie” di Mona che sicuramente mi vorrà riportare dentro il nostro dormitorio.
«Eva?» mi sento chiamare da una voce squillante mentre una mano fredda mi afferra per la spalla. Emily, vestita con vestito color lilla, lungo fino ai piedi e con un’ampia scollatura sul collo, mi guarda leggermente confusa. «Che cosa ci fai qui?» domanda irritata e confusa.
«Per lo stesso motivo che ci sei tu Emily» le rispondo con un sorriso a trentadue denti scomparendo rapidamente dalla sua visuale.

A teraz już mnie opuścił.
Moja szalona miłość.
Cholernie płacz. Ty stworzyłeś.
Jestem twój, ale zostawił mnie.

Prosegue quella stessa canzone, che non ero neanche riuscita a sentire tutta, vista la mia fugace permanenza alla festa, accompagnando la mia evasione disperata.
Con grande difficoltà riesco ad uscire fuori, investita da alcune ragazze che cercano di entrare dentro la stanza, con la stessa foga con la quale gli invitati, all’interno, mi avevano spinta e strattonata, quando ecco che, pochi metri più in giù avvisto qualcuno che non mi sarei mai aspettata di incontrare qui: Key Austrang. Poggiato ad una delle colonne di fuoco in fondo al corridoio, si guarda intorno confuso e dolorante, mettendo ben in vista un’espressione che non avevo mai avuto modo di vedergli prima di allora; mi avvicino cautamente a lui, mentre Key, claudicando, sembra cercare di reggersi in piedi disperatamente, accompagnato e sostenuto da un’altra figura maschile che non conosco.
«Hey!» esordisco io, non riuscendo a dire nient’altro.
A quell’esclamazione priva di senso entrambi si voltano verso di me, senza né dire né fare nulla.
In particolare, il ragazzo vicino a Key, sembra quasi sgranare gli occhi nell’osservarmi da capo a piedi, mentre io imbarazzata rivolgo lo sguardo a terra.
Perché mi fissa in questo modo?
«Eva? Che ci fai qui?» mi sento domandare di nuovo, sta volta da Key.
«V-vi conoscete?» ci chiede il ragazzo biondo con gli occhi grigi, quasi balbettando dallo stupore, avvicinandosi a me. Ad ogni modo né io né Key, proviamo a rispondere a quella domanda del tutto fuori luogo, limitandoci a stare in silenzio e ad osservare i suoi movimenti incerti.
«Io sono Leo Lachowski, piacere di conoscerti» dice porgendomi la mano, in una maniera estremamente forzata e decisamente innaturale, quasi inciampando una volta giunto a pochi passi da me.
«Sono Eva Salmons, piacere Leo…» rispondo io, stringendogli la mano, estremamente confusa e in parte spaventata dal suo comportamento insolito.
«Il tuo amico sta male…lo sto aiutando ad andare in camera sua» mi sussurra in maniera tale da non farsi sentire da Key che stremato, sembrava respirare a fatica.
«Non è mio amico» gli bisbiglio in tutta risposta, guardandolo Key Austrang lievemente preoccupata. Leo accenna un sorrisino compiaciuto e poi riprende a parlare « Assomigli tanto ad una persona…» farfuglia.
Senza chiedermi o interessarmi all’affermazione del biondino, proseguo ciò che già da un po’ mi ero prefissata di chiedergli «Che cos’ha? Perché sta così male?»
«Sono cose oscure…è meglio non farsi coinvolgere» mi spiega sottovoce facendomi sgranare gli occhi e rendendomi ancora più curiosa e confusa di prima.
Ad ogni modo, mentre alcuni pensieri incominciano a farsi strada dentro la mia mente, scorgo la figura di Key, che già da un po’ riprometteva di crollare a terra da un momento all’altro, barcollare come un ubriaco saturo di alcol.
«Key!» esclamo, correndo verso di lui nell’atto disperato di soccorrerlo, aiutata da Leo.
«Stai fermo qui!» lo rimprovera il suo amico, riportandolo a contatto con il muro di fuoco finto, mentre io lo aiuto a sostenersi.
«Lasciatemi stare!» sbraita Key, allontanandosi da noi due e proseguendo il tragitto verso il suo dormitorio.
«Sei un testone, quando imparerai ad apprezzare le attenzioni dei tuoi amici» lo sgrida il ragazzo dagli occhi grigi e dalla costituzione massiccia seguendo il suo passo incerto e barcollante.
«Oh, avete detto bene, voi non siete miei amici!» sbotta Key, guardando non tanto me, quanto Leo, con il disprezzo più assoluto, rendendo evidente il fatto di avermi sentita mentre io lo dicevo al suo amico, facendomi vergognare.
«Lasciati almeno aiutare fino a che non sarai arrivato al tuo dormitorio» lo supplico io, portandomi istintivamente davanti a lui, portandogli il braccio destro dietro la mia schiena, sorreggendolo. Senza dire nulla, ma lanciandomi solo uno sguardo tanto divertito quanto enigmatico e provato dal dolore, Key si lascia aiutare da me e Leo in questa processione impacciata.
«Vedrai, presto starai meglio» cerco di rassicurarlo io, per qualcosa che probabilmente spaventa più me che il diretto interessato.
Che cosa nascondi Key Austrang?

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Honey Tiger