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Eccomi
con un altro capitolo. Grazie a tutti per il bentornata nonostante
tutto il tempo che ci ho messo ^^
Mel
Kaine
The Heart of Everything
23 - /
Things I thought I put behind me /
In quei giorni la calma apparente di Sirius vacillava pericolosamente,
soprattutto verso sera. Quando il sole scompariva e l’ultima luce
moriva sugli infissi delle invisibili finestre di Grimmauld Place il
suo animo mutava con l’arrivo dell’oscurità.
Era come se il buio avvolgesse anche la sua anima, oltre alla sua
figura emaciata.
I suoi occhi diventavano come privi di vita e la sua mente rimaneva
lontana, mentre lui restava immobile per ore, affrontando in silenzio i
demoni delle tenebre.
In un paio di occasioni Lupin aveva provato, da amico fedele, a
salvarlo.
Ma niente di quello che poteva offrire sembrava interessare Sirius e
quello sguardo morto lo inquietava più di quanto Remus gradisse
ammettere.
Non sapeva cosa pensare, sentiva che le cose non si sarebbero
aggiustate con la vittoria dell’imminente causa per l’affidamento del
piccolo Harry, ma non sapeva come sistemarle.
Intanto aspettava nell’ombra, indeciso se recarsi da Dumbledore oppure
no.
Incredibile come non ci avesse pensato molto prima.
Veramente sorprendente.
Sorprendentemente stupido, ovvio.
Perché una delle discipline più alte che era riuscito a conquistare con
il sudore della sua fronte e che in ben più di un’occasione gli aveva
salvato la vita non si era affacciata per prima alla sua inetta mente?
L’Occlumanzia rappresentava una speranza, una speranza vera per la
vittoria.
Quella sera, si ripromise Severus, avrebbe iniziato il bambino-Potter
alle prime nozioni di preparazione all’Occlumanzia, sperando così di
fortificare la sua mente ed aiutarlo definitivamente ad allontanare gli
incubi che lo tormentavano.
L’Occlumanzia era una pratica magica molto complessa e le sue infinite
varianti e possibilità la rendevano un soggetto affascinante ed
intricato anche per i maghi più esperti.
Un po’ per sete di conoscenza, un po’ per necessità Severus ne aveva
appreso i più reconditi segreti e tuttora ne studiava le applicazioni e
fortificava le sue barriere, giorno dopo giorno. In attesa del
conflitto che inevitabilmente stava per iniziare nuovamente.
Era vero che l’Occlumanzia non era certo argomento per un bambino di
sei anni, analfabeta e spaventato dalla magia, ma alcuni degli esercizi
preparatori allo studio della disciplina stessa servivano a liberare la
mente da tutti gli influssi, a rendere più forte la volontà e ad
individuare ed eliminare ogni influenza o pensiero nocivo per il
proprio equilibrio mentale.
Questo era esattamente ciò di cui il bambino-Potter aveva bisogno.
Adesso doveva soltanto scoprire perché, per l’amor del cielo, il
bambino non era nel letto con lui.
Harry pensava che impegnarsi a scrivere sarebbe stata una bellissima
idea. Dopo aver provato senza riuscire a dormire da solo, aver
svegliato l’uomo-Sevreus ed essere finito di nuovo a dormire con lui
dandogli un sacco di disturbo il piccolo si sentiva stupido e inutile,
esattamente come gli avevano detto tante volte i suoi zii. Perché non
era in grado di rendere felice il suo uomo-Sevreus? Perché faceva
sempre peggio degli altri e non riusciva a fare quello che sicuramente
gli altri bambini sapevano fare? Harry si vergognava molto per la notte
precedente e per cercare di rimediare almeno un pochino si era alzato
prestissimo e aveva già scritto diversi fogli quando l’uomo-Sevreus
apparve dal corridoio.
Sembrava come aver perso qualcosa e poi, quando si guardarono, subito
gli sembrò più calmo.
“Buongiorno, Harry”.
“Buongiorno, maestro” pigolò il bimbo. E se il maestro era arrabbiato?
Era vero che Harry glielo aveva chiesto, ma Harry sapeva anche che
spesso i grandi dicevano una cosa e poi il giorno dopo un’altra.
Improvvisamente si sentì in colpa anche per quello, perché dubitava del
suo maestro? Il suo uomo-Sevreus gli aveva sempre detto la verità e non
gli aveva mai mentito e adesso era molto cattivo da parte sua pensare
che il maestro fosse come tutti gli altri grandi.
Non sapeva cosa dire né come far andare via quella brutta sensazione di
aver pensato male del maestro-Sevreus così prese i fogli in mano per
fargli vedere il suo lavoro, perché forse quella era l’unica cosa buona
che aveva fatto dalla sera prima.
Snape alzò un sopracciglio.
Il bambino-Potter non era certo un bambino come gli altri, per tutta
una serie di motivi, sia pubblicamente noti che non, ma certo talvolta
aveva degli atteggiamenti molto particolari e non sempre era chiaro il
perché delle sue azioni.
Adesso per esempio esibiva decine di fogli di esercizi e lo guardava
come un carcerato in attesa della grazia.
Ma certo.
Come non comprendere.
Severus fece per sospirare, ma si fermò.
Poteva essere frainteso.
Sedette quindi sulla sua poltrona mentre ordinava la colazione per
entrambi e si mise a scrutare attentamente il lavoro del bambino.
Poi sollevò lo sguardo su di lui.
Severus lesse in quegli occhi verdi ed enormi quanto un complimento
fosse necessario al bambino, quasi come l’aria che respirava, ne poteva
percepire l’anelante desiderio nella stretta serrata delle sue piccole
labbra e nell’agitazione del suo respiro, nella forza della sua presa
sui fogli e nell’incessante tensione del suo corpicino.
“Molto bene, Harry. Hai lavorato molto e sei stato bravo”.
Un sorriso radioso lo ricompensò per quel dono così raro – Severus
Snape che si complimentava sinceramente con uno studente – mentre
arrivava la colazione.
Con finta noncuranza Snape sedette al tavolo e iniziò la vera
conversazione che andava fatta una volta espletate le formalità vitali
per l’autostima del piccolo Potter.
“Naturalmente, Harry, sai bene che quello che è successo ieri notte non
è stato un problema, ma un rischio calcolato, diciamo, più
semplicemente, una cosa che sapevo poteva accadere. Quindi il tuo
alzarti molto presto per fare i compiti, benché io lo apprezzi molto,
non è certo perché ti senti di non aver fatto… bene… ieri notte, vero?”
Il bambino lo guardava perplesso. Immediatamente Snape fece per trovare
altre parole con le quali spiegarsi quando Harry rispose, piegando di
lato la sua testolina ancora arruffata.
“Harry… ha fatto bene ieri sera?”
Severus posò lentamente sul tavolo la sua tazza di tè.
Non rimpiangeva di aver utilizzato una sintassi non immediatamente
comprensibile nel formulare la sua precedente frase. Il bambino andava
stimolato nell’acquisizione di nuovi vocaboli e di concetti via via più
complessi o non sarebbe mai migliorato.
Naturalmente adesso aveva frainteso, ma non per niente Severus era un
insegnante, un insegnante occasionalmente dotato di grande pazienza.
Almeno nel momento giusto, con lo studente adatto e nella propria
personalissima visione.
“Intendevo dire, Harry, che quello che è successo ieri notte è
perfettamente normale. Sapevamo, sia io che tu, che non eri pronto,
dico bene?”
“Sì, signore”.
Severus ignorò la forma della risposta, proseguendo.
“Quindi era facile aspettarsi che avresti avuto altri incubi. Bisogna
lasciar passare ancora del tempo, non eri pronto e non dovevo lasciarti
fare quel tentativo, è colpa mia, Harry”.
Il bambino Potter si agitò improvvisamente.
“No, signore, non è colpa del signore, è colpa di Harry, il signore… il
maestro non ha fatto niente, maestro. Harry non è bravo abbastanza, ma…”
Snape interruppe quel fiume di parole, in terza persona oltretutto.
“No, Harry. Io sono la persona che si occupa di te ed io dovevo sapere
cos’era meglio fare, dovevo fermarti e … non farti soffrire”.
“Perché è questo che devono fare i grandi, sign… maestro?”
“Sì, Harry, anche se spesso non riesce loro così bene” un tono amaro
che sperò il bambino non cogliesse. Severus Snape era certamente un
uomo che sapeva alla perfezione in quanti e quali modi un grande poteva
fallire.
Il bambino lo guardò un attimo, poi disse seriamente.
“Sì, signore, ”.
Al di là dell’uso della solita, ingranata risposta improvvisamente
sembrò molto più maturo della sua età, ma Severus non se ne stupì. In
qualche modo erano simili, soli e spezzati, abbandonati in balia di una
tempesta che li aveva quasi distrutti e lasciati senza più sogni e
adesso lui era per il figlio di Lily ciò che Dumbledore era stato per
lui, anche se un pensiero si affacciò alla sua mente, potente come la
marea.
“Io farò meglio di lui…”
Subito dopo scacciò l’irritante sensazione di inadeguatezza che lo
aveva colto e riprese la sua tazza, proseguendo nella conversazione.
“Comunque non devi preoccuparti, da questa sera, se lo desideri,
possiamo iniziare delle lezioni speciali”.
Incredibile come lo sguardo rapito del bambino-Potter lo riempisse
d’orgoglio. L’amore incondizionato per la conoscenza e la curiosità
erano state le prime cose che aveva condiviso con Lily ed era dolce
ricordarle e ritrovarle in suo figlio. Era come se,
dopotutto, lei non fosse mai andata via…
Di nuovo soffocò i propri pensieri, le proprie forti emozioni,
schiarendosi la voce in un sorso di tè nero.
“Sì, Harry. Delle lezioni speciali per imparare a tenere lontani i
brutti sogni e i brutti pensieri. Non sarà come imparare l’alfabeto, ma
sono sicuro che riuscirai”.
Entusiasta il bambino-Potter annuì, poi come ricordandosi
improvvisamente dell’educazione ricevuta rispose tutto compito.
“Sì, maestro, grazie maestro”.
“Molto bene, adesso mangia. Più tardi ne parleremo di nuovo”.
La giornata trascorse senza alcuna novità, così come piaceva a Snape.
L’esistenza gli aveva ormai insegnato che le sorprese a lui destinate
non erano mai piacevoli e che un giorno monotono era preferibile ad uno
di inseguimenti, omicidi, rapimenti e pericoli potenzialmente – o
sicuramente – mortali.
La sera arrivò adagio, i giorni lentamente si allungavano anche se
attraverso le spesse mura di pietra non se ne aveva mai una percezione
reale. Presto sarebbe arrivato il periodo più freddo dell’anno e
fortunatamente, a parte un piccolo, come al solito immodesto, regalo da
parte di Albus e Minerva, il suo compleanno era passato del tutto
inosservato.
Quella sera si ritrovò quindi nel letto con il suo più attento ed
estasiato studente.
Il bambino-Potter attendeva quietamente, ma si poteva leggere
l’eccitazione per quella novità promessa in ogni fibra del suo corpo e
del suo atteggiamento.
Senza indugiare oltre Severus si dispose ad impartirgli la prima
lezione.
“Questa sera, prima di lasciarti provare, ti spiegherò cosa faremo. La
disciplina, cioè la materia della quale parleremo, si chiama
Occlumanzia. Questa parola deriva dal latino, una lingua antica molto
diffusa in Europa molto tempo fa, e vuol dire ‘chiudere la
mente’. Quello che faremo è solo una piccola parte dello studio di
questa pratica, perché il suo apprendimento completo richiede
moltissimo tempo e un’ottima conoscenza della magia e tu Harry non hai
ancora nemmeno la tua bacchetta”.
Il piccolo Harry sussultò senza poterci fare niente.
Avrebbe avuto anche lui una bacchetta? Come tutti quei personaggi
meravigliosi che qualche volta era riuscito a sbirciare di nascosto
durante le sue faccende quando Dudley guardava la tv? Proprio come la
bacchetta del maestro? Sì, il maestro l’aveva detto, allora sarebbe
successo questo ormai era sicuro.
Per impedire al bambino di perdere la concentrazione della quale
avrebbe presto avuto bisogno Severus proseguì nella sua introduzione.
“Non solo non sarà niente di difficile, ma se eseguito correttamente ti
permetterà di allontanare gli incubi che non ti lasciano dormire. E’
importante concentrarsi, cioè prestare tutta la propria attenzione a
quello che ti dirò di fare. Pensi di voler provare, Harry?”
Il bambino non rispose subito, era positivo sapere che comprendeva
l’importanza di decidere senza lasciarsi immediatamente travolgere dal
bisogno di compiacere il suo interlocutore.
Finalmente Harry lo guardò e c’era adorazione nel suo sguardo, sì, lo
sapeva, ma sotto tutto quel bene che Severus aveva ottenuto senza dare
quasi niente c’era qualcosa che per la prima volta rendeva palpabile la
speranza di insegnare al bambino quello che tutti avevano e avrebbero
cercato di portargli via.
La consapevolezza di poter decidere.
“Sì, maestro. Voglio provare”.
A distanza di anni Snape avrebbe ripensato a quel momento come il punto
di rottura che avevano così affannosamente cercato. Quell’istante aveva
rappresentato il culmine dei loro sforzi congiunti, la prova
inconfutabile che c’era la possibilità di cancellare il passato e di
vincere i propri, crudeli, mostri.
Sì, più dell’Occlumanzia stessa quell’attimo rappresentò un incantesimo
racchiuso nel tempo che finalmente restituiva a quel piccolo essere
vivente la sua dignità.
“Molto bene, Harry. Iniziamo”.
Le strade per le quali camminava erano oscure e ogni ombra fra due
lampioni celava presagi ai quali lui non voleva più pensare. L’agonia
della scelta fra la fiducia che provava e l’istinto che lo mordeva alla
gola era dilaniante. Desiderava avere pace da quell’incessante risacca
di dubbi che a volte allagava la sua mente per poi lasciarla, la volta
dopo, in secca.
Una cosa sola gli appariva chiara. Nei momenti lieti, come in quelli
tristi aveva sempre affidato se stesso alle parole e adesso ne aveva
bisogno. Avrebbe ascoltato il proprio bisogno, ma comunque una
decisione definitiva non era necessaria quella notte stessa, perché la
luna, ormai, si era fatta piena.
“Respira lentamente, Harry. Lascia uscire il nero dei pensieri ed
entrare la luce chiara e pulita”.
La voce bassa e profonda di Severus riempiva la stanza assieme alla
tenue luminosità di qualche candela. Il silenzio era ovunque e aiutava
il bambino a rilassarsi. Naturalmente non lo avrebbe confessato mai, ma
il maestro di Pozioni era realmente orgoglioso dei progressi ottenuti.
Considerata l’età e la fisiologica, brevissima durata della soglia
dell’attenzione nei bambini piccoli Harry rappresentava quasi una
miracolosa eccezione.
Il suo incredibile bambino-Potter.
Dentro di sé quasi sorrise, come spesso faceva in quei giorni.
“Concentrati sul tuo corpo, adesso, senti bene dove appoggia? È
rilassato. Il tuo respiro è lento, profondo, risale verso la luce,
verso la calma. I pensieri diventano quello che vuoi, puoi cancellarli
o tenerli con te, scegliere quali preferisci e respirare. Lentamente”.
Il piccolo Harry faceva quello che il maestro gli insegnava e sapeva di
saperlo fare. Era una sensazione così forte e bella essere capaci. Lo
rendeva orgoglioso di se stesso davanti al suo maestro-Sevreus e poi
quelle lezioni gli piacevano veramente.
Oh, era sempre stato bravo ad immaginare cose… aveva avuto tantissimo
tempo, notti e notti in cantina, nel sottoscala, in giardino, nel buio,
da solo, con l’unica compagnia di quelle storie che inventava nella sua
testa, ma non aveva mai pensato che ‘concentrarsi’, come diceva il
maestro, lo avrebbe aiutato così tanto. Il giorno prima si era
addirittura addormentato da solo sulla poltrona del maestro mentre lui
era a insegnare e non aveva avuto nessun brutto sogno. Tutte le sere il
maestro si prendeva del tempo per spiegare ad Harry come cancellare i
cattivi ricordi e ad Harry piaceva tanto perché sapeva anche che il
maestro era contento di lui, lo vedeva nei suoi occhi neri e tutto era…
perfetto.
La voce di Snape riprese a scorrere lenta, vellutata.
“Questa sera, imparerai una cosa nuova. Creerai il tuo spazio mentale,
un luogo speciale che da oggi sarà tuo per sempre, che potrai ritrovare
nei tuoi pensieri tutte le volte che ne avrai bisogno. Un posto dove
mai niente di brutto potrà toccarti. Lo potrai raggiungere in qualsiasi
momento, da qualsiasi luogo sulla Terra, semplicemente chiudendo gli
occhi e concentrandoti. E’ un posto che ti rende sicuro, che ti dà
conforto e nel quale ti senti protetto. Un posto nei tuoi pensieri che
puoi vedere nella mente, dove puoi fare qualsiasi cosa ed essere…
felice. Adesso smetterò di parlare, ma non devi aprire gli occhi.
Continua ad immaginare fino a che non avrai ben chiaro ogni particolare
del tuo luogo speciale, prendi tutto il tempo che ti serve per crearlo
e quando avrai finito aprirai gli occhi”.
Così Snape tacque e cercando di muoversi il meno possibile si stese a
sua volta accanto al bambino-Potter, in attesa di vederlo riaprire gli
occhi.
Harry era davvero un discepolo eccellente e anche se Severus sapeva
perfettamente che buona parte di quello che gli spiegava non era chiara
per il bambino, il figlio di Lily seguiva alla lettera i suoi
insegnamenti e stava già traendo i primi benefici.
Naturalmente Snape non aveva nessuna certezza dei risultati, non poteva
sapere se l’effetto di quelle tecniche così superficiali sarebbe stato
duraturo o meno, ma aveva tutta l’intenzione di sperimentarlo prima di
ripetere un’altra notte come quella passata da poco.
Mentre rifletteva su questo il tempo era scorso veloce, quando si volse
per verificare i progressi del bambino si rese conto che Harry non
avrebbe affatto riaperto gli occhi, non per quella sera almeno.
Si era addormentato profondamente, alla ricerca del suo luogo speciale
ed aveva un’espressione così serena sul piccolo viso che Severus fu
certo che l’avesse davvero trovato.
Remus passeggiava nervosamente costeggiando il lago. Il vento soffiava
a tratti, gelando le sue mani anche attraverso il tessuto sdrucito
delle tasche nelle quali erano infilate. Quell’attesa non ci voleva. Il
suo animo era ancora incerto e aspettare lo riempiva di dubbi. Il suo
era da considerarsi un tradimento o un segno di matura amicizia? Lo
faceva per dovere o per dimostrare a Sirius di avere, una volta di più,
ragione? Detestava interrogarsi, ma Dumbledore non lo aveva potuto
ricevere. Un colloquio con alcuni membri del Ministero. Segni di
attività di Mangiamorte ad ovest. L’Ordine naturalmente sapeva già
tutto, ma il Ministro cercava conferme dell’assoluta ignoranza circa
quegli avvenimenti da parte di Albus. Insomma un gioco di potere fra
burattinai. Niente d’insolito, ma terribilmente fastidioso, soprattutto
con quel freddo e quella terribile esitazione. La sua mente era alla
ricerca di una distrazione qualsiasi quando il suo finissimo udito lo
spinse ad avventurarsi verso la capanna di Hagrid. Sentiva dei rumori
provenire da lì vicino e nella peggiore delle ipotesi persino le
sospettose ‘annusate’ di Fang sarebbero state ben accolte.
Così avanzò lentamente, ma appena scostate delle frasche fradice di
neve si fermò, come pietrificato.
Severus Snape ed il piccolo Harry Potter erano lì, a qualche decina di
metri da lui.
Ecco qui, come in un quadro dipinto davanti ai suoi occhi, tutti i suoi
problemi.
Il bambino e Snape.
Rimase immobile, senza voler restare nell’ombra a spiarli, ma senza
riuscire a ritrarsi, sommerso com’era da tutti i pensieri che aveva
tentato di tenere lontano fino a quel momento.
I movimenti del piccolo lo distrassero e Remus lo guardò correre un po’
più avanti per poi voltarsi indietro.
Il suo piccolo viso era luminoso di gioia, le guance bianche e rosse
per il freddo, la sciarpa ben avvolta attorno al collo e alle spalle.
I suoi occhi verdi brillavano come il sole sulla neve, i suoi capelli
erano stati arruffati dal vento.
“Maestro Sevreus, Maestro Sevreus, guarda, là è dove ‘vige’ Hagrid”.
Ed il silenzio dopo quell’affermazione fu rotto da un suono che Remus
poteva giurare sulla sua testa, su quella di tutta la sua intera
famiglia e su quella di Merlino stesso di non aver mai sentito prima in
vita sua.
La risata di Severus.
Non aveva certo il tono di chi era abituato a ridere ed era bassa e
pacata, ma era reale, genuina.
Una risata vera, che gli tirava le labbra in modo diverso dai soliti
sorrisetti sprezzanti e dai ghigni di disgusto. Un qualcosa che
nessuno, nessuno mai aveva strappato all’austero insegnante di Pozioni
di Hogwarts, Remus ci si sarebbe giocato la vita.
L’aveva vista e sentita, eppure sapeva già che non l’avrebbe mai potuta
raccontare.
Nessuno gli avrebbe creduto.
Di nuovo la sua sconcertante sorpresa fu interrotta dalle loro voci.
Snape stava raggiungendo il bambino.
“Harry, Hagrid non ‘vige’, non è una regola, tutt’al più ‘vive’,
‘abita’ in quella capanna dal gusto… discutibile”.
Il bambino lo guardava adesso e Snape colse qualcosa che Remus non
aveva affatto intuito.
“Sai cosa vuol dire ‘discutibile’?”
“No, Maestro”.
“Discutibile è qualcosa sul quale si avrebbe molto da parlare, ma che
spesso viene definito così proprio perché non se ne vuol parlare dato
che non ci piace”.
Remus vide Harry annuire, pensieroso.
Snape interruppe entrambe le loro riflessioni.
“Vieni, vediamo se Hagrid può salutarti”.
E così dicendo, con estrema naturalezza, scostò la propria mano dalla
lunga veste nera e subito Harry la prese.
Anche dopo che furono spariti dalla sua vista Remus rimase immobile.
Molto tempo dopo si ritirò nuovamente sulle rive del lago e quando un
elfo apparve per informarlo che Albus lo poteva ricevere Remus non
avrebbe affatto saputo dire quanto tempo era passato.
L’anziano mago spostò il piatto con le sue caramelle preferite verso il
suo ospite. Bevve un altro sorso di tè mentre attendeva di conoscere il
motivo di quella visita, almeno in parte, inattesa. Albus sapeva che
Remus non era accecato dalla rabbia e dal risentimento come Sirius,
aveva letto domande nei suoi occhi durante la riunione sul futuro del
figlio di Lily e James. Forse quegli stessi interrogativi ai quali non
avrebbe mai potuto dare risposta da solo l’avevano spinto a venire da
lui ed Albus era immensamente lieto di quell’opportunità che finalmente
gli permetteva, per così dire, di volgere a suo favore – e a favore di
Severus – le circostanze.
Quello che successe negli attimi successivi, però, lo colse alla
sprovvista come tutti i comuni mortali.
La statua di pietra a guardia del suo ufficio ruotò su se stessa e
Sirius apparve, muovendosi lentamente, ma con ferocia, verso di loro.
“Non voglio sapere cosa pensavi di fare venendo qui, Remus, ma ogni
altra parola o macchinazione è inutile. Ho qui il foglio di affidamento
preventivo, Albus. Manda un elfo a prendere il bambino”.
Continua…
Nota grammaticale: per mia decisione personale in
questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono
mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per
rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché
non approvo la dilagante malattia del
‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi
è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini
italiani corrispondenti. Grazie mille.
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