Note oscenamente lunghe dell'Autrice ma saltabili: Bon, che dire. Sto facendo una cosa che non avevo assolutamente voglia di fare. Non con Reborn almeno, creare una serie.
Spieghiamoci un po', Reborn è una specie di malattia che non mi levo dalla mente, ecco perché ci scrivo fic sopra, cosa che in realtà non dovrei fare visto che prima di realizzare il sogno di pubblicare un libro dovrei finire di scriverlo. Per tal motivo, mi sono messa in testa che con Reborn avrei fatto solo oneshot: non impegnative eccessivamente per me da scrivere e per i lettori da seguire. Ho tempi di aggiornamenti schifosi. Eppure, nonostante questa storia fosse prevista come a sé stante e conclusa da un anno eccomi qui.
Perderò due minuti a dirvene il perché. Ho sempre voluto scrivere su Ryohei Sasagawa. Non perché è il mio personaggio preferito, ma perché credo sia il personaggio più difficile su cui tirare fuori qualcosa.
Lui e Hibari, scriverli bene e mantenerli IC è tutto men che un gioco da ragazzi.
Ecco perché una storia su di lui, perché si trova qui è un altro discorso più delicato e c'entra Tsuna, che invece è diventato prepotentemente il mio personaggio preferito. Non lo era quando ho cominciato a scrivere di Reborn, giuro.
Questa storia ha tutti gli obiettivi che aveva la prima di Lambo ecco perché le ho messe insieme.
Primo fra tutti, la mafia vera. La domanda di base era: i Vongola sono inguiati di soldi, non possono esserlo facendo i bravi ragazzi, francamente. L'unico modo è che anche loro facciano tutto quel giro di cose mafiose, alias droga, prostituzione, tangenti. Dei guardiani chi si occuperebbe mai di cosa?
Ecco dove mi viene fuori una storia su Ryohei. Se c'è un elemento che di lui hanno sottolineato sulla storia è che è molto protettivo con le ragazze in generale. Al punto che sacrificherebbe se stesso - la propria morale - per salvaguardare una ragazza.
Da qui l'altro tema. La fede. Perché lo stereotipo del mafioso medio indossa un crocifisso. Lo premetto subito. Non è una storia religiosa ma mi piace analizzare tutti i punti di vista dei personaggi e sostanzialmente il fatto che Tsuna pur non avendo le stesse idee le rispetta tutte (incluse il buddhismo versione Mukuro XD).
Secondo punto, confronto Famiglia/famiglia e di conseguenza confronto tra lo Tsuna "buono a nulla" di sempre e lo Tsunayoshi Sawada don Vongola.
Terzo punto, sviluppare il rapporto tra Tsuna e i suoi guardiani. Il che mi fa venir voglia di scrivere sette storie per ciascuno di loro. Il guaio è che mentre per alcuni è abbastanza semplice tirare fuori un'idea, per altri (e più di tutti Gokudera, ma anche Yamamoto non ci scherza) per niente.
Per cui... Non so se concluderò mai tutte e sette le storie, ma almeno sono scollegate tra loro.
Con questo vi ho annoiato abbastanza vi lascio alla storia. Spero possa piacervi.
Vongola Decimo
~ Ryohei ~
“…la madre e
onora il padre. Non uccidere. Non commettere atti impuri. Non rubare. Non
commettere falsa testimonianza. Non desiderare…”
“Ama il tuo Dio con tutto il tuo cuore e ama
il prossimo come te stesso.”
Ryohei
si voltò di scatto stupito. Seduto sulla panca alle sue spalle, nella piccola
cappella all’interno della magione, vi era il Boss di una delle più potenti
famiglie mafiose, in Italia e nel mondo.
“Tsuna…”
Il ragazzo si strinse nelle spalle. Gli
occhi fissi sulla croce dietro l’altare. “Reborn era
convinto che per completare il mio addestramento come padrino dovessi conoscere
a memoria il Vangelo.”
Il boxer si buttò contro la spalliera della
panca, le braccia allargate lungo il banco, la testa rivolta all’indietro.
Indossava ancora lo smoking. Da quando era rientrato dall’ultima missione aveva
avuto giusto il tempo di consegnare i rapporti a Gokudera,
prima che sentisse il bisogno di andare in Chiesa.
“E perché mai?” domandò, non trovandoci un
nesso.
“Diceva che un giorno avrei sentito il
bisogno di chiedere perdono. E che sarebbe stato meglio se per allora avessi
idea di come fare.”
“Mh” annuì il
ragazzo più grande. “E aveva ragione?”
“Non lo so. Non sono cristiano, quindi non
so se ha senso. Ma anche se fosse, il giorno che mi ritroverò a chiedere scusa
per i miei peccati non mancherò di far presente che è colpa sua se mi sono
ritrovato coinvolto nella mafia” sbottò con una smorfia che fece scoppiare di
risate Ryohei Sasagawa.
Ryohei
in una parola era rumoroso. Non che
gli altri Guardiani lo fossero meno messi insieme, ma Ryohei
aveva una sorta di primato. Non osservava il silenzio in nessun posto e per
nessun motivo. Neanche in ospedale. Anzi,
soprattutto in ospedale, decretò poi, visto
che era la sua sede principale.
La Fiamma del Sole serviva per curare e
dare vita, non era fatta per uccidere. Proprio per questo nella Famiglia il
ruolo di Sasagawa era presto diventato quello di
medico. Era lui ad occuparsi di dare il primo soccorso ai feriti e quando
partecipava a missioni il suo preciso compito era quello di supporto, mai di
esecutore.
Dei suoi Guardiani, Ryohei
e Lambo erano gli unici che non si portavano il peso
della morte sulla coscienza. Uno perché non poteva uccidere, l’altro perché era
ancora troppo giovane per lasciarsi coinvolgere pienamente dallo squallore
della mafia.
Qualunque fosse il motivo, avrebbe fatto di
tutto perché le loro mani, almeno le loro,
rimanessero pulite.
Ironicamente, erano anche i suoi unici
Guardiani ad avere il coraggio di credere in un Dio. In realtà, Lambo non si era posto troppe domande esistenziali,
semplicemente i Bovino erano cattolici e Lambo lo era
diventato di conseguenza. Quella di Ryohei, invece,
era una specie di crescita morale, o estrema
illuminazione, che aveva intrapreso da quando erano arrivati in Italia.
Neanche Chrome aveva
mai commesso un omicidio, ad esser sinceri, ma di questo doveva ringraziare Mukuro Rokudo, che l’aveva sempre
protetta e tenuta lontana dal campo di battaglia quando la situazione si
metteva male. Peccato che lui invece ne
commettesse abbastanza da compensare tranquillamente per la sua compagna.
“Non sapevo che il maestro
Pao Pao fosse credente”
rifletté ad alta voce il boxer.
Tsuna
non trattenne una smorfia sarcastica. “Penso sia più il diavolo in persona, ma
non so se questo significhi che crede nell’esistenza di una sua controparte
buona. Credo anche che abbia un girone dell’inferno riservato solo per me,
pieno di scartoffie da leggere e firmare, conti da pagare e burocrazia varia.
Un giorno me l’ha anche confessato, sai? Ha detto che stava scherzando, ma non
mi fido affatto, se vuoi la verità.”
Ryohei
rise ancora, una risata forte, virile, vitale.
“Sawada,
sembra estremamente simile al tuo ufficio, sai?”
“Tu dici?” ribatté
retorico. “Come è andata la missione?” Gli chiese poi, appoggiandosi al banco
di fronte, accanto al braccio sinistro del boxer, tonificato di anni di
allenamento.
Reborn
non c’era andato piano quando si trattava di addestrarlo, eppure lui non aveva
mai messo su troppi muscoli, pensò distratto.
Il Guardiano si concesse
qualche secondo di silenzio, tornò a guardare l’altare di fronte a sé, chiuse
gli occhi.
“Ho già dato tutto a Testa
di Polpo.”
“Sì, Hayato
ha sistemato il rapporto e me lo ha consegnato. Ma non mi interessa sapere che
c’è scritto, voglio che tu mi dica
come è andata.”
Ryohei
sbuffò. Riaprì gli occhi, si concentrò sulla statua del crocifisso finemente
lavorata.
“Certi uomini non li
capisco, Sawada” borbottò a bassa voce come se gli
stesse confessando un segreto.
Tsuna
non lo interruppe, non gli chiese spiegazioni, lasciò che si sfogasse.
“Come possono costringere
delle donne a vendersi per strada o picchiarle in quel modo? Insomma, anche
loro hanno madri o sorelle. Alcuni sono pure sposati e con figlie. Come possono
farlo? E se accadesse a qualcuna di loro?” Si fermò un istante, strinse i pugni
senza accorgersene, tremava. “Se una cosa del genere fosse successa a Kyoko…”
“Non le potrebbe mai
accadere nulla di simile. Tu non lo permetteresti, nessuno di noi lo farebbe.”
Negli ultimi giorni i casi
di prostitute assassinate erano aumentati in maniera preoccupante.
Probabilmente, si trattava di una faida: per ostacolare una Famiglia rivale,
qualcuno aveva deciso di ucciderne una delle principali fonti di guadagno.
Benché i Vongola non fossero
mischiati direttamente in quella storia, Tsunayoshi Sawada non era il tipo di Boss capace di starsene con le
mani in mano. Nessuno poteva permettersi
di uccidere liberamente nella sua zona.
Dopo anni nella mafia, un po’ mafioso lo
era diventato pure lui, a modo suo. Quanto fosse grande la sua zona andava dal proprio bagno al mondo intero, a seconda
dell’umore. In quel caso nella fattispecie, la sua zona comprendeva perfettamente l’area dove erano avvenuti gli
omicidi.
Si era occupato di persona, con l’aiuto di Gokudera e Chrome, della Famiglia
responsabile di tutte quelle vittime. Aveva punito ciascuno dei sicari, e dato
al Boss più di una valida motivazione per non provare mai più a mettersi contro
di lui.
Tsunayoshi Sawada, a capo dei Vongola, era il terrore nel terrore. Le
altre Famiglie temevano i Vongola più di ogni altra possibile minaccia, Tsunayoshi era la legge, impietoso con i nemici, misericordioso con gli amici, come gli
aveva insegnato Reborn.
Tsuna,
beh, non era né un demone, né un santo. Ma non poteva riportare la mafia al ruolo
di vigilanti e protettori senza combatterla dall’interno e, ormai, aveva visto e
sentito troppo, per non sapere quando fosse necessario essere implacabile.
Quando la Fondazione di Hibari
aveva indagato ulteriormente sul caso, per capire come fosse possibile quella
strage nel loro territorio, aveva
scoperto che una delle Famiglie alleate aveva messo su di nascosto un giro di
prostituzione che copriva tutta la regione, e invischiava un centinaio di
ragazze dai tredici ai venticinque anni. Sfruttando la protezione dei Vongola,
sfruttando la sua di protezione.
Reborn
gli aveva consigliato di non esporsi personalmente, non ancora almeno, non
prima di aver fatto sputare la verità al Boss alleato. La scelta era stata se
mandare Mukuro ad occuparsene o Ryohei.
Se avesse optato per Mukuro,
era certo non ci sarebbero stati sopravvissuti. Il Guardiano della Nebbia aveva
una vena omicida talvolta incontrollabile. Già normalmente non era la persona
più pacifica del mondo, ma qualunque missione implicasse sfruttamento di minori
si traduceva in un lago di sangue.
Era così d’altronde che era finita quando
gli aveva chiesto di occuparsi di due Famiglie del Nord che mandavano avanti il
mercato nero degli organi di bambini.
Ryohei,
invece, non avrebbe ucciso nessuno, non era nella sua indole e non si sarebbe
abbassato a sporcarsi le mani con gente che considerava indegna. Ma non
l’avrebbe fatta passare liscia a chi buttava con la violenza delle ragazze
sulla strada.
“Continuo a non capire. Tsuna,
tu non hai visto le cicatrici che avevano addosso. I lividi. Le bruciature. Un
uomo che fa queste cose non è estremamente un uomo” urlò alla fine, come a
sfogarsi.
Tsuna
non negò, non cercò neanche di consolarlo, perché Ryohei
non aveva bisogno di false parole di conforto, gli guardò le mani: erano
bendate, doveva essersi ferito a furia di usarle.
“Non avrei dovuto mandarti da solo” disse,
pensando a quanto dovesse aver lottato.
“No, hai fatto bene. Quelle ragazze erano
spaventate. Ho faticato parecchio a convincerle a fidarsi di me, se fossimo
stati in tanti sarebbe stato peggio.”
“Quante sono?”
“Sessantatré in
tutto. Almeno adesso. Ne sono morte almeno ventuno durante la faida. Le ho
rintracciate tutte, le ho curate come ho potuto. Però…”
Si interruppe di nuovo. La fronte
corrugata, gli occhi sempre fissi sul Cristo, quasi cercasse una risposta che
non riusciva a trovare.
Quando Tsuna capì
che non avrebbe proseguito da solo gli diede uno stimolo. Gli posò una mano
sulla spalla, stringendo con affetto. “Però?”
“Ho detto loro che sono libere, che possono
cambiare vita, ma non tutte vogliono.”
“In che senso?”
Finalmente Ryohei
si voltò verso di lui. Si girò a guardarlo negli occhi e Tsuna
vi lesse tutta la confusione e il dolore che il Guardiano provava in quel
momento.
“Hanno paura, Sawada.
Sono confuse, non lo so. Almeno una dozzina di loro mi ha chiesto di lavorare per me. Io non sono quel tipo di uomo, Sawada! Mi rifiuto che delle ragazze debbano prostituirsi e
pagarmi, ma loro vogliono assicurarsi la mia protezione. La mia parola non
basta, vogliono avere una conferma nell’unico modo che conoscono. Qualunque
cosa dicessi, loro non mi credevano, anche quando ho giurato di essere disposto
a proteggerle senza bisogno di nulla in cambio.”
“Di cos’è che hanno paura, Ryo?”
“Dicono che altri mafiosi le conoscono, che
prima o poi le costringerebbero a tornare su quella strada e che, se proprio
devono prostituirsi, vogliono un protettore che non le massacri. Che razza di
uomo sarei se accettassi una cosa del genere? Sarei identico ai bastardi che le
hanno costrette a…”
“No” lo interruppe Tsuna,
rilassandosi contro lo schienale. Fu lui a guardare la statua del Gesù
crocifisso questa volta.
Non era la sua religione quella e in realtà
non ce l’aveva neanche una religione, ma capiva benissimo ugualmente che Ryohei era andato in Chiesa per seguire quel consiglio che Reborn aveva dato a lui a suo tempo. Aveva bisogno di
chiedere perdono.
Non serviva sapere quale fosse il peccato
che si sentiva sulla coscienza, semplicemente, non stava bene
con se stesso. La mafia non faceva stare nessuno bene.
“Tu non hai mai forzato nessuno a fare
nulla, né tanto meno hai usato la violenza su delle donne. Se scelgono di
continuare a fare quello che facevano prima, non è colpa tua. Neanche se
accetti di proteggerle.”
“Ma io non voglio estremamente che continuino” puntualizzò il più grande.
Tsuna
si grattò la testa pensieroso. I suoi Guardiani facevano a gara a chi fosse più
cocciuto: avrebbe potuto cercare di far ragionare Ryohei
per ore, ma non aveva speranze di fargli capire che non era responsabile delle
azioni altrui.
D’altronde, neanche Reborn
ci riusciva molto con lui stesso.
Ma se tutto ciò che Tsuna
faceva era per proteggere la sua famiglia e le persone che gli stavano a cuore,
Ryohei d’altro canto aveva la sindrome del fratello
maggiore. Non poteva dirgli che una cosa non lo riguardava in prima persona,
quando si convinceva del contrario. Smise anche di provarci.
“Cosa credi che farebbe Lui al tuo posto?”
chiese invece, indicando col mento la statua.
Ryohei
si voltò di nuovo, concentrato seriamente come lo era stato prima quando
ripeteva i Comandamenti. Tornò a guardare il suo boss. “Insegnerebbe loro ad
amarsi.”
“Mh. Allora sai
cosa fare.”
“Ma io non ne sono capace, Sawada!”
“Sì, che lo sai fare. In questi anni ti sei
preso cura di Kyoko, di me, dei bambini e di tutti
gli altri.”
“Curare una ferita o due è estremamente
diverso.”
“No, ti sei preso cura di noi come farebbe
un fratello. E’ quello che sai fare di più e se continui non puoi sbagliare.”
“Tsuna, quelle
ragazze hanno subito troppo per fidarsi fino a questo punto di un uomo, di uno
come me per lo più” chiarì, implicando il suo appartenere alla mafia. “Non
vogliono un fratello e non vogliono me
per fratello.”
“Ryohei” lo
chiamò l’altro dolcemente “da quando ti arrendi al primo tentativo? Mi hai
tormentato per il club di boxe per cinque anni e adesso getti già la spugna?”
“Ma non è la stessa cosa…”
“Tu però puoi affrontarla allo stesso
modo.”
Ryohei
si fermò un attimo a riflettere sul senso di quelle parole. Non aveva mai convinto
il ragazzo che gli era di fronte ad accettare la boxe come proprio destino. Anzi,
nel tentativo di farlo, era stato lui piuttosto a cambiare idea e capire che
preferiva più imparare come salvare i propri amici e non come affrontare i
propri nemici.
Ma non aveva mai mollato, anche quando
sapeva che era una causa persa.
D’altra parte Sawada
non aveva vissuto ciò che avevano provato quelle povere ragazze sulla loro
pelle. Non quando frequentavano ancora le scuole, almeno. Lui non aveva demoni
da affrontare.
Lo guardò attentamente, ne studiò il
sorriso caldo, affettuoso, quello che non mancava mai di rivolgere ai suoi
amici, ma gli occhi erano stanchi, provati, vissuti. Si contraddisse, sia Tsuna che lui stesso avevano conosciuto la violenza sin
dalle medie. Solo perché il modo era diverso, non significava che la mafia non
avesse messo più volte le loro vite in pericolo.
Ryohei
aveva solo sedici anni quando era finito nelle mani dei Vindice e, seppur per
breve, aveva assaggiato ciò che Mukuro Rokudo aveva vissuto per anni, fin da quando era solo un bambino.
Tutti loro, in qualche modo, avevano dovuto
lottare contro le proprio paure, contro se stessi e un mondo perverso, quando
erano ancora adolescenti. Ma erano sempre stati uniti, si erano protetti a
vicenda ed erano diventati ogni volta più forti.
Solo perché quelle ragazze temevano la
libertà, non significava che lui non potesse aiutarle a crescere ugualmente.
Doveva quanto meno provarci. E riprovarci. E riprovarci ancora, finché non
avesse compiuto il suo obiettivo.
Il Maestro Colonnello non gli aveva
insegnato ad arrendersi alla prima difficoltà, ma ad abbattere con un pugno una
montagna intera. Anche quando quella montagna non esisteva affatto, se non
negli incubi di qualcuno.
Tsuna sorrise
ancora di più: poteva quasi vedere le fiamme della risoluzione accendersi nei
suoi occhi.
“Hai ragione. Me ne prenderò cura io e le
convincerò che quella vita non fa per loro.” Si fermò a pensare a quale
alternativa proporre loro, come convincerle che se ne sarebbe preso cura
ugualmente. “Sawada!” gli urlò rompendogli un timpano
“A te servono dodici infermiere, vero?”
“Se le tieni lontane da Shamal”
mormorò, tenendosi dolorosamente le orecchie.
“Bene, mi faccio una doccia e vado in
missione.”
“Dovresti dormire un paio d’ore prima, lo
sai?”
“Non c’è tempo. Finisci di pregare per me.
Io vado.”
Quando lo vide uscire dalla cappella come
se volesse demolirla temette di aver creato un mostro. Si alzò anche lui,
buttando un ultimo sguardo al Cristo.
“Non ti offendi, vero?”
Mettersi a pregare al posto di Ryohei ad un Dio in cui non credeva sarebbe stato fin
troppo ambiguo anche per lui. Quando nessuno lo fulminò, ne dedusse che, ammesso
che Ryohei aveva ragione e quel Dio esisteva, non se
l’era presa.
“Mi chiedevo se avessi intenzione di
restare qui per sempre” mormorò appena uscì alla cappella, senza bisogno di
guardare la figura di Reborn, stagliato accanto alla
porta.
“Te ne eri accorto.”
In realtà, l’intuito dei Vongola gli diceva
sempre quando c’era un pericolo in agguato, e lui era il più grande che potesse
affrontare. Non lo disse ad alta voce, ma da come l’hitman
ghignò, dedusse che l’aveva capito lo stesso.
“Potevi anche entrare e darmi una mano,
comunque. A Ryohei non sarebbe spiaciuto il parere di
una persona che stima.”
“Ti stima.”
“Come amico, non come maestro. E’ diverso.”
Reborn
si strinse nelle spalle. “Beh, te la sei cavata comunque da solo e poi il suo
maestro è Colonnello. In più, io non posso entrare in Chiesa.”
“E perché?” chiese Tsuna
con aria scettica, già prevedendo come sarebbe andato a finire.
“Rischierei di bruciarmi e trasformarmi in
cenere” gli rispose con un sorriso troppo grande per i suoi gusti, roteando la
testa in una posizione innaturale del collo.
Tsuna
lo guardò con una specie di tic ad una palpebra. Poteva scherzare quanto voleva, ma iniziava a pensarlo davvero che Reborn fosse il diavolo in persona!
“Don Maurizio, non vi trovo in forma come
l’ultima volta che ci siamo incontrati” esordì in tono provocatorio, quando
entrò nella stanza buia e angusta.
La prima volta che era entrato nel quartier
generale Vongola, ancor prima di diventare Boss, Reborn
lo aveva obbligato ad un tour forzato di tutta la magione, costringendolo a
subire tutte le trappole mortali che erano nascoste dietro ogni singolo angolo.
Quando erano scesi nei sotterranei era
rimasto sorpreso nello scoprire l’esistenza di prigioni vere e proprie, per
quanto inutilizzate, e di quella che Reborn gli aveva
indicato come “La sala per le torture,
ossia per gli interrogatori”.
Non aveva dato retta alle sue spiegazioni,
non gli interessavano, sapeva solo che quella stanza non l’avrebbe usata mai,
per nessun motivo al mondo. Poi era diventato Boss e aveva perso un pezzo in
più di innocenza.
Non era un sadico, non si divertiva a
torturare gli altri, ma far credere ai suoi nemici che lo fosse, gli aveva
risparmiato ben più di un omicidio. Nella sua ottica, quella stanza serviva per
creare un po’ di scenografia.
Tuttavia, era ovvio che l’uomo che aveva di
fronte non doveva essere piaciuto particolarmente a Ryohei,
visti i lividi ormai giallastri che gli coloravano il volto. E, a giudicare
dalle ferite fresche, era stato Hibari ad
accompagnarlo in lì dentro.
L’uomo, malmenato e legato ad una sedia sgangherata,
lo guardò con rabbia feroce, ma conosceva abbastanza la sua posizione da sapere
bene che in quel momento non gli conveniva offendere l’altro.
Lui era legato e disarmato, il giovane Don
che lo squadrava dall’alto in basso con una gelida sfumatura arancio negli
occhi non lo era affatto.
“Don Vongola, vi prego” cominciò tremante.
Di paura, ma anche di ira, capì Tsunayoshi. “Mi dovete
credere, non avrei mai voluto offendervi. Le nostre Famiglie sono alleate da
sempre!”
Quando era diventato Boss, Tsuna aveva riconfermato tutte le alleanze di Vongola IX,
al di là di qualunque cosa gli suggerisse il proprio istinto. In più, era
sempre stato pronto sin da ragazzo a perdonare i propri nemici e ad accoglierli
come amici. Reborn glielo rinfacciava continuamente, nonostante
fosse orgoglioso di lui proprio per questo.
I Vongola avevano molti più alleati che
rivali, il primo passo verso il cambiamento che Tsuna
voleva raggiungere. Un mondo senza mafia.
“Vedete, don Maurizio, è proprio questo il
problema. Io vi ho dato la mia amicizia, voi la disprezzate così.”
Sentì Reborn alle
sue spalle trattenere a stento una risata e spacciarla per un ghigno sadico. Se
avesse potuto permetterselo, Tsuna avrebbe riso anche
lui, ma in quel momento rischiava probabilmente che il suo ex tutor e attuale
Consigliere Interno lo sparasse.
Usare quella stanza non aveva senso se non si
dava un qual certo contegno, e in fondo i mafiosi come Maurizio Pantaleone non avevano veramente voglia di discutere e di
cercare di capire perché si fosse arrabbiato. Tirare fuori un repertorio da
film gangster stranamente li terrorizzava abbastanza da renderli docili, per
quanto lui in quel momento si sentisse come Marlon Brando ne Il Padrino.
“Don Vongola, non oserei mai, vi giuro!”
“Don Maurizio avete sfruttato la nostra
alleanza per azioni che io e la mia Famiglia non abbiamo mai approvato. E ora
mi dite di non disprezzare la mia amicizia?”
“Vi prometto che non accadrà più, Vongola!”
“Lo spero bene per voi! Avete almeno idea
di quello che avete fatto a quelle povere ragazze?”
Reborn
alle sue spalle sbuffò, senza farsi sentire dalla loro vittima. Tsuna recitava da cani, era quella la verità. E non avrebbe
mai imparato a non farsi coinvolgere in prima persona. Era anche pronto a
giurare che se quel povero bastardo fosse riuscito a convincere il suo istinto
di essere chiaramente pentito, il suo studente buono a nulla lo avrebbe
lasciato andare. Come Mukuro non mancava di
sottolineare mai, Tsunayoshi era la vergogna di tutti
i Boss della mafia. Ma era il migliore proprio per questo.
Purtroppo per lui, Don Maurizio Pantaleone era troppo idiota per capire quale fosse la sua
possibilità di salvezza ed intraprese la scelta sbagliata.
“Vongola, suvvia non fraintendete, alla
fine non è così grave la situazione” cominciò persuasivo, con un sorriso falso
sulle labbra. “In fondo, a quelle quattro puttanelle vogliose di…”
Si zittì quando una stretta ferrea gli
afferrò rudemente il colletto. Non capì neanche come aveva fatto quella specie
di marmocchio che si spacciava per Boss della malavita a muoversi tanto
velocemente.
“Non pensateci nemmeno a finire la frase,
se volete uscire di qui con le vostre gambe.”
L’uomo, ingoiò a vuoto, poteva quasi
giurare che il tono di voce del Don di fronte a lui fosse cambiato, come se
fosse sceso di qualche ottava. Gli occhi erano di una sfumatura arancia del
sole al tramonto.
Quello fu il momento in cui capì di aver
mandato a puttane la sua unica occasione.
“Don Maurizio, ora vi dico che farete. Ve
ne andrete da qui e vi costituirete alla polizia. Confesserete tutto ciò che
avete fatto e mai, se non volete condannarvi a morte con le vostre stesse mani,
cercherete vendetta contro quelle povere ragazze. Mi sono spiegato a
sufficienza?” L’uomo lo guardò con occhi sgranati, non riusciva a credere a ciò
che aveva appena sentito e il panico di quella morsa lo attanagliava. “Avete
ventiquattro ore per costituirvi, vi avverto. Se provate a scappare vi giuro
che vi ritroverò anche in capo al mondo e che lascerò che siano i Vindice a giudicarvi.
E ora sparite immediatamente dalla mia vista.”
“Non potete farmi questo” biascicò per
quanto la stretta del ragazzo gli permettesse.
“Non mettete alla prova la mia pazienza,
non vi conviene.”
Tsunayoshi lasciò
la presa sulla camicia per liberarlo in fretta e lasciare che se ne andasse.
Don Maurizio non ci pensò due volte a prendere la porta.
“Un’ultima cosa” lo fermò Reborn, prima che potesse uscire. L’uomo si voltò
terrorizzato sentendo un rumore metallico a lui familiare. L’hitman non lo guardava, ma stava controllando quanti colpi
avesse in canna. “Quando sarete di fronte al commissario di polizia, non
pensate nemmeno di tradire l’Alleanza. Sapete cosa accade a chi infrange
l’omertà, vero?” chiese angelico, prima di richiudere la pistola.
L’uomo scappò urlando a gambe levate.
Quando Tsunayoshi
fu sicuro che non fosse nelle vicinanze tirò un sospiro. Era esausto. “Era
necessario minacciarlo di morte in quel modo?” chiese, arrabbiato, a Reborn.
L’altro si calò meglio in testa il
cappello, come a nascondere un ghigno divertito. “Non l’ho mica minacciato,
stavo solo controllando l’arma. E poi c’hai pensato tu a fare tutto il resto.”
“Non me la dai a bere” lo informò tanto per
fare, decidendosi ad uscire anche lui da quella stanza che sapeva di tutto ciò
che odiava della mafia.
“Non mi spreco neanche con quelli del suo
rango, dovresti saperlo, Tsuna. E ora datti una
mossa” lo riprese, con un calcio ben mirato in testa che lo fece urlare come
una ragazzina. “Guarda che i tuoi documenti non si leggono e non si firmano da
soli. E ora che Ryohei ha deciso di arruolare nella
famiglia anche una dozzina di ragazze in più, ti tocca un bel po’ di burocrazia
da firmare.”
“Ehi, aspetta, ma aveva detto che se ne
sarebbe occupato lui!”
“Sì, ma ho pensato preferissi farlo tu e
gli ho mandato a dire di portarti tutte le scartoffie nel tuo girone. Ops, intendevo nel tuo studio” concluse il sicario
sbattendo gli occhi con faccia innocente e un vestito da angelo che Tsuna non riusciva a capire da dove diavolo avesse tirato
fuori. Aveva anche una specie di aureola che gli galleggiava sulla testa.
“Ma come diav…
No, non me lo dire. Preferisco non saperlo.”
Reborn
si limitò a ghignare mentre svolazzava letteralmente per i corridoi dei
sotterranei, neanche fosse Byakuran. Aveva un alleato con il complesso del dio e
Satana come consigliere, prima o poi avrebbe fatto una brutta fine, se lo
sentiva.