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Autore: LaRagazzaConLaSciarpaRossa    24/11/2013    3 recensioni
AU!
Elena Gilbert è una giovane avvocatessa appena laureata che viene convinta dalla sua migliore amica Caroline a raggiungerla a New York dove lavora allo studio legale Somerhalder&Wesley. L'ultima cosa che le interessa è farsi coinvolgere da un ragazzo, ma quando conoscerà Damon Salvatore scoprirà che non è facile dire di no a due occhioni profondi.
Dalla storia "Prima di alzarmi dal letto quella mattina, rimasi avvolta dalle lenzuola leggere per dieci minuti buoni. Avevo sognato Damon. Oddio era così strano chiamarlo per nome. Mi dava l'impressione di conoscerlo. E questo non poteva assolutamente essere più stupido visto che avevamo scambiato appena qualche parola sull'aereo mentre cercavo ripetutamente di non vomitare. Ma dovevo essere onesta con me stessa: mi aveva colpito. All'inizio in modo negativo e dopo in modo molto, molto positivo. Era uno sconosciuto e si era preso cura di me in un momento in cui mi sentivo letteralmente morire"
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caroline Forbes, Damon Salvatore, Elena Gilbert, Stefan Salvatore, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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4

The Lawyer Gigolò

 

Pov Damon

 

Ero tornato nella City da una settimana e la Florida già mi mancava. Tutte quelle ragazze in bikini così disponibili, gli ombrellini decorativi nei cocktail, il sole cocente in autunno... si Tampa mi mancava molto. Ma era un sogno troppo bello per durare una vita.

Così come il mio dolce riposo quella mattina...

«Ehi Lady D! Svegliati o farai tardi anche oggi». Stefan era in piedi accanto al mio letto, soffocante come al solito. Odiavo quando sfoggiava le sue maniere da mammina. E naturalmente odiavo i suoi nomignoli.

«Vattene Stefan» brontolai girandomi dall'altra parte del letto. Mi sembrava di essere tornato al liceo quando il piccolo Stefan veniva a tormentarmi dopo una nottata di sbronza.

«No, lo sai che non puoi arrivare quando vuoi, non sei un socio paritario»

«Per ora! Non lo sono per ora» dissi sedendomi sul letto e guardandolo con gli occhi ancora annebbiati per il sonno. Stefan era già vestito, con il suo elegante completo scuro e sorseggiava del caffè fumante dalla tazza di porcellana bianca.

«Beh se continui ad arrivare tardi papà si arrabbierà di nuovo»

«È questo il bello di non essere il figlio preferito, lui non si aspetta che io sia puntuale».

Stefan mi lanciò la sua solita occhiataccia da "ti comporti come un quindicenne", il ché era parecchio divertente visto che era lui quello da poco uscito dall'adolescenza.

«Ti aspetto in cucina» disse uscendo dalla mia stanza.

Ed ecco l'ultimo motivo per cui mi mancava la Florida, non dovevo avere a che fare con Stefan e Salvatore Senior.

Io e mio padre non eravamo mai andati molto d'accordo. Fatto comprensibile vista la nostra insormontabile differenza caratteriale e la sua capacità di mettermi costantemente sotto pressione, dalla prima camminata fino alla laurea in legge. Negli ultimi anni era tutto peggiorato, più gli tenevo testa, più lui si indispettiva e più lui si indispettiva, più io ero felice. Eravamo due entità distinte, perennemente in lotta tra loro e il nostro unico modo di comunicazione era lo scontro.

Con Stefan le cose erano diverse. Eravamo diversi, ma uniti. Da piccoli io ero il suo mito, il suo modello e come dargli torto? Ero sempre circondato da bellissime ragazze e tenevo testa alle follie di nostro padre. Ma anche con lui le cose erano cambiate. Da qualche anno il suo obiettivo era diventato quello di tranquillizzare i freddi rapporti tra me e mio padre. Voleva che fossimo una grande e bella famiglia felice ma io non riuscivo a fingere a lungo, nemmeno se era il piccolo Stef a chiederlo. Mal sopportavo i modi di fare autoritari di mio padre, sopratutto da quando non avevo più bisogno di lui per sopravvivere. Alla fine anche con Stefan i rapporti erano mutati, nonostante lui si ostinasse a farmi da balia.

Uscii dal letto e cominciai a vestirmi. Se dovevo svegliarmi così presto al mattino per fare il bravo dipendente avevo almeno il diritto di una buona dose di caffeina. Doppia dose, magari.

Entrai in cucina e vidi Stefan armeggiare con il forno a microonde. Lui e la "tecnologia", non c'era accoppiata più disastrosa.

«Che stai facendo?»

«Guarda! Guardami! Sembro...»

«Justin Bieber?».

Stefan mi lanciò un'altra occhiataccia. Era la seconda quella mattina. «Volevo dire "poco riposato", ho un importante incontro con un cliente questa mattina»

«Hai fatto le ore piccole questa notte? Così mi riempi d'orgoglio, fratellino!»

«Finiscila! Sono solo andato a casa di Caroline per ricontrollare i documenti della Sheffil&Marks...»

«Aspetta!...Te la fai con Blondie? Vorrei dire che non me l'aspettavo ma...»

«Damon non cominciare, sai già che sono ancora...»

«Si si, Katherine-focalizzato» commentai annoiato.

Speravo che la coppia più bella del mondo si fosse lasciata non avrei più dovuto sorbirmi i monologhi di Stefan su quell'arpia, invece era passato un anno ed eravamo ancora allo stesso straziante punto. Parliamoci chiaro, la prima volta che Stefan aveva portato a casa Katherine ero rimasto sorpreso. Aveva due anni più di lui ed era bellissima, quel genere di ragazza che ricopre la prima pagina delle riviste patinate. Ma era bastato poco tempo per inquadrarla: era viziata, capricciosa, egoista. Personalmente, riuscivo a sopportarla solo dopo una bottiglia di Bourbon. Tutta quella bellezza sprecata.

Ero sconvolto quando avevano festeggiato il loro primo anno insieme e lo ero ancora di più dopo il secondo. Poi cominciò la serie di tira e molla che avevano caratterizzato gli ultimi tre anni del college di Stefan e infine la rottura finale. Stefan non era mai stato fortunato quanto me con le donne. Lui voleva il grande amore, la storia per la vita. Dovevo insegnarli ancora molto.

«E poi c'era Elena e...hai smesso di ascoltarmi mezz'ora fa, non è vero?».

Lo guardai «Elena?»

«Si...la nuova associata...»

«È una tua amica?» gli chiesi.

«No, è la migliore amica di Caroline, arrivata la scorsa settimana da Richmond, perchè?»

«Sai se è single?».

E vai con la terza occhiataccia di Stefan «Non ci pensare neanche!»

«Che cosa?» domandai innocente ma Stefan non era così stupido. D'altronde aveva pur sempre il mio stesso sangue.

«Non ci provare! Se te la porti a letto e poi la scarichi, Caroline mi ammazza»

«Perché mai pensi sia in grado di fare una cosa del genere?».

Quarta occhiataccia. «Anni di esperienza confermano quanto detto, comportati bene»

«Io mi comporto sempre bene» replicai fingendomi offeso «Beh...quasi sempre»

«Dimostramelo andando a lavorare in orario, oggi» continuò Stefan recuperando il suo trench e la ventiquattrore.

«Si mammina» e non appena si richiuse la porta alle spalle mi fiondai in camera per altri cinque minuti di sonno.

C'era qualcosa in quell'Elena. Qualcosa che mi faceva sorridere e persino...intenerire. Aveva due grandi occhi da cerbiatto di un intenso color castagna. Di per se non erano poi così speciali, erano pur sempre occhi scuri no? Ma il modo in cui si muovevano quando mi guardava, così analitici e indagatori...avevano qualcosa di intrigante che non riuscivo a spiegarmi.

Era giovane, un po' impacciata e timida. Carne fresca per il mio fascino.

 

Quando uscii dall'ascensore – con un'ora di ritardo – mi precipitai in ufficio per lasciare il cappotto. Sussultai quando la poltrona girevole alla scrivania si voltò. Poteva benissimo essere Stefan con una delle sue prediche esplosive.

«Rebekah» salutai la giovane donna rilassata sulla poltrona in pelle nera. Lei mi rivolse un sorriso malizioso.

«Mi stai ignorando da mesi» cominciò accavallando le gambe avvolte da calze velate.

«Intendi le sette chiamate senza risposta? Ho perso il telefono»

«E le e-mail?».

Feci spallucce «Non uso le e-mail, Maynard si offenderebbe»

«Chi è Maynard?»

«Il mio piccione viaggiatore!».

Rebekah mi lanciò un'occhiata scettica e priva di qualsivoglia allegria. Non si stava divertendo quanto me per questo scambio di battute.

«Credevo avessi detto di non farne un affare di stato» aggiunsi calmo posando il cappotto sul divanetto.

«Ma sei sparito senza avvisare».

Alzai gli occhi al soffitto scocciato «Credevo ti piacessero i cattivi ragazzi»

«Solo quando riesco a domarli» rispose alzandosi in piedi e avvicinandosi. Allungò la mano sulla mia guancia e l'accarezzò dolcemente.

Avevo incontrato Rebekah la prima settimana del mio soggiorno a Tampa, lei era li con le sue compagne della Confraternita per le vacanze di primavera. Tuttavia sapevo chi era ancora prima di conoscerla ufficialmente. Rebekah era la piccola di casa Mikaelson, i maggiori concorrenti dello studio legale per cui lavoravo. Lo ammetto, il primo pensiero che avevo avuto non era stato il più innocente. Portarmi a letto la sorellina di Klaus era qualcosa a cui non avrei mai potuto rinunciare per nessun motivo al mondo. Ma le sue attenzioni erano diventate piuttosto inquietanti e morbose. Nonostante i suoi intriganti atteggiamenti da femme fatale era ancora una ragazzina, un po' petulante anche, alla ricerca del grande amore.

«Come sei entrata?» le chiesi allontanando la sua mano dal mio viso.

Lei sorrise ammiccante «Gli addetti alla sicurezza sono pur sempre uomini, no?». Sbuffai leggermente contrariato. Dovevo fare quattro chiacchiere con Bob della sicurezza appena riuscivo a liberarmi di lei. Non era possibile essere abbindolati così da una ventitreenne qualunque.

«Cosa direbbero i tuoi fratelli se sapessero che sei qui?»

«Non è quello che speri in fondo?»

«Quello che spero è che nessuno ti veda qui» risposi secco.

«Guarda che non ho scritto Mikaelson sulla fronte, nessuno saprà che ti sei fatto il nemico, se è questo che ti preoccupa» mormorò lei infastidita.

Recuperò la borsetta da sotto alla mia scrivania e si avviò verso la porta a passo spedito «Ma starei attento al posto tuo, perché non è nella mia natura...mantenere a lungo i segreti».

Come se m'importasse davvero che qualcuno lo scoprisse, non esistevano conseguenze che mi potevano preoccupare, era questo il bello di essere scapoli e in cattivi rapporti con il proprio padre.

Il telefono sulla scrivania cominciò a squillare.

«Pronto?»

«Sei in ritardo di un'ora, ti sei perso la riunione con Wesley e papà» disse Stefan con voce grossa. Dio quanto lo odiavo nelle vesti di fratello apprensivo.

«C'era traffico»

«Se fossi uscito con me questa mattina...»

«Lo so, lo so, da chi devo andare a scusarmi per primo?» domandai annoiato anche se sapevo già che Giuseppe era il vero problema.

«Fa un po' tu» rispose Stefan chiudendo la telefonata. Adesso ci mancava anche il fratello permaloso.

Accesi i computer, lessi le e-mail, mi aggiornai con la mia segretaria, Emily, sui processi che avevo assistito prima di volare a Tampa e poi, con il sorrisino beffardo che tanto faceva infuriare Giuseppe mi diressi verso il suo ufficio al cinquantaseiesimo piano. Oltrepassai i corridoi a passo svelto, salutando qua e là alcuni colleghi che non vedevo da tempo e poi mi fermai, poco prima di arrivare agli ascensori. Nella saletta del caffè, normalmente ripiena di tutte le leccornie che minavano la silhouette delle colleghe più anziane, intravidi Elena chiacchierare allegramente con un'altra ragazza, probabilmente un'altra nuova associata.

Mi avvicinai velocemente, come se fossi attirato da un magnete formato persona. E molto sensuale per giunta. Indossava un abitino aderente di color vinaccia che donava molto con la sua carnagione olivastra.

«Buongiorno belle fanciulle» annunciai la mia entrata con un sorriso. Appena mi vide, Elena roteò gli occhi. La guardai per un secondo, intensamente, ma poi mi avvicinai all'altra ragazza e allungando la mano mi presentai «Non credo ci siamo mai incontrati, sono Damon Salvatore».

La ragazza arrossi violentemente «Aimee» bofonchiò timidamente.

«Incantato» dissi con voce bassa, sensuale. Elena schioccò la lingua con un misto di fastidio e scetticismo, un po' perché, come aveva già specificato, riteneva i miei metodi di abbordaggio antiquati e banali e un po' perché come io avevo sottolineato, funzionavano sempre.

«Oh ci sei anche tu...Ellen, giusto?»

«Ah» Elena si portò una mano al petto con aria teatrale «mi ferisce che tu non ricordi il mio nome».

«Io devo andare» s'intromise la ragazza «È stato un piacere conoscerti, Damon».

Sorrisi a Aimee e tornai a guardare Elena divertito.

«È molto carina» dissi indicando con il pollice la porta che Aimee aveva appena varcato.

«Quasi quanto i tuoi tentativi di corteggiamento»

«Quale corteggiamento?» domandai innocente.

«Mi ignori sperando di farmi diventare gelosa» rispose lei calma, con il sorriso di una che conosceva bene la mente maschile.

«Ah sei anche veggente adesso?»

«Solo quando si tratta di te»

«Quindi sono sempre nei tuoi pensieri»

«È solo che sei molto prevedibile» mi rispose con un sorriso beffardo.

Era molto carina quando rideva in quel modo. Guardarla aveva uno strano effetto su di me, e non solo perché la sua bellezza mi solleticava certe fantasie, ma anche perché sentivo uno strano movimento intercostale ed era una sensazione piacevole e per certi versi anche...esaltante. Mi affascinava quando diceva di no. E non perché era la prima donna a farlo ma per il modo, elegante, divertente e ostinato con cui lo faceva.

Prese a ridacchiare e io la guardai perplesso «Perché ridi Gilbert?»

«Come sai il mio cognome?...Sei una specie di Veronica Mars?» domandò seria, ma senza nascondere un velo di ilarità tra le sue parole.

«Ah ah. Sono un avvocato, è mio dovere conoscere tutti i dettagli» in più tutti i dati sui nuovi associati erano alla mercé di tutto il personale con un briciolo di esperienza «Illuminami, perché ridi?»

«Per la mia invidiabile perspicacia» rispose avvicinandosi «Anche se, ti svelerò un segreto, speravo non fossi in solito cliché»

«E quale sarei scusa?» chiesi di nuovo esagerando la mia perplessità.

«Il tipo “Sono figo e mi faccio chiunque respiri”» mormorò tranquilla mimando le virgolette con le dita.

«E da cosa l'hai capito piccola Sherlock?»

«Ehm...prova a guardarti un po' intorno».

Oltre le mura della saletta notai molte donne passare accanto a noi buttando un occhio all'interno della stanza e più precisamente nella mia direzione. Mi sorrisero tutte quando le adocchiai, come stessero aspettando un mio cenno da tutta la mattinata. E se normalmente lo avrei apprezzato, in quel momento mi infastidiva un po'.

«E che c'è di male?» ribattei tornando a concentrarmi su Elena.

«In realtà niente, ma io non amo i collezionisti di donne»

«Ti sbagli, io non sono un collezionista...»

«No, certo, tu sei...fammi indovinare...un benefattore, un dispensatore di felicità per le donne, dico bene?» chiese sprezzante.

«Non sono uno che ha paura di impegnarsi» affermai deciso e la mia voce risultò più dura di quanto volessi apparisse. Non mi piaceva sentirmi giudicato e anche se forse Elena non lo stava facendo, sentivo come il bisogno di difendermi. La guardai e notai la sua espressione confusa, non si aspettava una reazione di quel genere.

Ripresi il controllo e il mio solito ghigno «Non sono uno che ha paura d'impegnarsi, quello si che sarebbe un cliché, diciamo che non ho ancora trovato la ragazza giusta»

«Forse perché la cerchi con il metodo sbagliato, dovresti concentrarti più sul carattere che sulla disponibilità»

«Ehi, per caso ti stai proponendo?» chiesi beffardo.

Scoppiò in una risata «Non ci conosciamo nemmeno!»

«Questo non è un no»

«Ma neanche un sì» mi fece notare.

«Ma potrebbe diventarlo».

Mi guardò attentamente, con gli occhi stretti, il sorriso sulle labbra e scuotendo la testa da destra a sinistra. Stava per dire qualcosa ma io la bloccai sul tempo.

«Esci con me Gilbert».

Rimase in silenzio per qualche secondo, mi fissava come se cercasse di scovare uno scherzo nella mia proposta. Ma io ero serio, molto serio.

«Dai, un drink. Vediamo che succede» insistei allegro. Genuinamente innocente.

«No»

«Perché no? Hai paura possa piacerti?»

«Perché tu non sei il mio tipo» rispose ma glielo leggevo in faccia che non ne era convinta.

«Come lo sai se non ci conosciamo?» domandai calmo.

Elena si mordicchiò le labbra, senza accorgersi di quanto sensuale fosse in quel momento.

«Lavoriamo insieme...»

«Solo tecnicamente, la probabilità che ci assegnino alla stessa causa è molto bassa»

«Bassa o no, esiste»

«Secondo me hai paura» aggiunsi senza riuscire a trattenermi. « Difficilmente riusciresti a resistere al mio fascino. È per questo che mi stai dicendo di no, ma...sei ancora qui perciò una parte di te dev'essere intrigata dalla mia proposta».

Riuscivo a vedere le sue idee nella testa scontrarsi a vicenda come nel più feroce film di Tarantino, era indecisa, terribilmente dubbiosa perché il suo istinto le diceva di lasciarsi andare, un'uscita non aveva mai ucciso nessuno, ma la sua mente faceva resistenza, il ché, a mio parere, era strano visto che era appena arrivata in città e non poteva aver già sentito parlare male di me...

«No, mi dispiace» disse infine, recuperando dal tavolo di legno la sua tazza di caffè e correndo verso l'ufficio.

 

Se pensava davvero che un no sarebbe stato sufficiente per farmi desistere si sbagliava di grosso. Dopo la “simpatica” chiacchierata con Giuseppe, mi ero rinchiuso nel mio ufficio. Seduto sulla poltrona di pelle nera, sorseggiavo un goccio di whisky regalatomi da un cliente qualche ora prima.

Non voleva uscire con me. Non voleva uscire con me? Oh andiamo! Tutte volevano uscire con me! Potevo leggerglielo negli occhi che il suo due di picche era solo un debole tentativo per allontanarmi... tuttavia questa cosa mi stava ossessionando.

Non era la prima volta che una ragazza rispondeva negativamente ad una mia proposta di uscita, le contavo su una mano, ma non era la prima. Eppure questa situazione m'infastidiva più delle altre. Come poteva dirmi di no se nemmeno mi conosceva? Okay forse il primo, veloce, scambio di battute sull'aereo non era stato dei più eleganti, ma andiamo! Non si dovrebbe mai giudicare una persona alla prima occhiata, giusto? A meno che non cominci a parlare di fumetti o ricamo, s'intende.

Presi in mano una delle cartelle consegnatemi direttamente da mio padre e cominciai a sfogliare la prima della cima. Salvatore Sr. voleva che me ne occupassi con grande cura, possibilmente richiedendo l'aiuto di Stefan. “Una causa di famiglia” mi aveva detto qualche ora fa “Servitene per risarcire lo studio dei tuoi quattro mesi d'insubordinazione”.

Mi venivano i brividi al solo pensiero. Preparare una causa con Stefan significava rimanere delle ore sullo stesso paragrafo dell'arringa per verificare che non ci fossero pecche utili alla controparte. La mia vita sociale ne sarebbe uscita distrutta. In più non avrei potuto sgattaiolare in giro per i corridoi a stuzzicare Elena con il mio fascino. Prima o poi avrebbe ceduto, me lo sentivo.

Forse un modo per accelerare la nostra reciproca conoscenza c'era...

Mi alzai dalla poltrona reclinabile con ritrovata fiducia. Controllai l'orologio e raggiunsi il piano in cui lavoravano gli associati del primo e del secondo anno. Se la fortuna mi assisteva sarei stato fortunato e l'avrei trovata proprio alla sua scrivania...

«Ehi Blondi!» dissi con un sorriso smagliante. Caroline era seduta proprio davanti alla sua scrivania, gli occhi un po' affaticati dalla giornata. Appena notò la mia presenza sulla soglia della sua porta mi lanciò un'occhiata annoiata. Al diavolo le ragazze del sud! Credevo fossero più socievoli!

«Salvatroll»

«Lo sai? Tu e Stefan fate schifo con i soprannomi» le dissi poco divertito.

Sorrise. «Ogni giorno ci sediamo davanti ad una tazza di caffè e ne inventiamo di nuovi per te»

«Molto dolci» sbuffai entrando e sistemandoli sul divanetto in velluto «Ho bisogno di un favore»

«Okay ma hai sbagliato indirizzo» rispose divertita «Scusa scusa, era una battuta che ho sentito in un film e tu eri la cavia perfetta» si precipitò ad aggiungere notando la mia espressione. Oggi non era la mia giornata, dopo le occhiatacce di Stefan, il rifiuto di Elena ci mancava solamente Blondi che mi prendeva in giro.

«Elena ha rifiutato la mia proposta ti uscire insieme»

«Ti prego, dimmi che non sei venuto qui per chiedermi consigli sulla mia amica»

«Non sono così disperato» sbuffai «Sai quanto sia strano per il mio bel faccino ricevere un “no” come risposta?».

Caroline alzò il sopracciglio destro. «Sicuramente più di quanto io potessi immaginare»

«Fingendo di non aver percepito il tuo sarcasmo mi domandavo, non è che per caso ti è sfuggito qualcosa?»

«Del tipo che sei un avvocato gigolò? No, niente del genere» rispose allegra.

«Allora è sfuggito a me qualcosa perché stamattina mi sono specchiato ed ero ancora il solito schianto»

«Avevo dimenticato quanto tu fossi modesto» sospirò teatralmente.

«Perché non vuole uscire con me? Siete amiche no? Tu puoi spiegarmelo»

«Oh ma seriamente? Dovreste smetterla di prendermi per una strizzacervelli, a malapena ho il tempo per queste cause» continuò Blondi appoggiandosi allo schienale insolitamente priva di grazia. Aveva gli occhi lucidi e l'aria avvilita. Normalmente mi sarei alzato e l'avrei lasciata alle sue preoccupazioni ma Blondi era la vivace mascotte dello studio. L'avevo vista esaltata, ironica, agitata, arrabbiata ma mai così pacata e silenziosa.

«Ehi, stai bene?».

Blondi sospirò lentamente, come se dovesse riflettere attentamente prima di rispondere, poi guardando vero il basso scosse la testa per rispondere.

«Devo chiamare Stefan?»

«No» si precipitò a rispondere guardandomi negli occhi. Era una strana, molto strana, situazione. C'era molto poco Blondi in lei in quel momento.

«Oh voi due inseparabili compagni di vita avete litigato?» scherzai per alleggerire l'atmosfera.

«No, è che...non posso parlare con Stefan» spiegò.

«Che succede? Da quando devo cavarti le parole di bocca?»

«Tuo padre mi ha chiamata nel suo ufficio due ore fa»

«Il grande Giuseppe Salvatore?» la interruppi con fare drammatico e lei accennò ad un veloce si con la testa.

«È esattamente quello che ho pensato io, Giuseppe Salvatore il Dio del diritto internazionale vuole parlare con me? Ero positivamente sconvolta ma ripensandoci ora...era tutto troppo bello per essere vero»

«Cosa voleva?»

«Punirmi» sbuffò e io feci una smorfia sorpresa che la spinsi e continuare. «Tre mesi fa, Noah ha affidato una causa di diritto familiare a Stefan di cui non poteva occuparsi. Si trattava di una difficile causa per la custodia di un bambino. Stefan ne è rimasto davvero coinvolto, era entusiasta, più di quanto lo si vede solitamente per le sue cause...così quando ha vinto in tribunale io l'ho...diciamo un po' incoraggiato verso quel ramo del diritto, anche se sapevo che il suo cognome gli imponeva un'altra direzione...»

«Il dio del diritto internazionale non ne sarà rimasto colpito, immagino»

«Decisamente no, oggi mi ha tolto tre cause di cui mi stavo occupando da tempo con la scusa che le disposizioni e le arringhe non erano ben costruite»

«Il solito manipolatore egoista»

«In più mi ha caldamente consigliato di tenere i miei amichevoli consigli per me e di non compromettere il futuro di suo figlio». Blondi non stava piangendo, ma gli occhi lucidi e il viso abbattuto dimostravano quanto le parole di mio padre l'avevano demolita. «Credo di odiarlo, sai»

«Ed è per questo che non puoi parlarne con Stefan...»

«Già...lui mette tutto se stesso per renderlo orgoglioso, per rendere i vostri rapporti nuovamente civili...e io come amica devo aiutarlo, non smantellare l'immagine che ha di suo padre...»

«È fortunato ad avere un'amica così» le sorrisi «E mio padre è un idiota, non devi ascoltarlo, sei brava in questo lavoro, non permettergli di prendere il controllo su chi sei».

Blondi alzò lo sguardo e mi sorrise. Era un sorriso sincero e grato, il primo che mi aveva regalato da quando l'avevo conosciuta cinque anni fa.

«Forse ho un'idea» disse dopo qualche istante.

La guardai confuso «Di che parli?»

«Di Elena, naturalmente» ammiccò allegra.

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Spazio Autrice

Okay non so quanti di voi leggeranno questo capitolo perché non pubblico da tipo una vita, in ogni caso...mi dispiace moltissimoooooo :'( purtroppo ho avuto moltissimi problemi che non sto qua a spiegarvi perché credo che voi abbiate cose più interessanti da fare che ascoltare i miei monologhi, ma ecco ci tenevo a dire che siete fantastiche, chi ha avuto il tempo di lasciare un commentino, o ha messo la storia tra le preferite/seguite, siete semplicemente fantastiche e io non lo sono stata affatto! volevo che fosse un capitolo stupendo e ho aspettato a pubblicarlo per essere sicura che fosse all'altezza delle mie aspettative e ovviamente alle vostre e così ho perso un mare di tempo che si è aggiunto al tempo che mi è stato "sottratto" per altri motivi e kabum sono in ritardo di mesi e mesi, perciò ecco volevo assolutamente scusarmi e spero di riuscire a rimediare, sopratutto durante le vacanze invernali quando grazie al cielo le lezioni in università si fermeranno (non potete immaginare gli orari indecenti che hanno messo questo anno -.-").
Siete tutte dolcissime, buona settimanaaaaaaa :)
 

  
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