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Autore: llAmortentia    24/11/2013    1 recensioni
Seth prese un sasso piatto dalla sabbia dove eravamo,scaldati dal caldo sole di luglio,e lo lanciò nel fiume di la Push facendolo saltare gioioso tra le calme acque che si increspavano leggermente.
Il ragazzo mi lanciò un'occhiata non troppo convinta,ma dopo pochi istanti ritornò con lo sguardo su quella vasta distesa azzurra.
-"Non sto scappando da quello che sono, Seth. Vorrei solo prendere una pausa" presi un respiro e quell'inspiegabile senso di soffocamento si fece sentire,di nuovo.
-"Sai,da me,da tutte queste sfighe,da quest'immortalità. Vorrei essere normale,per un po'. Non dover sapere niente di tutto questo" continuai sconsolata abbassando la testa.
-"Allora andiamocene" propose lui d'un tratto. "Io e te,una meta sperduta. Non importa dove,ma saremo lontano da qui".
Continuai a setacciare la sabbia dalla mano sinistra a quella destra e sorrisi sognante ancora a testa bassa.
-"Emily" mi chiamò dolcemente,dopo qualche minuto di silenzio e mi alzò il viso delicatamente,mettendo il mio sguardo in parallelo al suo "saresti disposta a prenderti una pausa e affidarti totalmente a me?" i suoi occhi brillavano con un progetto gradevole in testa.
-"Si,lo voglio" annuii sorridendogli.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio | Coppie: Jacob/Renesmee
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Successivo alla saga
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                                                                  -CAPITOLO 14-

Ero fuori casa prima che il sole iniziasse a sorgere e ad avvolgere, con il solito rosa pallido, la notte. Era come se ogni volta, l'oscurità avesse bisogno di non così sentirsi vuota, di non sentirsi da sola. Perché a nessuno piace il buio. Forse perché è proprio di notte che i nostri pensieri vengono rapiti, forse è perché il buio ci rende ciechi o forse spaventa l'ignoto che comporta, quando essa cala inesorabile. E' sempre buio prima dell'alba, dicevano. Ma nonostante tutto, quasi come un'eroe, arriva sempre la fine. 'Ogni impresa, passata, presente o futura sarà compiuta guardando la fine, perché la fine ci salva, ci da speranza, ci conforta.' avrebbero razionalizzato così i grandi filosofi.
La Push iniziava a emergere dalla notte, e ad abbozzare delle lievi sagome a distinguere il paesaggio. Per la prima volta l'aurora di un nuovo giorno mi spaventava, senza una averne una motivazione ragionevole. Giacendo seduta sulla sabbia umida, ammiravo le onde si alzavano sempre più potenti, urlando all'orizzonte che erano loro la metà dominante ed i primi raggi caldi del sole presero a danzarmi sulla pelle, provocandomi dei brividi. Presi un sasso nero e piatto dal terreno e lo rigirai tra le dita; Era uno di quelli rari da trovare, con i quali, fin da bambini si giocava ad increspare la schiena del mare, facendoli saltare. Dopo aver ispezionato la spiaggia deserta, mi alzai e mi diressi verso riva; la schiuma bianca mi corse incontro, come contenta della mia vicinanza. Lanciai la pietra, che dopo un ultimo sguardo, sfrecciò attraverso due onde ed affondò miseramente. Non servì neppure qualche passo in più per scorgerlo di nuovo, il mare se l'era portato via. Anche lui aveva trovato il suo destino. Così come la sospensione. Anche quel piccolo momento tutto per me finì, voltandomi maleducatamente le spalle e sebbene avrei voluto tanto scappare dalla realtà per non rimetterci più piede, decisi di fare l'opposto e scappare dal mio mondo. La' fuori era già abbastanza triste, senza che lo confrontassi con altro. Scrollarmi la sabbia di dosso e montare di nuovo in sella fu l'unico comando che mi diedi.

Nemmeno le solite facce alla riserva, sembravano trasmettermi il bentornata a casa perché quella non era casa mia. Parcheggiai rumorosamente nel solito posto, assicurandomi di aver posto in equilibrio perfetto la moto sul cavalletto. Le diedi un'ultima occhiata scrupolosa, ma in fondo non potevo mentire a me stessa; prendere tempo non avrebbe facilitato il tutto.

“Via il dente, via il dolore” e ripetute le parole di Edward, presi un respiro profondo e avviai le gambe verso un posto sicuro.

-”Passate bene le vacanze, Black?” il mio cuore ebbe un tonfo silenzioso.
Distolsi l'attenzione dal ritmo frenetico degli stivali pieni di sabbia, percossi sul suolo e sollevai lentamente il capo.
Dixon era dinanzi all'entrata dell'edificio, appoggiato alle assi di legno orizzontali ed intorno a lui i suo branco di gattini troppo cresciuti fissavano divertiti la scena. Un invito coi fiocchi, ma non potevo permettermi di lasciarmi tentare dalle troppe parole che si accalcavano ad uscire dalla bocca, non quel giorno. Gli sorrisi sfilandogli davanti, anche se l'indifferenza mi costò qualche bruciatura. Odiavo stare alle regole, detestavo ricevere ordini, ma quando si trattava della mia incolumità una volta rientrata a casa, sarei stata disposta a passarci sopra.

-“Ehi” mi salutò un ragazzo raggiungendomi a grandi passi. Era alto, quasi quanto Seth. Corporatura massiccia, pelle prevalentemente scura, capelli e occhi neri. Il classico lupachiotto da manuale.
-”Ciao” risposi fredda, mantenendo un cordiale sorriso.
-” Wow, la tua faccia va decisamente meglio” avvicinò la mano al mio viso, come per sfiorarlo.

-” Già. I miracoli della medicina” mi sottrassi al suo gesto, continuando a sorridere.

La campanella suonò e il ragazzo si guardò attorno smarrito mentre venivamo travolti da un gregge di studenti.
-”Scusa, farò tardi a lezione” mi congedai, scansandolo, ma la sua voce mi perseguitò ancora, sovrastandosi ad altre cento e mi si parò di nuovo davanti.
-”Aspetta!” gli rivolsi uno sguardo caritatevole “non ti ricordi di me,vero?” accennò un sorriso.
-”Dovrei?”
-”Mi chiamo Alex, Alex Davis.” tese la mano, che strinsi in una mia presa scettica. “tu devi essere Emily Black, giusto?” continuò.
-” E' così evidente?” sputai fuori acida, come se fosse davvero evidente. Poi mi ricordai che il ragazzo davanti a me era uno sconosciuto, che eravamo entrambi in una scuola dove le voci si spargevano, dove tutti conoscevano tutti, dove tutti conoscevano me. “Si, si giusto” mi corressi con il sorriso più dolce che quella mattina sarei stata in grado di sprigionare.
Ricambiò anche lui quella dolcezza, mostrandomi 32 bellissimi denti bianchi.
-”Bene Alex” indugiai sul nome, mordendomi le labbra e corrugando la fronte nel tentativo di stamparlo in testa. “ci si vede allora”.

Sorrisi di nuovo e mi voltai, dandogli le spalle.
La sua presa però, fu più veloce del mio cervello, e il suo viso sorridente si sostituì al lungo corridoio deserto.

-” Ehi! Aspetta, aspetta, aspetta. Dove credi di andare?” cercò di trattenere una risata, mentre i suoi occhi neri trattenevano i miei in una morsa. Iniziai a sentire caldo, a sudare. Il suo calore mi filtrava attraverso i vestiti, ed io mi stavo sciogliendo.
-”Che altro c'è?” gli risposi leggermente scocciata.
-” Non mi hai ancora dato risposta.” disse con aria interrogativa.
-”A cosa non ho ancora dato risposta?” la sua espressione, rifletteva la mia. Di che cosa stava parlando?
-” L'altro giorno, BlueHit, club delle scuola..ti ricorda niente?”

Alex continuava a asfissiarmi, riempiendomi di sorrisi. Se non aveva ancora pensato che ero un caso disperato, si sarebbe ricreduto a momenti.


-” Oh, il club. E' vero!” mi passai nervosamente una mano tra i capelli, abbassando lo sguardo “credevo che il mio fosse un no categorico”.
-” Lo era infatti” il suo tono assunse una sfumatura maliziosa. “ma sono sicuro che con un po' di incoraggiamento ci ripenserai” .
-” Mi stai per caso ricattando?” alzai un sopracciglio.
-” Non lo farei mai” ammiccò, lanciandosi un'occhiata intorno.

Lo stava facendo. I minuti passavano. Le lezioni lezioni erano già iniziate ed io ero stra maledettissimamente in ritardo. Era forse questo il suo obbiettivo? Tanto di cappello.
-” Ok va bene, hai vinto tu!” esasperata alzai gli occhi al cielo.
-”Grande!” esultò, alzando le mani in un pugno e corse via, fiero del suo risultato “ci vediamo oggi, dopo scuola in palestra!” urlò prima di dileguarsi.

 

  
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