Capitolo 62: Cammino verso gli inferi.
I mugiwara non seppero dire da quanto tempo
avevano preso a scendere le scale, sapevano solo che cominciavano a sentire la
stanchezza. Si sedettero un attimo per riposare e poterono notare che mancavano
ancora un migliaio di scale prima di arrivare sulla terra e altrettante per
giungere nel regno di Ade. Alzarono lo sguardo verso l’alto e videro quello che
si erano lasciati alle spalle. Un numero infinito di scale che continuavano
anche oltre le nuvole.
Si sentirono sollevati di dover compiere il tragitto in discesa, invece che
in salita, sebbene quello che aspettava loro una volta giunti alla fine di
quella rampa di scale, sarebbe stato peggiore di una eventualità del genere.
Finalmente giunsero davanti all’ingresso del regno dei morti. Vi era un
portone enorme fatto in bronzo con varie decorazioni che rappresentavano i
diversi metodi di tortura a cui erano sottoposti coloro che nella vita non si
erano comportati bene.
Nami e Tashiji
sentirono diversi brividi percorrere il loro corpo, mentre Robin, lasciando
vincere la sua curiosità di studiosa, era affascinata dall’accuratezza con cui
quelle immagini erano state realizzate.
“Lasciate la speranza o voi che entrate!” disse Nami
leggendo quello che vi era scritto in alto al portone, nonostante non riuscisse
a capire cosa centrasse Dante con gli dei greci.
“Di buon auspicio direi!” disse Sanji ironicamente “Come possiamo entrare? La porta sembra
non volersi aprire!” disse il cuoco mentre provava a forzare il portone.
“Il portone non si apre, si attraversa, ma non essendo noi dei fantasmi è
praticamente impossibile, tuttavia Ermes in qualche modo dovrà pur accedervi!”
disse Robin mentre cercava nell’ambiente circostante qualche meccanismo che
aprisse la porta. Tastò il muro sperando di trovare un interruttore, ma invece
di un pulsante, si vide improvvisamente sparire un braccio.
“Ragazzi, credo di aver trovato un portale tramite cui entrare all’interno”
disse Robin, sparendo al suo interno per poi essere seguita dai compagni.
Il paesaggio si presento loro, più o meno come se l’erano sempre
immaginato. Un posto desolato che si estendeva per migliaia di chilometri,
senza che nemmeno un filo d’erba crescesse. Sarebbe stato buio pesto se le
colate laviche che tracciavano lunghi fiumi scavando la roccia, non illuminassero
un po’ l’ambiente. L’odore di zolfo era fortissimo e il caldo asfissiante,
tanto che tutti si privarono degli indumenti di cui potevano fare a meno. Gli
uomini rimasero a petto nudo, mentre Robin e Nami,
che indossavano già delle maglie corte, tagliarono i loro pantaloni lunghi,
rendendoli molto corti.
Tashiji invece non compì alcuno cambiamento ai
suoi abiti. Non abituata a mettere il suo corpo in mostra, si sentiva
imbarazzata a seguire gli stessi gesti delle donne della ciurma. Avrebbe
sofferto un po’ il caldo. Sapeva che quello tanto sarebbe stato il male minore.
“Come mai non c’è nessuno. Con tutte le persone morte da quando è iniziato
il mondo mi aspettavo un po’ di calca!” disse Nami
guardando intorno a sé.
“Non siamo ancora arrivati. Dobbiamo attraversare il fiume Stige e poi potremmo veramente dire di trovarci negli
inferi!” disse Robin, indicando una figura scura che si trovava immobile
davanti a un fiume nero come la pece.
“Allora muoviamoci!” disse Zoro incamminandosi, ma venne fermato da Sanji, il quale gli disse “Ehi babbeo, dobbiamo andare
dall’altra parte. Vedi di non perderti, perché non ho nessuna intenzione di
venire a cercarti!” disse il cuoco, ricevendo un’occhiataccia da Zoro.
“Come puoi sbagliare strada quando vedi il punto esatto in cui dobbiamo
andare?” chiese Tashiji incredula a quanto aveva
visto. Quando un paio di giorni primi si erano ritrovati da soli e si erano
persi nel tentativo di raggiungere la base della marina, pensava che era stato
un colpo di sfortuna e non colpa del pessimo senso di orientamento dello
spadaccino.
Raggiunsero la figura e Zoro senza troppi giri di parole disse “Ehi amico,
dacci un passaggio dall’altra parte!”.
La figura non fiatò, né mosse un muscolo.
“Zoro, lui è Caronte non ti traghetterà mai se non lo paghi!” disse Nami.
Lo spadaccino storse il naso “Anche qui sotto ci sono spilorci come te!”
disse facendo spuntare una vena pulsante sulla tempia della navigatrice, la
quale decise di non dirgli niente e sospirando disse “Purtroppo non accetterà i
nostri soldi, ma ci vogliono dracme d’oro, i soldi che si usavano nell’antichità!”
“Fantastico, e ora come ce li procuriamo?” chiese Sanji,
prima di sentire la voce di Robin che diceva ai suoi compagni di raggiungerla
sopra la barca, sulla quale si era già accomodata.
Tutti rimasero sorpresi e si domandarono come avesse convinto Caronte a
traghettarli dall’altra parte. L’archeologa aveva previsto anche quel problema
e aveva chiesto ad Athena qualche moneta che la dea
gli offrì volentieri, provando simpatia verso colei che secondo la sua
opinione, nell’intero mondo faceva maggiormente uso del suo intelletto.
Il viaggio sopra la barca non fu molto piacevole, tralasciando che il posto
di per sé non era incantevole. Caronte li inquietava con quel mantello nero, il
volto completamente oscurato dal cappuccio, il respiro a rantoli e le mani
scheletriche che tenevano in mano il remo usato per guidare la barca. Le grida
e i lamenti delle persone torturate si facevano sempre più forti e strani
uccelli dall’aspetto mezzo umano volavano sopra la loro testa.
“Quelle sono quello che credo?” chiese Tashiji
preoccupata.
“Sono arpie, meglio non incrociare le nostre strade con loro!” disse Sanji, provando ribrezzo per quelle creature metà uccello e
metà donne. Aveva già visto un arpia quando erano stati sull’isola di Ceasar, ma in quel frangente aveva trovato la creatura
piuttosto affascinante, ma quelle creature erano inguardabili. Erano calve e
magre tanto da far intravvedere le ossa, le piume erano sciupate e di un colore
grigiastro davvero orribile. I loro occhi erano rosso sangue, i denti appuntiti
con qualche pezzo di carogna ancora incastrato e le zampe sporche di escrementi
come se facessero i loro bisogni direttamente sui loro arti posteriori.
“Dubito che non le incontreremo. Sono le guardie di questo posto!” li
avvisò Robin “E sinceramente non è nemmeno la creatura peggiore che possiamo
incontrare!”
“Cioè?” chiese Tashiji inghiottendo la saliva. Si
era buttata in quell’impresa per orgoglio, ma aveva cominciato a pentirsi del
suo gesto sconsiderato, in quanto era convinta di non aver le capacità per
sopravvivere in un posto del genere. Non sapeva nemmeno se i Mugiwara avrebbero potuto farcela, sebbene si fossero
dimostrati dei mostri in molte occasioni, dove un qualunque pirata sarebbe
morto nel giro di pochi minuti.
“Cerbero, il cane a tre teste, Ade in persona o se ci spingiamo nella zona
sbagliata ciclopi o addirittura Chrono, ma se
incontriamo quest’ultimo stiamo certi che non usciremo da qui. Anche con Ade mi sa che avremo poche
possibilità di sopravvivere!” disse Robin.
“Certo che potresti essere un po’ più positiva!” disse Zoro sbuffando.
“Sono solo realista Zoro! Questa è la situazione peggiore in cui ci siamo
mai trovati!” disse Robin veramente preoccupata per la situazione.
“No, lo saremmo se noi fossimo sopravvissuti e i nostri compagni fossero morti sul serio senza
possibilità di recuperarli. Sinceramente temo più questa eventualità di un dio
greco e di quello che posso incontrare nel suo regno!” disse Zoro appoggiato
per la seconda volta da Sanji nel giro di un giorno.
Attraccarono dopo un quarto d’ora di tragitto e quello che trovarono
davanti a loro, furono migliaia di anime in fila in attesa del giudizio.
Dovettero superarli tutti, nella speranza che nessuno facesse polemiche, ma
tutti rimanevano senza parole quando capivano che loro erano in vita. Dei
mormorii cominciarono a diffondersi tra le anime e la voce giunse anche a
coloro che avevano il compito di mantenere l’ordine e da li a poco degli esseri
poco presentabili, sbarrarono la strada ai Mugiwara.
Erano quelli che la gente di sopra chiamava zombie, ma questi non
sembravano stupidi e affamati di cervello, erano benissimo in grado di
intendere e di volere e minacciosi puntarono le loro armi verso gli intrusi.
All’inizio se ne presentarono solo un paio sconfitti in un battibaleno da
Zoro e Sanji, ma a un certo punto dal pavimento
risorsero tanti zombie quanti erano le anime.
I mugiwara fecero un passo indietro, quando
notarono che più ne uccidevano, più ne uscivano fuori e non sapevano dire se da
li a poco sarebbero raddoppiati o triplicati. Infondo di morti in quel luogo ce
n’erano a miliardi, forse anche di più e se anche solo un terzo di quelli erano
stati arruolati nell’esercito di Ade, erano decisamente nei guai.
“Qualcuno ha un’idea?” chiese Tashiji che teneva
in mano la spada, tremando come una foglia. Non voleva avere paura. Non voleva
far vedere ai Mugiwara, soprattutto a Zoro, quanto
fosse debole, ma quella situazione era assurda, un qualcosa a cui lei non aveva
mai pensato di imbattersi. Il massimo a cui si era ritrovata ad affrontare era
qualche pirata impazzito che si credeva chissà chi.
“Non possiamo ucciderli o stordirli. Loro non provano dolore, dobbiamo
trovare un altro escamotage!” disse Robin.
Nami guardò gli zombie e notò che riusciva a
vedere solo le loro sagome senza riuscire a distinguere i dettagli, soprattutto
di quelli più infondo a causa del buio e fu in quel frangente che un’idea la
colpì.
“Tenetevi pronti a scappare!” disse Nami tirando
fuori il suo climac attack.
Richiamò a se due nuvole cariche di pioggia una lontana dall’altra, le
quali però non sembravano voler scaricare l’acqua accumulata, ma più
intenzionate a scontrarsi tra loro, quando partirono a velocità sostenuta come
se fossero attratte una dall’altra.
Quando le due si scontrarono, un forte botto rimbombò negli inferi e una
luce accecante causata dal lampo e poi dal fulmine, fece si che tutti i morti
presenti in quel momento, rimanessero storditi a causa della forte luce che
colpì i loro occhi, ormai abituati a secoli e secoli di costante buio che
regnava in quel posto, illuminato solo dalla lava.
I Mugiwara approfittarono di quel momento per
fuggire da quella situazione di pericolo e varcare i cancelli dell’inferno.
Tutti ebbero i brividi a quanto videro, perfino Zoro e Robin, che cercavano
di mantenere i nervi saldi anche nelle situazioni più disperate. Ma vedere le
anime a cui corrispondevano quelle grida che avevano sentito durante il loro
cammino, non lasciava impassibili
nemmeno loro.
Le torture a cui erano sottoposte quelle anime erano indescrivibili e non
poche volte distolsero lo sguardo da scene raccapriccianti. Vi erano bestie
mostruose di qualunque genere che si divertivano a inveire contro qualche
spirito che chiedeva pietà, altri che ripetevano in continuazione lo stesso
gesto per l’eternità, come Sisifo, un uomo che aveva sfidato gli dei e che era
stato condannato a trasportare un masso dalla base alla cima di una montagna
per l’eternità.
Vi erano anche anime che vedevano mostri mangiare le più buone leccornie
che si potevano desiderare, senza che potessero assaggiarne una piccola
briciola. Quelle persone erano destinate a patire la fame per sempre.
Robin sbiancò improvvisamente e si fermò di colpo e osservò attentamente la
scena.
Nami, Zoro, Sanji e Tashiji si fermarono guardandola speranzosa, credendo che
avesse adocchiato qualcuno dei loro compagni.
“Robin, hai visto qualcuno?” chiese Nami
incrociando le dita.
“Spero vivamente di non vedere il nostro capitano la in mezzo, né nessun
altro!” disse Robin seriamente preoccupata, continuando le ricerche.
“è difficile tenere Rufy lontano dal cibo, quindi
ci sono buone probabilità di trovarlo lì!” disse Zoro alzando le spalle non
capendo il problema, ma Sanji vedendo l’aria
preoccupata dell’archeologa le domandò “Robin perché speri di non trovare i
nostri compagni in quel luogo? Sarebbe già un passo avanti per la nostra
impresa!”
“Se li troviamo in qualunque girone che vengono torturati, finchè non muoiono possiamo sperare di salvarli, ma se si
fanno prendere per la gola o per fame e mangiano quel cibo, non potremo
salvarli…diventeranno demoni!” spiegò l’archeologa che subito venne aiutata
dagli altri nella ricerca concentrata in quel determinato luogo, ma
fortunatamente non parve loro di notare nessun membro della ciurma, sperando
che tra quei demoni non ci fosse già uno dei loro amici.