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Autore: Life is a rollercoaster    25/11/2013    9 recensioni
Jonathan non ha detto una parola.
Evidentemente era destino, oppure un semplice gioco del caso.
Quando meno te lo aspetti, accade.
Infatti Jonathan non se lo sarebbe mai aspettato.
Eppure è accaduto.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Jonathan, passeggiando fra il suono dei clacson delle automobili che sfrecciavano come razzi lungo le strade grigie, continuava a domandarsi se fosse quella città a influenzare il suo stato d’animo, o se invece fosse il suo irremovibile tormento interiore a contagiare perfino quel posto.

Si sentiva perseguitato da sentimenti contrastanti, legati a lui come grandi macigni da dover rigorosamente trasportare.

Si soffermò a osservare l’acqua che scorreva sull’asfalto, mentre le gocce di pioggia continuavano a cadere incessantemente, come lacrime.

A dirla tutta, la pioggia lo confortava. Lo rassicurava. Come se sapesse di non essere l’unico a provare quelle sensazioni, come se avesse trovato un compagno inseparabile, che lo seguiva ovunque. Ecco perché, dopo tanto vagare, aveva scelto quella monotona e triste cittadina. Perché lo rappresentava meglio rispetto a tutte le altre.
Non aveva bisogno del sole infuocato e costantemente ardente della California per stare bene, ma del freddo congelante dell’Inghilterra e delle nuvole compatte, intense, come le emozioni che percepiva aggrovigliate ed intrecciate proprio alla bocca dello stomaco. Lui si trovava bene lì dov’era, al freddo. Un freddo che gli paralizzava anche il respiro, se ne aveva bisogno.

La pioggia aumentò d’improvviso. Decise di ripararsi sotto il tettuccio di quella familiare panetteria – principale oggetto dei suoi pensieri
almeno per evitare di bagnarsi i capelli arruffati e prendere una bella influenza. Da poco era riuscito a guarire dall’ultima.

Tirò fuori dalla tasca del suo giacchetto il suo amato pacchetto di sigarette, incastrandone una fra le labbra arrossate e appena screpolate. Sospirò con sollievo quando riuscì miracolosamente ad accenderla. Ignorò, per l’ennesima volta, la scritta d’avvertimento sul retro della scatolina. Sapeva benissimo che fumare non era affatto consigliato. Ma se ne fregava.

Prese un altro respiro, permettendo al fumo di invadere i suoi polmoni e percepì già il lieve danneggiamento subito da quell’innocua sigaretta. Se la rigirò tra le mani, osservandola e pensando a quando era un fumatore abituale, ai tempi del liceo. Poi aveva smesso e ora aveva voglia di godere ancora di questo sfizio. Gli era concesso, pensava.

A quei tempi lui odiava la pioggia, i temporali, odiava perfino vedere le nuvole nel cielo. Lo preferiva libero, pulito, limpido, una distesa di azzurro infinita, perché, come quello, anche lui poteva sentirsi libero.

I suoi pensieri si aggirarono fra i ricordi più sfumati dal tempo, quelli che credeva perfino di aver abbandonato nel dimenticatoio, come vecchi oggetti inutilizzabili lasciati in una soffitta a prendere polvere.

Ma in realtà fu come ricevere una fresca boccata d’aria. I ricordi del college, infatti, erano quelli che, in questa soffitta immaginaria, teneva più come vecchi trofei, piuttosto che come inutili attrezzi. Quelli furono senza dubbio gli anni più belli della sua vita: di quando divenne autonomo e perfettamente capace di abbandonare la sua monocorde vita da adolescente e magari di provare a renderla migliore. Con nuove ambizioni, più concrete e più realizzabili. Ricordò che da piccolo si immaginava a settant’anni come l’uomo che era stato sulla luna almeno cinque volte, durante la sua vita. Ma ora si domandava come avrebbe potuto essere anche solamente arrivare a settant’anni.

Quando si ritrovò in mano la cicca quasi del tutto consumata, fece un profondo respiro, pensando che prima o poi ogni cosa trova la sua fine. Proprio come quella sigaretta.

A sedici anni lui non pensava a un possibile limite. Nemmeno a un ipotetico inizio. Aveva come unico pensiero fisso quello di vivere la vita così come si proponeva. Ora lo avrebbe definito un ragionamento anche fin troppo maturo per quella giovane età. Avrebbe dovuto seguirlo anche ora, a quarant’anni inoltrati? Ma era troppo concentrato a guardare alle sue spalle per poter vivere pienamente ogni singolo istante come se fosse l’ultimo. Perché forse, quando quella possibile fine si concretizza, anche il modo di pensare subisce un mutamento. Se negativo o positivo, questo dipende soltanto dal tipo di persona.

Improvvisamente, dall’angolo in fondo alla strada, sbucò una figura ricoperta da un avvolgente impermeabile femminile, con un giornale sulla testa a coprire una lunga e folta chioma castana, ondulata e leggermente bagnata. Correva per ripararsi dalla pioggia insistente e alla fine si rifugiò anch’essa sotto al tettuccio di quella panetteria, al fianco di Jonathan.

La signora si accostò al muro, respirando affannosamente mentre si scopriva il capo dal cappuccio completamente fradicio. Aveva i lineamenti del viso piuttosto delicati, pensò Jonathan. Naso alla francese, lunghe ciglia nere contornavano due grandi occhi celesti, che si intonavano al colore blu cobalto del suo impermeabile, le labbra erano rosse e carnose, a forma di cuore.

Qualcosa in quella donna gli ricordò sua moglie Lily.

Ma certamente, a quella sconosciuta, mancava la sua gentilezza.

Si sentì probabilmente osservata sotto allo sguardo attento di Jonathan, perciò si voltò e gli lanciò un’occhiata che lui non seppe bene decifrare.

"Che brutto tempo," disse questa, mostrando la scia di un sorriso ad incresparle le labbra.

Constatando che non aveva ricevuto alcuna risposta, la donna continuò, senza alcun preavviso: "Anche lei è senza ombrello?"

L’uomo pensò subito che l’atteggiamento di quella tizia fosse alquanto stravagante. A primo giudizio l’avrebbe descritta come una persona impavida e impicciona.

E lui odiava le persone impiccione.

Lily, per esempio, non lo era.

"Odio la pioggia," continuò la sua donna, sorprendendo ancora una volta le sue aspettative. "Qui, in questa città, piove quasi sempre."

Jonathan si domandò se quella donna avesse voglia di parlare, o se avesse semplicemente bisogno di qualcuno con cui scambiare due chiacchiere.

Magari era una gran chiacchierona.

Lily non era così: lei preferiva il silenzio, preferiva la tranquillità. E anche lui.

"Ha una sigaretta?"

La guardò con impazienza.

Se le do una sigaretta magari sta zitta, pensò.

Prelevò dalla scatolina un’altra sigaretta, l’ultima di quel pacchetto, e gliela porse silenziosamente.

"Oh, grazie, mi ha praticamente salvato," riprese questa, portandosela alla bocca.

Lily non fumava, per questo lui aveva smesso. Odiava fare qualcosa che in qualche modo potesse turbarla, perciò si disabituò per lei, per renderla felice.

Ma a questo punto, quanto poteva contare?

"Avrei sicuramente preferito una bella giornata calda, lei no?"

Chiaramente nemmeno con una sigaretta in bocca riusciva a starsene zitta.

"Oh, è davvero frustrante, avevo tanta voglia di fare una lunga passeggiata al sole!"

Poi, oltre al semplice fatto che gli dava fastidio sentirla parlare, doveva anche ascoltare un magnifico elogio al bel tempo, al sole e alle giornate calde.

Ora che Lily non poteva più essere al suo fianco desiderava solo starsene tranquillamente per conto proprio, ad entrare in simbiosi con il tempo lugubre di quella cittadina.

"Ha l’aria stanca, sa? E anche gli occhi lucidi."

Jonathan non rispose. Continuò a tenere lo sguardo vacuo fisso su una plumbea pozzanghera, a qualche metro più avanti, che rifletteva le nuvole compatte con un colore simile a quello dei suoi stessi occhi vitrei.

Tentava in tutti i modi possibili di non pensare a Lily, ma trovandosi di fronte a quella panetteria gli risultò inevitabile.

Era il posto in cui aveva incontrato per la prima volta lei, la sua amata. Gli donava sempre e inspiegabilmente un tenero calore al cuore pensare a quel fatidico 13 dicembre, quando il suo sguardo si era intrecciato con quello azzurro di Lily. Ecco perché, proprio in quel momento, percepì un singolare tepore nel petto, nonostante il clima gelido non aiutasse minimamente. Il dottore gli aveva consigliato di prendersi un periodo di pausa per superare al meglio questo momento e lui aveva immediatamente pensato che il suo meglio lo avrebbe ritrovato proprio in quel posto.

"Cosa la turba, signore? Il suo sguardo sembra… nostalgico."

A quel parere, Jonathan non poté evitare di fare un guizzo impercettibile, come se lei avesse colpito in pieno il centro della questione con una freccetta appuntita.

La donna tornò al suo posto, prendendo un respiro profondo, che sentì perfino Jonathan, al suo fianco. Anche lei si fermò ad osservare in silenzio le strade che si estendevano di fronte a loro e che parevano quasi infinite viste da laggiù.

Poi sorrise.

Un sorriso malinconico, che però diede una nota di leggerezza a quel mesto quadro.

"Sa, io spesso penso a quando abitavo in Spagna. Lì c’era sempre il sole e le giornate scorrevano con una leggerezza inaudita," mentre parlava, Jonathan continuava a pensare che cosa potesse importare a lui del suo soggiorno in Spagna e se magari dovesse mettersi a cercare un interruttore per spegnerla. "Poi ho dovuto lasciare tutto," riprese sospirando. "Amici, familiari, la mia vecchia vita… tutto, e trasferirmi qui. Ma che senso ha, ormai, perdersi nei ricordi passati? Mi ripeto ogni giorno di cercare la felicità nelle piccole cose che ho adesso. E’ difficile, la voglia di tornare indietro nel tempo mi accompagna sempre e comunque, ma almeno ci provo," e si fermò, continuando a guardare davanti a sé, con un sorriso dipinto sul volto. "Lei che ne pensa?"

Forse anche Jonathan avrebbe dovuto pensarla così. Sapeva che le sensazioni che provava da adolescente non sarebbero tornate mai più, e non lo pretendeva nemmeno. Ma a lasciarsi alle spalle alcuni ricordi, poteva tentare.

Sorridendo pensò che avesse ragione, ma non parlò.

Si voltò verso di lei: senza alcun dubbio, aveva un bel viso.

"Comunque non ci siamo ancora presentati," proseguì la donna. "Piacere, il mio nome è Lily," e gli offrì una mano, in attesa che lui la stringesse.

 

A/N: è un racconto ispirato al tema della nostalgia, ecco il motivo di tutta questa pesante malinconia.
Spero che vi sia piaciuto nonostante la caricatura.

Vi sarei enormemente grata se lasciaste una recensione per rendermi partecipe dei vostri pensieri a riguardo, per migliorare, per curiosità.

Un grazie gigantesco a tutti voi, alla prossima.



Aria


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