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Autore: Yoan Seiyryu    27/11/2013    3 recensioni
[ Mad Beauty - Red Hook ]
Le vite di Jefferson e di Killian Jones si incontreranno su una strada difficile, entrambi pedine del Signore Oscuro e della Regina Cattiva. Impareranno a conoscere se stessi e a compiere le scelte giuste, vivendo secondo la loro volontà. Jefferson avrà occasione di incontrare Belle al Castello Oscuro, la quale gli insegnerà a vedere più chiaramente in se stesso. Killian verrà salvato da Red Hood nella Foresta Incantata dopo esser stato ingannato dal suo nuovo nemico. Le vicende continueranno a Storybrooke in cui i personaggi riusciranno a trovare se stessi e a compiere il passo che li porterà sulla scelta più giusta da fare.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Belle, Jefferson/Cappellaio Matto, Killian Jones/Capitan Uncino, Ruby/Cappuccetto Rosso
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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III

Alive 




 


Tremotino non aveva ancora fatto ritorno al Castello, ciò voleva dire che Jefferson sarebbe rimasto ad attenderlo anche per la notte, come già aveva annunciato in precedenza.
Belle lo aveva lasciato girovagare liberamente, traendone profitto per rimanere da sola e non essere angustiata da quella presenza così impositiva. Fortunatamente le sale da sistemare erano ancora molte e preoccuparsi delle pulizie la distoglieva dai suoi pensieri.
L’ora di cena però non tardò a giungere e Belle dovette abbandonare il suo compito di domestica per potersi recare nella sala da pranzo. Tremotino aveva imparato a gradire la sua compagnia e con il tempo le concesse ciò che nessun altro servitore aveva ottenuto fino a quel momento, come ad esempio cenare insieme a lui. Per quella sera però fu costretta a condividere la medesima tavola con l’ospite del padrone che Belle continuava a non vedere di buon grado.
“Noto con piacere che vi siete svegliato giusto in tempo per la cena” sorrise ironicamente mentre si presentava all’ingresso con un abito pulito ma meno appariscente di quello che indossava il giorno del suo arrivo al Castello.
“Il fascino del tempo è proprio questo: c’è un’ora per dormire, un’ora per prendere il tè, un’ora per le piacevoli conversazioni” rispose Jefferson quando la vide entrare “se non riuscissimo a scandirlo sarebbe un vero e proprio disastro” aggiunse con un sorriso sghembo prima di accomodarsi a capotavola per sprofondare sulla sedia e allungare con poca eleganza le gambe al di sotto del tavolo.
Belle andò a sedersi dalla parte opposta, compiendo ogni movimento con assoluta grazia.
“Ne parlate come se poteste controllarlo” sussurrò a voce bassa ma  se le sue parole giunsero lo stesso alle orecchie di lui.
“Oh, non è poi così difficile. Posso addirittura fermarlo” così facendo tirò fuori un orologio da taschino che lasciò penzolare davanti agli occhi, sorreggendolo con la catenina dorata. Lo aprì e poi bloccò il meccanismo. “Ecco, siete soddisfatta?” le domandò prima di posarlo accanto a lui.
Belle aggrottò le sopracciglia, non riusciva a capacitarsi di simili stranezze ma al contempo non poteva  evitare di trovare interessante quella sua particolarità.
“A cosa serve un orologio che non segna l’ora esatta?” rispose con un’altra domanda mentre la prima pietanza fu sistemata davanti ai due commensali.
Alcuni candelabri erano stati disposti nella sala e sulla tavola imbandita per poter illuminare l’aria notturna che si era creata e riscaldarla con il lume di candela.
“Questa è una convenzione creata appositamente per renderci tutti schiavi di noi stessi” disse Jefferson mentre scuoteva velocemente la testa e poi iniziava ad assaporare la zuppa che aveva davanti “esistono mondi in cui il tempo non scorre mai ed altri in cui è incontrollabile, se doveste ritrovarvi in situazioni simili, un orologio che segna l’ora esatta non vi aiuterebbe. E poi, l’ora esatta rispetto a cosa?”.
Belle non ebbe la prontezza di rispondere all’istante, tant’è che preferì concentrarsi sul piatto di zuppa, prima di trarre un respiro profondo.
“Alle nostre abitudini, a ciò che il destino ha in serbo per noi” sussurrò quasi timorosa di aver detto una cosa errata.
Jefferson sogghignò e si lasciò sfuggire una risata leggera.
“Nessuno deciderà del mio destino, tranne io” aggiunse con assoluta convinzione.
Belle sgranò gli occhi di fronte a quella frase, poco tempo fa l’aveva pronunciata lei stessa quando si era ritrovata schiava di una situazione a cui non desiderava soccombere. Jefferson doveva possedere una grande sicurezza di sé per riuscire a parlare in modo così fluido e senza timore di dire cose sciocche o strampalate. Le sfuggì un mezzo sorriso, forse non era una persona così ombrosa come aveva pensato.
Sprofondarono in silenzio per un po’, entrambi si immersero in riflessioni che non vollero comunicare all’altro, godendosi la cena senza turbarla con parole pronunciate ad alta voce. Ma poi Jefferson si risvegliò e le chiese: “Allora, come si prospetta la vostra eterna permanenza qui al Castello? Immagino che nel vostro regno abbiate lasciato parte di un passato che potrebbe mancarvi” disse prima di aggiungere “o forse no”.
Non mancava mai di ironizzare sulla condizione di semi-prigionia di Belle, questo la faceva adirare e non poco. Inoltre a Jefferson importava relativamente del racconto della vita di una principessa strappata dalla sua casa, ma almeno avrebbe coperto l’attesa di Tremotino con qualcosa di meno noioso degli oggetti grotteschi del Castello.
Belle si soffermò ad osservare il calice di cristallo che aveva davanti, sfiorandolo appena con le dita della mano. Per un attimo il suo volto arrossì, nel momento in cui le fu posta quell’ultima domanda e Jefferson non mancò di intervenire. Era un acuto osservatore, non c’era dubbio.
“Dunque c’è davvero qualcosa che avete lasciato lì, un aspirante innamorato, magari?” sbeffeggiare l’amore era il suo pane quotidiano, non aveva provato alcun rimorso quando lui e il Dottor Frankenstein avevano privato Regina della possibilità di riportare il suo amato, illudendola di poter ricominciare una nuova vita. Gli affari erano affari.
“Gaston, il mio pretendente?” disse lei ad alta voce mentre i ricordi cercavano di ricostruire l’immagine del suo viso “no, la sua arroganza gli permetteva  di amare solo stesso, nonostante abbia cercato di fermare Tremotino. Temo però che lo abbia fatto più per orgoglio che non per amore”.
Jefferson si lasciò sfuggire una risata divertita prima di appoggiare un gomito sul tavolo e il pugno della mano sotto il mento per poter sollevare lo sguardo su di lei.
“Voi donne siete incontentabili. Se agiamo privi di orgoglio siamo dei codardi, se dimostriamo di tenere al nostro onore non siamo in grado di provare amore” scosse appena la testa prima di abbandonare il cucchiaio nel piatto vuoto.
Belle studiò a lungo il suo sguardo che lasciava intravedere un velo di rammarico o forse anche di rancore, cercare di comprenderlo sembrava a dir poco impossibile.
“Dalle vostre parole traspare una sorta di delusione. Siete stato innamorato?” alla fine domandò.
Innamorato, dice? No, che parola impegnativa.
Certo, si era infatuato di Jacqueline e lei era riuscita ad approfittarsene in due o più occasioni. Un tempo, prima di entrare in affari con Tremotino, era un libero professionista decisamente disoccupato. Jacqueline o Jack, come era solita farsi chiamare, era un’avventuriera alla ricerca di fama e denaro, non proprio un’eroina che ci si aspetterebbe di incontrare. Le loro strade si unirono quando erano entrambi alla ricerca della creatura chiamata Ciciarampa, che poteva essere uccisa solo con un’arma proveniente dal Paese delle Meraviglie, il suo luogo di nascita. Jefferson riuscì a procurare a Jack una spada adatta a quella missione che portò a termine con astuzia e singolare bravura. Sì, si era davvero infatuato di lei. Affrontarono insieme altre avventure di quel genere, grazie alla spada che Jefferson le aveva dato, era in grado di far fuori la metà delle creature che incontrarono sulle loro strade, ottenendo laute ricompense. Se non fosse stato che una notte Jack avesse cercato di sottrargli il cappello magico, cosa che ovviamente non le riuscì di fare. Jefferson sospirò a quel ricordo, non aveva più udito parlare di lei, le ultime notizie riguardavano la terra dei Giganti dove ella desiderava procurarsi un fagiolo magico.
Cacciando via quell’immagine dalla sua memoria, allungò due dita verso la fiamma della candela più alta del candelabro e rispose alla domanda di Belle.
“L’amore è una forza incontrollabile, è come il fuoco. Esiste ma finché non viene acceso non sai dove si trova. Ti riscalda, a volte può bruciarti, sembra invincibile. Ma non abbastanza poiché basta un fattore esterno che rischia di spegnerlo” così chiuse la fiamma tra pollice ed indice, lasciando che il fumo si innalzasse in aria.
Belle deglutì a vuoto nell’udire parole così serie pronunciate da un uomo che aveva considerato più simile ad un bambino, dal carattere difficile da comprendere, quando in realtà pareva conoscere perfettamente il labirinto della natura umana. I suoi occhi non lasciavano traccia di tormenti o tumulti, erano semplicemente consapevoli della vita che aveva vissuto e di quello che avrebbe comportato il futuro.
La cena terminò ed i due finirono per cambiare volutamente argomento, evitando di sfiorare nuovamente angoli remoti della loro mente, si erano lasciati andare sin troppo di fronte a considerazioni personali che li avrebbero messi a nudo.
Jefferson si alzò in piedi e si diresse verso di lei per poterle tendere la mano, così da aiutarla a scivolare fuori dalla sedia e seguirlo. Belle inclinò lievemente il capo da una parte, un atto di fiducia simile le era difficile da compiere, ma fu piacevolmente sorpresa di se stessa quando le loro mani si unirono. Lui la sollevò in piedi e la trascinò verso la terrazza che si affacciava ad un grande roseto di rose rosse che costellavano il paesaggio davanti ai loro occhi. Belle si accomodò sui sedili di marmo che quel giorno stesso aveva ripulito, togliendovi le piante rampicanti che li avevano nascosti. Jefferson invece appoggiò le braccia al parapetto per poi scrutare le stelle del cielo.
“Posso chiedervi come avete conosciuto Tremotino?” gli domandò mentre cercava di studiare l’espressione del suo viso.
Jefferson si voltò lievemente, per consentirle di guardarlo negli occhi. Era piuttosto ovvio che Belle desiderasse conoscere di più non su di lui, ma sul proprio carceriere. Senza stupore aveva compreso che Tremotino si fosse affezionato a lei, visto che le aveva concesso diversi privilegi, in così poco tempo. Iniziò anche a credere che Belle in realtà si trovasse bene in quel Castello, anche se la libertà le era stata preclusa.
“La mia fama è cresciuta a dismisura nella Foresta Incantata, molti hanno richiesto il mio aiuto” le mostrò il cappello che fece roteare su una mano prima di fermarlo all’improvviso e riportarlo poi sulla testa “aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse a creare un portale o ad attraversarne uno per raggiungere un mondo lontano da questo”.
Belle corrugò la fronte, studiando l’oggetto con cui giocava in tutta tranquillità. Posò con leggerezza le mani sulle ginocchia e sollevò il mento verso il suo, senza farsi mancare un sorriso dolce.
“E voi siete in grado di fare tutto questo? Credevo che per viaggiare tra i mondi vi fosse bisogno di un fagiolo magico” disse stringendosi nelle spalle.
Jefferson sogghignò prima di mettersi a sedere anche lui, appoggiando le braccia al parapetto mentre il cappello calava appena sulla fronte, nascondendogli parte dello sguardo.
“Sono tanti i modi in cui si possono aprire dei portali, il mio cilindro è in grado di farmi viaggiare tra i mondi, ma solo in quelli magici. A Tremotino serviva arrivare in un luogo in cui la magia non esiste. Alla fine non gli sono stato  poi così d’aiuto, ma siamo riusciti a trarre profitto da questa conoscenza” sorrise sghembo.
Belle non aveva idea del motivo per cui Tremotino avesse bisogno di arrivare così lontano, forse era alla ricerca di qualcosa, ma perché desiderare di raggiungere un posto in cui la magia non esisteva? Un’idea decisamente inconcepibile visto che era il Signore Oscuro in persona. In più fu attratta dalla scoperta che aveva fatto riguardo Jefferson, era un viaggiatore tra i mondi, un avventuriero, dunque doveva conoscere ciò che i suoi occhi potevano immaginare solo sui libri.
Desiderava porgli miriade di domande a riguardo, ravvivando la sua curiosità, ma Jefferson fermò il suo flusso di pensieri e si alzò in piedi.
“Sarà meglio rientrare, sta salendo l’umidità” si avvicinò a lei per potersi inchinare come si fa ad una principessa, ma era evidente che il sarcasmo in quel gesto fosse assolutamente voluto “buonanotte, Belle”.
Sussurrò il suo nome lasciandolo passare sul palato come se avesse desiderato accarezzarlo.  Aveva voglia di dormire perché arrivasse un nuovo giorno, così avrebbe incontrato Tremotino e sarebbe potuto tornare a casa, per prendersi un po’ di meritato riposo.
La lasciò sulla terrazza, sapeva perfettamente dove andare. Belle al contrario, preferì rimanere lì, avvertendo il freddo del marmo risalire sulle gambe mentre un lieve venticello si adagiava sul viso morbido e roseo.






 
**




Le allucinazioni erano quasi scomparse anche se erano rimasti alcuni strascichi che si ripetevano ogni mattina che apriva gli occhi. Per quel giorno, fu dura riuscire a sedare la sensazione di tormento che gli appesantiva il cuore. Aveva scambiato la sua guaritrice per Milah e aveva iniziato a pronunciare il suo nome costantemente. I lunghi capelli neri, gli occhi azzurri, le labbra rosse. Tutto di lei gli ricordava Milah, la donna che aveva amato. Quando Red si sentì chiamare in quel modo avvertì una stretta al petto, poteva assorbire ogni fibra di dolore che lui emanava ogni volta che vedeva in lei qualcuno che non era. Cercò di calmarlo per evitare che sprofondasse davvero nelle sue allucinazioni e anzi provasse a combatterle. Non appena il Capitano riuscì a ristabilire la concentrazione sul mondo reale, sprofondò di nuovo in un sonno profondo che lo aiutò a riprendere consapevolezza.
La febbre stava scendendo e la sua salute migliorava giorno dopo giorno, sarebbe potuto tornare in piedi entro qualche giorno, cosa che non vedeva l’ora di fare. Dopo essersi svegliato per la seconda volta, Red gli consigliò di uscire per cambiare aria, soprattutto perché quella giornata si dimostrava calda e ne avrebbe tratto beneficio. Quando uscì dalla capanna, aiutato da lei, il sole gli ferì gli occhi e fu costretto a nasconderli giusto il tempo di abituarsi di nuovo alla luce. Lo accompagnò fino alla riva del fiume perché si potesse rinfrescare il viso.
Crollò su una pietra rialzata, tenendo i gomiti poggiati sulle ginocchia, mentre Red si sedette di fronte a lui, studiandone le reazioni.
“Suvvia, non guardarmi in quel modo. Sto bene” disse mentre si affacciava sullo specchio d’acqua per studiare il pallore ancora evidente di quella lunga convalescenza.
“Non ne sono poi così certa, visto che stamattina mi hai scambiata per un’altra persona” scrollò le spalle, rendendosi conto che Hook iniziava già a sentirsi meglio “Milah era il nome della donna che amavi?” gli domandò.
E’ così freddo il suo nome, così lontano, distante.
Annuì con un certo sforzo mentre sciacquò via la sua immagine dall’acqua per poi voltarsi verso di lei. Non amava parlare di ciò che aveva perso, ma al contempo era un modo per dimostrare a se stesso ogni giorno che meritava la sua vendetta.
“Parlami di lei, forse così ti libererai di queste allucinazioni” gli propose nel tentativo di aiutarlo.
Era fermamente convinta che esse arrivassero dal passato che aveva sulle spalle e che gli facevano ricordare quello che il suo cuore continuava a non voler accettare. E se invece Hook desiderasse di non liberarsene affatto? E se gli scherzi della sua mente lo stessero aiutando a tornare dalla donna che aveva perso? Sarebbe rimasto ancorato alle illusioni e lui non era mai stato un sognatore.
“Conobbi Milah in una locanda, ero alla ricerca di un tesoro prezioso che si trovava su quella stessa strada. Mi sfidò al gioco dei dadi, se avessi vinto io avrei potuto prendere tutto ciò che desideravo. Se avesse vinto lei l’avrei accolta sulla mia nave. Inutile dire che la lasciai vincere, non rappresentava per me alcuna sconfitta, visto che ne ero stato così attratto. C’era disperazione nei suoi occhi e malinconia, la sua vita si stava prosciugando accanto ad un uomo codardo che non poteva renderla felice. La accolsi sulla Jolly Roger, rendendola una vera e propria regina” sorrise di sottecchi a quel ricordo che illuminò il suo sguardo solo per un istante, finché non si adombrò alla domanda che gli fu posta successivamente.
Red evitò di creare storie riguardo al fatto che si trattasse di una donna sposata, non era un giudice né si sentiva in grado di sputare sentenze, dopo ciò che rappresentava lei per se stessa.
“Ed il Coccodrillo? Cosa è accaduto esattamente?” avvertì il sapore aspro sul palato mentre anche i suoi ricordi si fecero struggenti.
Hook si inumidì le labbra prima di raccogliere un sassolino e gettarlo davanti a sé perché ricadesse in acqua con un tonfo leggero.
“Suo marito, il codardo, divenne il Signore Oscuro e tornò a reclamare la madre di suo figlio. Le strappò il cuore proprio davanti ai miei occhi e lo stritolò senza alcuna pietà” sollevò l’uncino leggermente “tutto il resto te l’ho già narrato”.
Red si morse il labbro inferiore, la storia del Capitano era macchiata dal sangue di un amore che non era vissuto abbastanza. Inoltre, ciò che più la stupì fu scoprire l’identità del Coccodrillo. Ecco perché quando gli rivelò di Jefferson si era così impazientito, era stato ingannato da un sottoposto di Tremotino.
“Come farai a compiere la tua vendetta, Tremotino non può essere ucciso” sussurrò come se fosse diventata sua complice.
“Esiste un modo, sono arrivato sin qui per poter sfruttare la mia occasione” biascicò quelle parole con veemenza prima di alzarsi lentamente in piedi e assaporare i raggi del sole che gli illuminarono il viso.
La richiamò perché potessero avviarsi verso il bosco, desiderava fare una passeggiata, per quanto le sue forze reclamassero altro tempo per riprendersi del tutto. Red decise lo stesso si lasciarlo fare, era in grado di cavarsela da solo, soprattutto ora che la febbre stava scivolando via. Si affiancò a lui, stringendosi nel mantello rosso mentre si incamminarono su un sentiero.
“Ti ho raccontato la mia storia, eppure non sembri affatto spaventata. Non dovresti tentare di fermarmi, di aiutarmi a ragionare per mostrarmi la retta via?” le domandò con sincera curiosità, da quando lei lo aveva trovato non le aveva svelato nulla se non qualche particolare appena accennato.
“Io?” scrollò le spalle Red avviandosi verso l’ombra del bosco continuando a seguire il sentiero che avevano scelto “Non sono la persona adatta per una cosa simile, inoltre non mi intrometterei mai in questioni che non mi riguardano”.
Ti ho svelato chi sono e non hai avuto paura.
Hook tirò le labbra in un sorriso compiaciuto, era la prima volta che qualcuno gli si rivolgeva in un modo così aperto e disponibile. Red non giudicava il suo comportamento, non provava compassione per la sua tristezza e al tempo stesso lo aiutava a rimettersi in piedi. I suoi occhi però erano cerchiati di qualcosa che non voleva raccontare, invece lui doveva sapere.
“Anche tu hai perso una persona importante nella tua vita, come è accaduto?” le domandò mentre apriva la strada tra i cespugli, così da poter percorrere più agevolmente quel luogo fatto di luci ed ombre.
Red corrugò la fronte, non era la prima volta che lui le poneva quella domanda e ogni volta era riuscita a cambiare argomento. Ma si rese conto che al contrario, Hook non aveva nascosto nulla di sé, dunque doveva ricambiare in qualche modo.
Se ti dicessi cosa ho fatto, andresti via?
“Il villaggio che ho abbandonato era dilaniato dalla presenza di un mostro terribile, un lupo che si presentava ogni notte di luna piena e che con ferocia straziava gli innocenti che incontrava. Mia nonna cercava di non farmi uscire mai di casa, soprattutto in quei giorni, per proteggermi. Quando scoprì che avevo iniziato a frequentare Peter, un ragazzo del villaggio, mi proibì di incontrarlo ancora. Così una notte decidemmo di fuggire ma per nostra sfortuna scegliemmo il momento meno adatto, poiché il lupo attaccò e lo sbranò facendolo a pezzi” la voce tremava al ricordo della nave macchiata di sangue e il corpo esanime di Peter che ormai era divenuto irriconoscibile.
Le lacrime furono trattenute il più possibile negli occhi per evitare che potessero scendere. Hook assaggiò il rumore della voce strozzata di lei come una sofferenza amara che poteva capire perfettamente.
“Ma tu sei sopravvissuta, come è stato possibile?” insistette ancora perché proseguisse.
Red deglutì a vuoto e schiuse più volte le labbra, prima di affermare: “Non ricordo nulla, ero sconvolta”.
Mentì, ma non del tutto.
Hook si convinse che anche quella volta Red non gli raccontò tutta la verità sulla sua storia ma non poteva costringerla a fidarsi di qualcuno come lui.
“I lupi sono belve terribili” sentenziò Hook quasi senza riflettere.
La ragazza dal mantello rosso avvampò di fronte ad un’idea simile, se prima era convinta di non rivelargli nulla, ora lo era molto di più. In fondo mancavano davvero pochi giorni e poi lui se ne sarebbe andato e non lo avrebbe più rincontrato.
Scese un lungo silenzio tra loro, Hook iniziava a stancarsi e forse sarebbe stato meglio interrompere la passeggiata, mentre Red si sentiva fortemente a disagio per ciò che lui aveva pronunciato. Sarebbero tornati indietro, se non fosse stato che a poca distanza da loro assistettero ad una scena particolare.
“Non ti darò mai ciò che desideri!” la voce di un uomo incappucciato risuonò fino a loro che si nascosero immediatamente dietro al tronco di un albero per poter spiare quella discussione.
“Ma io non ti ho chiesto proprio nulla, prenderò quello che voglio da solo”.
Hook strinse con forza il pugno della mano sana, avrebbe potuto riconoscere quella presenza così intollerante anche se gli fosse mancata la vista e l’udito: Jefferson si trovava seduto sul ramo più basso di un albero, con i gomiti appoggiati alle ginocchia, mostrando un’aria decisamente annoiata.
Il Capitano fece per scattare in avanti ma Red lo afferrò per un braccio e se lo trascinò accanto, ammutolendolo con una mano che premette sulle sue labbra.
“Non fare gesti avventati, non sei ancora in grado di vedertela con lui” gli sussurrò cercando di calmarlo.
“Lasciami andare, deve pagarla per ciò che ha fatto!” inveì contro quella resistenza che si faceva difficile, visto che le forze iniziavano a scemare.
Intanto Jefferson era scivolato giù dal ramo dell’albero ritrovandosi davanti all’uomo incappucciato ed estrasse l’orologio da taschino, lo aprì e lo lasciò dondolare davanti agli occhi dell’avversario.
Quest’ultimo iniziò a seguirne il dondolio come se ne fosse rimasto ipnotizzato e poco a poco avvertiva le palpebre ricadergli lentamente sugli occhi che si chiusero di colpo. In un istante cadde a terra in ginocchio, con la faccia che si era spalmata sulla fanghiglia della terra umida. Jefferson sorrise divertito, si avvicinò ed estrasse dalla faretra una freccia dorata, quella che Tremotino gli aveva chiesto di prendere. Essa era in grado di colpire qualunque bersaglio a dispetto della distanza e della visibilità. 
“A volte è così facile che potrei iniziare ad annoiarmi” farfugliò Jefferson mentre metteva da parte la freccia, l’orologio e punzecchiava la spalla dell’uomo che era svenuto.
Red non riuscì più a controllare la furia di Hook che uscì allo scoperto e cercò di avventarsi sul Cappellaio che udendo quei rumori avversi si rimise in piedi.
“Tu! Tu me la pagherai per quello che hai fatto!” gli urlò contro il Capitano, brandendo l’uncino verso di lui.
Jefferson inclinò appena il capo di lato e mostrò una smorfia di finta paura.
“Sei ancora vivo? E’ proprio vero che è difficile sbarazzarsi dei topi di fogna” scosse il capo mentre spostava la coda del soprabito indietro e posava le mani ai fianchi.
Quando Hook sguainò la sciabola, Jefferson schioccò la lingua e gettò il cappello a terra, mentre le nubi viola iniziarono ad avvolgerlo.
“Non scappare, maledetto codardo!” il pirata tentò di avventarsi su di lui ma ricadde a terra poiché il Cappellaio era riuscito a farla franca, scomparendo all’improvviso.
Red corse verso di lui, inginocchiandosi per poterlo aiutare.
“La pazienza non è una tua virtù” lo rimproverò con forza. 








// NdA: 

Salve a tutti!
Sono riuscita ad aggiornare: non che il capitolo non fosse pronto, ma in questo periodo sto pubblicando molto e troppo spesso, volevo prima terminare la raccolta Mad Beauty ^^. 
Ecco qui il terzo capitolo. Che ne pensate della coppia Jacqueline/Jefferson? xD A me vien da ridere a pensarci a dire il vero.
Grazie a tutte coloro che hanno recensito e hanno inserito la storia tra le seguite. 

 
   
 
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