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Autore: horjzon    30/11/2013    14 recensioni
Mi girai ad osservare i cancelli chiusi dietro di noi e solamente in quel momento capii di aver fatto davvero la cosa giusta.
Non avevo alcun’idea di cosa mi aspettava là fuori (e se lo avessi saputo prima, forse non ci avrei neanche provato) nel mondo che avevano scelto al mio posto, che mi avevano sottratto fin dalla nascita. Non sapevo come avrei affrontato tutto questo. Era una decisione pazza, un po’ folle, ma di una cosa ero certa, questo era un nuovo inizio.
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IN REVISIONE - SOSPESA (per ora)
Genere: Fantasy, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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(capitolo revisionato il 2 gennaio 2015)

Capitolo 1
A new beginning

 
 
Educazione fisica, forse la materia che odiavo di più al mondo, ma l’unica in cui riuscivo alla perfezione. Ad essere sincera, non era l’unica cosa che odiavo. Odiavo tutto, a partire dal luogo dove vivevo, la piccola città di Haywire: sperduta e circondata da alte mura di cemento vi era un cancello che non si apriva mai, ma l’unica cosa che, se aperta, avrebbe permesso delle comunicazioni con l’esterno, con il mondo.
 
Ero seduta sulla panchina, mentre ero intenta ad allacciarmi le stringhe delle scarpe. Avevo una sensazione strana, anche un po’ fastidiosa, come se qualcuno mi stesse osservando.
Curiosa mi guardai intorno, alla ricerca del paio d’occhi che sentivo forti sulla parte destra del mio corpo e che alla fine trovai: erano dei fantastici occhi verde smeraldo, dove avrei potuto perdermi dentro se non fosse stato per quel piccolo velo di tristezza che mostravano. Appartenevo ad un ragazzo della classe che faceva educazione fisica con la mia. Era parecchio alto, con capelli ricci color cioccolato e pelle quasi diafana. Mi osservava attentamente. Non era la prima volta che lo sorprendevo ad osservarmi in queste settimane lo faceva spesso. Ma la sua espressione era diversa dalle altre: non era di giudizio, ma di curiosità.
 
«Forza Amerisia, tocca alla nostra squadra.» Alicia, una mia compagna, mi diede un colpetto alla spalla facendomi risvegliare dai miei pensieri. Le feci un lieve cenno con il capo per poi tornare ad osservare, ancora per qualche secondo, quel ragazzo riccio. Mi sorrise ed io, un po’ insicura, ricambiai.
 
Dovevo assolutamente trovare delle informazioni sul conto di quel ragazzo. Ormai era da giorni o settimane, magari anche mesi che mi osservava, a mia insaputa. Spesso lo vedo in giro per le strade di Haywire, durante l’orario proibito.
Così, un po’ insicura, mi avvicinai ad Alicia.
Secondo le usanze di Haywire, sapere tutto di tutti era una tale vergogna tanto da isolare le persone in una stanza, priva di tutto, fino a quando una persona non si pentiva e chiedeva umilmente scusa davanti a tutto il popolo come punizione. Ecco, lei sapeva tutto di tutti, infrangendo una delle miriadi di regole, più che assurde, di Haywire, senza destare sospetti, per sua fortuna. Per questo motivo mi avvicinai a lei, per sussurrarle all’orecchio, in modo tale da non farmi sentire dagli altri e per non far insospettire le persone intorno a noi.
 
«Alicia, per caso, sai chi è quel ragazzo alto e riccio con gli occhi verdi dell’altra classe?»
Alicia trattenne il fiato, si poteva capire benissimo che non si aspettava una domanda del genere in quel momento, soprattutto da me, che non ero solita chiederle certe cose. Stava per rispondermi ma il professore fischiò l’inizio della partita e dovetti allontanarmi da Alicia per raggiungere la mia postazione, mentre la bionda mi guardava con un’aria molto curiosa.
Appena la nostra squadra segnò punto, con la scusa di un batti cinque per il punto segnato da Alicia, mi avvicinai alla ragazza. Afferrò immediatamente le mie intenzioni, infatti, mi disse:
 
«Harry Styles, 19 anni, ultimo anno.» Ci scambiamo il cinque e le mimai un grazie con la bocca, in risposta ricevetti uno sguardo che lasciava intendere che dopo le avrei dovuto raccontare tutto quando, in realtà, non c’era nulla da dire.
 
Durante tutta la lezione ci furono solamente alcune occhiate tra me e il riccio ma niente di più. Quando finì la lezione, andai nello spogliatoio per cambiarmi e, essendo l’ultima ora, appena suonò la campana, uscii da scuola.
Mi avviai verso il cancello quando qualcuno mi mise una mano sulla spalla. Quasi sussultai a qual gesto, più che altro temendo che fosse Harry e invece era Alicia.
 
«Non devi dirmi niente?» disse alzando un sopracciglio, con un sorrisino beffardo, stampato sul suo volto, incitandomi a parlare. Alicia era una ragazza molto solare e socievole, fin troppo per essere una semplice ragazza di Haywire, sicuramente non era adatta e consone alla società in cui vivevamo.
Era leggermente bassa rispetto alla norma, con lunghi capelli dorati e bellissimi occhi blu. Mi piaceva molto come persona e potevo considerare un’amica, forse l’unica.
 
«Pettegola» le dissi scherzosamente, alzando gli occhi al cielo. Una piccola risata fuggì dalle sue labbra carnose.
 
«Volevo sapere semplicemente chi era perché, non vorrei sembrare un po’ paranoica, ma…» Mi avvicinai ad Alicia, in modo tale che potesse udire solo lei le mie parole. «… mi sembra che in questo periodo mi osservi spesso e che mi segua, insomma, lo incontro da tutte le parti! No, ok sono paranoica» dissi cercando di non farmi sentire da nessuno.
 
«No, non lo sei. Effettivamente ho notato anche io che ultimamente ti osserva sempre ma non mi sembrava che ti seguisse. In ogni caso anche oggi vai a danza?» disse tranquillamente come se la sua domanda non fosse scioccante o almeno per me lo era. Non doveva assolutamente saperlo nessuno quello che facevo.
 
«Sei sicura che non sei tu ad inseguirmi per strada?» dissi prendendola palesemente in giro per poi ritornare immediatamente seria. «Seriamente Alicia, non dovresti saperlo...»
 
«Esattamente come non dovrei sapere tutte le cose che so sugli altri... Ad ogni modo stai tranquilla con me il tuo segreto è al sicuro.» Mi sorrise dolcemente e ricambiai.
 
«Io sono arrivata, ci vediamo Amerisia.» disse entrando nel cortile di casa sua. Così, finalmente, sola mi avviai verso casa mia, per niente pronta a subirmi le due ore di studio obbligatorie, con tanto di badante che si assicurava che fossero svolti, ridicolo. Era un’altra delle regole di Haywire:
 
Coloro che frequentano la scuola o, che in ogni caso, compiono degli studi, sono obbligati a eseguire solo ed esclusivamente, 2 ore di compiti, per la precisione, dalle 14.25 alle 16.25 alla presenza di un Controlador, una persona fidata, incaricata da Haywire, che ha il compito di controllare che questa regola venga rispettata. Durante queste due ore, non ci potranno essere pause, tranne casi estremi. I Controlador sono obbligati a far presente al responsabile dell’istruzione di Haywire chiunque non le rispetti. In tal caso saranno presi dei seri provvedimenti.”
 
A mio parere questa era una delle più assurde, nonché una delle mille regole più inutili esistenti al mondo. Non potevano obbligare una persona a fare solamente due ore di compiti mentre è controllata da una persona (neanche fosse un cane a cui badare) e avere delle pene davvero toste, solo perché, per magari due secondi, si è distratta o ha sbadigliato. È accaduto una volta, alla povera Jennifer Black, una ragazzina di 11 anni lasciata per una settimana senza cibo e acqua solo perché aveva sospirato esausta e si era abbandonata per alcuni di secondi sulla sedia, per poi riprendere subito a studiare.
Il badante Controlador non ha esitato a far riferimento all’idiota al responsabile dell’istruzione di Haywire, Donald Holmes, sul comportamento “anomalo” della ragazza e ovviamente sono stati presi dei schifosi provvedimenti.
Finalmente arrivai a casa alle 14.15 e avevo solamente 10 minuti per prepararmi alle due infinite ore di compiti e il mio Controlador era già arrivato.
Alle 14.25 precise iniziai.
 

 
In questo pomeriggio piuttosto tranquillo, il rumore delle mie scarpe era l’unica cosa che sentivo di diverso dal debole suono della pioggia che cadeva leggermente sul marciapiede caldo, creando un odore che, personalmente, mi piaceva molto.
 
I miei lunghi capelli castani erano stati raccolti in un alto chignon, impedendogli di andare in tutte le direzioni per colpa del vento. Iniziai a camminare più velocemente, aumentando il ritmo dei miei passi, desiderando di arrivare in fretta al vecchio edificio giallo per la lezione di danza.
 
Entrai nell’edificio e m’ intrufolai subito nella stanza a fianco di quella della lezione di danza, cercando di non farmi notare da nessuno e misi le mie punte per la lezione.
Non seguivo il corso di danza, non avevo soldi per le lezioni poiché la mia “famiglia” era disinteressata alla mia passione per la danza, specialmente quella classica, e non avrebbe tirato mai fuori un soldo e inoltre erano molto, troppo, care le lezioni e non potevo neanche permettermele. D’altro canto avevo provato anche a lavorare per provvedere alle spese, ma i soldi che guadagnavo non erano abbastanza rispetto al costo delle lezioni, così mi ero dovuta arrangiare e quando scoprii questa stanza, per puro caso, iniziai ad allenarmi tutti i giorni e a seguire le varie lezioni.
 
Il grandissimo vetro faceva da specchio nell’altra stanza ma funzionava da vetro, vero e proprio, nella stanza in cui mi trovavo. In poche parole, io potevo vedere loro ma loro non potevano vedere me. Il problema più grande era che, se mai mi avessero beccato fare una cosa del genere, avrei dovuto pagare una salata multa ma per me era l’unico modo per seguire delle lezioni. Nessuno sapeva quello che facevo, o almeno così credevo fino a qualche ora fa, siccome Alicia n’era a conoscenza, e nessuno in ogni caso se ne interessava. D’altronde non avevo molti amici anche se non n’avevo mai capito il perché.
 
Dal vetro, vidi l’insegnante entrare e questo significava l’inizio della lezione. Mi misi in piedi e, mentre andavo nel centro della stanza, la porta si aprì. Mi girai di scatto, già pronta a scappare da uno qualsiasi del personale, ma, non appena vidi una folta chioma riccia, rimasi pietrificata: era Harry. La mia mente era completamente vuota, non riuscivo a pensare a niente, neanche a qualcosa d’irrazionale.
 
«C-che ci f-fai qui?» Fu l’unica cosa che riuscii a dire, balbettando, mentre lui entrava nella stanza e chiudeva la porta dietro le sue spalle il più silenziosamente possibile.
Iniziai a formulare tutte le scuse più possibili e inimmaginabili per spiegargli il motivo per il quale mi trovavo lì. Sperai che non facesse la spia.
 
«Ti stavo aspettando Amerisia Jade Laston.» Al pronunciar delle sue parole mi salì un groppo in gola. Immediatamente migliaia di domande mi saltarono in mente: come faceva a sapere il mio nome per intero? Come faceva a sapere che ero qui? Perché mi stava aspettando? Volevo domandarglielo ma tremavo e lui probabilmente se ne accorse perché cercò di tranquillizzarmi subito.
 
«Non voglio farti niente, voglio solo parlarti, stai tranquilla.» Tranquilla un corno! Mi osservi e insegui da settimane e dovrei pure stare tranquilla!? Avrei tanto voluto dirglielo ma invece, per non so quale motivo, lo lasciai continuare a parlare.
 
«Ti ho osservato attentamente in questi giorni, forse penserai che sia pazzo, e forse è anche vero, ma avevo intuito che non eri come tutti i soliti cittadini di Haywire e, osservandoti in questo periodo, ne ho avuta la conferma.» Fece una semplice e piccola pausa, giusto il tempo per assimilare quelle già troppe informazioni ricevute in una volta. «Vedi, Amerisia, sei diversa dagli altri, l’ho notato sai? Spicchi tra i prototipi del cittadino perfetto di questo paese. Non sei fatta per vivere qui, in questo luogo, esattamente come me.» Si indicò con una mano, posando il palmo sul suo petto, mentre tentò di avanzare facendo un passo in avanti, verso di me. Ovviamente indietreggia e lui arrestò la sua avanzata verso di me, intuendo che forse era meglio tenere le distanze, per ora.
«Tu, inconsapevolmente o meno, non appartieni veramente a questo luogo: non ti vesti come tutti gli altri, non fai mai quello che fanno gli altri come da regolamento e in qualsiasi caso e in qualsiasi modo, involontariamente o no, non rispetti nessuna regola di questa comunità chiusa alla comunicazione, di vecchie usanze, isolata dal resto del mondo» disse convinto.
 
E aveva ragione, ogni sua singola parola era vera.
Nella città di Haywire c’erano determinate regole che dovevano essere rispettate, andavano dall’abbigliamento, al comportamento, fino ad arrivare ai semplici gesti quotidiani di una persona. Controllavano la vita dei cittadini in tutto e per tutto, davano orari precisi per ogni cosa come, per esempio, l’orario dei compiti, la manipolavano e facevano diventare i cittadini gli uni uguali agli altri, anche le case erano uguali da fuori e simili tra loro all’interno, come se la libera scelta del singolo individuo non esistesse.
Io non ero così, disobbedivo sempre alle regole, per esempio erano le 15.45, era ancora l’ora dei compiti e avevo versato un sonnifero nel bicchiere del mio Controlardor scappando di casa per andare ad una lezione di danza che seguivo di nascosto e, che se mai mi avessero scoperto sarei finita nei pasticci, ma chi era lui per dirmi queste cose? Infondo, aveva perfettamente ragione ma sicuramente non aveva né il dovere né il diritto di farmi una qualsiasi predica, siccome osservandolo bene si poteva notare anche solo dal suo aspetto il suo non rispettare delle regole.
 
«Invece tu, Harry?» Il ragazzo di fronte a me spalancò gli occhi. Probabilmente non si aspettava questa reazione da parte mia e sicuramente era sorpreso dal fatto che lo avessi chiamato per nome cosa, che in teoria non ero tenuta a sapere. «Le trasgredisci anche tu le regole, o sbaglio?» dissi, squadrandolo dalla testa ai piedi. «Ma guardati, si nota perfettamente anche solo dal tuo abbigliamento. Inoltre dalle tue maniche corte si possono notare i tuo troppi tatuaggi, superare la soglia dei cinque è assolutamente proibito. Inoltre, bhe, posso anche immaginare che trasgredisci le regole riguardanti anche il comportamento visto che sei qui quando dovresti fare i compiti o altro in ogni caso.» Lo punzecchiai un po’ mentre lo aggredivo con il mio atteggiamento sprezzante.
Non avevo alcuna intenzione di aggredirlo con le mie parole, volevo solamente mettermi sulla difensiva.
«Se sei venuto qua a fare la spia o cose del genere, hai proprio sbagliato persona, Harry» dissi sfidandolo, facendo un passo nella sua direzione accorciando leggermente le distanze tra di noi. Vista dall’esterno poteva sembrare una situazione davvero buffa: io, una ragazza abbastanza mingherlina, che cercavo di contrastare Harry, che sembrava un ammasso di muscoli. Davvero non capivo che cosa volesse da me.
 
«Non sono venuto a fare la spia; non lo farei mai Amerisia. Sono qui per farti una proposta che potrebbe cambiare la tua vita...» Alle sue parole, alzai il sopracciglio destro un po’ scettica ma, allo stesso tempo, curiosa «… immagino che tu sia stufa di vivere in questa città al di fuori di tutto, esattamente come me. Anche se adesso probabilmente mi odi o mi consideri un folle, infondo, io e te, siamo molto simili. Vedi…» e con queste sua parole fece anche lui un passo nella mia direzione, ma questa volta non mi mossi di un solo millimetro «… gli abitanti di Haywire non sono normali. Nel senso, loro non hanno alcuna colpa, infondo, ma molte delle cose che fanno, delle regole e delle punizioni che ci sono non dovrebbero neanche esistere e questo lo sai anche tu. Vivere qui, a volte, ti fa sentire come se ti stessero opprimendo, fino a farti mancare l’aria e poi, quando arrivi alla fine della giornata e ti ritrovi al coperto sotto le tue caldissime coperte pensi “finalmente questa giornata da incubo è finita” e ti addormenti. In realtà niente è arrivato al termine, l’incubo è infinito, continua imperterrito giorno dopo giorno a ripresentare quella che è la tua vita e certe volte non hai la forza di andare avanti, non ce la fai ed è a quel punto che ti senti come se l’aria intorno a te fosse esaurita e tu non puoi fare altro che cadere inerme a terra mentre tenti disperatamente e inutilmente di respirare.» Fa un altro passo nella mia direzione. Lo sentivo vicino, un po’ troppo vicino, ma non potevo farmi prendere dal panico o avrebbe capito che avevo paura di lui, perché è vero, io ero terrorizzata dal lui, o meglio, ero terrorizzata dalle sue parole. Ha appena descritto come mi sento io, giorno dopo giorno, in questo luogo pieno di povere marionette che non sono pienamente consapevoli di quello che stanno facendo.
 
«Sono venuto qua perché ho intenzione di andarmene, di scappare e vorrei che tu venissi con me.»
 
Se prima mi mancava l’aria a quel punto smisi di respirare. Harry, con un po’ troppa confidenza, si avvicinò definitivamente a me, poggiando entrambe le sue mani sulle mie braccia e cercando di scuotermi per essere più convincente possibile. Se fossi stata in me, in quel momento, non gli avrei neanche permesso di avvicinarsi così esageratamente al mio corpo ma ero troppo scossa dalle sue parole, probabilmente sul viso ero paonazza.
 
«Si può scappare da questa città, Amerisia, si può per davvero. Una volta ogni due mesi i cancelli della città si aprono in un momento preciso. Certo, questo avviene per pochi secondi, ma si aprono. In pochi lo sanno, a dire la verità quasi nessuno.»
 
Le gambe mi tremavano terribilmente, a mala pena mi reggevano. Probabilmente, se non fosse stato per la presa di Harry sulle mia braccia, mi sarei ritrovata sul pavimento a boccheggiare.
 
«Sto solo cercando di salvare qualcuno che vuole e può essere salvato da questa società di pazzi.» Mi disse tranquillamente come se tutte le parole dette da lui precedentemente non mi avessero già sconvolta.
 
Davvero si aspettava che io, Amerisia Jade Laston, non sapessi che i cancelli di Haywire di aprissero? Ho sempre osservato i cancelli nella speranza che un giorno, questi, si aprissero. Quando li ho visti aprirsi con i miei occhi, anche solo per qualche secondo, non riuscivo a crederci finché, dopo averli osservati per lungo tempo e aver appurato di non aver allucinazioni, ho constatato che si aprivano regolarmente. Da quel giorno in poi ero solita osservare i cancelli fantasticando su come sarebbe la vita al di fuori di Haywire e su che cosa ci fosse realmente oltre alle città dalle alte mura, ma era rimasto tutto solo un lontano e vano sogno che rendeva impossibile un’ipotetica figa dalla città.
 
«No, sei tu il pazzo!» esclamai non appena ritornai abbastanza lucida da capire cosa stesse realmente succedendo e togliendo la sua presa sulle mie braccia in malo modo. «Quei cancelli si aprono solo per pochi secondi, nessuno riuscirebbe ad andarsene via da questa città di merda!» Commentai alla fine esasperata con le lacrime agli occhi. In quel momento mi vergognai di me stessa per essermi fatta vedere così vulnerabile davanti ai suoi occhi. Cercò di allungare la sua mano nella mia direzione ma prima che potesse fare qualunque altra cosa gli dissi «NO! Non mi devi toccare.»
 
Non ce l’avevo con lui, in realtà. Ero solamente in lotta con me stessa, indecisa se credere in lui e nelle sue parole o in me e nelle mie convinzioni.
Solamente di una cosa ero certa, quel ragazzo poteva anche essere pazzo e la sua idea di scappare poteva essere uno pensiero durante il suo delirio ma aveva ragione, il luogo dove vivevamo era orribile con delle idee antiquate e insensate. O semplicemente aveva ragione e basta.
 
«No Amerisia, ti sto solo salvando dall’inutile vita che condurresti vivendo qui in questa città. Senti, non sono venuto ad obbligarti di venire via con me ma, se tu vuoi, fatti trovare esattamente tra una settimana, lo stesso giorno della settimana d’oggi, davanti ai cancelli entro le 21.30 e non un minuto più tardi, portati dei vestiti, delle coperte, cibo, acqua e tutte le cose a cui tieni, che sono necessarie e che potrebbero servire per il viaggio, comprese quelle.» Indicò le scarpette da ballo ai miei piedi. «Alle 21.35 i cancelli si apriranno e avremo 30 secondi per andare via da questo luogo prima che essi si richiudano. Ti prego, pensaci; lo sto facendo anche per te.» Sembrava quasi una supplica. Poi si voltò verso la porta iniziando a camminare a passo rilassato. Quando si trovò vicino all’uscita, si girò verso di me sorridendomi.
 
«Ah scusami, che maleducato, mi chiamo Harold Edward Styles, conosciuto semplicemente come Harry, ma forse questo lo sapevi già.»
 
«Tu non hai alcun rispetto per la privacy altrui» dissi di punto in bianco, apparentemente senza un senso vero e proprio ma lui aveva inteso a cosa mi stavo riferendo.
 
«Non è di casa la privacy qui ad Haywire» disse con un tono amareggiato prima di voltarsi, dandomi le spalle «A domani Amerisia.»
 
Mi lasciò così, spiazzata e con mille domande a guardare la porta chiudersi.
 
Sarei stata una pazza ad andare via da questa città con un completo sconosciuto ma, infondo, che cosa mi tratteneva lì? Assolutamente niente, non mi apparteneva, non era per me ma c’era qualcosa che mi frenava: la paura. La paura nell’andare via, nell’abbandonare la propria vita, nell’addentrarsi in un mondo che a mala pena si conosce.
 

«Sono a casa!» urlai per farmi sentire.
 
«Ciao Amerisia, com’è andata oggi a scuola? Sei riuscita a fare tutti i compiti nelle due ore?» La dolce voce di mia madre proveniva dalla cucina e la raggiunsi. Mia madre, nonostante non era una delle persone più presenti e migliori al mondo, si preoccupava sempre per me e, infondo, mi dispiaceva sempre infrangere le regole perché se mai mi avessero beccato ci sarebbe andata di mezzo lei e sicuramente l’ avrei delusa.
 
«Ciao mamma, è andata bene, come sempre, e con i compiti mi sono riuscita anche a portare avanti» le dissi sorridendole lievemente, sedendomi su una delle sedie al tavolo della cucina osservandola mentre era indaffarata a cucinare. Mi facevo pena da sola mentre cercavo di essere la figlia perfetta nonché modello per tutti. Ma andiamo! Bastava semplicemente osservami per capire che ero di tutto tranne che perfetta per non parlare di essere un modello per la società.
 
«Meno male tesoro.» e io a quelle parole mi sentivo morire, mi venivano quasi le lacrime agli occhi talmente mi sentivo in colpa per tutto quello che combinavo, per non considerarla realmente come avrei dovuto.
«Comunque mi dispiace ma questa sera a cena, non potrò farti compagnia, devo andare a lavorare» disse sorridendomi dolcemente.
 
Ecco questa era la cosa che più odiavo di lei. Il “lavoro” (sempre se si poteva considerare come tale) di mia madre diciamo che consisteva nel soddisfare i piaceri sessuali delle altre persone.
Questo suo “lavoro” non la rendeva certamente ricca ma guadagnava abbastanza da riuscire a pagare le bollette e comprare, risparmiando, qualche bene secondario.
Tutti sapevano del lavoro di mia madre e, a me personalmente, questo mi aveva portato sempre grandi problemi con gli altri. Certo mia madre non era fiera di quello che faceva tanto meno io, ma sapevo che lo faceva per me e anche se da quando ero cosciente del suo lavoro da prostituta le dicevo di smetterla di farlo, ovviamente con vani risultati.
 
Tutto questo cominciò quando mio padre scomparve, se n’andò via. Lo cercarono per tutta Haywire ma non trovarono niente, né un indizio, né una lettera, neanche il suo corpo, era come se si fosse volatilizzato. Avevo nove anni quando accadde tutto questo. Mia madre era disperata, si mise a cercare un lavoro ma l’unico modo, per lei, era questo. Naturalmente quando si è piccoli non si capisce molto di queste cose, il problema è quando si diventa più grandi, quando s’inizia a comprendere realmente ciò che ti sta intorno e insieme a te tutti gli altri. Ormai nessuno dava più peso a questa cosa, venica considerata una cosa abbastanza normale, anche se non lo era per affatto. Per lo meno il suo lavoro lo svolgeva in una casa chiusa lontana dalla nostra.
 
«Va bene mamma.» Cercai di sorriderle ma uscì solamente una smorfia.
 
Inutile dire che il resto della giornata la passai ripensando intensamente alle parole di Harry, pensando e ripensando alla sua proposta finché non mi addormentai nel mio letto.
 

 
Il giorno dopo mi presentati regolarmente a scuola con un unico pensiero per la testa: dovevo parlare con Harry.
Le ore passarono velocemente e, finalmente, finita la giornata scolastica lo vidi mentre si dirigeva verso l’uscita dei cancelli della scuola. Lo raggiunsi velocemente, cercando di non dare nell’occhio. Mi guardò sorridendo. Aveva un sorriso stupendo, con tanto di fossette. Mi limitai a sorridere timidamente.
 
«Harry, non vorrei sembrarti paranoica, ma chi mi assicura che tu vuoi portarmi fuori di Haywire? Insomma potresti benissimo approf…»
 
Non mi fece continuare la frase che subito parlò.
 
«Ti do l’idea di uno capace di fare certe cose?» disse alzando scettico un sopraciglio. Beh effettivamente… Lo guardai attentamente e, nonostante fosse un ragazzo abbastanza muscoloso, aveva un’aria serena e pacifica.
 
«Non ti conosco, Harry. Sto solo ipotizzando. Ne ho tutto il diritto, no? Vieni lì come se niente fosse, mi parli e mi fai una proposta del genere senza neanche conoscermi. Mi sembra anche più che lecito che io mi ponga certe domande, no?» Perché ovviamente se uno ha cattive intenzioni sul tuo conto te lo viene a dire, giusto? Sì, ero definitivamente ridicola «Mettiamo caso che io accettassi la tua proposta, chi mi, o meglio, chi ci assicura che potrei avere un futuro migliore, in una società diversa dalla nostra? Chi mi dice che ci sia realmente qualcosa al di fuori di questi cancelli? È anche vero che abbiamo studiato di altre società dalle altre mura ma tu ha mai visto qualcuno entrare e uscire da qui? Io no. Magari viviamo in mezzo alle tante bugie e noi non lo sappiamo. È vero ci sono dei filmati ma sai quanti attori esistono al mondo! E poi cosa accadrà se riusciamo a scappare? Ci inseguiranno? Faranno del male ai nostri cari? Sai a me è rimasta solo mia madre e non vorrei che le accadesse qualcosa di veramente terribile» dissi tutto di un botto senza mai prendere fiato. Mi ero torturata tutta la notte con queste domande, ed erano solo alcune delle tante, a cui non sapevo dare una risposta vera e propria. È vero, ci facevano studiare la storia di tutto il mondo, delle città dalle alte mura, conoscevamo tutti i cantanti e attori più possibili e immaginabili ma nessuno sapeva concretamente cosa c’era all’esterno di Haywire.
 
«Hey respira! Certo, ne hai tutto il diritto e diciamo che hai anche ragione ad ipotizzare certe cose, insomma sono piombato così dal nulla e mi dispiace anche di averti spaventato ieri, non era mia intenzione.» Disse sinceramente «Nessuno sa realmente cosa c’è lì fuori ma cosa ci costa provare? Ci sono semplicemente altre persone, in teoria, certo non possiamo sapere precisamente tutto ma vivere in un posto così, che non senti neanche tuo non è giusto… Tanto so che alla fine accetterai Amerisia.» Disse così sfrontatamente.
 
«Cosa ti fa pensare che verrò via con te?»
 
«Il fatto che ti ho già convinto, anche se non ne sei ancora del tutto consapevole» disse semplicemente. Non capii affatto le sue parole e immaginavo che non fosse solo questo il motivo per cui era convinto che sarei fuggita con lui ma non gli feci altre domande.
 
«Ci vediamo Harry» dissi semplicemente alla fine per poi dirigermi verso casa mia.
 

Per tutta la settimana pensai ininterrottamente alla sua proposta, alle sue parole e ogni volta che era possibile, io ed Harry c’incontravamo per parlare del più e del meno.
Infondo non era male, era un ragazzo molto simpatico e mi trovavo bene a parlare con lui. Spesso parlando trasgredivamo molte regole ma n’è a me e n’è a lui importava più di tanto.
 
«Riguardo alla partenza, spero tu abbia le idee chiare. C’è solo un piccolo cambiamento di programma. Ci ho pensato bene e, se mi mettessi esattamente davanti al cancello ad aspettarti, qualcuno potrebbe insospettirsi. Quindi ho pensato, visto che la via dove abiti tu è quella di fronte al cancello ed è tutta rettilinea, potrei aspettarti sotto casa tua più o meno dalle 21.25 alle 21.34 massimo. Se scenderai saprò che verrai via con me se no me n’andrò da solo» mi disse tutto tranquillo il giorno precedente alla partenza.
 
Da quella volta non n’avevamo più parlato e io non avevo ancora preso una decisione. Mi limitai ad annuirgli.
 
«Ok. Ci vediamo domani a scuola Harry» dissi allontanandomi da lui.
 
Quella sera scrissi una lettera a mia madre e finalmente presi una decisione.
 

 
La sera del giorno seguente arrivò in me che non si dica. Harry, puntuale, aveva parcheggiato davanti a casa mia alle 21.25. Feci un gran respiro e presi la mia valigia, il borsone e la borsa. Feci un veloce giro della casa e, sul tavolo della cucina, dov’ero sicura che l’avrebbe notata, posai la lettera che avevo scritto per mia madre. In quel momento ripensai a tutti i bei momenti trascorsi in quella casa, da quando ero piccola fino ad ora, anche se di bello ultimamente non c’era niente se non la consapevolezza della dura e triste realtà in cui si viveva a Haywire, ma la cosa più triste era che molti non n’erano consapevoli e mi dispiaceva davvero per loro. Pensavano che Haywire fosse il massimo dell’eccellenza quando io pensavo che non lo era affatto, e di questo n’ero più che certa.
 
Uscii finalmente di casa e appena Harry mi notò scese dalla macchina.
 
«Sapevo che saresti venuta» disse avvicinandosi a me, sorridendo.
 
«Forza, dammi la valigia ed entra in auto.» Feci come mi disse ed entrai nell’auto, posando il borsone e la borsa sui sedili posteriori. Lui caricò la valigia e si mise nel posto del guidatore.
 
«Perché hai coperto i vetri e le targhe dell’auto?» domandai pensierosa.
 
«Perché così le telecamere non possono riprendere le targhe e o vedere chi si trova dentro l’auto, anche se poi lo scopriranno sicuramente, ma è sempre meglio essere cauti. Comunque li potremo togliere quando usciremo via i qui e saremo al sicuro.» Non trovai molto sensata la sua scelta poiché avrebbero sicuramente saputo in men che non si dica l’identità dei fuggitivi e non avevo ben capito il significato della frase ma non dissi nulla al riguardo visto che sembrava molto nervoso. Le sue braccia muscolose erano tese e le mani strette al volante. Inoltre non capivo come avremmo potuto essere al sicuro, già me li immaginavo inseguirci per tutte le altre città dalle altre mura.
 
«Nervoso?» dissi senza pensarci.
 
«Si nota tanto, eh?» disse girandosi verso la mia parte e sorridendomi per tranquillizzarmi.
 
Senza accorgercene arrivarono le 21.34. Harry fece un respiro profondo. Accese l’auto che aveva in precedenza spento: finalmente, eravamo pronti ad oltrepassarli.
 
«Pronta?» annuii lievemente. Si avviò verso i cancelli che, mentre eravamo a circa 500 m di distanza iniziarono ad aprirsi. Trattenei il respiro e tenni i piedi saldi sul fondo dell’auto, tutta rigida.
 
Harry aumentò la velocità e, senza neanche accorgermene, superammo i cancelli, qualche secondo prima che essi si chiudessero alle nostre spalle. Ce l’avevamo fatta. Harry esultò insieme a me; avevamo un sorriso stampato sui nostri volti. Mi rilassai. Non potevo crederci che lo avessi fatto per davvero, che ero al di fuori di Haywire.
 
«Lo sai che è una follia quello che stiamo facendo, vero?» dissi senza pensare, accadeva spesso ultimamente.
 
«Lo so» disse semplicemente.
 
Mi girai ad osservare i cancelli chiusi dietro di noi e solamente in quel momento capii di aver fatto davvero la cosa giusta.
 
Non avevo alcun’idea di cosa mi aspettava là fuori e se lo avessi saputo prima, forse non ci avrei neanche provato nel mondo che avevano scelto al mio posto, che mi avevano sottratto fin dalla nascita. Non sapevo come avrei affrontato tutto questo. Era una decisione pazza, un po’ folle, ma di una cosa ero certa, questo era un nuovo inizio.



Ciao a tutti! Ecco questo è il primo capitolo della mia prima fan fiction. Che ne pensate? Spero vi sia piaciuta Mi piacerebbe molto sapere il vostro parere per sapere se devo continuare o no.
Ringrazio tutte le persone che hanno recensito la One Shot
"Innocence" e "Do you actually want to go on a real date with me?"  (se v'interessa leggerle cliccate sulle scritte)
Grazie mille a tutti ancora!
Alla prossima!

 
  
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