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Autore: Laylath    05/12/2013    3 recensioni
Eppure a guardare più da vicino i ragazzi di quella realtà, ci si sarebbe accorti che le loro esistenze non erano così scontate: i piccoli grandi problemi dell’infanzia e dell’adolescenza a volte andavano ad intrecciarsi con situazioni difficili, dove spesso il legame con un amico fidato era la cosa migliore per poter andare avanti.
E spesso le persone più impensabili stringevano un forte legame tra di loro per uno strano susseguirsi di eventi, all’apparenza così normali… anche se poi viverli era tutt’altra cosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo 2: Il ragazzo che amava sognare.



Il primo giorno di scuola terminò ed i ragazzi si dispersero nelle strade che li avrebbero riportati a casa: l’allegro schiamazzo finalmente tornava a risuonare dopo che, per tre mesi, quella piccola zona del paese era rimasta stranamente silenziosa.
Riza, avviandosi nel cortile, pensò che tutto sommato il rientro dalle vacanze non era andato male: rivedere i suoi compagni di classe era stato piacevole e, nonostante il solito Jean che dava fastidio a quel ragazzino, tutto era filato liscio. Si era persino scoperta piacevolmente in forma a livello mentale, ma era anche vero che aveva passato diversa parte dell’estate con i libri come unica compagnia.
Decisamente era felice che fosse riniziata la scuola: avere sei mattinate alla settimana impegnate era una gran cosa…
“Eccoti, Riza – esclamò una voce cospiratoria ed immediatamente una ragazza dai folti e mossi capelli neri raccolti indietro si accostò a lei e la prese per un braccio – Forza, vieni, non c’è molto tempo!”
“Rebecca?” si sorprese la biondina, seguendo l’amica oltre il cortile della scuola.
Tagliarono per alcuni campi fino ad arrivare a una macchia di cespugli che costeggiava il sentiero. Lì Rebecca indusse Riza a rimanere chinata e le fece segno di stare zitta ed attendere. Fissando la sua amica palesemente trepidante, si chiese cosa potesse esserci di così particolare che…
“Arrivo al bivio prima di voi! E poi da lì mi prendi in spalla come promesso!” esclamò una voce infantile.
Guardando con curiosità oltre il cespuglio, facendo attenzione a non essere scoperta, Riza vide una bimbetta con le trecce bionde che correva a più non posso nel sentiero.
“Accidenti, se lo ricorda!” disse una seconda voce.
“E dai, che ti costa portarla in spalla… è così leggera.”
“Portala tu, allora.”
“Al bivio ci separiamo; e poi sei tu suo fratello, mica io. E decisamente è più divertente stare in spalla ad uno alto come te.”
“Ed è solo il primo giorno, ma almeno si è divertita. Meglio così, non avevo voglia di sentirla piangere.”
Nel frattempo anche Rebecca si era sporta per guardare e così Jean ed Heymans passarono davanti alle due ragazze, continuando a chiacchierare tranquillamente.
“Rebecca…” sospirò Riza, con disappunto, capendo che era quello lo scopo per cui era stata trascinata fino a lì.
Aspettarono che i due ragazzi si allontanassero abbastanza e poi uscirono da quel nascondiglio, con Riza profondamente irritata dall’essere stata coinvolta in quell’assurdo pedinamento. Ma Rebecca, al contrario, sembrava enormemente soddisfatta.
“Non credi che diventi ogni anno più carino?” chiese Rebecca.
“Chi?” chiese con ironia.
“Come chi? Jean Havoc… è ancora più alto dell’anno scorso!”
“Sì, ma non è per niente maturo: – ribatté Riza, incredula davanti a quella passione, mentre si riavviavano per tornare indietro, verso il paese – non hai visto come si comporta con quel ragazzino delle scuole medie?”
“Chi? Ah, quello con gli occhiali. – ridacchiò Rebecca – Beh, non è l’unico a prendersela con lui: sai di chi stiamo parlando?”
“No, a dire il vero lo conosco solo di sfuggita e non ho mai scambiato parole che vadano oltre il saluto.” ammise.
“Sei proprio strana, amica mia: lo difendi e non sai nemmeno chi è. Comunque ti svelo l’arcano: si chiama Kain Fury; hai presente quella casa oltre la pineta ad est? Abita lì.”
“Fury, eh? Ah, ma allora è il figlio dell’ingegnere che si sta occupando del lavoro all’argine del fiume.”
“Esattamente. Pare che sia un vero prodigio a scuola, ma si sa che fine fanno i secchioni, no?”
“Non la penserai come quell’immaturo di Jean, spero.”
“Certo che no, mia cara, stai tranquilla. Però certo che te la prendi tanto per questa storia. Chissà, forse quel ragazzino ti sta simpatico perché è fuori dal comune come te.”
“Io fuori dal comune? Rebecca ma che dici?” protestò Riza, mentre arrivavano al punto in cui le loro strade si dividevano.
“Eh, mia cara: non sono mica io la figlia di Berthold Hawkeye, che ha iniziato a venire a scuola solo in prima media e che prima stava chiusa in casa… tanto che in paese si pensava addirittura che non esistessi.”
“Non è questo che…” iniziò Riza, arrossendo.
“E soprattutto, non sono io quella che ha stretto amicizia con Roy Mustang, il ragazzo allevato da sua zia nel locale un po’ particolare del paese.”
“Se ti danno così fastidio questi dettagli allora perché ti ostini ad essere mia amica?”
Rebecca mise le mani dietro la schiena e fissò Riza con malizia.
“Perché mi piaci: non sei come le altre ragazze e questo è un notevole punto a tuo favore. Non mi dirai che ce l’hai con me per quello che ho detto.”
“No, ma quando mai… - sospirò Riza, certa della sincera amicizia che le dava la bruna e conoscendola abbastanza bene per sapere che le frecciatine facevano parte del suo carattere – però ogni tanto parli troppo, Rebecca Catalina!”
“Sarà! Si vede che compenso la tua scarsa loquacità. Ma in ogni caso ho ragione io: Jean Havoc è ancora più carino dell’anno scorso!” e con questa dichiarazione, la moretta spiccò la corsa verso casa propria, lasciando una sorridente Riza scuotere la testa davanti a quell’irruenza.
Chissà, forse con la testardaggine che si ritrovava, un giorno sarebbe riuscita a conquistare quel ragazzo.
In ogni caso abbiamo tredici anni, non c’è motivo di correre così.
 
La casa della famiglia Hawkeye si trovava a un centinaio di metri dal paese, isolata in un piccolo boschetto di salici. Era un vecchio villino a due piani che avrebbe potuto essere molto decoroso se il proprietario ci avesse dedicato maggior cura. Ma Berthold Hawkeye non era quel genere di uomo: si era trasferito in quel posto con la moglie incinta circa tredici anni prima, forse in fuga dai grandi trambusti cittadini, anche se voci mai confermate parlarono di liti con le famiglie di entrambi per un matrimonio sgradito.
L’edificio c’era già ed era proprietà della sua famiglia e quindi nessuno aveva fatto troppe domande al nuovo arrivato: sempre di un Hawkeye si trattava e questo aiutava a convincersi che la novità non era troppa. Ma Berthold era un uomo troppo particolare per non spiccare nella semplice comunità: non si vedeva quasi mai in giro e si diceva che era sempre rintanato in una stanza della villa immerso nei suoi studi, di che cosa non lo sapeva nessuno.
Qualche mese dopo l’arrivo dei coniugi era nata l’unica figlia di quella strana coppia.
Il parto non era stato facile ed aveva provato in maniera gravosa quella giovane già fragile di suo. La levatrice e le donne che l’avevano aiutata avevano dichiarato che, nonostante le ore di travaglio, nemmeno una volta Berthold Hawkeye era comparso per chiedere notizie della moglie e del nascituro.
Comunque, dopo otto ore circa, era venuta al mondo la piccola Riza, perfettamente sana e robusta, al contrario della povera Elisabeth.
Col passare degli anni la salute della donna si era ulteriormente aggravata fino a che, quando Riza aveva circa nove anni, aveva ceduto alla morte, lasciando quella bambina con la sola compagnia del padre tetro e misterioso.
Sì, come aveva detto Rebecca, Riza aveva iniziato a frequentare la scuola a partire dalla prima media: prima aveva studiato a casa, con la madre che amava trascorrere il tempo con lei, insegnandole a leggere e a scrivere.
Era per questo ed altri motivi che Riza sapeva molte più cose di tutti i suoi compagni, decisamente troppe.
Arrivata davanti al cancelletto di ferro che introduceva nel breve vialetto, quasi totalmente ricoperto d’erba, la ragazzina sospirò, preparandosi mentalmente a tornare la creatura silenziosa che doveva essere in casa.
Le sembrava quasi di vivere una doppia vita: da quando era morta sua madre era apparso chiaro che il padre non aveva intenzione di tralasciare i suoi studi per occuparsi di lei. Insomma, Riza più silenziosa era meglio andava… non che Berthold l’avesse mai sgridata in merito, al contrario. Tra padre e figlia non c’era quasi nessun rapporto: era come se fossero due estranei che condividevano lo stesso tetto. Finché c’era stata la madre, Riza non si era quasi mai preoccupata di quel terzo coinquilino della casa… lo chiamava papà, aveva provato ad instaurare un rapporto con lui, ma era stata la stessa Elisabeth ad indurla ad ignorarlo, facendole bastare il suo amore ed il suo affetto.
Aprendo la porta di casa, Riza non ebbe bisogno di annunciare il suo arrivo: non avrebbe avuto senso; si diresse al piano di sopra, nella sua camera, e posò la tracolla con i libri di scuola.
Poi scese in cucina e provvide a preparare il pranzo. Mentre attendeva che lo stufato riscaldasse, prese dalla dispensa la bottiglia di latte e se ne versò un bicchiere per andarlo a sorseggiare davanti alla finestra che dava sul piccolo boschetto di salici. Le piaceva quella visuale: la protezione che offriva alla sua casa e alla sua solitudine era confortante. In questo modo il mondo non l’avrebbe disturbata e sarebbe stata lei a scegliere come e quando uscire fuori.
Con un sospiro abbandonò quei pensieri e apparecchiò per una persona, lei stessa. Poi prese un altro piatto, lo riempì di stufato e si avviò nel corridoio che portava alla zona più interna della casa.
Arrivata davanti a quella porta bussò con discrezione, prima di aprire un poco, giusto il necessario per sgusciare dentro.
“Ciao papà, - mormorò – ti ho portato il pranzo.”
Berthold Hawkeye stava chino sulla scrivania, dando le spalle alla ragazzina: se anche si accorse della sua presenza e del motivo per cui si trovava lì, non fece nulla.
Oggi è riniziata la scuola, papà – pensò silenziosamente la ragazzina, mentre si immaginava di dire a voce alta quelle cose – e ho rivisto tutti i miei compagni. Rebecca è la stessa: ha sempre la cotta per Jean… sai, quello biondo e grosso che tratta sempre male quel bambino con gli occhiali. Pensa che mi ha persino coinvolto in un pedinamento. Ah, a proposito del bambino con gli occhiali: ho finalmente scoperto che si chiama Kain Fury, il figlio dell’ingegnere che si occupa dell’argine del fiume… hai presente che in autunno c’è rischio d’esondazione e bisogna sistemare le cose per tempo, no?
Ah, senti, tra poco esco per fare una passeggiata, va bene? Ma stai tranquillo che torno in tempo per la cena. E non preoccuparti: non ho ancora compiti da fare… dubito che in questi primi giorni ce ne diano.
Mentre faceva quel rapido discorso con un padre immaginario, la ragazzina posò il piatto all’estremità del tavolo dove quello reale stava lavorando, in un punto lasciato vuoto dai libri e silenziosamente come era arrivata, uscì.
Sì, decisamente per Riza Hawkeye era stato un vero toccasana andare a scuola con gli altri bambini, altrimenti la solitudine l’avrebbe uccisa.
 
Quel pomeriggio uscì come si era ripromessa e aveva anche una meta precisa dove andare.
Tutti i ragazzi avevano un qualche rifugio segreto da condividere con gli amici più stretti: la grande campagna disseminata di boschetti e colline rendeva facile trovare questi luoghi privati.
Lei e Roy si erano conosciuti proprio perché avevano scelto lo stesso posto, circa due anni fa.
Non avevano litigato in merito a chi dovesse stare in mezzo a quella piccola radura tra le betulle: si erano squadrati, si erano messi ciascuno in un angolo definito e la cosa era andata avanti per giorni.
Lei leggeva, mentre lui molto spesso armeggiava con un coltellino, intagliando dei pezzi di legno.
Un giorno Riza si era incuriosita a tal punto da andare vicino a lui ed osservare il suo operato: l’improvvisato intagliatore non si era lasciato distrarre da quel pubblico e aveva proseguito.
Era bello Roy Mustang, una bellezza molto diversa da quella di Jean Havoc o gli altri ragazzi della scuola: si capiva chiaramente che non era il classico ragazzo di campagna, così come non lo era lei. I tratti erano leggermente affilati, i capelli neri e setosi e gli occhi scuri sottili e taglienti. Aveva due anni più di lei, anche se non era eccezionalmente alto, ma la corporatura snella e l’atteggiamento sicuro davano l’impressione che fosse anche più grande.
Era molto famoso a scuola, specie tra le ragazze, anche se nessuna aveva il coraggio di avvicinarsi: perché Roy Mustang era stato cresciuto da Chris Mustang, la proprietaria della casa di appuntamenti del paese… e non era certo una compagnia decorsa per le brave ragazze di campagna.
E sembrava che Roy preferisse stare isolato, come se sentisse la sua diversità rispetto ai suoi compagni, impegnati con il lavoro nei campi o ad aiutare le famiglie. Però era inevitabile che tutti si chiedessero come potesse vivere in quel posto… e la maggior parte dei ragazzi si era immaginata che avesse già notevoli esperienze con le donne.
“Ciao Roy, oggi non ti ho visto a scuola.” salutò Riza, entrando nel loro rifugio segreto.
“Ah, iniziava oggi? – chiese lui, senza alzare lo sguardo dal legnetto che stava intagliando, senza dargli forma specifica, giusto per il gusto di maneggiare il taglierino – Me ne sono scordato. Pazienza, verrò da domani.”
“Dovresti fare più attenzione a queste cose: – scosse il capo la biondina, avvicinandosi a lui – è importante andare a scuola.”
“Tanto il primo giorno non succede mai nulla – scrollò le spalle il moro, alzandosi in piedi e stiracchiandosi – e non è che durante il resto dell’anno sia molto diverso. O c’è qualche novità?”
“Niente di particolare: – ammise lei – sempre le solite facce; sempre il solito Jean Havoc che fa il prepotente con i piccoli.”
Roy ridacchiò.
“Il piccolo quattrocchi? – chiese, come se conoscesse già la risposta – Non mi dire che già dal primo giorno è andato su di lui: si vede che è proprio affezionato.”
“Spero che prima o poi Heymans gli metta un po’ di buon senso in quella testaccia bionda.”
“Fidati, Riza, – sorrise furbescamente Roy, lanciando con abilità il coltellino su un tronco d’albero – sono altri i veri tormenti: in tutti questi anni Jean non ha mai alzato davvero un dito su di lui… per quanto, effettivamente, non lo tratti proprio con gentilezza.”
Riza lo guardò pensierosa andare a recuperare la sua arma.
Sì, era vero… c’era ben altro che essere tormentati a scuola: c’era il silenzio di un genitore che manco si accorge che sei uscita. C’era il silenzio di una casa vecchia e malconcia…
C’è l’essere evitati dalla maggior parte dei ragazzi perché si abita con una zia considerata una poco di buono.
“Che hai? Ti vedo pensierosa.”
“Kain Fury, è così che si chiama quel bambino con gli occhiali: me l’ha detto Rebecca.”
“Va bene, d’ora in poi lo chiamerò per nome, dato che ci tieni tanto.”
Sì, Riza ci teneva: nemmeno lei aveva molti amici, se doveva essere sincera. Aiutare quel ragazzino a sopportare le angherie degli altri in qualche modo la faceva sentire meglio… la faceva sentire utile.
A conti fatti aveva con Kain un rapporto molto più intenso rispetto a quello che aveva con il suo genitore.
“Allora, tuo padre sta sempre studiando l’alchimia?” chiese improvvisamente Roy.
Riza si irrigidì a sentire pronunciare quella parola: l’alchimia era la bestia nera che aveva allontanato Berthold Hawkeye dalla sua famiglia. Sentirla pronunciare dal suo migliore amico le diede notevolmente fastidio.
Vuoi portarmi via anche lui?
“Certo, che altro vuoi che faccia?” chiese con leggera irritazione.
Roy si girò a guardarla con lieve sorpresa e poi si avvicinò a lei.
“Ehi, ragazzina, perché metti il broncio? A tredici anni ormai non ti si addice.”
“E tu perché a quindici anni vuoi fare già l’adulto?”
“Perché un giorno, il prima possibile, me ne andrò da questo posto: – dichiarò Roy, senza alcuna esitazione – voglio andare a Central e scoprire il mondo. Diventare qualcuno di importante. Non credi che fuori da queste campagne ci debbano essere milioni di avventure da vivere?”
“Ti disturba tanto la monotonia di questo posto?” chiese lei a cui quella campagna in fondo non dispiaceva.
“Non è che mi disturba, ma me la sento stretta… se la cosa più emozionante che hai da raccontare è che Jean ha fatto qualche dispetto al ragazzo con gli occhiali.”
“Si chiama Kain.”
“Giusto, Kain. E dimmi, Riza, vuoi davvero passare la tua vita a difenderlo? Prima o poi la scuola finisce anche per lui, sai…”
Ecco Roy Mustang: il ragazzo con aspirazioni più grandi del posto dove stava. Gli occhi neri gli brillavano quando si immaginava le meraviglie che stavano lontano dalle campagne, nella grande città. Perché a quindici anni lui voleva cambiare il mondo, vivere avventure, essere il capo di qualcosa di meraviglioso.
E a Riza, nonostante scuotesse la testa con disappunto, piaceva credere che un giorno questi sogni potessero realizzarsi… e che anche lei ne fosse coinvolta.
Ma una parte di lei non poteva fare a meno di restare legata a quella tranquilla vita quotidiana di quel posto, ai dispetti di Jean su Kain e a quel piccolo mondo che in fondo li proteggeva.
“Chissà, Roy, magari troverai qualche incredibile avventura anche qui.” mormorò con un sorriso.
 
 





Come sempre i bellissimi disegni sono opera di Mary_ 
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