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Autore: Laylath    06/12/2013    4 recensioni
Eppure a guardare più da vicino i ragazzi di quella realtà, ci si sarebbe accorti che le loro esistenze non erano così scontate: i piccoli grandi problemi dell’infanzia e dell’adolescenza a volte andavano ad intrecciarsi con situazioni difficili, dove spesso il legame con un amico fidato era la cosa migliore per poter andare avanti.
E spesso le persone più impensabili stringevano un forte legame tra di loro per uno strano susseguirsi di eventi, all’apparenza così normali… anche se poi viverli era tutt’altra cosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo 3: Il magico lettore dello stagno.



Spesso Riza aveva provato ad immaginare che tipo di vita potesse condurre un ragazzino apparentemente isolato come Kain Fury. A dire il vero era stata più volte tentata di offrirgli la sua amicizia, ma non ne aveva mai avuto occasione: un po’ perché lei era abbastanza reticente a concedere confidenza, ma soprattutto perché una delle doti di quel bambino dai dritti capelli neri era di sparire immediatamente dopo la fine delle lezioni, senza darle il tempo di avvicinarlo. Anche durante l’intervallo tendeva a stare lontano da tutti gli altri ed in quelle occasioni Riza era comunque impegnata con Rebecca o con Roy.
Insomma per un motivo o per un altro questo passo avanti non era mai stato fatto… tuttavia, ora che sapeva il suo nome, dove viveva e chi era suo padre, aveva avuto qualche ulteriore indizio per pensare a lui in maniera più definita: adesso era più facile immaginare a come dovesse essere vivere in una casa così tranquilla ed immersa nel verde, lontana dal paese… ma in fondo un po’ simile alla sua, escludendo ovviamente lo stato di trascuratezza. Quella casa in cima alla collinetta, dalle imposte blu scuro che si intravedevano tra gli alberi della pineta, aveva un non so che di quieto e riposante.
Chissà che persone erano i genitori di Kain…
 
“Kain, pulcino, la merenda è pronta!” la voce arrivò dal piano di sotto, distogliendo il ragazzino dai pezzetti di metallo sparsi sulla scrivania.
“Arrivo, mamma!” rispose lui, mettendo il tutto in una scatolina e riponendola nel cassetto.
Erano le quattro e mezza del pomeriggio e lui aveva già finito i compiti da tempo: li faceva sempre dopo pranzo e ci impiegava poco perché aveva una mente particolarmente elastica e vivace, specie nelle materie come matematica dove si dimostrava particolarmente abile, con somma soddisfazione dei suoi insegnanti.
Il fatto di essere così intelligente e di impiegare relativamente poco tempo negli impegni scolastici, gli lasciava molte ore libere al giorno, una cosa che molti studenti gli avrebbero notevolmente invidiato… ma probabilmente immaginavano che lui stesse tutto il giorno chino sui libri.
In realtà per la maggior parte del tempo, Kain Fury si dedicava al suo grande amore: l’elettronica. Era iniziato tutto per caso quando aveva sei anni: la vecchia radio del padre si era rotta e stava per essere buttata, tuttavia il bambino aveva chiesto al genitore se la poteva tenere per giocarci. E così aveva scoperto che levando il coperchio, c’era un meraviglioso mondo di cavi, rondelle e pezzetti affascinanti e misteriosi.
Già all’epoca Kain mostrava difficoltà di inserimento con i suo coetanei ed i suoi genitori erano rimasti sollevati quando avevano visto la sua attenzione focalizzarsi su qualcosa che lo appassionasse e gli facesse in qualche modo scordare questo suo problema.
Certo, avevano sperato che quella difficoltà di socializzazione fosse solo una fase, dovuta alla grande timidezza, ma invece la questione aveva continuato a trascinarsi nel corso degli anni.
In realtà Kain aveva fatto diversi tentativi di avvicinare i suoi compagni, ma i loro interessi erano troppo diversi: come scoprivano che a lui piacevano le cose elettroniche, l’astio già latente per il suo essere “cocco dei professori” si scatenava. Per lo più erano prese in giro e rifiuto di stare con lui, ma altre volte si era arrivati anche a scherzi e dispetti che, più cresceva, più diventavano pesanti.
Tuttavia, per quanto le ore scolastiche fossero abbastanza travagliate, a Kain bastava andare via da quel posto per ritrovare l’atteggiamento sereno che aveva di natura: aveva scoperto che gli bastavano i suoi genitori, i suoi interessi; per quanto a scuola apparisse un bambino molto triste, in realtà non lo era affatto.
“Ho una fame da lupo!” sorrise sedendosi a tavola.
“E allora divora pure il tuo panino con la marmellata, lupacchiotto – rise Ellie, mettendogli davanti il piatto – e bevi il tuo latte.”
Vedendolo mangiare con tanto entusiasmo, Ellie Fury non poté far a meno di abbracciarlo e dargli un bacio sulla guancia. Era estremamente legata al suo unico bambino, nato quando era appena diciannovenne: aveva rischiato di perderlo più volte durante la gravidanza e anche i primi anni non erano stati facili; Kain era nato molto debole e il medico non gli aveva dato molte speranze di vita, ma lei non aveva ceduto: aveva protetto con tutta se stessa quel minuscolo fagottino che quasi non aveva la forza di piangere. Ogni giorno, ogni ora si era dedicata a lui con una devozione incredibile, decisa a farlo vivere.
E ce l’aveva fatta: verso i quattro anni, i problemi di salute che l’avevano tenuto chiuso in casa erano piano piano spariti, lasciando il posto ad un bimbo sano ed intelligente.
Quella che ora finiva con entusiasmo il panino, lasciandosi tracce di marmellata sul mento, era una persona completamente diversa dal neonato che riusciva a malapena ad attaccarsi al suo seno.
“Mamma! – rise il bambino con la bocca piena, mentre la donna, dopo avergli pulito lo sporco col grembiule, lo stringeva a se – Mamma, mi stai spettinando tutti i capelli.”
“Spettinare questa chioma ribelle? – chiese lei, accarezzando la testa bruna – Ma se è impossibile da pettinare, come potrei mai spettinarla? Domanda inutile, ma te la faccio lo stesso: finiti i compiti?”
“Certo, mamma. Posso uscire?”
Ellie si staccò da lui e lo guardò, un dolce riflesso di se stessa: avevano gli stessi occhi, grandi e scuri, la stessa delicatezza di lineamenti, gli stessi capelli neri e ribelli.
Se doveva essere sincera avrebbe preferito tenerlo a casa, con lei, al sicuro…
Ellie, lascialo andare… sta bene, è sanissimo: se vuole uscire è la cosa migliore del mondo.
Ricordando quello che il marito le diceva spesso, la donna ricacciò indietro la sua ansia materna: ormai Kain aveva undici anni ed era molto responsabile per la sua età. Non aveva alcun motivo di preoccuparsi e non era giusto tarpargli le ali per le sue paure.
“Sì, caro, ma fai attenzione, va bene?”
“Certo, mamma, stai tranquilla: – disse lui con serietà, intuendo di doverla rassicurare – voglio solo fare un giro. Voglio andare a trovare papà al cantiere sul fiume.”
“E sia, ma non fare troppo tardi.” acconsenti dandogli un ultimo bacio sulla guancia.
“Sarò a casa prima di cena, promesso.” annuì alzandosi dal tavolo e avviandosi verso la porta della cucina che dava sul cortile sul retro.
 
Appena fu sicuro di essere fuori dalla portata dell’occhio materno, iniziò a correre a più non posso sul sentiero che portava al fiume. Prendendo velocità, grazie anche alla strada in discesa, emise un’esclamazione entusiasta e allargò le braccia ad imitazione del volo degli uccelli, assaporando la gioia del vento contro la sua figura, degli odori della campagna che gli penetravano nelle narici, del sole sul suo viso.
Adorava correre, lo faceva sentire vivo in una maniera incredibile: per i primi quattro anni della sua vita era stato un lusso che non si era mai potuto permettere, considerato che gli bastava poco per ammalarsi. Ma da quando era guarito da quell’esilità fisica che l’aveva tormentato per tanto tempo, ed aveva scoperto che correre gli faceva bene, non perdeva occasione per farlo. Sentiva incredibili scariche di energia in ogni fibra del suo essere, proprio come i circuiti delle radio che adorava smontare e rimontare.
Vederlo all’aria aperta, da solo, era come vedere un bambino completamente diverso da quello che era a scuola.
“Papà! – esclamò, arrivando al piccolo cantiere che c’era nell’ansa del fiume – Papà!”
“Ehilà, figliolo – lo salutò Andrew, alzando lo sguardo dai fogli che stava studiando nel piccolo tavolo di legno – hai corso da casa fino a qui? Sei tutto rosso in viso.”
“Ho il fiatone!” sorrise Kain, cercando di riprendere fiato e accostandosi al padre che gli diede un buffetto affettuoso sulla guancia. Si somigliavano nei tratti, anche se il bimbo aveva la delicatezza della madre ad addolcirli e a renderli più infantili dell’età effettiva.
“Tutta salute, ragazzo mio, e ti fa venire un bell’appetito: sono certo che a cena divorerai ogni cosa, con somma gioia di tua madre. Allora, oggi come è andata a scuola?”
A quella domanda Kain si irrigidì leggermente: Jean gli aveva fatto i soliti dispetti e lì non c’era nessuna novità, ma anche nella sua stessa classe non era andata bene. Alcuni suo compagni quell’anno avevano iniziato ad essere più prepotenti del solito con lui… una sgradita sorpresa che ormai andava avanti da una decina di giorni.
“E’ andato tutto bene, papà.” rispose tuttavia, scrollando le spalle ed elargendo il migliore dei suoi sorrisi.
Sapeva benissimo che i suoi genitori si preoccupavano molto per il suo non avere amici… e non voleva che sapessero che aveva anche così tanti tormentatori. Se doveva essere sincero avrebbe tanto voluto studiare a casa, come si era prospettato quando ancora era fragile e cagionevole: sua madre aveva studiato da insegnante prima di restate incinta e dunque non ci sarebbero stati problemi.
Non avrebbe mai pensato che i suoi coetanei potessero essere così… cattivi.
“Sicuro?”
“Certo, papà” annuì con sicurezza.
Più che mai voleva dimostrarsi forte con suo padre: era lui che lo spronava sempre a reagire alle avversità e comportarsi da vero “ometto”, mentre sua madre tendeva maggiormente a tenerlo nel suo bozzolo protettivo. Lui avrebbe voluto, sul serio: sarebbe stato il primo a voler uscire da quella situazione così tormentata; ma era molto facile dirlo a parole… il problema si presentava invariabilmente quando a scuola sbatteva contro la realtà dei fatti, impersonata in particolar modo da Jean Havoc.
E dunque era meglio tenere un silenzio che forse faceva comodo ad entrambi: Andrew era per Kain la figura maschile di riferimento e l’ultima cosa che voleva era che anche lui gli fosse in qualche modo ostile. Suo padre non era un uomo molto robusto o alto, eppure aveva sempre ottenuto il rispetto di tutti quanti… e per il bambino niente era più importante di rendere fiero di lui il suo meraviglioso genitore.
Andrew era quello che lo spronava a crescere, magari più in fretta del previsto, Ellie invece tendeva a considerarlo molto spesso come un bimbetto fragile e bisognoso di lei. Insomma Kain si trovava a dover gestire un delicato equilibrio tra i suoi due amati genitori e, nonostante tutto, ci riusciva bene.
 “Bravo ometto – mormorò intanto Andrew, arruffandogli i capelli – dai, adesso vai pure a giocare. Qui c’è parecchio da lavorare e più facciamo entro oggi, meglio è. Ci vediamo stasera a cena, va bene?”
“Va bene; – sorrise Kain, arrossendo di piacere per quel gesto – a dopo papà. Buon lavoro.”
 
A dire il vero Kain non aveva intenzione di andare a giocare.
Per lui stare fuori significava esplorare la campagna, osservare gli animali: i giochi in genere presumevano la presenza di altri ragazzi e questo rendeva la cosa totalmente fuori discussione.
Però aveva una meta ben precisa dove andare e sperava con tutto il cuore di trovarci una persona.
A dire il vero lo considerava il suo piccolo grande segreto, tanto che non ne aveva parlato nemmeno con sua madre, alla quale in genere confidava ogni cosa. Ma… in questo caso era come se avesse paura di spezzare un magico incantesimo che si era creato quell’estate.
Arrestando la sua corsa, finalmente intravvide il suo luogo segreto.
Si trattava di un piccolo stagno, poco più di una pozza ad essere sinceri, tanto che sicuramente la maggior parte delle persone ne ignorava l’esistenza, coperto com’era dal canneto. Era uno di quegli angoli perennemente tranquilli, con giusto qualche uccellino e qualche ranocchietta a farla da padrone: troppo piccolo anche per le solite papere selvatiche.
Kain l’aveva scoperto quell’estate in uno dei suoi vagabondaggi per la campagna e da allora ci andava ogni volta che poteva. Ma non era lo stagno ad attirarlo in maniera particolare… quanto il fatto che molto spesso vi andava un ragazzo.
C’era una piccola banchina di legno nella sponda più larga e lui si sedeva lì.
Kain era certo che fosse uno dei ragazzi degli ultimi anni, anche se a scuola non l’aveva mai visto: aveva i capelli curiosamente bicolori, bianchi sopra e neri sotto, ed era alto e magro, gli zigomi del viso particolarmente evidenti.
La prima volta che l’aveva visto arrivare, il bambino si era nascosto, pensando che si potesse trattare di qualcuno pronto a prendersela con lui anche al di fuori del contesto scolastico. Sbirciando tra le canne, pronto a sgattaiolare via il più silenziosamente possibile alla prima occasione, aveva invece visto quel curioso ragazzo che si sedeva nella banchina di legno e si levava una tracolla. Era davvero impensabile che volesse pescare in quella pozza dove al massimo c’erano dei girini e, infatti, con somma sorpresa dell’osservatore nascosto, aveva tirato fuori un libro e aveva cominciato a leggerlo…
A quel punto Kain sarebbe potuto scappare via, tanto era l’intensità con cui quel ragazzo stava immerso nella lettura, ma si era scoperto letteralmente imprigionato da quella scena. E così, invece di gattonare tra le canne, si era accovacciato meglio nel suo nascondiglio ed aveva iniziato a fantasticare.
Il magico lettore dello stagno… così l’aveva denominato in uno di questi suoi eccessi di fantasia.
Aveva scoperto che gli piaceva stare lì ad osservarlo leggere: era una figura così calma e pacifica da infondergli serenità al solo vederlo. I suoi occhi scuri avevano più volte provato a leggere i titoli dei libri: fiabe, romanzi… non ne conosceva la maggior parte. Si era più volte chiesto di cosa parlassero quelle pagine che, sfogliate da quelle mani snelle, sembravano racchiudere storie meravigliose e fantastiche. A volte, stando nascosto nella sua nicchia, il bimbo si immaginava di vedere creature magiche uscire dal libro e dialogare con il lettore, quasi fosse un potente mago che sa parlare con gli spiriti.
Dunque come arrivò in prossimità dello stagno, Kain rallentò il passo e si fece silenzioso e discreto. Chinandosi a terra iniziò a gattonare fino alla sua nicchia… che a dire il vero diventava sempre più vicina al ragazzo sconosciuto.
Trattenendo il fiato vide che anche quel pomeriggio era venuto e gli occhi si illuminarono di gioia.
Fratelli Grimm… - le sue labbra sillabarono il titolo del libro, un grosso volume dalle pagine ingiallite.
Favole? Oh che meraviglia! Ma perché non leggeva mai a voce alta? Gli sarebbe tanto piaciuto ascoltare una di quelle storie… ma ormai era troppo grande per chiedere alla mamma di farlo come quando aveva sei anni…
Chissà se lui mi racconterebbe quelle meravigliose storie che legge. Io…
Una libellula gli saettò davanti agli occhiali, distogliendolo dalle sue fantasie e facendogli lanciare una lieve esclamazione di sorpresa. Immediatamente si portò le mani alla bocca, terrorizzato all’idea di aver spezzato irrimediabilmente l’incantesimo…
Effettivamente il ragazzo distolse lo sguardo dal libro e si voltò verso il punto dove stava nascosto.
“Puoi uscire da quel canneto.” disse la sua voce, incredibilmente tranquilla e calma.
A Kain non restò che sollevarsi dal suo nascondiglio, rosso in viso per l’imbarazzo: non sapeva cosa fare. A rigor di logica sarebbe dovuto scappare a casa e non uscire per tutto il resto del mese. Ma una parte di lui era troppo affascinata da quel giovane così appassionato di libri… che lo fissava con quegli occhi dal taglio allungato.
Per favore… ti prego… non cacciarmi pure tu.
Fu quasi una preghiera quella che invase i pensieri del bruno, mentre restava immobile tra le canne. Si accorse di non aver mai voluto così disperatamente essere accettato da qualcuno… la tensione era tale che il labbro inferiore iniziò a tremargli.
“Come ti chiami?” chiese con gentilezza lo sconosciuto.
“K… Kain.”
“Ciao, Kain. Io sono Vato.”
Rimasero a guardarsi, evidentemente indecisi su quello da farsi. Poi Kain fece una cosa che non tentava da tempo: prese l’iniziativa.
“E’… è un libro di favole?” chiese con vocetta timida.
Vato spostò lo sguardo sul libro che teneva in mano e con un sorriso accarezzò amorevolmente la copertina marrone: le lettere del titolo sembravano risplendere dopo che le sue dita le avevano sfiorate.
“Favole – annuì – e molto di più. Sai chi sono i fratelli Grimm?”
“Gli autori delle favole, no?” rispose Kain, inclinando lievemente la testa di lato e mettendo le mani dietro la schiena.
“Non proprio; questi racconti sono molto più vecchi: sono le leggende della tradizione popolare tedesca e loro le hanno raccolte perché non andassero perdute. Sono storie antiche, e le loro origini si perdono nel tempo…”
Kain ascoltava affascinato quel ragazzo parlare, l’aura di magia attorno a lui che sembrava aumentare, invece di sparire come aveva temuto quando era stato scoperto. Si trovò ad avvicinarsi timidamente fino ad arrivare all’estremità della piccola banchina.
“Posso restare qui con te?” sussurrò.
“Lo fai molto spesso, mi sembra; – sorrise Vato – ma forse, ora che ci siamo presentati, non mi pare il caso che tu rimanga accovacciato nel canneto, non credi?”
Il ragazzino arrossì colpevolmente: dunque la sua presenza non era passata per niente inosservata. Che in qualche modo Vato sapesse usare la magia? Ma questo pensiero fu subito sostituito da un altro, molto più importante
Non mi ha cacciato via…
Con timidezza fece un passo avanti, entrando nel legno della banchina e, automaticamente, Vato si fece leggermente di lato per lasciargli posto.
“Sei più piccolo del previsto, visto da vicino. – dichiarò, guardandolo sedersi accanto a lui – Quanti anni hai?”
“Ne ho compiuto undici il nove di questo mese. Sono in prima media.”
“Io in quarta superiore.”
“Non ti ho mai visto a scuola.”confessò Kain.
“Perché sto sempre in classe, anche durante l’intervallo. E’ il posto più tranquillo per leggere, dopo questo stagno naturalmente.”
“Oh…”
Lo sguardo del ragazzino tornò sul libro di storie tra le mani di Vato.
Forse… forse era troppo chiedergli di leggergli una di quelle storie, al massimo avrebbe potuto chiedere il libro in prestito però…
“Quale storia stavi leggendo?”
I Musicanti di Brema, la conosci?”
“No.”
Vato riaprì il libro, mostrando la pagina dalla bella scrittura, con di lato un’immagine di quattro animali: un cane, un gatto un asino ed un gallo. Kain ne fu così affascinato da sporgersi ulteriormente.
E senza che glielo chiedesse, il ragazzo grande incominciò:
“Un uomo aveva un asino che l’aveva servito assiduamente per molti anni…”
E per la prima volta in vita sua, Kain Fury ebbe la certezza di avere un amico.







I bellissimi disegni sono opera di Mary_
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