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“Era
lui che invocavi durante il delirio della febbre?”
Tristan chiuse gli occhi,
strinse i pugni, le labbra, il cuore.
Non pensava che, dopo tanto
tempo, i suoi sogni sarebbero tornati là, a ripescare nel
torbido. Da anni
teneva le sue memorie sigillate e non permetteva a uno solo dei suoi
pensieri
di deviare dal presente. Ma appena la coscienza era venuta meno, ecco
che la
parte più ripugnante di lui era tornata a galla, come un
cadavere sull’acqua.
- Che schifo.
Posò una mano sul comodino e
con un colpo secco gettò a terra la tazza in cui aveva
bevuto l’infuso. Si
ruppe in pezzi taglienti, affilati come la repulsione
che stagnava nel suo animo.
Che
schifo,
pensò di nuovo. Era tutto solamente uno schifo.
Vide il medico il mattino
dopo. Lo
osservò accigliato, mentre gli
slegava le bende e controllava la cicatrizzazione della ferita;
sopportò il
dolore stringendo la mascella, irrigidendo allo spasimo ogni muscolo
del corpo.
- Sta guarendo – fu la
sentenza, infine – Dovrete pazientare ancora diversi giorni,
prima che il
dolore si acquieti, ma senza dubbio la vostra caviglia è
salva. Ammetto di aver
nutrito ben poche speranze, in principio: pensavo che sareste morto
d’infezione
o che, nel migliore dei casi, avrei dovuto amputarvi la gamba. Ma la
vostra
accompagnatrice non si è arresa, ha rinunciato a diverse
notti di sonno per
medicarvi.
- Non sono certo io ad
averglielo domandato.
Il medico alzò su di lui
occhi pensosi, che lo misero a disagio. Alla sua
aggressività, la gente
rispondeva attaccando o fuggendo, ma quel dottore no... Quel dottore
sembrava
piuttosto desideroso di capire.
- Helaida – disse,
rivolgendosi alla ragazza lì accanto - Sarà
necessario un nuovo massaggio per
evitare che i muscoli si irrigidiscano ulteriormente.
Tristan fissò il medico
sconcertato – Massaggio? Non ho intenzione di farmi fare
niente del genere.
- Sono giorni che questa
ragazza lavora sui vostri muscoli, non credo esista una parte del
vostro corpo che
non conosca ormai nel dettaglio.
Inverosimilmente, sentì che
correva il rischio di arrossire. Il pensiero che quella ragazza avesse
disposto
del suo corpo mentre lui era incosciente lo faceva sentire al contempo
imbarazzato e nauseato. Peggio: terrorizzato. Un’emozione che
detestava
provare.
- Prima non ero nelle
condizioni di rifiutare – sibilò – Ma
ora non potete costringermi ad accettare
ancora aiuto da lei.
Il medico strinse gli occhi
e si voltò verso la ragazza – Per favore, andate a
prendere l’olio per il
massaggio.
Lei, obbediente, uscì dalla
stanza.
- Ascoltatemi, giovanotto –
gli disse, appena furono soli – Ho visto le cicatrici che
avete sul corpo e
sono segni che parlano di tortura, di prigionia e di umiliazioni.
Immagino che
per voi, in questo momento, ritrovarvi così debole e alla
mercé di chiunque
possa essere spaventoso; ma voglio rassicurarvi sul fatto che non
correte alcun
pericolo. Quella ragazza si è occupata di voi come pochi
altri avrebbero fatto:
è merito suo se potrete ancora camminare su due gambe e,
credetemi, non ho mai
visto nessuno trattare il corpo altrui con tanto rispetto. Dunque, non
fatele
del male. Non rifiutatela, lasciate che continui ad aiutarvi. Avete
bisogno di
quel massaggio per rimettervi in piedi e proseguire quanto prima il
vostro
viaggio.
Tristan rimase in silenzio,
spiazzato da quell’imprevisto discorso.
- Datemi ascolto – ribadì il
medico – Anche se avete sofferto, non siete costretto a
restituire quella
sofferenza a chi vi ha fatto solo del bene.
Lui si morse il labbro e
abbassò lo sguardo. Non voleva ripensarci e non voleva
ricordare. Ma quando un
pensiero si incanala è così difficile fermarlo. E
Tristan all’improvviso era
già là, in quel tempo e quel luogo marchiati a
fuoco nella sua anima.
Quando
il Granduca lo fece
prigioniero lui, non
aveva che diciotto anni.
Gli
uomini di Roman Fedar accerchiarono il castello, lo presero
d’assedio e infine
penetrarono le mura; entrarono, sbaragliarono, uccisero. Tristan non
era tra
quelli che riuscì a fuggire, lui e sua sorella vennero presi
in ostaggio e
portati alla Roccaforte come bottino di guerra; come prede su cui
sfogare una
sete di dominio malata, perversa.
Lo
torturarono per giorni, senza lasciargli lo spazio di un respiro. Il
suo corpo
urlava, tutto intero, come un unico coagulo di dolore; scongiurava,
supplicava,
anelava a un respiro, un solo respiro privo di sofferenza.
Chiese
pietà. La chiese per sé e per sua sorella.
“Ditemi che non le state facendo la
stessa cosa!”, pregava, ma nessuno mai gli rispondeva.
Infierivano, infierivano
e basta sul suo corpo agonizzante, solo per sentirlo urlare, per
vederlo
strisciare; perché quello piaceva al Granduca: possedere
interamente la vita
altrui.
Tristan
perse ogni dignità, si prostrò ai piedi di Roman
Fedar iimplorando pietà,
implorando riposo, implorando, implorando, implorando.
E
un giorno smise di torturarlo.
-
Ho esaudito la tua richiesta – gli disse, con un sorriso
cattivo che era il suo
unico sorriso – Smetterò di tormentarti, ragazzo.
Non rifiuto mai di soddisfare
un desiderio, ma ogni desiderio ha un costo; il costo di una vita. Non
dimenticarlo, la prossima volta
che mi domanderai qualche cosa.
Impiegò qualche istante a comprendere che aveva ucciso sua sorella.
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Anche questa settimana sono in anticipo, stavolta perché.... Beh, perché mi va! xD
E' quasi Natale e mi gira così! Buon venerdì a tutti!!