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Autore: Laylath    08/12/2013    2 recensioni
Eppure a guardare più da vicino i ragazzi di quella realtà, ci si sarebbe accorti che le loro esistenze non erano così scontate: i piccoli grandi problemi dell’infanzia e dell’adolescenza a volte andavano ad intrecciarsi con situazioni difficili, dove spesso il legame con un amico fidato era la cosa migliore per poter andare avanti.
E spesso le persone più impensabili stringevano un forte legame tra di loro per uno strano susseguirsi di eventi, all’apparenza così normali… anche se poi viverli era tutt’altra cosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo 4: Dinamiche familiari

 

Negli ultimi due anni Jean Havoc era cresciuto davvero tanto e si era irrobustito parecchio: la cosa gli aveva fatto enormemente piacere non solo per una mera questione di vanteria, ma anche perché così aveva occasione di rendersi maggiormente utile all’emporio.
“Sei sicuro di volerle prendere tutte assieme?” chiese James con un sorriso, passando una pila di cassette al figlio e assicurandosi che fossero ben in equilibrio.
“Nessun problema, papà: – annuì Jean, con la faccia concentrata, mentre le braccia si irrigidivano per lo sforzo, mostrando tuttavia una buona muscolatura – le porto dentro da solo.”
Consapevole che suo padre teneva lo sguardo su di lui, il ragazzo ci mise particolare impegno per non piegarsi sotto il gravoso peso di tutte quelle casse che aveva preteso di portare assieme. Erano piccole sfide che gli piaceva fare per mettere alla prova se stesso, ma anche perché si sentiva estremamente felice quando suo padre si congratulava con lui e gli dava orgogliose pacche sulle spalle.
“Ah, ragazzo mio – disse appunto l’uomo, raggiungendolo dentro il magazzino ed arruffandogli il ciuffo biondo – sei un gran lavoratore, sono fiero di te. Sei di grande aiuto al tuo vecchio.”
“Oh, ma figurati papà! – sorrise Jean, stiracchiandosi per dare sollievo alle braccia e alla schiena date le numerose operazioni di carico e scarico che avevano fatto nelle giornate dato il rinnovo del magazzino dell’emporio – Non è stato nulla.”
“Sono le sette del mattino – si scusò l’uomo, mentre uscivano e si godevano il primo tiepido sole della giornata – ti ho fatto perdere ore di sonno e tra poco dovrai andare a scuola.”
“Naah, non ti preoccupare – scrollò le spalle il ragazzo, accorgendosi con piacere che ora arrivava quasi alla spalla del genitore – è giusto che ti dia una mano con tutto questo lavoro che hai da fare. Certo non è roba da far fare a Janet.”
“Tu lasciala crescere e vedrai che anche la ragazza diventerà bella forte.”
“Sì, ma per ora ti devi accontentare dell’aiuto che ti do io, e che ti da Heymans quando può!” rise Jean, al pensiero della sua piccola sorellina che cercava di sollevare anche una sola di quelle pesanti cassette che aveva trasportato poco fa.
“Anche lui è proprio un bravo ragazzo – commentò James, come se stesse parlando di un terzo figlio – sono davvero felice che tu e lui abbiate un ottimo rapporto. E mi fa piacere sapere che anche Janet fa molto affidamento su di lui.”
Jean annuì, guardando il sole che iniziava a diventare più alto, e assaporandone il tepore sulle braccia scoperte per via della camicia arrotolata. Adorava questi momenti passati con suo padre, quando potevano parlare da uomo a uomo.
“Papà – chiese, spinto proprio dalla confidenza che aveva col genitore – sai, Heymans non parla mai della sua famiglia, specie di suo padre…”
“Mh, – sospirò l’uomo, passandosi la mano sui capelli biondi e corti, con qualche filo argento – non te ne parla perché non è una situazione molto facile. Gregor non è proprio un modello come padre e marito, questo lo sanno tutti… povera Laura, è sempre stata una brava ragazza, ma è rimasta intrappolata in un matrimonio infelice.”
“A volte mi chiedo cosa potrei fare per lui…” ammise Jean, sentendosi in colpa perché quello era un frangente in cui non sapeva come comportarsi.
“Heymans sa che può contare su di te e su tutta la nostra famiglia – disse James – e credimi che questo vuol dire tanto per lui. Fidati, ragazzo, se e quando il tuo amico vorrà parlarne sa che di te si può fidare. Dai, adesso vai a lavarti e a fare colazione: l’ora di andare a scuola si avvicina.”
“E già…” mormorò Jean, mettendosi le mani in tasca e restando da solo a guardare la campagna che iniziava una nuova giornata. Uno dei vantaggi dell’alzarsi presto per lavorare: godere di simili momenti.
 
Proprio mentre il biondo si apprestava a rientrare in casa, Heymans finiva di vestirsi ed usciva silenziosamente dalla sua camera, portandosi già dietro la tracolla e facendo attenzione a non svegliare il resto della casa addormentata.
In realtà viveva abbastanza vicino alla scuola e avrebbe potuto permettersi di uscire molto più tardi: tuttavia meno stava in casa più si sentiva sereno. Alle sette e un quarto del mattino gli unici svegli in casa erano lui e sua madre e scendendo in cucina, il ragazzo sorrise nel trovarla intenta a preparare la tavola per la colazione.
“Buongiorno, caro – lo salutò Laura, mentre sistemava una tazza davanti al posto dove Heymans si stava sedendo – dormito bene?”
“Ciao, mamma, – sorrise lui – sì grazie.”
“Ho messo a scaldare il pane: tra qualche minuto e pronto.”
Il ragazzo annuì e si mise a braccia conserte, godendo di quel momento di tranquillità che si poteva concedere con sua madre che mai, durante il resto della giornata, appariva così serena e felice.
Questo particolare momento era nato da quando aveva conosciuto Jean e aveva preso l’abitudine di andarlo ad aspettare all’incrocio delle strade con grandissimo anticipo. Sua madre da allora si svegliava prima del previsto per potergli preparare la colazione: lui aveva protestato, dicendo che non era necessario che lei si strapazzasse in questo modo e che poteva benissimo arrangiarsi qualcosa da solo. Ma poi si era accorto che anche la donna traeva notevole serenità da quei momenti trascorsi assieme.
Vedendola levare il pane dal forno per metterlo in un piatto e portarlo al tavolo, il ragazzo sorrise.
A volte vorrei che ci fossimo solo noi due, mamma… è così tranquillo quando siamo soli.
“Mangi con me?” chiese, come faceva ogni mattina.
“Sarebbe un peccato rinunciare a questo pane così caldo e morbido. – annuì lei, dando sempre la medesima risposta e sedendosi vicino al figlio – Allora, anche oggi vai ad attendere il tuo amico?”
“Sì, mamma. Ti ho raccontato cosa ha combinato durante l’ora di matematica?”
“No, dimmi pure.” sorrise lei con complicità.
Ed Heymans iniziò a raccontare delle ultime disavventure di Jean a scuola: teneva un tono deliberatamente basso, quasi avesse paura di svegliare il padre ed il fratello, ma soprattutto perché in questo modo gli sembrava che quel momento fosse ancora di più suo e di sua madre.
Com’era diversa da quella di Jean, sempre così allegra e vivace… Laura Breda al contrario era una donna silenziosa e riservata, ma Heymans, per quella forma di maturità che aveva di carattere, ma che era stata anche alimentata dalla sua situazione familiare, sapeva che c’era molto dietro. La loro condizione non era proprio felice: suo padre non era mai stato un uomo molto responsabile… a volte il ragazzo si chiedeva come avesse potuto una donna buona come sua madre sposare uno come lui. Ma la risposta la conosceva bene e gli faceva dolorosamente male: sua madre era ancora molto giovane ed ingenua quando quell’uomo era arrivato in paese… ed era rimasta incinta.
La consapevolezza di essere il responsabile dell’infelicità di sua madre era difficile da mandare giù.  
Perché, nonostante sua madre lo negasse anche a se stessa, lei non era felice in quella casa: dopo che si erano sposati, Greg l’aveva costretta a lasciare il suo sogno di diventare sarta, dicendo che una donna doveva dedicarsi solo alla famiglia… e con la nascita dei figli, nell’arco di tre anni, lei si era trovata del tutto imprigionata in un circolo vizioso di remissione ed amore materno.
Lui ed Henry erano diventati quasi una sorta di ricatto emotivo.
Se doveva essere sincero Heymans, crescendo e rendendosi conto della situazione, aveva in qualche modo cercato di porvi rimedio.
Mamma, perché non riprendi a cucire? Tanto io ed Henry siamo abbastanza grandi: non devi più starci dietro come quando eravamo piccoli.
E negli occhi grigi di sua madre aveva letto il desiderio di uscire da quella vita… ma quella stessa notte, si era svegliato all’improvviso sentendo grida dalla camera da letto dei suoi. Ed il giorno dopo aveva visto sua madre con gli occhi gonfi per il pianto.
Non era stata picchiata, no. L’unica cosa che Gregor aveva di positivo era che non alzava le mani… almeno fino a quel momento. Ma il cappio psicologico che teneva addosso alla moglie era qualcosa di tremendo.
E da quel momento Heymans si era sentito talmente in colpa da non provare più a spezzare quell’equilibrio malsano che teneva unita la sua famiglia.
Ma se poteva regalare a sua madre momenti di serenità come quelli mattutini, ne era davvero felice.
“Allora, anche oggi vai a scuola con Jean e sua sorella?”
“Sì, mamma.”
“La prossima volta che passo all’emporio devo ringraziare la loro madre. Sono molto gentili con te.”
“Oh, stai tranquilla, mamma, non ti preoccupare.”
“E’ che… sei così spesso da loro.”
Heymans annuì: si era vero… ogni volta che poteva stava da loro. Perché gli Havoc erano il tipo di famiglia che lui avrebbe davvero voluto: sereni, uniti, compatti; com’era diversa l’atmosfera in quella casa.
E forse loro avevano capito quanto lui cercasse con disperazione un simile ambiente: la signora era sempre gentile con lui ed anche il padre di Jean spesso lo coinvolgeva in qualche lavoretto all’emporio. Lo facevano sentire a casa, amato e benvoluto: un terzo figlio.
E anche quello era un brutto senso di colpa da mandare giù: preferire una famiglia alla propria.
Ma è inutile negare la realtà… se non fosse per mamma e per Henry..
Il nome del fratello gli procurò uno strano groviglio allo stomaco ed automaticamente si trovò a parlare di Jean
“Oh, beh… sai, è che Jean mi trascina sempre da lui, per non parlare di sua sorella. E poi, spesso aiutiamo suo padre all’emporio. Però… un giorno lo invito a casa, va bene?”
“Sarebbe bello. Vi potrei fare una torta” sorrise lei.
Ad Heymans sarebbe piaciuto, tantissimo… ma se per sua madre avrebbe portato il suo miglior amico a casa, la presenza perenne di suo padre lo spingeva a non farlo.
Però a volte madre e figlio sentivano l’esigenza di mentirsi in questo modo.
 
Circa venti minuti dopo il rosso era nel solito punto d’incontro, tentando di scrollarsi quella brutta sensazione che gli aveva lasciato il dialogo con la madre. Il senso di colpa per preferire la famiglia di Jean alla propria proprio non lo lasciava… ma era così sbagliato desiderare un ambiente così sereno? Dove tornando a casa da scuola non vedevi tua madre silenziosa per il timore di scatenare il marito. E dove il fratello minore non prometteva di diventare un delinquentello a soli undici anni?
Avrei preferito di gran lunga un fratello minore come Kain Fury.
Henry era… cattivo?
Era una parola che voleva dire tutto o niente, eppure Heymans non poteva fare a meno di accostarla al fratello. Aveva cercato tante volte un dialogo con lui, ma… suo padre.
Preferisce nettamente Henry. E qualsiasi cosa dica o faccia per lui, la rivolta contro di me. E’ come se non volesse che Henry andasse d’accordo col proprio fratello…
Perché Heymans aveva una mente molto sveglia e arrivava alle conclusioni in fretta, per quanto potessero essere sgradite. Sì, suo fratello minore molto spesso era indotto a disprezzarlo: il padre, invece di riprenderlo, lo incitava a compiere danni, in nome di una presunta dimostrazione di forza… e tutte le volte che Heymans aveva cercato di porre fine a quella deviazione di carattere, si era trovato contro gli altri due maschi della famiglia.
E con mamma troppo spaventata per poter dire qualcosa… eppure anche lei non è felice della via che ha preso Henry.
La verità era che lui era stato l’unico ad opporsi al giogo psicologico di Gregor: aveva un carattere forte ed indipendente, non era tipo da cedere a ricatti emotivi… ed era per questo che il padre l’aveva piano piano allontanato da se, rivolgendo l’attenzione al minore, sicuramente più debole caratterialmente.
Non era certo una situazione che…
“Heymans! Heymans!” lo interruppe una voce squillante
Il rosso si girò appena in tempo per accogliere Janet tra le braccia: ormai, in quelle settimane che la scuola era iniziata, ci si era abituato. Il bolide dalle trecce bionde giunse ad altissima velocità, spinto dalla strada in discesa, e lui fu bravo a pararlo prima che cadesse per lo slancio della corsa.
“Ciao Janet – sorrise, rimettendola dritta – come stai?”
“Io sto bene, e tu?” sorrise lei, con le guance rosse come due mele.
“Anche io… e tuo fratello? Ah eccolo: con calma, Jean, mi raccomando!”
“Perché? - chiese il biondo con faccia funerea – Sei impaziente di fare il compito di matematica?”
“Abbiamo ripassato in questi giorni: – dichiarò Heymans, mentre Janet si metteva come sempre tra loro due prendendo la mano ad entrambi – sei pronto, fidati.”
“Dici? E allora perché mi sento la testa svuotata da qualsiasi regola?”
“Se vuoi lo faccio io il compito, fratellone! Ho imparato a scrivere i numeri fino a dieci! E la maestra ha detto che sono stata brava.”
“Certo, perché nel compito che devo fare proprio mi chiederanno di scrivere i numeri… sei una tonta, Janet!”
“E tu uno stupido!” sbottò lei, profondamente offesa, levando la mano da quella del fratello.
“Visto che ti senti così grande allora perché non vai e torni da scuola da sola?”
“E dai, Jean…” sospirò Heymans.
Ma Janet scosse il capo e disse:
“No, semmai sei tu che devi andare da solo… io ci vado col mio fidanzatino!”
I due ragazzi si fermarono di colpo, con Heymans che si irrigidiva.
“Con chi, scusa?” chiese Jean, iniziando a ridacchiare.
“Hai proprio capito bene! – dichiarò la bambina, abbracciando Heymans e guardando con sfida il fratello – Heymans è il mio fidanzatino! Voglio solo lui!”
Fu troppo per Jean: scoppiò a ridere così forte che fu costretto a sedersi sul sentiero. Da parte sua Heymans era troppo sconvolto da quella situazione: abbassando lo sguardo vide che Janet lo guardava col visino illuminato e gli occhioni azzurri pieni di aspettativa. Le guance avevano assunto un nuovo rossore, ma non dovuto alla corsa di poco prima…
“Che hai?” gli chiese con innocenza.
“Ecco io…” mormorò il rosso, fortemente in difficoltà. Adorava quella bambina, l’ultima cosa che voleva era vederla piangere, però…
“Andiamo Heymans! – lo prese in giro Jean, alzandosi col fiato corto – Non ho niente in contrario con questo fidanzamento, ma penso che tu debba prima chiedere a mio padre! Io… io… oddio non ce la posso fare!” e riprese a ridere come un ossesso.
“Janet io… - iniziò il rosso prendendola in braccio – ecco… forse sono troppo grande per te, non credi?”
“Oh, è questo il problema? – chiese lei, con entusiasmo – Non ti preoccupare! Per i bacini che si danno i ragazzi grandi aspetto di essere almeno in quinta elementare, va bene? Per ora basta che mi tieni per mano quando andiamo a scuola!”
“Non è questo il punto – cercò di spiegare – è che…”
“Non… non ti piaccio?” chiese la bimba con dolorosa sorpresa.
“No! Tu mi piaci Janet, non piangere! – esclamò lui, vedendola incupirsi – E’ che…”
“Hai già la fidanzatina?”
“Che? No, ma che dici… il fatto è che…”
“E’ allora dove sta il problema?” chiese ancora, esasperata, ovviamente convinta della sua logica infantile dove i problemi ed i sentimenti erano tutti o bianchi o neri, senza alcuna sfumatura.
“Ah, sei in un bel guaio, amico mio: – ridacchio Jean, finalmente calmo – nessuno è più testardo di una ragazza che ha appena deciso quale sarà l’uomo della sua vita. E la testardaggine è ulteriormente raddoppiata dal fatto che stai parlando di una Havoc.”
“Finiscila di fare il saccente. – lo rimproverò Heymans, mettendo a terra la bambina – Senti, Janet, facciamo così… per me non c’è nessun problema a tenerti per mano, va bene? Ma è troppo presto per definirci fidanzatini.”
“Oh, ho capito: – bisbigliò la bimba con fare complice – non vuoi che si sappia in giro.”
“Ecco… sì, esatto. Potrebbero ingelosirsi nel sapere che tu hai già scelto me.”
“Va bene, Allora sarà il nostro segreto! Però aspetta, voglio darti una cosa…” e si mise a frugare nella tracolla per estrarre un braccialetto di perline rosa.
“Ehi, ma quello è il braccialetto che hai fatto ieri, vero?” chiese Jean, avvicinandosi per guardare.
“E’ la prima volta che mi esce così bene, mi ci sono impegnata tanto: – annuì lei con orgoglio – anche la mamma ha detto che sono stata brava. E’ il mio pugno d’amore!”
“Pegno, sciocchina!” la corresse Jean, ovviamente divertito da tutta la faccenda.
“Pegno! – annuì lei – Così avrai sempre qualcosa di mio, sei contento Heymans?”
C’era una così sincera aspettativa nell’espressione di Janet che il rosso non se la sentì di deluderla.
“Va bene… allora lo tengo sempre con me.” annuì, prendendo il braccialetto e mettendoselo in borsa.
Mentre la bambina lo abbracciava con entusiasmo, lanciò un’occhiata mortale a Jean, come ad avvisarlo di tenere la bocca chiusa su tutta la faccenda.
Che tutto resti tra di noi, Jean Havoc, altrimenti ti ammazzerò con le mie stesse mani.
Ma conosceva abbastanza il suo amico per sapere che avrebbe tenuto il riserbo.
 
Mentre stavano per arrivare alla scuola, Janet, presa da uno dei suoi momenti di spensieratezza, iniziò a correre e a ridere. Si girò all’improvviso verso suo fratello ed Heymans per incitarli a raggiungerla, e così facendo andò a sbattere contro un ragazzo.
“Oh, scusa tanto!” esclamò, girandosi verso di lui.
“Guarda dove vai, nana! – esclamò il giovane, dandole una spinta e facendola cadere all’indietro – Levati dalla mia strada.”
La piccola restò interdetta a guardare quel bambino più grande di lei, dai folti capelli rosso scuro e dagli occhi grigi che la fissavano con astio. Rimase perplessa riconoscendo la somiglianza con Heymans, ma non poté dire altro che proprio quest’ultimo arrivò, frapponendosi tra lei e lo sconosciuto.
“Smettila di fare il prepotente, Henry.” disse, mentre anche Jean arrivava e risollevava la sorellina, portandola maggiormente indietro rispetto ai due contendenti.
“Fatta male?” le chiese, controllando che non ci fossero danni.
“No… ma chi è?” mormorò lei, sentendo l’improvvisa esigenza di nascondersi tra le rassicuranti braccia del fratello maggiore.
“E’ Henry, il fratello di Heymans. - le bisbigliò lui di rimando, prendendola in braccio. E dopo una lieve esitazione, per quanto fossero parole che gli lasciavano l’amaro in bocca, aggiunse - Janet, promettimi di stare lontana da lui, va bene?”
“Mh” annuì lei, nascondendo il viso nella sua spalla.
“Heymans…” disse intanto Henry, irrigidendosi, mentre alcuni suoi amici andavano a fargli da spalla.
“Hai bisogno di una mano, Hen?” gli chiese un ragazzo palesemente più grande.
“E’ solo mio fratello con il suo amichetto e la sorellina… a Heymans piacciono determinati tipi di compagnia.” e scoppiò a ridere, inducendo anche gli altri a fare altrettanto. Ma non tutti ridevano con la medesima convinzione.
“Vuoi che gli diamo una lezione?” chiese uno dei altri.
“Io…” iniziò Henry con un sorriso.
“Vediamo, – lo interruppe Heymans con un sorriso molto simile – siete in cinque… e il più grande di voi è massimo in terza media. Nell’ultimo litigio, tra me e Jean ne abbiamo messi fuori combattimento sei, tutti delle superiori, alcuni addirittura di quarta: vogliamo proprio vedere chi dà una lezione a chi?” e fece scrocchiare le dita in un messaggio molto chiaro.
Era un rischio, lo sapeva bene: per quanto quelli fossero dei novellini che, in occasioni normali non avrebbero creato problemi, la presenza di Janet rendeva tutto più difficile. Ma Heymans sapeva gestire ottimamente i giochi psicologici ed era sicuro che non ci sarebbe stato bisogno di venire alle mani: difatti dopo qualche secondo i suoi avversari iniziarono ad esitare, fino a quando uno smosse la situazione.
“Andiamo via, ragazzi, non abbiamo tempo da perdere.”
“Sì, salvate la vostra stupida dignità, idioti...”mormorò il rosso, socchiudendo gli occhi grigi.
Mentre si girava per seguire il resto del gruppo, Henry lanciò al fratello maggiore un’occhiata enormemente sfastidiata a cui Heymans rispose con il medesimo cipiglio: no, non era un bel modo di augurare il buongiorno al proprio fratello.
In ogni caso, come si furono allontanati, si girò e raggiunse Jean che ancora teneva in braccio la sorellina.
“Va tutto bene, piccola – le disse, accarezzandole i capelli biondi – quei ragazzini non ti daranno fastidio, puoi starne certa. Ci siamo io e tuo fratello a difenderti, mh?”
Ma in verità non gli piaceva per nulla che Henry fosse entrato in qualche modo in contatto con Janet. Proprio no.


 





I bellissimi disegni sono opera di Mary_
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