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Autore: AxXx    09/12/2013    2 recensioni
Vi era una città, un tempo bellissima, le cui torri erano alte come mai si sarebbe visto. L’oro, il marmo, l’argento erano i materiali degli edifici. Persino le case più semplici erano adornate. Le alte mura difendevano i palazzi, un tempo potenti. Ma ora tutto era distrutto. La città era attaccata, in alto, nel cielo, un enorme edificio, completamente in pietra nera, fluttuava sopra la città. Statue di uomini dall’aspetto deforme sorreggevano la struttura
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Per me non è solo un sogno. Per me è ciò che rappresenta il mio passato. Il mio spirito passato che un tempo combatté per difendere la terra quando ogni altra razza era stata abbattuta. Solo con un patto dei draghi aveva salvato ogni cosa e ora toccava a me e ai miei amici ricreare quel patto.
[Storia scritta a quattro mani da me e Fantasiiana, siate buoni, per favore, recensite :3 ]
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                              Ho uno scontro più o meno amichevole









La musica mi rimbombava nelle orecchie a tutto volume.
Non voglio che pensiate che sia il tipo di ragazza che ascolta rock e metal sparato nel cervello con le cuffie borchiate, perchè così non è.
Io sono il tipo di ragazza che ascolta musica strana, folkloristica, e che si sente bene quando immagina di essere proiettata in un altro mondo, in un'altra epoca, in un'altra vita...
Ecco, questa sono io.
La ragazza distesa sul letto, al buio, con le mani dietro la testa e le gambe accavallate, gli occhi chiusi e una ballata irlandese nella testa.
Non sono quella che si può giudicare una ragazza normale, e non solo per i motivi che andrò a narrare in seguito.
A me non piace e non piaceva stare con la gente. Preferivo la solitudine, il buio, la mia stessa compagnia, il chiudermi in me stessa e vivere per conto mio.
Si dice "meglio soli che male accompagnati." Non potevo essere più d'accordo.
La luce si accese improvvisamente, e persino a occhi chiusi riuscii a capirlo. Aspettai a sollevare le palpebre, per non bruciarmi gli occhi.
Mi limitai a mettermi seduta e a sfilarmi le cuffie, poi aprii gli occhi, puntandoli sulla persona che sapevo avrei trovato appoggiata allo stipite della porta di camera mia, una coperta di lana a circondarle il corpo: mia madre.
Aveva i capelli legati in una coda sfatta, le occhiaie e le palpebre socchiuse.
Sospirai e le andai incontro, sospingendola nel soggiorno e facendola sedere nel divano.
-Cosa c'è?- le chiesi.
Per tutta risposta, lei sollevò una bottiglia di birra vuota.
-Ne hai già bevuta troppa, mamma.
Lei scosse debolmente la testa, e questa le ricadde a penzoloni sul petto.
-Dormi- le ordinai cercando di farla stendere, ma lei si oppose.
-Ho già dormito...- disse con voce roca.
-Non hai dormito abbastanza, allora- replicai seria prendendole la bottiglia vuota di mano.
-Vuoi un caffè?
-Odio quella roba.
-E io odio vederti bere birra come fosse acqua.
-Ma se la bevi anche tu.
Mi voltai, gli occhi ridotti a due fessure. Era il mio modo di far capire che ero arrabbiata. Niente sbalzi d'umore: non ero il tipo.
-C'è differenza, mamma- scandii gelida. -Hai sentito cosa ha detto il medico.
Lei rise isterica. -Quel vecchio pazzo! Gli piace sempre guardarmi il sedere... Potrei uscirci qualche volta. E' ricco, in fondo- disse più a se stessa che a me. Sollevò la testa. -Ti piacerebbe un nuovo papà?
La guardai furente -vista esternamente ero sempre uguale-.
Sollevai la bottiglia vuota. -Basta bere questa roba.
-Non sei mia madre. Non puoi vietarmelo...
-Sta a vedere.
Si alzò barcollando e fece per venire verso di me, ma cadde carponi sul tappeto sfilacciato in mezzo al piccolo salotto.
Mi avvicinai. -Guardati. Neanche ti reggi in piedi...
Mi inginocchiai vicino a lei che singhiozzava. -Mamma.
Alzò la testa.
-Basta. Ti stai consumando e non puoi sprecare la tua vita così.
-E' troppo tardi...
-Non è mai troppo tardi.
Mi guardò con i suoi occhi vitrei, un tempo azzurri come il cielo. -Sei diventata grande, Diane... Vorrei essere abbastanza sobria per sentirmi fiera di te, e felice di averti.
Sorrisi amara.
-Che ne dici se ora vai a dormire? Io devo uscire.
Si allarmò. -Dove vai?
-In giro. Te lo avevo detto.
Corrugò la fronte, sforzandosi di ricordare.
-Mamma.
-Mmh mmh?
-Ti ricordi, vero, che ti ho detto che sarei andata fuori, in centro?
-Sì... Sì...- rispose lei incerta.
Alzai gli occhi al cielo e l'aiutai a rimettersi in piedi.
-Appena torno, buttiamo tutta la robaccia alcolica che c'è in casa. Da oggi si cambia, chiaro?
Annuì.
La feci distendere nel suo letto e tornai in camera mia. Mi pettinai i lunghi capelli albini -per intenderci, biondi viranti al bianco-, tipici delle mie origini russe, e li legai in una coda laterale. Presi il cappotto, la borsa e dopo aver dato un'occhiata a mia madre che dormiva placidamente nel suo letto, uscii.

Piccola pausa per spiegarvi chi sono.
Diane Williams, donna matura rinchiusa in un corpo da sedicenne -e non lo dico per vantarmi, tuttaltro- con l'aspetto albino, capelli quasi bianchi e occhi azzurri-grigi. Mia madre è russa, mio padre americano. Mio padre, al tempo, era il classico ragazzo straniero in vacanza, bello, atletico, il principe azzurro giunto per portarti nel suo bel regno e bla, bla, bla. Mia madre si infatuì di lui e fece la più grande cazzata del secolo: lo seguì in America.
Senza un centesimo, ripudiata dalla famiglia, con la compagnia del suo "eterno amore" in una città straniera dove era impossibile trovare lavoro.
Ma l'amore gioca brutti scherzi.
Comunque, dopo due anni di matrimonio naqui io e dopo cinque anni dal "giorno felice" in cui la sottoscritta venne al mondo, mio padre ebbe la brillante idea di innamorarsi della segretaria. I miei divorziarono -un classico- e mia madre finì per essere una delle tante emigrate povere mantenuta dal marito bastardo che l'aveva tradita per una puttana più giovane di ventanni. Ma sto divulgando. Conclusione? Vivevamo a Brooklyn, in un appartamento piccolo e perennemente oscurato dagli alti palazzi che vi erano tutt'intorno.
Ma non mi lamentai mai. Credo che quella vita sia servita a farmi crescere e a farmi diventare quella che sono ora, e non la figlia di papà tutta strass e gonnelline rosa -piccola premessa: odio il rosa- con tanto di chiuaua da borsetta, come nelle riviste.
Mia madre non mi fece mai mancare niente e il suo lavoro come infermiera aveva fruttato nel farci fare una vita tutto sommato accettabile.
Il dramma era cominciato quando mia madre aveva scoperto l'alcoll. Era stata licenziata dall'ospedale perchè scoperta a bere nel posto di lavoro. E da allora mi ero adoperata per mantenerci, facendo uno di qui lavoretti da film, come la dogsitter, la babysitter, la pulitrice di macchine, che sono tutto tranne che lavori felici dove ridere e divertirsi, credetemi.
Fine premessa, torniamo alla storia.

Uscii di casa. Non c'era un valido motivo per cui lo facevo, ma mi piaceva uscire tardi, con la notte. Non andavo al parco, ovviamente, non ero così stupida da gettarmi nella tana di tutti i malviventi. Mi piaceva camminare, prendermi un pò di tempo per pensare, con le mani nelle tasche del cappotto nero, il bavero sollevato fino alle orecchie, un cappello a coprirmi la testa e le immancabili cuffie nelle orecchie. Mi dava l'idea di una persona spensierata che può permettersi di perdere una sera a passeggiare senza una meta precisa.
Era il mio modo di fuggire da quel mondo.
Mischiarmi in mezzo alla gente, studiare i loro visi, vederli correre da una parte all'altra della città, sentire i bambini ridere senza una ragione ben precisa vicino alle bancarelle, riempirmi le narici del profumo dei dolci... Quello era vivere, per me.
Vedere e non essere vista.
In più era quasi Natale. In teoria mancava ancora mezzo mese, ma alla gente serve sempre un pretesto per sentirsi felice e perciò i newyorkesi avevano addobbato le vetrine e le strade con luci e Babbi Natale meccanici che suonavano campanelle e ridevano.
L'inverno era la mia stagione preferita. Odiavo il caldo e il sudore. Mi piaceva il mare, ma non era come una bella nevicata che risclada e congela il cuore contemporaneamente.
Amavo il freddo. Potermi coprire con coperte morbide, riscaldarmi con bevande calde, leggere buoni libri vicino alla finestra bagnata di pioggia o oltre il quale fiocca lentamente.
Neve, per me, è sinonimo di calma, pace... riposo.
Tutto dorme con la neve e col freddo. E' una regola di madre natura che non può cambiare. Tutto tace, animali, piante, e in teoria dovrebbero farlo anche le persone, quantomeno chiudersi in casa a scaldarsi... La neve copre il mondo per dire basta, semplicemente.
Ma quella sera, così non era. Non nevicava, e le strade erano più affollate del solito.
La gente si ostinava a comprare i regali con mezzo mese di anticipo. Il perchè, poi, resterà sempre un mistero per me.
Mi avvicinai ad una bancarella dove una bambina e sua madre stavano comprando una mela caramellata, o almeno ci provavano. La madre aveva finito i soldi e la bambina piangeva perchè voleva il dolce, ma il venditore non sembrava impietosito, tuttaltro.
-Vieni, tesoro, la compreremo un altro giorno- stava dicendo la donna. Era giovane.
-Ma io la voglio adesso!
-Ma ho speso tutti i soldi per compare i regali di Natale, cara.
-Non è giusto! Non è giusto!
Le superai, prendendo gli spiccioli che avevo in tasca, riuscendo a raccogliere cinque dollari. Era un furto, voglio dire, cinque dollari per una mela ricoperta di caramello o quello che era, ma la comprai lo stesso.
Mi voltai e la porsi alla bambina, che mi guardava con gli occhi grandi.
-Ecco, tieni. Ma la prossima volta, ascolta tua madre.
-Che bei capelli, signorina- mormorò la bimba, spiazzandomi.
-Ehm... Grazie.
-Sembrano quelli di una fata- realizzò, e si animò all'improvviso. -Sei una fata?
-Ehm...- Lanciai un'occhiata disperata alla madre, che sorrideva.
-Sì...- risposi incerta. -Sono una fata. Ma non dirlo a nessuno, d'accordo?- dissi abbassando la voce. La bimba sorrise, felice di quel segreto. -Sì, signorina!
-Bene.
-Anne, come si dice?- chiese la madre.
-Grazie, signorina fata!- recitò la bimba mordendo il dolce.
Sorrisi appena e salutai con un cenno la donna che mi guardava riconoscente, quindi continuai per la mia strada.
Dopo circa mezz'ora -saranno state le dieci e mezza-, stavo ancora camminando per New York, ammirando il cielo che preannunciava pioggia, quando andai a sbattere contro qualcosa di duro. Barcollai all'indietro.
-Ma che...
Sollevai lo sguardo e incontrai due vivaci occhi azzurri come il cielo estivo.
Appartenevano ad un ragazzo all'apparenza poco più grande di me, forse un anno, con capelli ricci neri come carbone e più alto di me -considerate che io gli arrivavo più o meno al mento-.
-Ehi, levati di mezzo!- mi urlò il ragazzo.
Inarcai un sopracciglio.
-Sai, hanno inventato le camomille. Mai provate?
-Che cavolo dici? A me nemmeno piace la camomilla! Ora togliti!
-Guarda che sei stato tu a venirmi addosso!
-Ah sì, bè se sei troppo occupata a guardare in alto non è colpa mia!
-Divertente.
-Esilarante. Ora spostati!
-Non ci penso neanche!- Non ero il tipo di ragazza che si arrabbiava facilmente, anzi, io non mi arrabbiavo mai! Ma quel tizio mi stava facendo perdere la pasienza! -Spostati tu.
-Facciamo che nessuno dei due si muove finchè non lo diciamo noi.
Mi voltai verso l'origine della voce.
Due uomini con gli occhiali da sole e i cappucci neri calati sulla testa si erano avvicinati, con in mano dei coltelli e ora minacciavano entrambi.
"O merda!" pensai.
-Venite con noi senza fare storie e nessuno si farà male- continuo l'uomo più vicino.
Mi guardai intorno, mantenendo la calma. Perchè la gente non si accorgeva mai di nulla quando succedevano cose così?
-Forza!- ci minacciò l'uomo e ci guidò in un vicolo.
-E' tutta colpa tua!- mi accusò il ragazzo.
-Scusami?- chiesi scioccata.
-Se non mi fossi venuta addosso, a quest'ora sarei per i fatti miei e non qui con te e con loro, minacciato da due coltelli!
-Ti sembra il momento?!- sbottai.
-Piantatela!- ordinarono gli uomini e ci spinsero nel vicolo buio.
Sentii dei gatti fuggire allarmati e un bidone cadere.
Realizzai che nessuno ci avrebbe aiutato, lì. Eravamo nei guai, ma in guai grossi.















Ciao! :D
Vi siamo mancati?
*Si alza il coro dei nooo!!!*
Sì, ho capito, antipatici -_- voi che non lasciata nemmeno una recensione :P comunque, questo è il capitolo di Fantasiiana, spero sia di vostro gradimento. Lei è la seconda 'prescelta', se così si può dire, anche se tutti avranno un nome preciso in seguito. La storia si sviluppa da subito quindi non dovrete aspettare troppo per vedere un po' d'azione. Spero che il capitolo vi piaccia. A presto.
AxXx e Fantasiiana
  
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