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Autore: Faith Grace    10/12/2013    3 recensioni
{Au - malattie terminali, tematiche delicate, uso di droghe, tentato suicidio, prostituzione minorile}
Nella stanza di Roxas, poco sopra la marea di fotografie che sormontano la testata del suo letto, in mezzo al caos di frasi impresse sul muro con pittura nera, risaltano tre paroline bianche. Viva la Vida è un grido al mondo, un inno alla vita, una speranza perseverante. Viva la Vida è l'eco di tutti quegli spiriti che si sono dimenticati di morire. E mentre Roxas combatte le sue battaglie, Axel cerca di salvarlo.
Act 1 - Knowing Roxas: the kid without fear (1-9)
Act 2 - Reminiscences about Xion: the sad girl with big bue eyes (10-11)
Act 3 - Xemnas' silent scream: shut your eyes and pull the trigger (12-20)
Act 4 - Veridis Quo: No Heroes Allowed (21~)
Genere: Angst, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Axel, Cloud, Roxas, Sephiroth, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessun gioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Viva la Vida or Death and All His Friends'
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2

Viva la Vida



#2. Freak

Si dicono tante cose belle dell'amore.
E anche Roxas aveva dato una sua interpretazione.
Che è una battaglia. Che è fastidio. Che è tormento. E dolore.
Sarò un pazzo a dire di essere felice ma io e lui lo dimostravamo così.

Nonostante gli iniziali dissidi, il pomeriggio filò liscio come l'olio e stranamente quasi mi dispiacque che avessimo già terminato.
Nella mia opinione generale, che mi ero costruito in quell'unica ora passata a contatto con quello che doveva essere il mio
tutor, ero riuscito a trovare una sola parola che riuscisse a descrivere perfettamente quell'uragano in miniatura di nome Roxas Strife. Feak. Eccentrico, strano, singolare, stravagante, fricchettone, scherzo della natura: tutto riassunto in una sola parola. E quando, sulla strada di casa, avevo trovato quella definizione mi sentii realizzato quasi quanto aver vinto una partita di basket. Poi mi resi conto che forse lo strano ero io che avevo passato tutto quel tempo a rimuginare.
Affrettai il passo e mi rintanai nella mia calda casetta: era solo l'inizio di Ottobre ma il freddo iniziava a farsi sentire, di sera soprattutto.

La mattina dopo mi ritrovavo a passeggiare tra i corridoi della scuola assieme a Demyx, intento a raccontargli del mio incontro del terzo tipo.
“Ed è carino?” tagliò corto lui dopo una mia lunga spiegazione.
Mullet-man, Sitar-man o, più semplicemente, Demyx è il mio migliore amico da sempre: vivace, scapestrato e amante della musica. Ci siamo incontrati all'asilo durante una gara di rutti e...no, questa è un'altra storia imbarazzante di cui si parlerà in seguito. Comunque è uno di quei tipi che sorridono così tanto che a volte vorresti mollargli un pugno in faccia. Ed è oltremodo gay. Questo non sarebbe un problema se non fosse lui, Demyx, perché c'è una cosa che lo rende diverso da tutti: lui è pazzo. Ma non 'pazzo' come si definisce scherzosamente un amico, no. Lui è pazzo e basta. Un pazzo che va in giro con un un'acconciatura retrò abbastanza inguardabile -
“Si chiama mullet!” mi rimbeccava sempre con la stessa energia della prima volta – a cui tiene tanto ed è solito suonare un sitar... ma poi che cazzo di strumento è?
Ad ogni modo quello che lo rende un pazzo è il suo atteggiamento esageratamente sentimentale ed esuberante. Sembrerebbe un bambino viziato e bisognoso di attenzioni, se non fosse malizioso da sfiorare l'indecenza.
Ciò che lo caratterizza è anche il suo look. È un po' complicato, in realtà, descrivere i suoi gusti ma si può dire che siano simili a quelli di Marluxia, anche se non così eccessivi! Glitter, paillettes, piumini colorati... qualche Halloween fa, quest'ultimo lo conciò come una vera drag queen; con gli anni sono riuscito a ridimensionare questo suo lato molto
appariscente, ma continua comunque a vestirsi come l'arcobaleno ed ad amare imperterrito i gattini.
Si potrebbe scrivere un trattato su di lui e scoprire lati ancora sconosciuti della sua persona, ma non è lui il soggetto del mio interesse.
“Dem, ti ho già detto che quello è matto da legare!” mi affrettai a ribadire concitatamente “Ha fatto fuori tre squadre sportive solo perché Xig importunava la sua amica”
“È proprio coraggioso” ridacchiò lui portando alla bocca un'altra manciata di quei biscotti che stava mangiando.
“Lo penso anche io” sussurrai a bassa voce per non farmi sentire da nessuno e poi ripresi con tono normale “Ma che se la prendesse solo con lui. Io non gli ho fatto niente e non solo mi ha fatto sospendere dalla squadra ma devo anche recuperare le mie insufficienze con lui”
“Sei sicuro di non avergli fatto nulla?” inquisì lui alzando i suoi occhi blu su di me.
Io rimasi interdetto da quella domanda e tentennai per un secondo al massimo. Non mi sembrava di avergli fatto alcun torto.
“Certo che no” ribattei.
“Hai tentennato”
“Ma ti ho detto di no!”
“E ne sei certo?”
No, volevo rispondere, perché non ero certo di non avergli fatto nulla. Dopotutto io non guardavo neanche le facce di quelli che riempivo di cazzotti.
A quel punto sospirai e scrollai le spalle “Ma che ne so... non mi sono neanche accorto che era nella mia stessa classe di letteratura” borbottai afferrando un biscotto dal suo sacchetto. Feci una faccia schifata quando lo assaporai, era troppo burroso e si sbriciolava come se niente fosse. Che diavolo mangiava Mullet-man?
“Lo è?” inarcò un sopracciglio biondo.
“A quanto pare sì... e ha detto che russavo”
Demyx ridacchiò e prese un altro biscotto “Il moccioso sa il fatto suo”. Nessuno sano di testa si sarebbe permesso di essere così sfacciato con uno di noi.
“Crede di essere il re del mondo”
Un rumore simile ad un tuono raggiunse la mia attenzione.
Lanciai uno sguardo alla mia destra e notai che Xaldin aveva incastrato un ragazzino in un angolo e aveva sbattuto un pugno sul metallo degli armadietti, a pochi centimetri dalla sua faccia e urlava qualcosa di indecifrabile. Il ragazzino sembrava in preda alle lacrime, Xaldin era infuriato.
Non prestai particolare attenzione, mi limitai a camminare svogliatamente con le mani nelle tasche e così fece Demyx, che non sembrò essersi accorto di nulla perché troppo occupato con i biscotti. In realtà aveva visto eccome, tutti i ragazzi che erano nel corridoio avevano visto ma nessuno osava mai dir nulla per paura di essere pestati. Anche se Dem faceva parte del nostro gruppo e non condivideva il nostro modo di fare, non poteva però impedire queste cose quindi ciò che si limitava a fare era continuare la sua politica pacifista senza però intralciare me e i nostri 'superiori'.
“Proprio come te” riprese lui il discorso dopo qualche istante di silenzio.
“Io non
credo di essere il re del mondo” ridacchiai spostando di nuovo la mia attenzione su di lui “Io lo sono
“Questo ti fa ancora più arrogante ed egocentrico di lui”
“Almeno io non parlo per citazioni” alzai lo sguardo e battei le palpebre.
Lui sorrise e appallottolò la busta di biscotti “Me lo farai mai vedere?”
Roxas era appena entrato nella mia visuale: veniva nella nostra direzione e stava trasportando un'enorme pila di fogli un po' traballante senza apparentemente badare a ciò che lo circondava. Io sorrisi impercettibilmente e Dem aveva già capito che avevo in mente qualcosa.
Rimasi in silenzio e continuai a camminare in maniera indifferente. Altrettanto indifferentemente gli feci lo sgambetto quando fummo vicinissimi e dal tonfo che sentii subito dopo capii che doveva aver preso una bella caduta.
“Dimmi che si è girato” mormorai in tono vittorioso senza voltarmi e continuando a proseguire per la mia strada, occhi spalancati e voce che fremeva dalla gioia. Non avevo avuto un motivo particolare per far cadere lui e tutti i suoi fogli a terra, solo ne sentivo il bisogno. Proprio come si sente il bisogno di bere o mangiare.
Sitar-man intanto si era voltato per vedere la scena ma poi mi rivolse un'occhiata di rammarico e scosse la testa. “Ha fatto un bel volo ma non ti ha degnato di uno sguardo”
Digrignai i denti.
“Che dici, non ti avrà visto?” chiese poi.
“Macché. Quello ha gli occhi di un falco. Si diverte solo a farmi diventare pazzo.”
“È carino Roxas. Era lui vero?”
Non risposi alla sua domanda, mi limitai ad affrettare il passo ed uscimmo dall'edificio scolastico per raggiungere il nostro gruppo ai tavolini da picnic fuori alla caffetteria. Ci facevamo chiamare l'Organizzazione XIII... anche se non so perché dal momento che non eravamo 13!
“Saix dobbiamo fare qualcosa! A causa sua sono fuori, adesso come vedrò i fisici scolpiti dei miei compagni di squadra?” la voce sdegnata di Marluxia raggiunse le nostre orecchie non appena ci avvicinammo. Io presi subito posto sulla panca di legno, appoggiai la schiena contro il tavolo e rivolsi la mia attenzione al ragazzo in piedi davanti a me. Ci sarebbe molto da dire anche su Marluxia Torn, o meglio
Porn, come lo chiamavo io, ma era un ragazzo abbastanza misterioso e nonostante lo conoscessi da ormai tre anni le uniche cose che sapevo per certo di lui erano che: era più donna di una vera donna, stuprava con lo sguardo ogni essere maschile presente sulla terra (da qui il soprannome 'Porn'), amava così tanto i fiori da avere una piccola serra e un roseto nel giardino di casa sua, e se voleva poteva essere tremendamente vendicativo.
Saix mi lanciò una veloce occhiata, quello era il suo modo di salutarmi, e poi ritornò all'altro.
“Hai delle prove che sia stato lui?” chiese con il suo solito tono glaciale. Saix era un altro mio amico di vecchia data, abbiamo iniziato a frequentarci alle medie ma a Demyx non era mai andato a genio. Forse per il suo carattere freddo e calcolatore, che l'aveva portato ad essere il favorito del nostro capo, o forse perché anche lui aveva notato quella vena di follia che illuminava di tanto in tanto il suo sguardo.
“Beh...non proprio...credo di aver perso la testa prima che potesse rispondermi” Marluxia abbassò lo sguardo e lo vidi tormentarsi le mani “Però a causa di questo piccolo incidente il preside mi ha richiamato di nuovo nel suo ufficio per sospendermi definitivamente!”
“In circostanze normali ti avrei permesso di occupartene ma...”
“Ti ricordo che non sono stato l'unico su cui si è sfogato il preside!” lo interruppe il ragazzo dai capelli rosa.
“...MA, come stavo dicendo, non siamo nella posizione di agire liberamente. Adesso siamo nel mirino diretto del preside e di tutti quanti, se facciamo passi falsi le conseguenze saranno ben peggiori” tuonò Saix e fece rabbrividire tutti i presenti. Non era da parte sua fare scatti simili “Dobbiamo esserne certi, solo allora potremo farlo nero” concluse con tono glaciale.
Abbassai lo sguardo e mi alzai di scatto per andarmene, ma così catturai l'attenzione di tutti.
“Cosa c'è, Axel?” mi chiese calmo Xemnas, il nostro boss, che era stato seduto per tutto il tempo sul tavolo senza proferir parola. Aveva uno strano look da
ganguro con pelle scura e capelli argentei ma nonostante ciò era un tipo autoritario e solitamente non agiva se non era strettamente necessario, preferiva rimanere dietro le quinte e assistere alle gesta degli altri membri del gruppo e godersi il timore di tutti gli altri studenti della scuola. Dietro la sua calma però si celava un carattere crudele e mefistofelico.
Io gli rivolsi il primo sguardo da quando ero arrivato.
Stavano parlando di Roxas. Sapevo che se fossi rimasto ancora lì avrei servito loro la verità su un piatto d'argento, ma anche se il ragazzino in questione mi ispirava tanta irritazione alla sola vista, non so perché ma non mi sentivo di essere tanto perfido con lui... e poi ero io il bastardo, non li avrei aiutati tanto facilmente. Forse avrei potuto farlo dopo che Roxas mi avesse aiutato con i miei voti.
Mio dio che stronzo che ero.
“Niente” risposi dissimulando la mia improvvisa ansia con una perfetta recita del mio migliore sguardo indifferente (che, modestamente, faceva crollare ai miei piedi l'intera popolazione femminile) “Sono solo in ritardo per la lezione. Sai, anche io sono stato richiamato ieri”
Lui accennò un assenso col capo ma prima che potessi congedarmi arrivò Xaldin ancora rosso dalla rabbia.
“XEMNAS” tuonò questo “Qualcuno ha detto al ragazzo di Belle che io ci sto provando con lei e adesso quello verrà a cercarmi e uccidermi!”
Il capo inarcò un sopracciglio e tutti noi lo guardammo con un misto di sorpresa ed incredulità. Era ormai risaputo in tutta la scuola della corte spietata che Xaldin riservava a Belle, una ragazza dell'ultimo anno e che si occupava anche della biblioteca.
“Eddai Xaldin, quante moine per nulla!” Xigbar aveva seguito con flemma l'amico e gli pose un braccio attorno alle spalle “Da quando ti preoccupa tanto se qualcuno vuole fare a botte?” rise.
Xigbar e Xaldin erano altri due tipi strani. Ok, diciamo che eravamo tutti tipi strani in quel gruppo. Però erano forti, soprattutto Xig quando si sentiva euforico o era ubriaco marcio! Entrambi erano imponenti e avevano tanto l'aria di tipi loschi: Xigbar aveva una grande cicatrice in faccia, trofeo di una delle tante zuffe di cui era protagonista, Xaldin invece aveva dei folti rasta neri, dei basettoni che facevano invidia a Wolverine e sotto il suo aspetto da duro aveva un cuore tenero.
“Da quando il fidanzato in questione è una vera
Bestia!” sbraitò indignato dalla domanda a cui non c'era neanche bisogno di rispondere: il ragazzo di Belle era gelosissimo di lei e chi si azzardava a toccarla era morto.
“Ragazzi non fate troppo chiasso. Sembrate dei bambini” li richiamò Xemnas annoiato dal loro comportamento.
“Allora, hai idea di chi sia stato?” indagò Saix.
“No! Ho chiesto a varie persone ma nessuno sa niente. Sembrano tutti fin troppo terrorizzati da poter anche solo pensare di far incazzare qualcuno di noi”
A quel punto, senza dire altro me ne andai spedito. Non mi fermai neanche all'armadietto per prendere i libri, non ne avevo bisogno perché li avevo già presi il pomeriggio prima per studiare con Roxas, ed entrai in classe. Ci misi qualche istante per adocchiare il biondo, mi avvicinai a grandi falcate e sbattei le mani sul suo banco, attraendo l'attenzione degli altri presenti.
“Così attiri l'attenzione” mormorò lui disinteressato, voltando la pagina del libro che stava leggendo e senza guardarmi. Come sempre.
“Che diavolo volete? Fatevi gli affari vostri” sbottai verso la classe e poi mi voltai verso Roxas “E a te, che diavolo ti salta in mente?”
“A cosa ti riferisci?”
“Guardami” gli ordinai.
Questo sbuffò e alzò lo sguardo svogliatamente.
“Sei stato tu...? Quella cosa con Xaldin... sei tu il responsabile?” chiesi sottovoce ma con impazienza.
Roxas mi guardò a fondo ma la sua espressione era illeggibile per me, lo vidi poi spostare lo sguardo oltre le mie spalle, verso il professore che era appena entrato.
“Avanti, tutti a sedere” lo sentii declamare.
Io sospirai e gli lanciai una veloce occhiata prima di andare a sedermi al mio posto, proprio dietro di lui e giurai di averlo visto accennare un sorriso! Non aveva negato, non aveva battuto ciglio: era lui il responsabile. Ma perché andare ad istigare quelli più grandi e più forti di lui? O aveva un pessimo modo di divertirsi o voleva fare una brutta fine.
“Ti stai cacciando in guai seri” gli sussurrai, sporgendomi in avanti verso di lui dal mio banco dietro.
“Cos'è, ti preoccupi per me, Moore?” mi schernì senza neanche voltarsi per lanciarmi una di quelle sue occhiatacce sarcastiche.
A quel commento serrai le labbra, tornai al mio posto e incrociai le braccia al petto. Non mi stavo preoccupando per lui, assolutamente. Il mio voleva essere solo un ragionamento di circostanza. Poi se ci teneva ad essere ridotto in poltiglia dai miei amici colossi, poteva fare quel che voleva. E poi mi chiesi,
perché cavolo sto dando tutta questa importanza ad un moccioso del genere?
“Axel” i miei pensieri furono interrotti da un bisbiglio che proveniva dalla mia sinistra e mi voltai verso il ragazzo che mi aveva chiamato, questo indicava con gli occhi il professore che era ormai davanti a me e che mi guardava corrucciato, come se si aspettasse qualcosa. Non mi ero neanche accorto di lui.
“Cosa?” chiesi all'uomo sperando che questo non mi costasse un altro brutto voto.
“Ho detto” cominciò lui mettendo una mano sul fianco, l'altra reggeva il libro di testo “Chi è che ha coniato l'espressione
Generazione perduta?”
Quella domanda provocò una strana reazione in me, non avevo idea di cosa si stesse parlando però una vocina nel mio cervello mi diceva che sapevo la risposta. Mi appoggiai allo schienale, il vortice di pensieri che affollava la mia mente defluì all'istante, spalancai gli occhi e la mia bocca si mosse nel tentativo di pronunciare qualcosa che non avrei dovuto sapere.
Rividi il volto di Roxas che il pomeriggio prima, dopo una spiegazione chiara e veloce del periodo storico che stavamo affrontando, contrasse l'espressione e mi chiese
“Non credi che anche la nostra sia una generazione perduta?”
Prego?”
Notando la mia evidente confusione lui continuò
“Una volta Gertrude Stein rimase colpita dalle parole che un garagista rivolse al giovane meccanico che non era riuscito a ripararle la macchina, 'siete tutta una generazione perduta!' gli aveva gridato.”
Lo guardai perplesso e gli dissi che non capivo cosa stesse dicendo: quel ragazzino sicuramente ci sapeva fare con i libri ma era strano forte, i suoi cambi di argomento mi prendevano di sorpresa. Cosa c'entrava la vita privata di quella scrittrice con la letteratura che dovevamo studiare e i suoi dubbi esistenziali? L'unica cosa che mi interessava al momento era finire presto e andarmene a casa.
Queste parole” spiegò lui “Furono utilizzate poi in seguito dalla stessa Stein per raccontare di Hemingway e di tutta la generazione cresciuta durante la prima guerra mondiale. Era una generazione vuota, priva di valori... secondo te anche noi siamo così?”
Perché pensi questo?”
Guardati attorno, guarda anche solo qui dentro la scuola. Ormai nessuno rincorre più i propri sogni, i germogli di bontà che risiedono in noi vengono lasciati incolti, tutti si guardano dall'aiutare il prossimo. Dilaga l'omertà e regna l'anarchia. Facciamo schifo Axel”
È la legge del più forte” scrollai le spalle.
Lui scosse la testa
“Tutti noi siamo divorati dall'ira, dalla vendetta, dalla lussuria. Abbiamo dimenticato il vero senso della vita”
E quale sarebbe?” sospirai appoggiando il mento sul palmo della mano.
Amare”
Sbattei le palpebre un paio di volte e udii un sottile filo di voce fuoriuscire dalle mie labbra senza che io avessi comandato loro di muoversi “È Gertude Stein”
Il professore sembrò soddisfatto della risposta.
“Moore per una volta hai studiato” sorrise come non l'avevo mai visto fare prima e poi si voltò verso Roxas con un ampio sorriso stampato in volto “Vedo che le ripetizioni di Strife sono servite a qualcosa”
Alzai lo sguardo e guardai la nuca di Roxas, per la prima volta pensai a quello che mi aveva detto il giorno prima. Non sentivo più nulla attorno a me, ero come in trance a fissare quei fili dorati e rammentare le sue parole.
Tu sai cosa significa amare davvero qualcuno?”
Roxas non aveva mai parlato di amore nel suo significato più stretto, lo aveva esteso alla generalità: l'amore per un familiare, per un amico, per le persone, le cose, la vita. Ma quelle parole in un modo o in un altro mi avevano fatto aprire gli occhi, non avevo mai amato nessuno, o meglio, non mi ero mai spinto tanto oltre da poter mai pensare di fare una cosa simile.
Roxas è sempre stata una persona a cui non piacciono le parole, vuole i fatti, ma gli piace fare congetture, ed è tremendamente perspicace e razionale anche in queste.
È sempre stato convinto che quello fu l'esatto momento in cui io mi innamorai di lui.
Io ho smentito più volte, ero convinto che fosse stato in un altro momento - dopo la festa o quella sera sulla spiaggia. All'epoca poi non mi importava più di tanto di lui, a stento sapevo il suo nome; eppure adesso, ripercorrendo con la memoria tutto ciò che è successo tra di noi non posso che dargli ragione.
Quella semplice risposta
“È Gertude Stein” mi fece capire quanto Roxas fosse speciale, quanto riuscisse a vedere oltre il muro dei pregiudizi che ostruisce la visuale, quanto i suoi orizzonti fossero ampi. Quanto avesse bisogno di qualcuno. Quanto io avessi bisogno di qualcuno.
Quel giorno si creò una sorta di alchimia che mi avrebbe legato a lui indissolubilmente.

Quel pomeriggio corsi a perdifiato nell'aula studio: erano le 4 in punto, ora di inizio del mio lavoro di recupero. Aprii di scatto la porta e lo vidi di nuovo accucciato sullo stesso sgabello dietro al bancone. L'enorme livido era sempre evidente.
“Si può sapere cosa cavolo leggi ogni volta?” borbottai infastidito mentre entravo e mi accomodavo con poca grazia ad un tavolo.
Lui alzò lo sguardo dal librone e seguì i miei movimenti in silenzio.
“Non si può sapere” commentò semplicemente, mise il segnalibro per tenere il segno e mi raggiunse al tavolo non prima però di afferrare una pila di fogli aggiustati alla meno peggio e lasciarli cadere sulla superficie davanti a me.
Inarcai un sopracciglio “Cosa sarebbe?”
“Tutta la roba su cui lavoreremo” si sedette sulla sedia accanto a me e posò lo sguardo sulle carte. “Questa mattina sei stato così gentile da far cadere me e loro quindi ho pensato che non ti sarebbe dispiaciuto riordinarle e rimetterle a posto” mi sorrise.
“Che cosa?!” esclamai sconvolto. Non sapevo se essere più sconvolto per il suo livello di bastardaggine, per l'estrema dolcezza con cui aveva pronunciato quella frase o per tutta quella roba che avremo dovuto studiare. Ero sempre più sicuro che quello in realtà era un demone dalle sembianze pucciose. Ecco, sì proprio come Kyuubey.
Già guardo anime e, sì, pure quel genere... Demyx ha una brutta influenza su di me.
Passai una buona ventina di minuti in silenzio a riordinare quella catasta di fogli (erano tutti numerati) e intanto lanciavo qualche occhiata a Roxas, lui era seduto accanto accanto a me ed era immerso nella lettura del librone che portava sempre con sé. Doveva essere davvero interessante.
“Sei stato bravo... a lezione” Roxas ruppe improvvisamente il silenzio, io lo guardai sbigottito: aveva ancora gli occhi incollati sulla pagina a cui era dedito ma subito li puntò su di me. Non avevo mai visto un blu tanto intenso “Quella cosa... il prof l'ha solo accennata tempo fa, immaginavo solo vagamente che potesse riprenderla. Io te ne ho parlato così, tanto per, fuori dalle spiegazioni ma tu te ne sei ricordato ugualmente...” e poi i suoi muscoli facciali si tirarono in quello che doveva essere un accenno di sorriso. Ma questo era vero. Il primo mezzo sorriso vero che gli avessi mai visto indossare “...mi fa piacere”
Ed era il più bel mezzo sorriso vero che avessi mai visto.
Sentii il sangue defluire tutto verso le mie guance, così mi affrettai a voltarmi altrove, imbarazzato “Ehm...gra-grazie” borbottai corrucciando l'espressione. Non potevo farci nulla, certe cose mi mettevano a disagio.
Roxas mi guardò per un istante più a lungo così decisi di cogliere la palla al balzo e mi affrettai a prendere nuovamente parola. “Senti...”
“Dimmi”
“Riguardo a quello... al tuo discorso di ieri...” cominciai indeciso.
“Oh sì” lui annuì “Hai per caso trovato una risposta?”
“Beh, non proprio... però mi ha fatto riflettere” mormorai titubante, afferrai il cellulare e iniziai a giocare nervosamente con il touch screen. Lo vidi annuire, il suo sguardo era serio e impenetrabile. “Volevo dirti che ho deciso di istituire una tregua tra di noi”
“Una tregua?” lui inarcò un sopracciglio e si voltò con il busto verso di me per potermi guardare meglio.
“Sì... nel senso che per il momento non ti userò come sacco da boxe come gli altri”
“Oh” in quel momento parve davvero stupito “Ehm...ti ringrazio?”
“Non sei felice?” chiesi perplesso.
“Se fossi stato qualcun altro sì, penso di sì...” si grattò la nuca “Io non ho fatto tutto questo per poi riservarmi un trattamento di favore. Non fraintendere, apprezzo il fatto che tu non voglia usarmi
come sacco da boxe ma quello che volevo io era che tutti fossero lasciati in pace e che fossero felici”
“No.
Tu mi hai aiutato... e io volevo ringraziarti” spiegai, non ero bravo a parole e anche un minimo gesto di gentilezza mi costava fatica “Nonostante il mio comportamento tu sei stato paziente con le tue spiegazioni e mi hai fatto riflettere. Ti comporti come uno stronzetto ma hai un cuore grande”
“Era il mio dovere” rispose semplicemente lui sorreggendo il capo con una mano.
“E io ora ti ringrazio”
Non stavo facendo il gentile perché volevo dipingermi bello ai suoi occhi, mi dava fastidio che a gente potesse però percepire una così brutta immagine di me"
“Vuoi dimostrare che non sei
perduto?” Roxas sorrise, ci aveva preso alla grande. “È tutto okay, non preoccuparti. Mi è bastato il fatto che non hai detto ai tuoi amici che ci sono io dietro a tutto quello”
“Come lo sai?” domandai stupito voltandomi con uno scatto verso di lui.
Lui ridacchiò e si appoggiò allo schienale della sedia, alzò lo sguardo al soffitto.
“Se avessero saputo penso che ora avrei avuto tutte le ossa rotte”
Io aggrottai lo sguardo a quella risposta “Ci tieni tanto a morire giovane?”
La mia era stata una domanda puramente sarcastica, non mi aspettavo una vera risposta ma solo qualche sua risatina o un commento di circostanza giusto per farmi incazzare, e invece no.
“Io
morirò giovane. Se è oggi o domani poco importa”
“Cosa?” rimasi spiazzato dalla serietà con cui aveva risposto e dalla freddezza con cui aveva marcato il 'morirò giovane'. Mi intimò di continuare a riordinare e intanto lui si alzò dalla sedia per andare alla macchinetta delle bevande calde in fondo alla stanza.
“Caffè o cioccolata?”
“Cioccolata”
Lui annuì.
“So che succederà presto, forse anche inaspettatamente, per questo prima che accada voglio mettere in chiaro alcune cose” riprese a parlare mentre contava le monetine e le inseriva nella macchinetta “Ho visto i miei sogni sfuggirmi di mano, tutto quello per cui stavo faticando è fuggito via in un batter d'occhio. Mi sarebbe piaciuto investire nella carriera sportiva, ero molto bravo a calcio ma il destino mi è stato avverso” si girò di nuovo verso di me “Poi mi son detto
'non fa niente, posso puntare su altro'. La vita è piena di opportunità dopotutto, ed è qui a scuola che puoi formarti. Però il male si annida ovunque. Se non sei in una squadra sportiva o non sei abbastanza figo da piacere a tutti allora vieni etichettato come 'sfigato' e tutti si sentono in diritto di trattarti una vera merda”
Abbassai gli occhi, sentendomi chiamato in causa, incapace di sostenere quello sguardo serio ma che celava una punta di malinconia.
“È bello fare il gradasso con uno più piccolo di te, vero Axel?”
Strinsi i pugni davanti a me.
“Io non sono così” proferii cercando di auto-convincermi di essere il contrario di ciò che effettivamente ero. Ma con scarsi risultati.
Roxas si girò per estrarre una tazza cioccolata pronta e schiacciò il bottone per prepararne un'altra.
“Già, non sei così”
Quelle sue parole mi stupirono così tanto che quasi pensavo di essermele sognate “Prego?”
“Sai Axel, anche tu hai un cuore grande se vuoi. Cosa ti ha spinto a non offrire la verità ai tuoi amici? Perché ti interessa se li sfido? Come mai mi hai offerto una tregua? Stai facendo tutto questo per una persona che non conosci neanche” disse senza voltarsi questa volta, iniziò a zuccherare la sua bevanda e a soffiarci sopra per raffreddarla “Questo mi dimostra che non tutto è perduto... forse un giorno potrò vedere davvero convivere tutti pacificamente”
“Pensi che io sia buono?” sussurrai guardandolo di nuovo.
“Lo sei, se ci lavori su. Non credo che il tuo carattere da stronzo sia del tutto ingiustificato. Ma se inizi a riservarmi trattamenti di favore allora non lo sarai più ai miei occhi”
“E perché no?” borbottai fingendomi offeso, la mia era curiosità più che altro.
Sempre dandomi le spalle, lo vidi afferrare anche l'altra tazza e la poggiò sul mobiletto accanto alla macchinetta, dove aveva precedentemente appoggiato la sua tazza, per iniziare a zuccherarla.
“Perché io sono forte” esclamò con ovvietà e poi ridacchiò “Non voglio che mi tratti come una mammoletta. Ricordi il discorso di ieri? Preferisco che mi dimostri il tuo 'amore' con il tuo comportamento abituale piuttosto che con uno da femminuccia” concluse con un tono di scherno, prese entrambe le tazze e si avvicinò a me.
“Certo che sei un tipo proprio strano” ridacchiai e afferrai la tazza che mi porse.
“Sappi che io continuerò a tormentarti, Moore” mi sorrise furbescamente.
“Questo dovrei dirlo io” sorrisi a mia volta e portai la tazza alle labbra.
Non riuscii neanche ad ingoiare completamente il primo sorso che mi sentii avvampare, bocca, gola e trachea erano a fuoco. Iniziai a tossire come un dannato e a boccheggiare profondamente per prendere un po' d'aria.
Roxas invece iniziò a ridere istericamente.
“Che cazzo ci hai messo qua dentro?” sbraitai sputacchiando i residui di cioccolata.
“Un po' di peperoncino per una persona
focosa come te” rispose mantenendosi la pancia per le troppe risate e mostrandomi una bustina con della polvere al peperoncino che doveva aver portato da casa proprio per me.
Arrossii violentemente un po' per la bocca che mi bruciava e un po' per quella battuta.
“Piccolo bastardello. Se è la guerra che vuoi, l'avrai”
“Non chiedevo di meglio” mi sorrise strafottente.

Da quel giorno iniziammo ad instaurare uno strano rapporto di tolleranza conflittuale, in poche parole facevamo a gara a chi era più stronzo tra i due. Durante l'orario scolastico continuavamo ad ignorarci a vicenda e farci scherzi di cattivo gusto, durante le lezioni di recupero invece ci ritrovavamo a parlare di qualsiasi cosa. Non ci definivamo amici ma neanche sconosciuti, fu Roxas che uno di quei pomeriggi tentò di trovare un nome adatto.
“Tormentamici” esordì all'improvviso, alzando il naso dal suo solito librone – ormai aveva quasi finito di leggerlo e un giorno avevo anche scorto il nome,
I miserabili.
“Che roba sarebbe?” staccai lo sguardo dall'esercizio che stavo facendo e lo guardai perplesso.
“Quello che siamo noi” ridacchiò “Era da tempo che cercavo di dare un nome al nostro rapporto e adesso l'ho trovato: tormentamici”
“Fa schifo” mugugnai ritornando al mio libro “Sembra il nome di un cartone animato”
“E allora proponine uno tu, signor
Sonoilpiùsexydelmondo
Ci pensai un momento e poi tentai “Compagni di torture?”
“È perfetto,
compagno” ridacchiò e tornò alla sua lettura.

Anche se con un po' di riluttanza all'inizio, ben presto iniziai ad abituarmi sempre di più a quei brevi incontri con Roxas: era un buon insegnante in fin dei conti e, con quelle sue uscite strane, era una compagnia interessante; per non parlare del fatto che i nostri giochetti dell'infastidirci a vicenda mi divertivano abbastanza. Oh e ascoltava i Queen, quindi altro punto a suo favore.
Però avevo sempre mantenuto segreta la nostra complicità. Non era una cosa che avevo pianificato, mi era venuto naturale e quando me ne resi conto sperai che lui non se ne accorgesse e potesse dispiacersi. Ma lui era tutt'altro che scemo, è solo che
aveva altro a cui pensare.
Era un sabato pomeriggio freddo e nuvoloso, non avevo preso impegni per quella sera – sono una persona fondamentalmente pigra, se non vedo qualcosa di interessante all'orizzonte non mi scomodo ad alzarmi dal mio comodo divano. Ero spaparanzato sul suddetto divano e assieme a me c'era Demyx, seduto a terra a pochi centimetri dalla TV intento a giocare a Mario Kart sulla mia wii e a bestemmiare contro la Principessa Peach perché a quanto pare persino lei era troppo forte da seminarlo.
Tirai un sonoro sbadiglio e notai con piacere che aveva finalmente spento quel dannato gioco ma adesso mi stava fissando imbronciato, sembrava un'idiota.
“Che cosa vuoi ancora?” sospirai al limite della pazienza.
“Io sono ancora depresso” batté i piedi per terra “Neanche Mario è riuscito a tirarmi su il morale”
Strano perché Mario aveva uno strano effetto su di lui: bastava piazzargli un gioco, qualunque gioco, di Super Mario e Demyx si calmava e lasciava i tuoi nervi in pace per un bel po' di tempo.
“Perché ti serve qualcosa di più forte. Accendi la play station, hai una vasta scelta... fai finta che quelli che devi far fuori siano il tizio che ti ha dato buca”
Mi resi conto troppo tardi però, del passo falso che avevo fatto, che Demyx iniziò di nuovo a lagnarsi e dimenarsi per terra. La sera prima eravamo andati in discoteca assieme agli altri, io avevo passato la serata al bancone bevendo e flirtando con il barman; lui invece, a quanto avevo capito, aveva conosciuto un tipo
“fantastico”, che doveva essere sicuramente la sua “anima gemella” (per citare le sue parole). Ma alla fine Demyx era anche lui troppo ubriaco e ha finito per vomitargli in bocca e quel poveretto giustamente l'ha mandato all'inferno.
E adesso dovevo sorbirmi io i suoi problemi di pazzia, sembrava davvero una ragazzina.
“Aspetta, vado a prenderti una birra” sospirai alzandomi.
“Voglio il gelato!”
“Ma fa un freddo della madonna” ribattei scandalizzato.
“Voglio il gelato!” si impuntò.
Andai in cucina e controllai in freezer, niente gelato – dovevamo averlo finito uno dei giorni precedenti. Pensai allora di imbottirlo di cioccolata, dopotutto anche quella si usa per lenire le
pene d'amore. Aprii la dispensa, niente cioccolata. Patatine! Quelle erano la mia ultima spiaggia ma niente, non c'erano più buste e quelle che avevamo lasciato sul tavolino in salotto erano vuote.
Dal momento che mi stava venendo fame, mi arresi all'evidenza: avrei dovuto affrontare quel freddo per arrivare al minimarket all'angolo e andare a fare scorta di schifezze.
“Dem” lo chiamai entrando di nuovo in salotto e mi diressi alla porta d'ingresso “Vado a fare rifornimento, mi raccomando non farti trovare con un cappio al collo e non buttarti giù”
“Pistacchio” mormorò con voce impastata, tirando su col naso.
Quella visione era rivoltante, presi un pacchetto di fazzolettini e glielo lanciai appresso. Indossai il giubbotto ed uscii.
Il minimarket non era lontano dal mio appartamento, ci volevano al massimo una decina di minuti a piedi. Affondai le mani nelle tasche e mi strinsi nelle spalle, il problema per me non era la distanza ma il freddo perché non lo sopportavo. Appena giunsi a destinazione fui avvolto da un caldo tepore e subito mi rianimai.
Senza neanche pensarci, afferrai un cestino e mi fiondai nel mio paese delle meraviglie, nel reparto dove tutti i sogni diventano realtà: il reparto dolciumi.
Scartai uno Sneakers e iniziai a mangiarlo mentre sceglievo con scrupolo quasi professionale quali, tra tutte quelle
bombe diabetiche e caria-denti, sarebbero state le mie alleate nel placare l'umore lamentoso di Demyx. Ma poi non ci badai più di tanto e riempii il mio cesto di cioccolata, patatine e stuzzichini vari.
Ero finalmente giunto al banco frigo per prendere il gelato al pistacchio per il mio amico quando una voce familiare mi fece sobbalzare.
“Ti ricordavo più magro l'ultima volta che ti ho visto”
Mi girai immediatamente e notai l'esile figura di Roxas, vicino al dispenser delle bibite, intento a riempirsi il bicchiere più grande di Coca Cola.
Afferrai una vaschetta di gelato e mi avvicinai a lui.
“Tu invece sembri sempre la solita ragazzina di quindici anni per niente affascinante” risposi a tono dopo aver ingoiato il mio ultimo pezzo di sneakers – quello ovviamente lo avrei pagato.
Lui mi lanciò un'occhiata divertita “Così mi fai soffrire”
Lo osservai attentamente, aveva un giubbotto blu ceruleo quasi più grande di lui e un grande cappello bordeaux, che nascondeva la gran parte dei suoi capelli dorati. Era buffo conciato così perché, sotto quegli abiti pesanti, sembrava ancora più piccolo e magrolino di quanto non fosse.
“Non pensavo che fossi tipo da Coca Cola alla ciliegia” commentai adocchiando da quale dei vari dispenser si stava servendo.
Roxas mise il coperchio di plastica e si portò la cannuccia alle labbra. Quel gesto così naturale e ingenuo, mi provocò una strana reazione interiore tanto che dovetti voltare la faccia altrove per non arrossire ulteriormente. Come poteva quel topolino emanare una così forte carica sessuale?!
“È come una droga per me. Ogni volta che ne ho l'occasione mi fermo sempre a prenderne una...penso che se lo scoprisse mia mamma mi ucciderebbe” si voltò di nuovo e mi guardò di nuovo con sguardo innocente.
Quello non era Roxas Strife!
“Che c'è?” mi chiese poi notando il mio comportamento “Sei strano”
“No tu sei strano” borbottai cercando di scacciare dalla testa certi pensieri strani e mi avvicinai al bancone per prendere anche io una Coca Cola.
“Non pensavo che fossi tipo da Coca Cola alla ciliegia” ripeté lui facendosi da parte e prendendo un altro sorso.
“È la mia preferita” commentai semplicemente, anche io scelsi il bicchiere più grande e mi servii.
“Sul serio? Incredibile, non ti facevo così
dolce. Poi dici che lo strano sono io”
Lo fulminai con lo sguardo.
“È così. Cosa c'è che mi rende tanto strano solo per il semplice fatto che bevo la Coca alla ciliegia?”
“Entrambi la beviamo quindi entrambi siamo strani o non lo siamo. Dipende dai punti di vista” ragionò lui.
Io mi portai la cannuccia alle labbra e assaporai quel sapore dolcissimo di ciliegia.
“Non ha senso quello che dici” rimbeccai.
“Mmmm” mugugnò distratto mentre si guardava attorno con poco interesse e continuava a bere la sua bibita. Era strano ma carino.
Lo guardai per un lungo momento in silenzio, immerso nelle mie riflessioni su quel ragazzino.
“Devi prendere altro?” domandai ad un tratto, questo si voltò verso di me e scosse la testa. “Aspetti qualcuno?” lui di nuovo scosse la testa, allora gli piazzai un braccio attorno alle spalle ci dirigemmo alle casse “Andiamo a pagare allora ”
Lui annuì solamente e non disse niente, lo vidi strano. Ma non
strano come sempre, era uno strano pensieroso e forse malinconico.
Appoggiai tutta la mia roba sulla cassa, salutai la cassiera che ormai conoscevo perché ero sempre lì e le indicai anche la carta dello sneakers che avevo mangiato e i due bicchieri di Coca Cola.
“Oggi sei mio ospite” gli lanciai un'occhiatina con la coda dell'occhio e lo vidi alzare gli occhi blu verso di me.
“Non ce n'è bisogno”
“Insisto” sorrisi. Una volta pagato tutto uscimmo nel gelo del pomeriggio di metà Ottobre - ero sicuro che nel giro di una quindicina di giorni avrebbe iniziato a nevicare. Mi guardai attorno e iniziamo a camminare verso il parco vicino, isolato come sempre, e andammo a sederci su una panchina – o meglio io lo portai lì.
“Cosa c'è?” chiesi all'improvviso e lo feci sobbalzare.
“In che senso?”
“Sei troppo silenzioso e distratto. Non è da te”
Lui guardò la sua bibita che manteneva in grembo “Niente, pensavo solamente”
"Vuoi... sfogarti?”chiesi con un po' di fatica, guardando altrove.
“No, grazie”
“Va bene”
“Qualcosa succederà a breve”
Puntai lo sguardo verso di lui “Che cosa?”
Ma lui non rispose, aveva lo sguardo fisso su un'altalena davanti a noi. Sembrava un guscio vuoto, e, mi sembrava strano a dirlo, ma non mi piaceva vederlo in quello stato.
Presi un altro sorso della mia coca e parlai di nuovo.
“Rox” lo chiamai e lui si girò “Perché hai detto che tua madre si arrabbierebbe se ti scoprisse a bere la Coca Cola?”
“Perché contiene caffeina”
“E allora? Non dormi?”
“È eccitante. Non posso bere questa roba”
“Perché no?”
“Perché mi fa male”
Stavo per chiedere ancora una volta il perché ma lui si alzò e tagliò corto.
“Si sta facendo tardi. Devo andare”
“Vuoi che ti accompagno?” presi la busta con tutte le schifezze e mi alzai anche io.
“No o il tuo gelato si scioglierà” pronunciò iniziando ad incamminarsi verso l'uscita del parco.
“Tanto è di Demyx” mi affrettai a seguirlo “Con questo freddo non vedo come potrà sciogliersi”
Lui mi guardò. Il naso e le guance si erano colorate di rosso e dalla bocca uscivano piccole nuvolette bianche. Era così diverso da come lo vedevo sempre a scuola.
“Non puoi farti vedere in giro con me, cosa ne sarà della tua reputazione? Noi apparteniamo a due mondi diversi”
Il sorriso appena abbozzato che avevo crollò del tutto e non dissi niente.
“Vai a casa Axel” mormorò riprendendo a camminare a passo spedito.
“Ci vediamo lunedì a scuola vero?”
Lui continuò a camminare a passo spedito e tutto quello che fece fu alzare una mano e agitarla in segno di saluto.
Guardai quella figura in lontananza finché non scomparve dalla mia vista, sospirai e attraversai la strada. Il mio palazzo era proprio davanti al parco.
Entrai in casa e posai la busta sul tavolo, Demyx senza bisogno di particolari inviti o avvertimenti si avventò alla ricerca del gelato.
Iniziò a pormi varie domande ma io non lo ascoltai – doveva essere qualcosa del tipo come mai ci avevo messo così tanto – mi avvicinai alla finestra e guardai fuori. Da lì si vedeva il parco in cui avevamo sostato fino a poco prima.
Non riuscivo a capire il motivo ma dopo quel breve incontro mi sentivo inspiegabilmente inquieto.
Roxas aveva ragione, ero troppo radicato in quella mentalità giovanile fatta di pregiudizi e diversità, che il solo farsi vedere in compagnia di uno che non era come te scatenava una serie infinita di pettegolezzi e, nel peggiore dei casi, poteva rovinarti la reputazione. Valeva la pena spingersi così oltre? Valeva la pena sfidare tutto e tutti per una persona?
Conoscevo da poco tempo Roxas, mi aveva sempre mostrato un carattere forte e combattivo ma non credevo che potesse essere anche così fragile. Avrei voluto saperne di più su di lui e perché era in quello stato, chissà cosa sarebbe accaduto.
Mi ripromisi di cercare di avvicinarmi di più a lui e chiedergli se c'era qualcosa che non andava.
Ma il lunedì dopo non venne a scuola.

   
 
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