Viva
la Vida
#2. Freak
Si
dicono tante cose belle dell'amore.
E
anche Roxas aveva dato una sua interpretazione.
Che
è una battaglia. Che è fastidio. Che è
tormento. E dolore.
Sarò
un pazzo a dire di essere felice ma io e lui lo dimostravamo
così.
Nonostante
gli iniziali dissidi, il pomeriggio filò liscio come l'olio
e
stranamente quasi mi dispiacque che avessimo già terminato.
Nella
mia opinione generale, che mi ero costruito in quell'unica ora
passata a contatto con quello che doveva essere il mio
tutor,
ero riuscito a trovare una sola parola che riuscisse a descrivere
perfettamente quell'uragano in miniatura di nome Roxas Strife.
Feak.
Eccentrico, strano, singolare, stravagante, fricchettone, scherzo
della natura: tutto riassunto in una sola parola. E quando, sulla
strada di casa, avevo trovato quella definizione mi sentii realizzato
quasi quanto aver vinto una partita di basket. Poi mi resi conto che
forse lo strano ero io che avevo passato tutto quel tempo a
rimuginare.
Affrettai il passo e mi rintanai nella mia calda
casetta: era solo l'inizio di Ottobre ma il freddo iniziava a farsi
sentire, di sera soprattutto.
La
mattina dopo mi ritrovavo a passeggiare tra i corridoi della scuola
assieme a Demyx, intento a raccontargli del mio incontro del terzo
tipo.
“Ed è carino?” tagliò corto
lui dopo una mia lunga
spiegazione.
Mullet-man, Sitar-man o, più semplicemente, Demyx
è
il mio migliore amico da sempre: vivace, scapestrato e amante della
musica. Ci siamo incontrati all'asilo durante una gara di rutti
e...no, questa è un'altra storia imbarazzante di cui si
parlerà in
seguito. Comunque è uno di quei tipi che sorridono
così tanto che a
volte vorresti mollargli un pugno in faccia. Ed è oltremodo
gay.
Questo non sarebbe un problema se non fosse lui, Demyx,
perché c'è
una cosa che lo rende diverso da tutti: lui è pazzo. Ma non
'pazzo'
come si definisce scherzosamente un amico, no. Lui è pazzo e
basta.
Un pazzo che va in giro con un un'acconciatura retrò
abbastanza
inguardabile -
“Si
chiama mullet!”
mi
rimbeccava sempre con la stessa energia della prima volta – a
cui
tiene tanto ed è solito suonare un sitar...
ma
poi che cazzo di strumento è?
Ad
ogni modo quello che lo rende un pazzo è il suo
atteggiamento
esageratamente sentimentale ed esuberante. Sembrerebbe un bambino
viziato e bisognoso di attenzioni, se non fosse malizioso da sfiorare
l'indecenza.
Ciò che lo caratterizza è anche il suo look.
È un
po' complicato, in realtà, descrivere i suoi gusti ma si
può dire
che siano simili a quelli di Marluxia, anche se non così
eccessivi!
Glitter, paillettes, piumini colorati... qualche Halloween fa,
quest'ultimo lo conciò come una vera drag queen; con gli
anni sono
riuscito a ridimensionare questo suo lato molto
appariscente,
ma continua comunque a vestirsi come l'arcobaleno ed ad amare
imperterrito i gattini.
Si potrebbe scrivere un trattato su di lui
e scoprire lati ancora sconosciuti della sua persona, ma non
è lui
il soggetto del mio interesse.
“Dem, ti ho già detto che quello
è matto da legare!” mi affrettai a ribadire
concitatamente “Ha
fatto fuori tre squadre sportive solo perché Xig importunava
la sua
amica”
“È proprio coraggioso”
ridacchiò lui portando alla
bocca un'altra manciata di quei biscotti che stava mangiando.
“Lo
penso anche io” sussurrai a bassa voce per non farmi sentire
da
nessuno e poi ripresi con tono normale “Ma che se la
prendesse solo
con lui. Io non gli ho fatto niente e non solo mi ha fatto sospendere
dalla squadra ma devo anche recuperare le mie insufficienze con
lui”
“Sei sicuro di non avergli fatto nulla?”
inquisì lui
alzando i suoi occhi blu su di me.
Io rimasi interdetto da quella
domanda e tentennai per un secondo al massimo. Non mi sembrava di
avergli fatto alcun torto.
“Certo che no” ribattei.
“Hai
tentennato”
“Ma ti ho detto di no!”
“E ne sei
certo?”
No,
volevo rispondere, perché non ero certo di non avergli fatto
nulla.
Dopotutto io non guardavo neanche le facce di quelli che riempivo di
cazzotti.
A quel punto sospirai e scrollai le spalle “Ma che ne
so... non mi sono neanche accorto che era nella mia stessa classe di
letteratura” borbottai afferrando un biscotto dal suo
sacchetto.
Feci una faccia schifata quando lo assaporai, era troppo burroso e si
sbriciolava come se niente fosse. Che diavolo mangiava
Mullet-man?
“Lo è?” inarcò un
sopracciglio biondo.
“A
quanto pare sì... e ha detto che russavo”
Demyx ridacchiò e
prese un altro biscotto “Il moccioso sa il fatto
suo”. Nessuno
sano di testa si sarebbe permesso di essere così sfacciato
con uno
di noi.
“Crede di essere il re del mondo”
Un rumore simile
ad un tuono raggiunse la mia attenzione.
Lanciai uno sguardo alla
mia destra e notai che Xaldin aveva incastrato un ragazzino in un
angolo e aveva sbattuto un pugno sul metallo degli armadietti, a
pochi centimetri dalla sua faccia e urlava qualcosa di indecifrabile.
Il ragazzino sembrava in preda alle lacrime, Xaldin era
infuriato.
Non prestai particolare attenzione, mi limitai a
camminare svogliatamente con le mani nelle tasche e così
fece Demyx,
che non sembrò essersi accorto di nulla perché
troppo occupato con
i biscotti. In realtà aveva visto eccome, tutti i ragazzi
che erano
nel corridoio avevano visto ma nessuno osava mai dir nulla per paura
di essere pestati. Anche se Dem faceva parte del nostro gruppo e non
condivideva il nostro modo di fare, non poteva però impedire
queste
cose quindi ciò che si limitava a fare era continuare la sua
politica pacifista senza però intralciare me e i nostri
'superiori'.
“Proprio come te” riprese lui il discorso dopo
qualche istante di silenzio.
“Io non
credo
di
essere il re del mondo” ridacchiai spostando di nuovo la mia
attenzione su di lui “Io lo
sono”
“Questo
ti fa ancora più arrogante ed egocentrico di lui”
“Almeno io
non parlo per citazioni” alzai lo sguardo e battei le
palpebre.
Lui
sorrise e appallottolò la busta di biscotti “Me lo
farai mai
vedere?”
Roxas era appena entrato nella mia visuale: veniva
nella nostra direzione e stava trasportando un'enorme pila di fogli
un po' traballante senza apparentemente badare a ciò che lo
circondava. Io sorrisi impercettibilmente e Dem aveva già
capito che
avevo in mente qualcosa.
Rimasi in silenzio e continuai a
camminare in maniera indifferente. Altrettanto indifferentemente gli
feci lo sgambetto quando fummo vicinissimi e dal tonfo che sentii
subito dopo capii che doveva aver preso una bella caduta.
“Dimmi
che si è girato” mormorai in tono vittorioso senza
voltarmi e
continuando a proseguire per la mia strada, occhi spalancati e voce
che fremeva dalla gioia. Non avevo avuto un motivo particolare per
far cadere lui e tutti i suoi fogli a terra, solo ne sentivo il
bisogno. Proprio come si sente il bisogno di bere o
mangiare.
Sitar-man intanto si era voltato per vedere la scena ma
poi mi rivolse un'occhiata di rammarico e scosse la testa.
“Ha
fatto un bel volo ma non ti ha degnato di uno sguardo”
Digrignai
i denti.
“Che dici, non ti avrà visto?” chiese
poi.
“Macché.
Quello ha gli occhi di un falco. Si diverte solo a farmi diventare
pazzo.”
“È carino Roxas. Era lui vero?”
Non risposi alla
sua domanda, mi limitai ad affrettare il passo ed uscimmo
dall'edificio scolastico per raggiungere il nostro gruppo ai tavolini
da picnic fuori alla caffetteria. Ci facevamo chiamare
l'Organizzazione XIII... anche se non so perché dal momento
che non
eravamo 13!
“Saix dobbiamo fare qualcosa! A causa sua sono
fuori, adesso come vedrò i fisici scolpiti dei miei compagni
di
squadra?” la voce sdegnata di Marluxia raggiunse le nostre
orecchie
non appena ci avvicinammo. Io presi subito posto sulla panca di
legno, appoggiai la schiena contro il tavolo e rivolsi la mia
attenzione al ragazzo in piedi davanti a me. Ci sarebbe molto da dire
anche su Marluxia Torn, o meglio
Porn,
come lo chiamavo io, ma era un ragazzo abbastanza misterioso e
nonostante lo conoscessi da ormai tre anni le uniche cose che sapevo
per certo di lui erano che: era più donna di una vera donna,
stuprava con lo sguardo ogni essere maschile presente sulla terra (da
qui il soprannome 'Porn'), amava così tanto i fiori da avere
una
piccola serra e un roseto nel giardino di casa sua, e se voleva
poteva essere tremendamente vendicativo.
Saix mi lanciò una
veloce occhiata, quello era il suo modo di salutarmi, e poi
ritornò
all'altro.
“Hai delle prove che sia stato lui?” chiese con il
suo solito tono glaciale. Saix era un altro mio amico di vecchia
data, abbiamo iniziato a frequentarci alle medie ma a Demyx non era
mai andato a genio. Forse per il suo carattere freddo e calcolatore,
che l'aveva portato ad essere il favorito del nostro capo, o forse
perché anche lui aveva notato quella vena di follia che
illuminava
di tanto in tanto il suo sguardo.
“Beh...non proprio...credo di
aver perso la testa prima che potesse rispondermi” Marluxia
abbassò
lo sguardo e lo vidi tormentarsi le mani “Però a
causa di questo
piccolo incidente il preside mi ha richiamato di nuovo nel suo
ufficio per sospendermi definitivamente!”
“In circostanze
normali ti avrei permesso di occupartene ma...”
“Ti ricordo
che non sono stato l'unico su cui si è sfogato il
preside!” lo
interruppe il ragazzo dai capelli rosa.
“...MA, come stavo
dicendo, non siamo nella posizione di agire liberamente. Adesso siamo
nel mirino diretto del preside e di tutti quanti, se facciamo passi
falsi le conseguenze saranno ben peggiori” tuonò
Saix e fece
rabbrividire tutti i presenti. Non era da parte sua fare scatti
simili “Dobbiamo esserne certi, solo allora potremo farlo
nero”
concluse con tono glaciale.
Abbassai lo sguardo e mi alzai di
scatto per andarmene, ma così catturai l'attenzione di tutti.
“Cosa
c'è, Axel?” mi chiese calmo Xemnas, il nostro
boss, che era stato
seduto per tutto il tempo sul tavolo senza proferir parola. Aveva uno
strano look da
ganguro
con
pelle scura e capelli argentei ma nonostante ciò era un tipo
autoritario e solitamente non agiva se non era strettamente
necessario, preferiva rimanere dietro le quinte e assistere alle
gesta degli altri membri del gruppo e godersi il timore di tutti gli
altri studenti della scuola. Dietro la sua calma però si
celava un
carattere crudele e mefistofelico.
Io gli rivolsi il primo sguardo
da quando ero arrivato.
Stavano parlando di Roxas. Sapevo che se
fossi rimasto ancora lì avrei servito loro la
verità su un piatto
d'argento, ma anche se il ragazzino in questione mi ispirava tanta
irritazione alla sola vista, non so perché ma non mi sentivo
di
essere tanto perfido con lui... e poi ero io il bastardo, non li
avrei aiutati tanto facilmente. Forse avrei potuto farlo dopo che
Roxas mi avesse aiutato con i miei voti.
Mio dio che stronzo che
ero.
“Niente” risposi dissimulando la mia improvvisa
ansia con
una perfetta recita del mio migliore sguardo indifferente (che,
modestamente, faceva crollare ai miei piedi l'intera popolazione
femminile) “Sono solo in ritardo per la lezione. Sai, anche
io sono
stato richiamato ieri”
Lui accennò un assenso col capo ma prima
che potessi congedarmi arrivò Xaldin ancora rosso dalla
rabbia.
“XEMNAS” tuonò questo
“Qualcuno ha detto al ragazzo
di Belle che io ci sto provando con lei e adesso quello
verrà a
cercarmi e uccidermi!”
Il capo inarcò un sopracciglio e tutti
noi lo guardammo con un misto di sorpresa ed incredulità.
Era ormai
risaputo in tutta la scuola della corte spietata che Xaldin riservava
a Belle, una ragazza dell'ultimo anno e che si occupava anche della
biblioteca.
“Eddai Xaldin, quante moine per nulla!” Xigbar
aveva seguito con flemma l'amico e gli pose un braccio attorno alle
spalle “Da quando ti preoccupa tanto se qualcuno vuole fare a
botte?” rise.
Xigbar e Xaldin erano altri due tipi strani. Ok,
diciamo che eravamo tutti tipi strani in quel gruppo. Però
erano
forti, soprattutto Xig quando si sentiva euforico o era ubriaco
marcio! Entrambi erano imponenti e avevano tanto l'aria di tipi
loschi: Xigbar aveva una grande cicatrice in faccia, trofeo di una
delle tante zuffe di cui era protagonista, Xaldin invece aveva dei
folti rasta neri, dei basettoni che facevano invidia a Wolverine e
sotto il suo aspetto da duro aveva un cuore tenero.
“Da quando
il fidanzato in questione è una vera
Bestia!”
sbraitò indignato dalla domanda a cui non c'era neanche
bisogno di
rispondere: il ragazzo di Belle era gelosissimo di lei e chi si
azzardava a toccarla era morto.
“Ragazzi non fate troppo
chiasso. Sembrate dei bambini” li richiamò Xemnas
annoiato dal
loro comportamento.
“Allora, hai idea di chi sia stato?”
indagò Saix.
“No! Ho chiesto a varie persone ma nessuno sa
niente. Sembrano tutti fin troppo terrorizzati da poter anche solo
pensare di far incazzare qualcuno di noi”
A quel punto, senza
dire altro me ne andai spedito. Non mi fermai neanche all'armadietto
per prendere i libri, non ne avevo bisogno perché li avevo
già
presi il pomeriggio prima per studiare con Roxas, ed entrai in
classe. Ci misi qualche istante per adocchiare il biondo, mi
avvicinai a grandi falcate e sbattei le mani sul suo banco, attraendo
l'attenzione degli altri presenti.
“Così attiri l'attenzione”
mormorò lui disinteressato, voltando la pagina del libro che
stava
leggendo e senza guardarmi. Come sempre.
“Che diavolo volete?
Fatevi gli affari vostri” sbottai verso la classe e poi mi
voltai
verso Roxas “E a te, che diavolo ti salta in mente?”
“A cosa
ti riferisci?”
“Guardami” gli ordinai.
Questo sbuffò e
alzò lo sguardo svogliatamente.
“Sei stato tu...? Quella cosa
con Xaldin... sei tu il responsabile?” chiesi sottovoce ma
con
impazienza.
Roxas mi guardò a fondo ma la sua espressione era
illeggibile per me, lo vidi poi spostare lo sguardo oltre le mie
spalle, verso il professore che era appena entrato.
“Avanti,
tutti a sedere” lo sentii declamare.
Io sospirai e gli lanciai
una veloce occhiata prima di andare a sedermi al mio posto, proprio
dietro di lui e giurai di averlo visto accennare un sorriso! Non
aveva negato, non aveva battuto ciglio: era lui il responsabile. Ma
perché andare ad istigare quelli più grandi e
più forti di lui? O
aveva un pessimo modo di divertirsi o voleva fare una brutta
fine.
“Ti stai cacciando in guai seri” gli sussurrai,
sporgendomi in avanti verso di lui dal mio banco dietro.
“Cos'è,
ti preoccupi per me, Moore?” mi schernì senza
neanche voltarsi per
lanciarmi una di quelle sue occhiatacce sarcastiche.
A quel
commento serrai le labbra, tornai al mio posto e incrociai le braccia
al petto. Non mi stavo preoccupando per lui, assolutamente. Il mio
voleva essere solo un ragionamento di circostanza. Poi se ci teneva
ad essere ridotto in poltiglia dai miei amici colossi, poteva fare
quel che voleva. E poi mi chiesi,
perché
cavolo sto dando tutta questa importanza ad un moccioso del
genere?
“Axel”
i miei pensieri furono interrotti da un bisbiglio che proveniva dalla
mia sinistra e mi voltai verso il ragazzo che mi aveva chiamato,
questo indicava con gli occhi il professore che era ormai davanti a
me e che mi guardava corrucciato, come se si aspettasse qualcosa. Non
mi ero neanche accorto di lui.
“Cosa?” chiesi all'uomo
sperando che questo non mi costasse un altro brutto voto.
“Ho
detto” cominciò lui mettendo una mano sul fianco,
l'altra reggeva
il libro di testo “Chi è che ha coniato
l'espressione
Generazione
perduta?”
Quella
domanda provocò una strana reazione in me, non avevo idea di
cosa si
stesse parlando però una vocina nel mio cervello mi diceva
che
sapevo la risposta. Mi appoggiai allo schienale, il vortice di
pensieri che affollava la mia mente defluì all'istante,
spalancai
gli occhi e la mia bocca si mosse nel tentativo di pronunciare
qualcosa che non avrei dovuto sapere.
Rividi il volto di Roxas che
il pomeriggio prima, dopo una spiegazione chiara e veloce del periodo
storico che stavamo affrontando, contrasse l'espressione e mi
chiese
“Non
credi che anche la nostra sia una generazione
perduta?”
“Prego?”
Notando
la mia evidente confusione lui continuò
“Una
volta Gertrude Stein rimase colpita dalle parole che un garagista
rivolse al giovane meccanico che non era riuscito a ripararle la
macchina, 'siete tutta una generazione perduta!' gli aveva
gridato.”
Lo
guardai perplesso e gli dissi che non capivo cosa stesse dicendo:
quel ragazzino sicuramente ci sapeva fare con i libri ma era strano
forte, i suoi cambi di argomento mi prendevano di sorpresa. Cosa
c'entrava la vita privata di quella scrittrice con la letteratura che
dovevamo studiare e i suoi dubbi esistenziali? L'unica cosa che mi
interessava al momento era finire presto e andarmene a casa.
“Queste
parole”
spiegò
lui
“Furono
utilizzate poi in seguito dalla stessa Stein per raccontare di
Hemingway e di tutta la generazione cresciuta durante la prima guerra
mondiale. Era una generazione vuota, priva di valori... secondo te
anche noi siamo così?”
“Perché
pensi questo?”
“Guardati
attorno, guarda anche solo qui dentro la scuola. Ormai nessuno
rincorre più i propri sogni, i germogli di bontà
che risiedono in
noi vengono lasciati incolti, tutti si guardano dall'aiutare il
prossimo. Dilaga l'omertà e regna l'anarchia. Facciamo
schifo
Axel”
“È
la legge del più forte”
scrollai
le spalle.
Lui scosse la testa
“Tutti
noi siamo divorati dall'ira, dalla vendetta, dalla lussuria. Abbiamo
dimenticato il vero senso della vita”
“E
quale sarebbe?”
sospirai
appoggiando il mento sul palmo della mano.
“Amare”
Sbattei
le palpebre un paio di volte e udii un sottile filo di voce
fuoriuscire dalle mie labbra senza che io avessi comandato loro di
muoversi “È Gertude Stein”
Il professore sembrò soddisfatto
della risposta.
“Moore per una volta hai studiato” sorrise
come non l'avevo mai visto fare prima e poi si voltò verso
Roxas con
un ampio sorriso stampato in volto “Vedo che le ripetizioni
di
Strife sono servite a qualcosa”
Alzai lo sguardo e guardai la
nuca di Roxas, per la prima volta pensai a quello che mi aveva detto
il giorno prima. Non sentivo più nulla attorno a me, ero
come in
trance a fissare quei fili dorati e rammentare le sue parole.
“Tu
sai cosa significa amare davvero qualcuno?”
Roxas
non aveva mai parlato di amore nel suo significato più
stretto, lo
aveva esteso alla generalità: l'amore per un familiare, per
un
amico, per le persone, le cose, la vita. Ma quelle parole in un modo
o in un altro mi avevano fatto aprire gli occhi, non avevo mai amato
nessuno, o meglio, non mi ero mai spinto tanto oltre da poter mai
pensare di fare una cosa simile.
Roxas è sempre stata una persona
a cui non piacciono le parole, vuole i fatti, ma gli piace fare
congetture, ed è tremendamente perspicace e razionale anche
in
queste.
È sempre stato convinto che quello fu l'esatto momento in
cui io mi innamorai di lui.
Io ho smentito più volte, ero
convinto che fosse stato in un altro momento - dopo la festa o quella
sera sulla spiaggia. All'epoca poi non mi importava più di
tanto di
lui, a stento sapevo il suo nome; eppure adesso, ripercorrendo con la
memoria tutto ciò che è successo tra di noi non
posso che dargli
ragione.
Quella semplice risposta
“È
Gertude Stein”
mi
fece capire quanto Roxas fosse speciale, quanto riuscisse a vedere
oltre il muro dei pregiudizi che ostruisce la visuale, quanto i suoi
orizzonti fossero ampi. Quanto avesse bisogno di qualcuno.
Quanto
io
avessi
bisogno di qualcuno.
Quel giorno si creò una sorta di alchimia
che mi avrebbe legato a lui indissolubilmente.
Quel
pomeriggio corsi a perdifiato nell'aula studio: erano le 4 in punto,
ora di inizio del mio lavoro di recupero. Aprii di scatto la porta e
lo vidi di nuovo accucciato sullo stesso sgabello dietro al bancone.
L'enorme livido era sempre evidente.
“Si può sapere cosa cavolo
leggi ogni volta?” borbottai infastidito mentre entravo e mi
accomodavo con poca grazia ad un tavolo.
Lui alzò lo sguardo dal
librone e seguì i miei movimenti in silenzio.
“Non si può
sapere” commentò semplicemente, mise il segnalibro
per tenere il
segno e mi raggiunse al tavolo non prima però di afferrare
una pila
di fogli aggiustati alla meno peggio e lasciarli cadere sulla
superficie davanti a me.
Inarcai un sopracciglio “Cosa
sarebbe?”
“Tutta la roba su cui lavoreremo” si sedette sulla
sedia accanto a me e posò lo sguardo sulle carte.
“Questa mattina
sei stato così gentile da far cadere me e loro quindi ho
pensato che
non ti sarebbe dispiaciuto riordinarle e rimetterle a posto”
mi
sorrise.
“Che cosa?!” esclamai sconvolto. Non sapevo se
essere
più sconvolto per il suo livello di bastardaggine, per
l'estrema
dolcezza con cui aveva pronunciato quella frase o per tutta quella
roba che avremo dovuto studiare. Ero sempre più sicuro che
quello in
realtà era un demone dalle sembianze pucciose. Ecco,
sì proprio
come Kyuubey.
Già guardo anime e, sì, pure quel genere... Demyx
ha una brutta influenza su di me.
Passai una buona ventina di
minuti in silenzio a riordinare quella catasta di fogli (erano tutti
numerati) e intanto lanciavo qualche occhiata a Roxas, lui era seduto
accanto accanto a me ed era immerso nella lettura del librone che
portava sempre con sé. Doveva essere davvero interessante.
“Sei
stato bravo... a lezione” Roxas ruppe improvvisamente il
silenzio,
io lo guardai sbigottito: aveva ancora gli occhi incollati sulla
pagina a cui era dedito ma subito li puntò su di me. Non
avevo mai
visto un blu tanto intenso “Quella cosa... il prof l'ha solo
accennata tempo fa, immaginavo solo vagamente che potesse
riprenderla. Io te ne ho parlato così, tanto per, fuori
dalle
spiegazioni ma tu te ne sei ricordato ugualmente...” e poi i
suoi
muscoli facciali si tirarono in quello che doveva essere un accenno
di sorriso. Ma questo era vero. Il primo mezzo sorriso vero che gli
avessi mai visto indossare “...mi fa piacere”
Ed era il più
bel mezzo sorriso vero che avessi mai visto.
Sentii il sangue
defluire tutto verso le mie guance, così mi affrettai a
voltarmi
altrove, imbarazzato “Ehm...gra-grazie” borbottai
corrucciando
l'espressione. Non potevo farci nulla, certe cose mi mettevano a
disagio.
Roxas mi guardò per un istante più a lungo
così decisi
di cogliere la palla al balzo e mi affrettai a prendere nuovamente
parola. “Senti...”
“Dimmi”
“Riguardo a quello... al
tuo discorso di ieri...” cominciai indeciso.
“Oh sì” lui
annuì “Hai per caso trovato una
risposta?”
“Beh, non
proprio... però mi ha fatto riflettere” mormorai
titubante,
afferrai il cellulare e iniziai a giocare nervosamente con il touch
screen. Lo vidi annuire, il suo sguardo era serio e impenetrabile.
“Volevo dirti che ho deciso di istituire una tregua tra di
noi”
“Una tregua?” lui inarcò un sopracciglio
e si voltò
con il busto verso di me per potermi guardare meglio.
“Sì...
nel senso che per il momento non ti userò come sacco da boxe
come
gli altri”
“Oh” in quel momento parve davvero stupito
“Ehm...ti ringrazio?”
“Non sei felice?” chiesi
perplesso.
“Se fossi stato qualcun altro sì, penso di
sì...”
si grattò la nuca “Io non ho fatto tutto questo
per poi riservarmi
un trattamento di favore. Non fraintendere, apprezzo il fatto che tu
non voglia usarmi
come
sacco da boxe
ma
quello che volevo io era che tutti fossero lasciati in pace e che
fossero felici”
“No.
Tu
mi
hai aiutato... e
io
volevo
ringraziarti” spiegai, non ero bravo a parole e anche un
minimo
gesto di gentilezza mi costava fatica “Nonostante il mio
comportamento tu sei stato paziente con le tue spiegazioni e mi hai
fatto riflettere. Ti comporti come uno stronzetto ma hai un cuore
grande”
“Era il mio dovere” rispose semplicemente lui
sorreggendo il capo con una mano.
“E io ora ti ringrazio”
Non
stavo facendo il gentile perché volevo dipingermi bello ai
suoi
occhi, mi dava fastidio che a gente potesse però percepire
una così
brutta immagine di me"
“Vuoi dimostrare che non
sei
perduto?”
Roxas sorrise, ci aveva preso alla grande. “È
tutto okay, non
preoccuparti. Mi è bastato il fatto che non hai detto ai
tuoi amici
che ci sono io dietro a tutto quello”
“Come lo sai?”
domandai stupito voltandomi con uno scatto verso di lui.
Lui
ridacchiò e si appoggiò allo schienale della
sedia, alzò lo
sguardo al soffitto.
“Se avessero saputo penso che ora avrei
avuto tutte le ossa rotte”
Io aggrottai lo sguardo a quella
risposta “Ci tieni tanto a morire giovane?”
La mia era stata
una domanda puramente sarcastica, non mi aspettavo una vera risposta
ma solo qualche sua risatina o un commento di circostanza giusto per
farmi incazzare, e invece no.
“Io
morirò
giovane.
Se è oggi o domani poco importa”
“Cosa?” rimasi spiazzato
dalla serietà con cui aveva risposto e dalla freddezza con
cui aveva
marcato il 'morirò giovane'. Mi intimò di
continuare a riordinare e
intanto lui si alzò dalla sedia per andare alla macchinetta
delle
bevande calde in fondo alla stanza.
“Caffè o
cioccolata?”
“Cioccolata”
Lui annuì.
“So che
succederà presto, forse anche inaspettatamente, per questo
prima che
accada voglio mettere in chiaro alcune cose” riprese a
parlare
mentre contava le monetine e le inseriva nella macchinetta
“Ho
visto i miei sogni sfuggirmi di mano, tutto quello per cui stavo
faticando è fuggito via in un batter d'occhio. Mi sarebbe
piaciuto
investire nella carriera sportiva, ero molto bravo a calcio ma il
destino mi è stato avverso” si girò di
nuovo verso di me “Poi
mi son detto
'non
fa niente, posso puntare su altro'.
La vita è piena di opportunità dopotutto, ed
è qui a scuola che
puoi formarti. Però il male si annida ovunque. Se non sei in
una
squadra sportiva o non sei abbastanza figo da piacere a tutti allora
vieni etichettato come 'sfigato' e tutti si sentono in diritto di
trattarti una vera merda”
Abbassai gli occhi, sentendomi
chiamato in causa, incapace di sostenere quello sguardo serio ma che
celava una punta di malinconia.
“È bello fare il gradasso con
uno più piccolo di te, vero Axel?”
Strinsi i pugni davanti a
me.
“Io non sono così” proferii cercando di
auto-convincermi
di essere il contrario di ciò che effettivamente ero. Ma con
scarsi
risultati.
Roxas si girò per estrarre una tazza cioccolata pronta
e schiacciò il bottone per prepararne un'altra.
“Già, non sei
così”
Quelle sue parole mi stupirono così tanto che quasi
pensavo di essermele sognate “Prego?”
“Sai Axel, anche tu
hai un cuore grande se vuoi. Cosa ti ha spinto a non offrire la
verità ai tuoi amici? Perché ti interessa se li
sfido? Come mai mi
hai offerto una tregua? Stai facendo tutto questo per una persona che
non conosci neanche” disse senza voltarsi questa volta,
iniziò a
zuccherare la sua bevanda e a soffiarci sopra per raffreddarla
“Questo mi dimostra che non tutto è perduto...
forse un giorno
potrò vedere davvero convivere tutti pacificamente”
“Pensi
che io sia buono?” sussurrai guardandolo di nuovo.
“Lo sei, se
ci lavori su. Non credo che il tuo carattere da stronzo sia del tutto
ingiustificato. Ma se inizi a riservarmi trattamenti di favore allora
non lo sarai più ai miei occhi”
“E perché no?” borbottai
fingendomi offeso, la mia era curiosità più che
altro.
Sempre
dandomi le spalle, lo vidi afferrare anche l'altra tazza e la
poggiò
sul mobiletto accanto alla macchinetta, dove aveva precedentemente
appoggiato la sua tazza, per iniziare a zuccherarla.
“Perché io
sono forte” esclamò con ovvietà e poi
ridacchiò “Non voglio
che mi tratti come una mammoletta. Ricordi il discorso di ieri?
Preferisco che mi dimostri il tuo 'amore' con il tuo comportamento
abituale piuttosto che con uno da femminuccia” concluse con
un tono
di scherno, prese entrambe le tazze e si avvicinò a me.
“Certo
che sei un tipo proprio strano” ridacchiai e afferrai la
tazza che
mi porse.
“Sappi che io continuerò a tormentarti,
Moore” mi
sorrise furbescamente.
“Questo dovrei dirlo io” sorrisi a mia
volta e portai la tazza alle labbra.
Non riuscii neanche ad
ingoiare completamente il primo sorso che mi sentii avvampare, bocca,
gola e trachea erano a fuoco. Iniziai a tossire come un dannato e a
boccheggiare profondamente per prendere un po' d'aria.
Roxas
invece iniziò a ridere istericamente.
“Che cazzo ci hai messo
qua dentro?” sbraitai sputacchiando i residui di cioccolata.
“Un
po' di peperoncino per una persona
focosa
come
te” rispose mantenendosi la pancia per le troppe risate e
mostrandomi una bustina con della polvere al peperoncino che doveva
aver portato da casa proprio per me.
Arrossii violentemente un po'
per la bocca che mi bruciava e un po' per quella battuta.
“Piccolo
bastardello. Se è la guerra che vuoi, l'avrai”
“Non chiedevo
di meglio” mi sorrise strafottente.
Da
quel giorno iniziammo ad instaurare uno strano rapporto di tolleranza
conflittuale, in poche parole facevamo a gara a chi era più
stronzo
tra i due. Durante l'orario scolastico continuavamo ad ignorarci a
vicenda e farci scherzi di cattivo gusto, durante le lezioni di
recupero invece ci ritrovavamo a parlare di qualsiasi cosa. Non ci
definivamo amici ma neanche sconosciuti, fu Roxas che uno di quei
pomeriggi tentò di trovare un nome adatto.
“Tormentamici”
esordì all'improvviso, alzando il naso dal suo solito
librone –
ormai aveva quasi finito di leggerlo e un giorno avevo anche scorto
il nome,
I
miserabili.
“Che
roba sarebbe?” staccai lo sguardo dall'esercizio che stavo
facendo
e lo guardai perplesso.
“Quello che siamo noi” ridacchiò
“Era
da tempo che cercavo di dare un nome al nostro rapporto e adesso l'ho
trovato: tormentamici”
“Fa schifo” mugugnai ritornando al
mio libro “Sembra il nome di un cartone animato”
“E allora
proponine uno tu, signor
Sonoilpiùsexydelmondo”
Ci
pensai un momento e poi tentai “Compagni di
torture?”
“È
perfetto,
compagno”
ridacchiò e tornò alla sua lettura.
Anche
se con un po' di riluttanza all'inizio, ben presto iniziai ad
abituarmi sempre di più a quei brevi incontri con Roxas: era
un buon
insegnante in fin dei conti e, con quelle sue uscite strane, era una
compagnia interessante; per non parlare del fatto che i nostri
giochetti dell'infastidirci a vicenda mi divertivano abbastanza. Oh e
ascoltava i Queen, quindi altro punto a suo favore.
Però avevo
sempre mantenuto segreta la nostra complicità. Non era una
cosa che
avevo pianificato, mi era venuto naturale e quando me ne resi conto
sperai che lui non se ne accorgesse e potesse dispiacersi. Ma lui era
tutt'altro che scemo, è solo che
aveva
altro a cui pensare.
Era
un sabato pomeriggio freddo e nuvoloso, non avevo preso impegni per
quella sera – sono una persona fondamentalmente pigra, se non
vedo
qualcosa di interessante all'orizzonte non mi scomodo ad alzarmi dal
mio comodo divano. Ero spaparanzato sul suddetto divano e assieme a
me c'era Demyx, seduto a terra a pochi centimetri dalla TV intento a
giocare a Mario Kart sulla mia wii e a bestemmiare contro la
Principessa Peach perché a quanto pare persino lei era
troppo forte
da seminarlo.
Tirai un sonoro sbadiglio e notai con piacere che
aveva finalmente spento quel dannato gioco ma adesso mi stava
fissando imbronciato, sembrava un'idiota.
“Che cosa vuoi
ancora?” sospirai al limite della pazienza.
“Io sono ancora
depresso” batté i piedi per terra
“Neanche Mario è riuscito a
tirarmi su il morale”
Strano perché Mario aveva uno strano
effetto su di lui: bastava piazzargli un gioco, qualunque gioco, di
Super Mario e Demyx si calmava e lasciava i tuoi nervi in pace per un
bel po' di tempo.
“Perché ti serve qualcosa di più forte.
Accendi la play station, hai una vasta scelta... fai finta che quelli
che devi far fuori siano il tizio che ti ha dato buca”
Mi resi
conto troppo tardi però, del passo falso che avevo fatto,
che Demyx
iniziò di nuovo a lagnarsi e dimenarsi per terra. La sera
prima
eravamo andati in discoteca assieme agli altri, io avevo passato la
serata al bancone bevendo e flirtando con il barman; lui invece, a
quanto avevo capito, aveva conosciuto un tipo
“fantastico”,
che doveva essere sicuramente la sua “anima
gemella”
(per
citare le sue parole). Ma alla fine Demyx era anche lui troppo
ubriaco e ha finito per vomitargli in bocca e quel poveretto
giustamente l'ha mandato all'inferno.
E adesso dovevo sorbirmi io
i suoi problemi di pazzia, sembrava davvero una ragazzina.
“Aspetta,
vado a prenderti una birra” sospirai alzandomi.
“Voglio il
gelato!”
“Ma fa un freddo della madonna” ribattei
scandalizzato.
“Voglio il gelato!” si impuntò.
Andai in
cucina e controllai in freezer, niente gelato – dovevamo
averlo
finito uno dei giorni precedenti. Pensai allora di imbottirlo di
cioccolata, dopotutto anche quella si usa per lenire le
pene
d'amore.
Aprii la dispensa, niente cioccolata. Patatine! Quelle erano la mia
ultima spiaggia ma niente, non c'erano più buste e quelle
che
avevamo lasciato sul tavolino in salotto erano vuote.
Dal momento
che mi stava venendo fame, mi arresi all'evidenza: avrei dovuto
affrontare quel freddo per arrivare al minimarket all'angolo e andare
a fare scorta di schifezze.
“Dem” lo chiamai entrando di nuovo
in salotto e mi diressi alla porta d'ingresso “Vado a fare
rifornimento, mi raccomando non farti trovare con un cappio al collo
e non buttarti giù”
“Pistacchio” mormorò con voce
impastata, tirando su col naso.
Quella visione era rivoltante,
presi un pacchetto di fazzolettini e glielo lanciai appresso.
Indossai il giubbotto ed uscii.
Il minimarket non era lontano dal
mio appartamento, ci volevano al massimo una decina di minuti a
piedi. Affondai le mani nelle tasche e mi strinsi nelle spalle, il
problema per me non era la distanza ma il freddo perché non
lo
sopportavo. Appena giunsi a destinazione fui avvolto da un caldo
tepore e subito mi rianimai.
Senza neanche pensarci, afferrai un
cestino e mi fiondai nel mio paese delle meraviglie, nel reparto dove
tutti i sogni diventano realtà: il reparto dolciumi.
Scartai uno
Sneakers e iniziai a mangiarlo mentre sceglievo con scrupolo quasi
professionale quali, tra tutte quelle
bombe
diabetiche e caria-denti,
sarebbero state le mie alleate nel placare l'umore lamentoso di
Demyx. Ma poi non ci badai più di tanto e riempii il mio
cesto di
cioccolata, patatine e stuzzichini vari.
Ero finalmente giunto al
banco frigo per prendere il gelato al pistacchio per il mio amico
quando una voce familiare mi fece sobbalzare.
“Ti ricordavo più
magro l'ultima volta che ti ho visto”
Mi girai immediatamente e
notai l'esile figura di Roxas, vicino al dispenser delle bibite,
intento a riempirsi il bicchiere più grande di Coca Cola.
Afferrai
una vaschetta di gelato e mi avvicinai a lui.
“Tu invece sembri
sempre la solita ragazzina di quindici anni per niente
affascinante”
risposi a tono dopo aver ingoiato il mio ultimo pezzo di sneakers
–
quello ovviamente lo avrei pagato.
Lui mi lanciò un'occhiata
divertita “Così mi fai soffrire”
Lo osservai attentamente,
aveva un giubbotto blu ceruleo quasi più grande di lui e un
grande
cappello bordeaux, che nascondeva la gran parte dei suoi capelli
dorati. Era buffo conciato così perché, sotto
quegli abiti pesanti,
sembrava ancora più piccolo e magrolino di quanto non fosse.
“Non
pensavo che fossi tipo da Coca Cola alla ciliegia” commentai
adocchiando da quale dei vari dispenser si stava servendo.
Roxas
mise il coperchio di plastica e si portò la cannuccia alle
labbra.
Quel gesto così naturale e ingenuo, mi provocò
una strana reazione
interiore tanto che dovetti voltare la faccia altrove per non
arrossire ulteriormente. Come poteva quel topolino emanare una
così
forte carica sessuale?!
“È come una droga per me. Ogni volta
che ne ho l'occasione mi fermo sempre a prenderne una...penso che se
lo scoprisse mia mamma mi ucciderebbe” si voltò di
nuovo e mi
guardò di nuovo con sguardo innocente.
Quello non era Roxas
Strife!
“Che c'è?” mi chiese poi notando il mio
comportamento
“Sei strano”
“No tu sei strano” borbottai cercando di
scacciare dalla testa certi pensieri strani e mi avvicinai al bancone
per prendere anche io una Coca Cola.
“Non pensavo che fossi tipo
da Coca Cola alla ciliegia” ripeté lui facendosi
da parte e
prendendo un altro sorso.
“È la mia preferita” commentai
semplicemente, anche io scelsi il bicchiere più grande e mi
servii.
“Sul serio? Incredibile, non ti facevo così
dolce.
Poi
dici che lo strano sono io”
Lo fulminai con lo sguardo.
“È
così. Cosa c'è che mi rende tanto strano solo per
il semplice fatto
che bevo la Coca alla ciliegia?”
“Entrambi la beviamo quindi
entrambi siamo strani o non lo siamo. Dipende dai punti di
vista”
ragionò lui.
Io mi portai la cannuccia alle labbra e assaporai
quel sapore dolcissimo di ciliegia.
“Non ha senso quello che
dici” rimbeccai.
“Mmmm” mugugnò distratto mentre si
guardava attorno con poco interesse e continuava a bere la sua
bibita. Era strano ma carino.
Lo guardai per un lungo momento in
silenzio, immerso nelle mie riflessioni su quel ragazzino.
“Devi
prendere altro?” domandai ad un tratto, questo si
voltò verso di
me e scosse la testa. “Aspetti qualcuno?” lui di
nuovo scosse la
testa, allora gli piazzai un braccio attorno alle spalle ci dirigemmo
alle casse “Andiamo a pagare allora ”
Lui annuì solamente e
non disse niente, lo vidi strano. Ma non
strano
come
sempre, era uno
strano
pensieroso
e forse malinconico.
Appoggiai tutta la mia roba sulla cassa,
salutai la cassiera che ormai conoscevo perché ero sempre
lì e le
indicai anche la carta dello sneakers che avevo mangiato e i due
bicchieri di Coca Cola.
“Oggi sei mio ospite” gli lanciai
un'occhiatina con la coda dell'occhio e lo vidi alzare gli occhi blu
verso di me.
“Non ce n'è bisogno”
“Insisto” sorrisi.
Una volta pagato tutto uscimmo nel gelo del pomeriggio di
metà
Ottobre - ero sicuro che nel giro di una quindicina di giorni avrebbe
iniziato a nevicare. Mi guardai attorno e iniziamo a camminare verso
il parco vicino, isolato come sempre, e andammo a sederci su una
panchina – o meglio io lo portai lì.
“Cosa c'è?” chiesi
all'improvviso e lo feci sobbalzare.
“In che senso?”
“Sei
troppo silenzioso e distratto. Non è da te”
Lui guardò la sua
bibita che manteneva in grembo “Niente, pensavo
solamente”
"Vuoi...
sfogarti?”chiesi con un po' di fatica, guardando altrove.
“No,
grazie”
“Va bene”
“Qualcosa succederà a breve”
Puntai
lo sguardo verso di lui “Che cosa?”
Ma lui non rispose, aveva
lo sguardo fisso su un'altalena davanti a noi. Sembrava un guscio
vuoto, e, mi sembrava strano a dirlo, ma non mi piaceva vederlo in
quello stato.
Presi un altro sorso della mia coca e parlai di
nuovo.
“Rox” lo chiamai e lui si girò
“Perché hai detto
che tua madre si arrabbierebbe se ti scoprisse a bere la Coca
Cola?”
“Perché contiene caffeina”
“E allora? Non
dormi?”
“È eccitante. Non posso bere questa roba”
“Perché
no?”
“Perché mi fa male”
Stavo per chiedere ancora una
volta il perché ma lui si alzò e
tagliò corto.
“Si sta
facendo tardi. Devo andare”
“Vuoi che ti accompagno?” presi
la busta con tutte le schifezze e mi alzai anche io.
“No o il
tuo gelato si scioglierà” pronunciò
iniziando ad incamminarsi
verso l'uscita del parco.
“Tanto è di Demyx” mi affrettai a
seguirlo “Con questo freddo non vedo come potrà
sciogliersi”
Lui
mi guardò. Il naso e le guance si erano colorate di rosso e
dalla
bocca uscivano piccole nuvolette bianche. Era così diverso
da come
lo vedevo sempre a scuola.
“Non puoi farti vedere in giro con
me, cosa ne sarà della tua reputazione? Noi apparteniamo a
due mondi
diversi”
Il sorriso appena abbozzato che avevo crollò del tutto
e non dissi niente.
“Vai a casa Axel” mormorò riprendendo a
camminare a passo spedito.
“Ci vediamo lunedì a scuola
vero?”
Lui continuò a camminare a passo spedito e tutto quello
che fece fu alzare una mano e agitarla in segno di saluto.
Guardai
quella figura in lontananza finché non scomparve dalla mia
vista,
sospirai e attraversai la strada. Il mio palazzo era proprio davanti
al parco.
Entrai in casa e posai la busta sul tavolo, Demyx senza
bisogno di particolari inviti o avvertimenti si avventò alla
ricerca
del gelato.
Iniziò a pormi varie domande ma io non lo ascoltai
–
doveva essere qualcosa del tipo come mai ci avevo messo così
tanto –
mi avvicinai alla finestra e guardai fuori. Da lì si vedeva
il parco
in cui avevamo sostato fino a poco prima.
Non riuscivo a capire il
motivo ma dopo quel breve incontro mi sentivo inspiegabilmente
inquieto.
Roxas aveva ragione, ero troppo radicato in quella
mentalità giovanile fatta di pregiudizi e
diversità, che il solo
farsi vedere in compagnia di uno che non era come te scatenava una
serie infinita di pettegolezzi e, nel peggiore dei casi, poteva
rovinarti la reputazione. Valeva la pena spingersi così
oltre?
Valeva la pena sfidare tutto e tutti per una persona?
Conoscevo da
poco tempo Roxas, mi aveva sempre mostrato un carattere forte e
combattivo ma non credevo che potesse essere anche così
fragile.
Avrei voluto saperne di più su di lui e perché
era in quello stato,
chissà cosa sarebbe accaduto.
Mi ripromisi di cercare di
avvicinarmi di più a lui e chiedergli se c'era qualcosa che
non
andava.
Ma il lunedì dopo non venne a scuola.