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Autore: Laylath    11/12/2013    2 recensioni
Eppure a guardare più da vicino i ragazzi di quella realtà, ci si sarebbe accorti che le loro esistenze non erano così scontate: i piccoli grandi problemi dell’infanzia e dell’adolescenza a volte andavano ad intrecciarsi con situazioni difficili, dove spesso il legame con un amico fidato era la cosa migliore per poter andare avanti.
E spesso le persone più impensabili stringevano un forte legame tra di loro per uno strano susseguirsi di eventi, all’apparenza così normali… anche se poi viverli era tutt’altra cosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo 6. Turbamenti.


 
“Mi piace, lo trovo molto dolce e simpatico: – dichiarò Elisa tutto ad un tratto – sono davvero felice che tu abbia fatto amicizia con lui.”
A quella dichiarazione così improvvisa, mentre camminavano tranquillamente per tornare a casa, Vato si fermò in mezzo alla strada.
“Perché dici una cosa simile?”
“Perché sono sorpresa: - rispose lei, incitandolo a raggiungerla – non è che tu cerchi molto la compagnia di altri ragazzi. Quando mi hai raccontato di lui la prima volta stentavo a credere che gli avessi anche prestato uno dei tuoi preziosi libri… per te è un gesto di fiducia molto grande.”
Vato arrossì, rendendosi conto per la centesima volta di quanto Elisa lo conoscesse bene: non poteva darle torto sull’analisi che aveva fatto. E se doveva essere sincero era anche lui molto sorpreso dalle proprie azioni: in genere non agiva così d’istinto. Girandosi verso la sua amica e incontrando i suoi occhi verdi ed incuriositi, provò a spiegarsi:
“Beh, la prima volta sarebbe stato scortese dirgli di andare via, specie quando ho visto che era così giovane. Mi ha fatto molta simpatia… però, sai, mi sono accorto che è davvero un ragazzino intelligente: ho trovato la sua compagnia stimolante e mi è venuto quasi spontaneo prestargli il libro. Sono felice di constatare che la mia fiducia sia stata ben riposta.”
“Mi è sembrato un bambino molto solo – commentò Elisa, salendo con agilità sopra un basso muretto, come faceva sin da quando era bambina e, automaticamente, Vato si accostò a lei pronto a fornirle sostegno; una cosa inutile dato il buon senso dell’equilibrio dell’amica, ma lui non ne poteva fare a meno – hai visto come è rimasto silenzioso quando gli ho chiesto di quei ragazzi?”
“Sì – mormorò lui, incupendosi – beh, l’hai visto pure tu: è un soggetto facile da prendere di mira.”
“Però  a te non hanno mai preso di mira, nonostante fossi un… secchione” constatò Elisa appoggiandosi alla sua spalla per scendere con un piccolo balzo dal muretto.
Vato si fermò ancora, la mano di Elisa ancora sulla sua spalla: gli piaceva quando la sua amica gli concedeva quel contatto fisico… e sapeva altrettanto bene che erano i momenti in cui potevano confidarsi l’uno con l’altra.
“E’ diverso, Eli: – scosse il capo, facendo muovere i ciuffi bianchi sulla fronte – sono sempre stato alto per la mia età e forse questo ha messo un freno a quelli che potevano darmi fastidio. E’ vero, non ho mai avuto amici, eccetto te, ma… è stata una mia deliberata scelta: non sono stati gli altri ad escludermi, come invece è successo con Kain, ci scommetto.”
“Però a me non hai escluso.” esclamò lei, con un sorriso soddisfatto, puntandogli l’indice sul naso.
“E come avrei potuto? – sorrise lui – Se anche ti avessi voluto escludere tu non  mi avresti dato tregua…”
“Certo, se volevi continuare a frequentare la libreria di mio nonno dovevi essere mio amico: - borbottò lei, facendo la finta offesa – grazie mille, credevo che la nostra amicizia fosse disinteressata.”
“Che? Ma no, Eli, non volevo dire questo! – protestò subito lui, arrossendo – Non avrei mai… eh, ma tu stai ridendo!”
Elisa si portò la mano alla bocca per contenere la risata, ma poi non ce la fece e la sua voce cristallina risuonò felice nella strada di campagna.
“Scusami, Vato – sorrise infine, asciugandosi una lacrima all’angolo dell’occhio – ma sei irresistibile quando cadi ancora in questo scherzo.”
“Divertente…” sospirò lui, imbronciato, rendendosi conto che c’era cascato ancora.
Ma subito Elisa si accostò a lui e gli prese la mano.
“Non mi dire che ti sei offeso.” mormorò, sorridendogli in quel modo così speciale di cui Vato sapeva di avere l’esclusiva. No, come poteva sentirsi offeso se lei gli sorrideva in quel modo?
“No, Eli, non potrei mai con te…” rispose.
Rimasero per qualche interminabile secondo in quella posizione, come succedeva ormai da mesi, aspettando che succedesse quello che entrambi sapevano che prima o poi sarebbe successo. Ma anche questa volta non ci fu niente: con un sospiro imbarazzato Vato si trovò a girare la testa di lato, lanciandole un’occhiata quasi a chiederle scusa. Lei scosse le spalle con noncuranza, come per dire che non faceva niente… si vedeva che non era ancora il momento.
Il pensiero del giovane Kain era completamente sparito dalla mente di Vato: continuava a chiedersi perché quello che sembrava così naturale nei libri e nei romanzi non poteva accadere anche a lui ed Elisa.
Passare da amici a fidanzati non era così scontato come poteva sembrare… ed un primo bacio era davvero una faccenda difficile da gestire.
Ripresero a camminare in silenzio, fino a quando arrivarono nel mezzo del centro abitato.
“Oh, guarda, c’è mio padre: – disse Vato – chissà cosa sta succedendo…”
Si avvicinarono con curiosità a quel piccolo gruppo di persone: il giovane conosceva solo suo padre, con la sua uniforme da poliziotto, gli altri sebbene magari li avesse visti in giro, non sapeva chi erano.
“Ciao papà, – salutò il ragazzo – che succede?”
“Buongiorno, signor Falman” salutò educatamente Elisa.
“Ciao ragazzi, - rispose l’uomo, praticamente la versione adulta di Vato, se non fosse stato per i capelli completamente scuri, senza quello strano bicolore – oh, niente di particolare. C’è stato un nuovo crollo alla vecchia miniera: sarebbe proprio il caso di fare qualcosa.”
“La vecchia miniera di carbone oltre il fiume? – chiese incuriosito Vato – Ma non ci lavora più nessuno da almeno quindici anni.”
“E’ vero, ragazzo – annuì uno degli altri uomini – ma ogni tanto ci sono ancora dei crolli al suo interno. Ne abbiamo sentito uno proprio mentre passavamo lì vicino: dovremmo provvedere a sigillarla per sempre. Non è bene lasciare l’ingresso così accessibile.”
“Già, - annuì Vincent Falman – il problema è che quella miniera era gestita direttamente dal governo centrale: purtroppo non possiamo agire di nostra iniziativa… ma provvederò domani stesso ad inviare una richiesta a chi di dovere. Anzi, se trovassi qualcuno in grado di fare una perizia, sarebbe un buon supporto da allegare al documento.”
“Potrebbe farla il padre di Kain, - commentò Elisa, d’impulso – lui è un ingegnere.”
“Chi?”
“E’ un nostro amico a scuola. – spiegò Vato, trovando l’idea della sua amica ottima – Kain Fury: suo padre si sta occupando dei lavori all’argine del fiume.”
“Ah, certo! – annuì un uomo, sorridendo – Possiamo fidarci di lui, è molto competente.”
“Molto bene, allora provvederò a parlargli domani stesso.”
Rassicurato da quella notizia, il capannello di persone si sciolse e Vincent rimase solo con i due ragazzi.
“Beh, io ora vado, mi aspettano per pranzo. Arrivederci” si congedò Elisa con un sorriso.
“Ciao Elisa, – salutò Vincent – vieni a trovarci quando vuoi a casa.”
“Non mancherò signore. Ciao Vato, a domani!”
“Ciao…” mormorò Vato.
Padre e figlio si incamminarono verso casa, in silenzio come spesso succedeva.
“Non sapevo che avessi un nuovo amico, parlo del figlio dell’ingegnere”
“Oh, lo conosco da poco a dire il vero, - spiegò Vato, arrossendo per il fatto che tutti fossero incuriositi da questa sua nuova improvvisa amicizia – e mi ha fatto una buona impressione: piace anche ad Elisa.”
“E’ in classe con te?”
“A dire il vero ha undici anni…” confessò Vato, sperando che il padre non facesse problemi per quell’amicizia così strana data la differenza d’età.
“Vuoi dire che è in prima media?” si sorprese Vincent.
“Sì, però è molto più intelligente di tutti i suoi coetanei, ne sono certo – Vato scrollò le spalle, iniziando a chiedersi perché dovesse rendere giustificazioni per quella sua scelta. Non c’era niente di male nell’avere come amico quel ragazzino – Ci siamo conosciuti ad inizio anno scolastico e mi ha fatto una bella impressione.”
“Mi pare strano che con cinque anni di differenza abbiate gli stessi interessi…”
“Gli piacciono molto i libri che leggo io e ne parliamo. –  disse sbrigativamente. Poi decise di cambiare argomento – Credi che ci vorrà molto per far chiudere quella miniera?”
“Dipende da quanto Central ci impiegherà a prestare attenzione alla questione; in ogni caso avviseremo tutti quanti del nuovo crollo, così non ci sarà il rischio che qualcuno si avventuri in quel posto.”
Vato annuì, orgoglioso di quanto suo padre fosse un poliziotto bravo ed efficiente. A dire il vero il posto dove vivevano era molto tranquillo e Vincent Falman con la sua squadra di sei uomini non aveva mai grandi compiti a cui adempiere. Tuttavia erano delle figure rassicuranti per la piccola comunità, in grado di essere presenti nella realtà quotidiana con discrezione e concretezza.
Nel frattempo erano giunti a casa.
“Vato, sei tu?” chiamò la madre dalla cucina.
“Sì, mamma, siamo io e papà!” rispose lui.
“Oh, ottimo! Dieci minuti ed il pranzo è pronto, va bene?”
“Va bene, – annuì il ragazzo, mentre il padre gli dava un’arruffata ai capelli bicolore – quando è pronto chiamatemi. Io sono in camera.”
Come la porta si fu chiusa alle sue spalle, Vato guardò con sommo orgoglio la grande libreria che occupava un’intera parete e che era colma di libri di ogni tipo. Prese il volume dei fratelli Grimm dalla tracolla e lo ripose nello spazio vuoto destinato a lui: adesso non c’erano più lacune e tutto era in perfetto ordine, proprio come voleva. Non che gli fosse dispiaciuto prestare il libro a Kain, tutt’altro, ma era abbastanza maniacale per certe cose, specie per i suoi libri. Sistemando meglio il libro in modo che fosse perfettamente allineato con gli altri, la sua mano sfiorò uno dei suoi romanzi polizieschi preferiti e pensò a suo padre.
Certo, nei libri che leggeva Vato i poliziotti facevano ben altro: indagini incredibili contro grandi criminali che venivano puntualmente consegnati alla giustizia, ma crescendo si era reso perfettamente conto che la parola scritta, per quanto bella, non rispecchiava la realtà dei fatti… non nella maggior parte dei casi.
Un po’ come per la questione del primo bacio: a volte gli era capitato di leggere scene simili (ma solo perché inserite in trame ben differenti) dove tutto sembrava estremamente facile.
Già, facile dare un bacio in cinque righe… nessuno di quei personaggi prova la tremenda voglia di sbattere la testa contro il muro per la propria sciocca indecisione.
Con un sospirò abbandonò la libreria e si diresse alla scrivania: aprì un cassetto e da un quaderno tirò fuori una fotografia: sedendosi la osservò con un sorriso malinconico. Era stata scattata quell’estate in occasione di una festa campestre… una delle tante che si organizzano quasi per caso quando ci sono giornate particolarmente belle ed il lavoro consente di fare una pausa. Elisa l’aveva praticamente trascinato, sostenendo che aveva preparato un sacco di roba da mangiare e non aveva alcuna intenzione di darla ad altri (anche se a dire il vero il cibo era tutto in grandi tavolate messe a disposizione di tutti quanti i partecipanti)… aveva anche provato a convincerlo a ballare, ma proprio lui non se l’era sentita.
Oggettivamente non era stato un buon accompagnatore a quella festa, anche perché non gli piacevano le occhiate maliziose che tutti avevano lanciato nella loro direzione: mentre Elisa sembrava non farci caso, lui invece le sentiva addosso come tante frecce acuminate.
Però quella foto, scattata per caso dal cugino di Elisa, gli piaceva veramente tanto: lei si era aggrappata al suo braccio, in un gesto d’intimità che fino a quel momento non gli aveva mai concesso e la cosa l’aveva enormemente sorpreso e reso felice… effettivamente nella foto anche lui aveva un sorriso più che soddisfatto.
Proprio non riusciva a capire perché determinate cose fossero spontanee, mentre altre…
“Vato, vai a lavarti le mani che è pronto!”
“Arrivo, mamma!” esclamò, rimettendo a posto la foto dentro il cassetto.
Alzandosi dalla sedia scrollò la testa bicolore e decise di abbandonare quei pensieri improduttivi: l’ultima cosa che voleva era che sua madre si accorgesse di questo suo turbamento ed iniziasse a fare domande su lui ed Elisa.
Decisamente non era il caso.
 
Se Vato voleva nascondere i suoi turbamenti a sua madre, Kain si trovava nella situazione opposta.
Si sentiva terribilmente in colpa a non aver ancora detto ai suoi genitori della sua amicizia con quel ragazzo più grande… e ora si erano aggiunte anche Elisa e Riza nella lista. Tutte persone più grandi di lui.
“Kain? – lo chiamò sua madre, mettendogli un dito sulla punta del naso – Che hai? Sembri perso in un mondo tutto tuo. Ti ho chiesto se, per favore, apparecchiavi.”
“Che? Oh, certo, mamma, scusa!” arrossì lui, alzandosi dal divano dove si era seduto appena tornato da scuola, sprofondando nei suoi pensieri. Seguì la donna in cucina e prese le stoviglie che lei gli porgeva, andando a disporle nel tavolo… solo allora si rese conto che quel giorno avrebbero mangiato in due.
“Come, papà non torna?”
“No, caro, devono terminare una cosa giù al fiume e non possono interrompere: torna direttamente stasera.”
“Oh…” mormorò lui, dispiaciuto.
Però, se suo padre era assente… con sua madre aveva molta più facilità di dialogo e non si sarebbe sentito troppo a disagio nel confidargli quelle cose. Il fatto era che le sue problematiche relazionali erano quasi un argomento proibito a casa: le volte che se ne era parlato l’aveva finita in camera sua, silenziosissimo, a smontare e rimontare sempre la stessa radio. Erano forse le uniche volte in cui si era lievemente offeso con suo padre, non che lui l’avesse sgridato.
Reagire da grande… è questo che dice sempre. Ma come si fa quando ad incombere su di te è Jean Havoc?
Ovviamente Kain si era tenuto questo pensiero per se, senza dire niente al genitore. Alla fine si era abituato alla sua situazione di vittima e aveva imparato a non mostrare il broncio davanti a nessuno: gli dispiaceva essere considerato così debole… insomma, già aveva fatto preoccupare così tanto i suoi genitori quando era piccolo, che aggiungere anche questo problema gli sembrava davvero ingrato.
“Mamma…”
“Sì?”
“Ho fatto amicizia con dei ragazzi a scuola.” disse tutto d’un fiato, senza alzare gli occhi su di lei, continuando a fissare il piatto che teneva in mano. Il silenzio che regnò in cucina fu tale che fu certo di sentire il rumore dell’aria che si muoveva impercettibilmente.
Ellie si accostò al figlio e gli prese il piatto di mano, mettendolo nel tavolo; poi si inginocchiò accanto a lui e gli mise una mano sulla guancia.
“E’ una bellissima notizia: che cosa c’è che ti turba, amore mio?”
“E’ che… - mormorò il bambino alzando gli occhi su di lei, incoraggiato da quel gesto – loro sono più grandi di me… e ho paura che tu e papà non vogliate che parli con loro.”
Ellie accarezzò i capelli arruffati, guardandolo con gentile curiosità: a volte suo figlio si ingarbugliava in ragionamenti davvero strani, creandosi paure che non avevano motivo di esistere. Si teneva tutto dentro, in un piccolo universo di dubbi su se stesso e sulle sue difficoltà, sminuendosi in maniera incredibile.
Per quanto a casa fosse un bambino sereno, la donna sapeva benissimo cosa circolava nella testa di quel suo unico figlio: se da una parte ne era preoccupata, dall’altra ne era in qualche modo affascinata ed intenerita.
“Beh, se hai fatto amicizia con queste persone, devono essere davvero speciali; – sorrise, aiutandolo a superare queste fantomatiche paure – mi vuoi parlare di loro?”
A quelle parole il viso del bambino si illuminò e, profondamente incoraggiato, iniziò a raccontare dei suoi nuovi amici: le ansie che aveva avuto fino a qualche momento prima svanirono, nella certezza di aver, come sempre, trovato in sua madre una persona profondamente comprensiva. E così, Vato ed Elisa vennero introdotti ad Ellie grazie alle descrizioni del figlio: un po’ strane a dire il vero dato che c’era sicuramente una grande componente fantastica, specie nel primo incontro nello stagno, ma Ellie adorava sentirlo parlare con quell’entusiasmo, mischiando realtà e ingenua fantasia.
“E poi Elisa ha fatto una torta buonissima…” dichiarò, mentre la donna era girata ai fornelli per controllare il pranzo.
“Ah!” esclamò, con aria leggermente offesa.
“Eh? Ma no, mamma! – si corresse subito Kain, scendendo dalla sedia e abbracciandole la vita – Le tue sono una cosa completamente diversa: per me sono le migliori del mondo.”
“Stai dicendo così solo perché sai che questo pomeriggio ne devo fare una, vero?”
Il bambino sorrise, intercettando la strizzata d’occhio della madre ed entrando pure lui nell’atmosfera dello scherzo. Si sentiva così rilassato che decise anche di parlare di Riza.
“Mamma, c’è anche un’altra ragazza che è… mia amica. Però forse lei la conosci, almeno di nome…”
E chi non conosceva la figlia dello strano studioso?
“Ah sì?”
“E’ Riza Hawkeye…”
Ecco, forse su di lei Kain aveva qualche dubbio a parlarne: non che in Riza ci fosse qualcosa che non andava, ma quelle storie che si raccontavano su suo padre non erano proprio incoraggianti. E infatti vide che il viso di sua madre assumeva un’espressione pensosa, il cucchiaio che mescolava in maniera del tutto automatica… tanto che Kain prese coraggio e per difendere la sua nuova amica decise di dire qualcosa anche sulle problematiche con gli altri ragazzi.
“Lei… lei mi difende sempre contro un ragazzo che se la prende con me…” mormorò con voce flebile, le punte dei suoi capelli dritti che sembravano afflosciarsi per aver introdotto l’argomento proibito.
Perché se ci fosse stato suo padre non avrebbe mai osato dire una simile frase; e la tensione si impadronì di lui come sempre succedeva.
“Mamma… - aggiunse subito – per favore, non dirlo a papà… lui non…” si accorse che una lacrima gli stava pizzicando l’occhio destro.
Lui vorrebbe che risolvessi la questione da solo…
“Kain…” sospirò Ellie, accarezzandogli i capelli corvini.
“Riza non ha niente di sbagliato…” mormorò lui.
“No, tesoro, sicuramente non ha niente di sbagliato quella ragazza. E se tu sei felice di averla come amica a me va benissimo, tranquillo.”
Non aggiunse che non avrebbe detto niente ad Andrew, ma sapeva che il bambino l’avrebbe capito.
Non che Andrew non adorasse il proprio figlio, tutt’altro, ma tendeva a pretendere da lui degli atteggiamenti che non erano nella sua natura. Ellie non era affatto sorpresa che queste prime amicizie fossero con dei ragazzi più grandi di lui… le prese in giro, i dispetti venivano in primis dai suoi coetanei.
E se Kain si trovava bene con quelle persone, lei non avrebbe avuto problemi ad accettarli.
 
“Jean, aspettami, vai troppo veloce!” protestò Janet, cercando di tenere il passo con le falcate del fratello.
“Muoviti, non ho voglia di stare ad aspettarti.” esclamò il biondo, rallentando lievemente l’andatura.
Janet gli corse accanto e gli prese la mano, giusto per evitare di essere lasciata indietro per l’ennesima volta: il passo rapido e nervoso che aveva tenuto il fratello per tutta la strada del ritorno l’aveva fatta stancare più del previsto, anche perché casa loro era abbastanza distante.
Sentì che il fratello non ricambiava la stretta e alzando lo sguardo verso il suo viso, la bambina capì che gli doveva essere successo qualcosa che l’aveva fatto arrabbiare.
“Hai preso un brutto voto?” gli chiese, cercando contemporaneamente di tenere il passo.
“No.” borbottò lui.
“Hai litigato con Heymans? Eppure sembrava tranquillo quando ci siamo salutati.”
“No.”
“Hai…”
“No!” esclamò Jean, interrompendo quella serie di domande infantili e irritanti.
“Antipatico!” si arrabbiò la bambina, mollando la presa sulla sua mano. Gli fece una linguaccia e poi corse in avanti nel sentiero, lasciandolo da solo.
“Mocciosa…” borbottò Jean, socchiudendo gli occhi azzurri nel vederla scomparire nel sentiero: casa loro si vedeva in lontananza… di certo non correva il rischio di perdersi. Sperava solo che non avesse il cattivo gusto di lamentarsi con la loro madre: la giornata aveva preso una brutta piega e non aveva voglia di sorbirsi l’ennesima predica sull’essere più gentile con sua sorella.
Era arrabbiato, certamente, e aveva la lucidità di capirne il motivo: Roy Mustang. In tutti i suoi anni di litigi ed eventuali scontri con altri ragazzi, Jean l’aveva sempre evitato e Roy aveva fatto altrettanto. Non erano sciocchi: sapevano di essere i più “pericolosi” della scuola, anche rispetto a quelli delle classi superiori; per una sorta di tacito accordo non avevano mai sentito l’esigenza di venire a contatto, una cosa che, inevitabilmente, avrebbe portato allo scontro.
Jean non lo temeva, assolutamente: quel ragazzo bruno e silenzioso poteva essere anche più grande di lui di un anno, ma fisicamente non poteva competere. E anche se Mustang aveva notevoli doti che andavano oltre la mera forza fisica e dunque era tutto meno che da sottovalutare, il biondo non si sarebbe tirato indietro, assolutamente. In cuor suo aspettava questo momento da tempo.
Tuttavia…
Geloso, Havoc?
Ecco dove stava il vero problema: quella dannatissima domanda continuava a bruciare nell’orgoglio del quattordicenne. Se c’era una cosa che non tollerava erano le prese in giro: solo Heymans se le poteva permettere e sempre quando erano solo loro due. Una simile domanda ironica posta da Mustang, in pieno corridoio, davanti a tanti altri ragazzi, equivaleva quasi ad una dichiarazione di guerra: l’aveva apertamente insultato e la cosa non poteva essere dimenticata.
“E la colpa di chi è? – sbottò, dando un calcio ad un ciottolo che stava sulla strada – Di quel dannatissimo secchione! Ma giuro che gliela faccio pagare! Geloso, eh?! Ti insegno io a stare al tuo posto, Kain Fury!”
E questa volta non ci sarebbe stata nessuna Riza Hawkeye che tenesse. 
  
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