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Autore: Laylath    13/12/2013    4 recensioni
Eppure a guardare più da vicino i ragazzi di quella realtà, ci si sarebbe accorti che le loro esistenze non erano così scontate: i piccoli grandi problemi dell’infanzia e dell’adolescenza a volte andavano ad intrecciarsi con situazioni difficili, dove spesso il legame con un amico fidato era la cosa migliore per poter andare avanti.
E spesso le persone più impensabili stringevano un forte legame tra di loro per uno strano susseguirsi di eventi, all’apparenza così normali… anche se poi viverli era tutt’altra cosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo 7. Conseguenze.

 

“Ehilà, Roy-boy, come andiamo oggi?”
“Come al solito Madame Christmas – scrollò le spalle il ragazzo, mentre terminava di scendere le scale e si avvicinava al bancone – pronto ad un’altra eccitante giornata a scuola.”
“Quindici anni e acido come una zitella di sessanta! – rise la grassa donna – Guarda che il tuo bel faccino da solo non basta per fare strada, caro mio. Alle ragazze piace anche essere trattate con garbo.”
“Con te credo di potermi permettere di essere sincero.” sorrise Roy, mentre sua zia gli serviva una tazza di caffellatte e del pane tostato.
“Ahah, se i clienti vedessero un ragazzino come te fare colazione al bancone dove di solito servo gli alcolici forse non si farebbero più vedere. Meno male che a quest’ora le ragazze sono ancora a dormire: la mattina non è il loro momento.”
Roy rispose al sorriso della zia e pensò che effettivamente vedere quel locale così silenzioso e tranquillo la mattina era una vera e propria stranezza. Madame Christmas gestiva l’unico locale un po’ particolare della piccola comunità che dunque era proprio autosufficiente in tutto. Nonostante la maggior parte della gente fosse perbene e persino un po’ conservatrice, un locale dove c’era la compagnia di belle signorine era sempre richiesto. Roy le conosceva tutte, una per una, e le trovava molto simpatiche: spesso riteneva che quelle ragazze fossero molto più sincere e genuine di molte persone che conosceva… avevano le loro storie alle spalle, certo, ma la loro anima non era contaminata.
La maggior parte della gente era rimasta scioccata quando Madame Christmas, otto anni prima, aveva accolto nel suo locale quel bambino, figlio del suo defunto fratello. Sicuramente era l’ultimo posto adatto a farlo crescere; ma lei era l’unica parente rimasta a quell’orfanello e aveva tutti i diritti legali per prendersi cura di lui. E così Roy era cresciuto con la sua camera al piano di sopra di quel locale particolare addormentandosi ogni sera con le risate e la musica che proveniva dal piano di sotto.
Nonostante questa particolare infanzia, Roy non aveva subito nessun trauma, come invece potevano pensare in molti. Sua madre se la ricordava appena, dato che era morta che lui aveva appena tre anni, e anche suo padre era così assente da casa che non ne aveva sentito molto la mancanza quando era deceduto. Quella zia così particolare e le ragazze del locale erano state una famiglia alternativa più che sufficiente.
“Beh, io vado, Madame – salutò il ragazzo, scendendo dall’alta sedia e sistemandosi la tracolla – ci vediamo dopo.”
“Fatti valere, Roy – boy.”
“Perché mi devi sempre chiamare così? – chiese lui con un sorriso rassegnato – A quindici anni non sono più così piccolo.”
“Chissà, dato che tutte le mie ragazze hanno un nomignolo, mi sembrava divertente darlo anche a te.”
Decisamente sua zia era una delle pochissime persone che gli sapesse rispondere a tono e la cosa lo faceva enormemente divertire. Era anche una delle poche persone che trovasse degne di nota in quel paese che stava iniziando a diventargli stretto, ogni giorno che passava. Sentiva che quei ragazzi, quella scuola, quella gente, non erano fatti per lui. Avrebbe voluto fare qualcosa di grande nella vita, ma in quel posto così chiuso in se stesso non ci sarebbe mai riuscito.
Roy Mustang era uno di quei ragazzi definiti piccioni viaggiatori: quelli che prima o poi sarebbero andati via dal paese e chissà se mai sarebbero tornati. E Roy per ora trovava ben pochi motivi per starci e per eventualmente tornarci: aveva bisogno di stimoli, non poteva continuare a trascorrere le sue giornate così e…
“Buongiorno, Roy.”
“Ciao, Riza, è molto che aspetti?” domandò alla sua amica, mentre si incamminavano verso scuola.
“Un dieci minuti, ma oggi sono uscita un po’ prima…”
Roy annuì ma non disse niente: quell’uscita anticipata voleva dire che il vecchio Hawkeye non era nel suo studio ma in giro per la casa… e niente turbava Riza più di questo.
L’alchimia: quella sì che era una cosa che lo affascinava tantissimo: gli sarebbe piaciuto accostarsi a quella materia così strana e misteriosa e Berthold Hawkeye poteva essere il maestro che cercava.
Certo era una persona molto stramba e solitaria e al ragazzo dispiaceva sinceramente che Riza si trovasse ad essere praticamente sola…
Ma chissà cosa tutto si può fare con quella meravigliosa scienza: con quella potrei davvero compiere qualcosa di grande e andare lontano da qui.
“Roy…”
“Dimmi pure.” si riscosse lui, girandosi a guardare Riza.
“Oggi ti posso presentare Kain?”
Quella richiesta lo lasciò sinceramente sorpreso: l’argomento Fury era davvero particolare e quell’anno scolastico sembrava che saltasse fuori più spesso del previsto.
“Perché dovresti presentarmelo?” domandò con curiosità.
“Ieri l’hai spaventato molto e aveva paura che ti fossi arrabbiato perché ha sbattuto contro di te.”
“Ah, allora ci hai parlato.”
“L’ho seguito dopo la scuola a dire il vero – confessò Riza scrollando le spalle – e gli ho offerto la mia amicizia.”
“Riza… –  sospirò Roy, fermandosi e girandosi a guardarla. L’aveva sempre trovata interessante così fragile e al tempo stesso forte, a volte un libro aperto, altre volte un mistero da svelare, come in questo caso – che ha di speciale quel bambino?”
La ragazza esitò per qualche secondo, ma resse lo sguardo di quegli occhi neri: forse l’unica che ci riuscisse.
“Ha di speciale che ora è mio amico, - disse infine con il lieve sorriso che indicava come lui dovesse semplicemente accettare quel fatto – e mi piacerebbe che fossi tu stesso a dirgli che non sei arrabbiato con lui.”
“Sei gelosa del fatto che abbia stretto amicizia con quei due di quarta superiore?” azzardò Roy, cercando di trovare una risposta a quella strana decisione della sua amica.
Ma lei scosse il capo, e le corte ciocche bionde si spettinarono leggermente: no, gelosa non era il termine giusto.  La semplice verità era che Riza era una ragazza estremamente sola se non fosse stato per Roy e Rebecca: Kain era una figura da proteggere, un qualcuno che aveva bisogno di lei, al contrario di suo padre… ed il giorno prima aveva avuto paura di perderlo.
Le parole che le aveva rivolto quel bambino, in quel ponte sopra il piccolo canale, l’avevano fatta sentire così bene… sapere di essere importanti per qualcuno…
Sì, aveva avuto paura che, trovando Vato ed Elisa, Kain avesse improvvisamente smesso di avere bisogno di lei.
“No, non sono gelosa. Non ti devi sentire obbligato, davvero…” disse lei, riprendendo a cammninare.
Roy sospirò e riflettè su quel ragazzino occhialuto: non aveva niente contro di lui. Non aveva mai passato la fase di prendersela con i secchioni… fase in cui invece Jean Havoc ancora sguazzava; riteneva Kain Fury un semplice bambino di prima media, troppo timido e impaurito, peggio di un coniglietto: per poco non sveniva quando l’aveva riconosciuto.
Dovrebbe imparare a tenere lo sguardo alto… non capisce che così sarà sempre vittima?
Però era anche vero che poteva essere quel tipo di bambino che suscitava tenerezza nelle ragazze: di sicuro l’aveva suscitata in Riza. E Riza era la sua unica amica e se per lei era così importante…
“Va bene, presentamelo pure: sperando che non se la faccia addosso.” disse con aria annoiata.
Ricambiando il sorriso felice che Riza gli aveva appena rivolto, Roy sentì che tutto sommato aveva appena colto due piccioni con una fava: principalmente aveva fatto felice la sua amica, ma una piccola parte di lui sapeva che quell’incontro poteva porre fine allo strano equilibrio che aveva tacitamente raggiunto con Jean Havoc… e la cosa non gli dispiaceva più di tanto.
Perché la maggior parte dei ragazzi della scuola annoiava Roy Mustang, ma Jean Havoc ed Heymans Breda erano una coppia per cui poteva valer la pena approfondire la conoscenza. Anche se aveva la netta impressione che il primo impatto con il biondo di seconda superiore non sarebbe stato amichevole, ma la cosa non lo spaventava, anzi, lo elettrizzava.
Vediamo quanto fegato hai, Havoc… sono proprio curioso.
 
 “Kain – chiamò Riza, affacciandosi nella sua classe durante l’intervallo – puoi venire?”
“Ciao Riza, - salutò il bambino, alzandosi dal suo banco e andando incontro alla ragazza – come stai?”
“Bene; non ti ho visto stamattina all’entrata.”
“Oh, sono arrivato in anticipo, tutto qui: quindi quando sei arrivata tu dovevo essere già dentro la classe. – spiegò lui, mentre si incamminavano per i corridoi ed uscivano in cortile – Ti posso aiutare in qualche modo?”
“No, – scosse il capo lei, mentre superavano i soliti gruppi di ragazzi e si dirigevano verso un angolo dove stavano alcuni alberi – a dire il vero volevo presentarti qualcuno. Anche se in qualche modo lo conosci già dato che ieri ci hai sbattuto contro.”
A quelle parole il viso di Kain si fece pallido e si fermò esitante.
“Roy?”
“Andiamo, – sorrise incoraggiante Riza, mettendogli una mano sulla spalla e incitandolo a proseguire – vuole solo conoscerti meglio. Non è arrabbiato con te, tranquillo.”
Annuendo con estremo timore, il ragazzino si fece condurre in quel posto che sembrava che gli altri studenti evitassero di proposito, territorio incontrastato di quella personalità così importante. Come era sua abitudine, abbassò lo sguardo a terra mentre si avvicinavano all’albero dove stava poggiato Roy e così tutto quello che vide furono le sue scarpe nere.
“Non ti avevo dato un suggerimento a proposito del tenere lo sguardo a terra?” disse una voce che fece sussultare interiormente Kain, per quanto non ci fosse nessuna minaccia nella frase che gli aveva appena rivolto. Se non fosse stato per la mano di Riza sulla sua spalla sarebbe scappato via senza pensarci due volte.
Comunque in quella frase era praticamente implicito un ordine e così Kain si ritrovò ad alzare lentamente lo sguardo, proprio come era successo l’altra volta, fino ad incontrare gli occhi scuri di Roy Mustang. Il ragazzo di terza superiore era posato pigramente al tronco dell’albero, le braccia conserte, e la camicia bianca arrotolata fino ai gomiti: guardandolo bene Kain notò che era parecchio più basso rispetto a Jean, tuttavia aveva un magnetismo incredibile, cosa che al suo biondo aguzzino mancava.
“Bene, così va meglio: – disse la voce annoiata di Roy, anche se un sorriso soddisfatto gli apparve sul viso – mi piace guardare negli occhi la gente con cui parlo. E’ indice d’onesta, lo sapevi?”
“Ma io lo sono.” dichiarò Kain, impulsivamente, credendo che gli fosse stata appena rivolta l’accusa di non essere un ragazzo onesto per il semplice fatto che spesso teneva lo sguardo basso.
“Ah, ma allora riesci anche a parlare senza balbettare: sei una vera fonte di sorpresa Kain Fury. Hai visto quante cose si ottengono a tenere lo sguardo alto?”
“Roy, dai…” mormorò Riza, con un sorriso indulgente.
“Intanto non ha ancora abbassato gli occhi da me: – ritorse lui, scostandosi dall’albero e avvicinandosi al ragazzino – niente affatto male, direi. Lo sai che ci sono studenti delle superiori che non riuscirebbero a farlo?”
“Dici sul serio?” chiese Kain, meravigliato, mentre nei suoi occhi scuri iniziava a comparire un qualcosa chiaramente interpretabile come adorazione.
“Sicuro, ma a quanto pare tu sei davvero speciale, gnometto. – sorrise Roy, allungando una mano e arruffandogli i capelli neri – Bisogna solo spronarti un pochino, vero?”
E mentre vedeva quel ragazzino sorridere timidamente, se ne sentì stranamente attratto. Una volta che gli si levava la paura ed il timore, quegli occhi scuri dietro le lenti erano decisamente gentili e sinceri. In fondo Kain Fury piaceva a Riza… e Roy ben sapeva quanto la ragazza fosse restia a dimostrare così apertamente simpatia verso qualcuno.
“Allora posso contare che quando mi vedi non abbasserai lo sguardo?” chiese ancora, andando oltre quanto si era preposto di dire a quel bambino quando Riza gli aveva chiesto di conoscerlo.
“Ti posso anche salutare?” chiese Kain con aspettativa.
“Beh, si presume… non ci siamo presentati per niente, no? Anzi, posso stringerti la mano, Kain Fury? In genere quando ci si presenta si fa così.”
E vide che il bambino si faceva stringere la mano senza timore, anzi sorrideva persino. Davvero strano: sembrava uno pronto a svenire da un momento all’altro, eppure gli bastava pochissimo per cambiare completamente atteggiamento.
Intuisce abbastanza in fretta quando si può fidare di una persona. Non è dote da tutti, Kain, forse non ne sei consapevole.
In fondo non era per niente dispiaciuto di aver concesso una prima forma d’amicizia a quel bambino.
 
“Eccolo là, lo sapevo: – sibilò Jean, vedendo quella scena da lontano – furbo il nostro Fury; adesso si mette sotto la protezione dei più grandi.”
“La vuoi smettere di pensare a lui? – sbottò Heymans, alzando gli occhi al cielo – Del resto hai avuto l’esclusiva di quel marmocchio per ben due anni: se ora lo lasci un po’ in pace mica crolla il mondo.”
“Gli faccio pelo e contropelo a quel moccioso, parola mia.”
“Ehi, – il rosso lo afferrò per un braccio – calcola bene le conseguenze, Jean Havoc. Siamo davvero sicuri che sia arrivato il momento di confrontarci con Roy Mustang?”
“Se ne vuoi stare fuori fai pure! – sbottò Jean, liberandosi da quella presa – Ma quel secchioncello mi appartiene: non tollero questi moti d’indipendenza. Finchè si trattava di Riza che seccava, mi stava anche bene, ma ora le cose cambiano.”
Heymans scosse il capo davanti a quell’ostinazione: se Jean sperava di vedersela contro Mustang in quello stato di furia cieca, aveva già perso in partenza. Aveva avuto il presentimento che le cose si stessero evolvendo già dal giorno prima, quando Kain si era avventurato nella parte della scuola riservata alle classi superiori e Roy ne aveva approfittato per lanciare apertamente una frecciatina a Jean.
“Kain è solo una scusa, amico mio. Mustang stava solo iniziando a sondare il terreno, capisci?”
“Se vuole sfidarmi che venga a dirmelo in faccia…”
“Quello? – sogghignò l’amico – Non credo proprio che lo farà… non è impulsivo come te: è molto bravo ad aspettare i tempi giusti. Lui non è un bullo qualsiasi, Jean: Roy merita rispetto e lo dico da indipendente.”
“Non mi dire che ora lo ammiri!”
“L’ho sempre fatto, non è un mistero. Effettivamente mi ero chiesto più volte quando ci sarebbe stato un primo avvicinamento verso di noi. Se Maes Hughes fosse ancora qui, magari non si sarebbe arrivati a questo; ma ora è solo e non…”
“Scontro alla pari: uno contro uno… tu potrai restare a guardare e a tenermi fermo il nano per quando gli dedicherò le mie attenzioni.” sibilò Jean.
Heymans scosse il capo con rassegnazione: no, in quel momento il suo miglior amico non era in grado di capire quello che voleva dire. Aveva sinceramente sperato che non accadesse, ma sembrava inevitabile che Jean si dovesse scontrare fisicamente con Roy, prima di capire che non era un suo rivale.
No, Roy in realtà ci sta osservando da tempo anche se forse nemmeno lui se ne è reso conto.
Un brivido d’aspettativa attraversò la spina dorsale del robusto quattordicenne: niente vietava agli indipendenti di unirsi…
Sempre che Jean sbollisca… Mi dispiace per Kain, non gli avrei mai augurato di diventare il pomo della discordia; spero che non ne venga coinvolto più del previsto.
Lanciò un’occhiata in tralice a Jean e vide il suo volto furente e per un attimo ne fu turbato. Ma poi si costrinse a ricredersi: in quegli anni che aveva scelto Kain come bersaglio, Jean si era limitato a fargli dispetti e al massimo a qualche lieve spintone o schiaffetto amichevole. Non l’aveva mai attaccato fisicamente anche perché era veramente da vigliacchi considerata la differenza di stazza: Kain Fury era ancora un bambino… e Jean non picchiava quelli così piccoli.
 
Una delle caratteristiche di Jean Havoc era che se decideva una cosa la doveva fare il prima possibile: non era il tipo da rimandare, specie se era carico di rabbia.
E questa volta lo era davvero tanto: l’aver visto Kain fare amicizia con quello che teoricamente era il suo rivale l’aveva fatto sentire in qualche modo tradito. Gli dava enormemente fastidio provare una simile gelosia nei confronti di quel ragazzino e questo contribuiva a farlo arrabbiare maggiormente… quel secchione gli stava causando solo problemi.
“Allora, andiamo?” chiese Janet, raggiungendo lui ed Heymans all’uscita di scuola.
Ma il biondo non la ascoltò nemmeno: aveva appena visto la sua preda che saettava fra i vari ragazzi, guadagnando la via di fuga verso casa sua.
Non credere di passarla liscia, nano.
“Voi iniziate ad andare al bivio – disse, levandosi la tracolla e dandola alla sorella – io vi raggiungo lì tra un quarto d’ora.”
“No, Jean… “ iniziò Heymans, ma l’amico era già scattato verso la direzione presa da Kain. Stava per corrergli dietro, avendo un brutto presentimento di quanto stava per accadere, ma Janet gli afferrò il braccio con aria preoccupata.
“Heymans, dove sta andando?”
“Niente, Janet – si costrinse a dire per non allarmarla ancora di più. Avrebbe voluto seguire Jean per trattenerlo almeno in parte, ma se si muoveva Janet l’avrebbe seguito e l’ultima cosa che voleva era che la bambina vedesse il suo amato fratellone prendersela con un bambino. – Iniziamo ad andare, va bene?”
Ma in cuor suo si trovò a dire:
Merda, Jean… non farlo, per favore.
 
Kain percorreva con tranquillità il sentiero che l’avrebbe condotto a casa: aveva corso fino a quando non era arrivato a distanza di sicurezza dalla scuola… ossia quando i boschetti di campagna non l’avevano fatta da padrone. Adesso il ragazzino era nel suo territorio, tranquillo in quella calma natura che aveva imparato a conoscere.
Si sentiva particolarmente lieto quel giorno: l’aver scoperto che il grande Roy Mustang non ce l’aveva con lui, anzi gli aveva offerto la sua amicizia, lo faceva sentire veramente speciale. Roy era una persona che non aveva mai osato guardare, nemmeno da lontano: una sorta di divinità leggendaria di cui tutta la scuola parlava. Scoprire che questa persona in realtà era anche simpatica era stato qualcosa di incredibile.
Roy Mustang che gli stringeva la mano a lui.
Appena si sarebbe presentata l’occasione l’avrebbe detto anche a Vato ed Elisa e…
“Bene, bene… eccoci qua!” esclamò una voce e Kain si paralizzò in mezzo al sentiero.
I suoi occhi scuri si dilatarono quando da una macchia di alberi sbucò fuori Jean Havoc, con un sorriso cattivo sul volto. Aveva il respiro leggermente ansante e si capiva che aveva corso per raggiungerlo: e se si era scomodato a correre voleva dire che la situazione era davvero grave.
Il bambino fece un passo indietro, ma capiva di essere in trappola: un’eventuale corsa sarebbe stata vinta in partenza da Jean e le conseguenze del tentativo di fuga sarebbero state ancora più disastrose. Perché questa volta gli occhi azzurri non erano divertiti o maliziosi, ma profondamente arrabbiati.
“Jean…”
“Oggi non ci siamo salutati, nano… - sorrise il biondo avvicinandosi a lui – ci siamo dimenticati dei vecchi amici in favore di nuovi?”
“Io… - balbettò Kain, cercando di tenere lo sguardo alzato, memore di quanto gli aveva detto Roy quella mattina – p…per favore. Devo… devo tornare a casa…”
Il fatto che non ci fosse Heymans lo terrorizzava ancora di più.
“Ma sentitelo il marmocchio… deve tornare a casa da mammina. Perché invece non vai da Roy o da Riza? – sibilò Jean prendendolo per il colletto della camicia e sollevandolo da terra, i loro visi a pochi centimetri l’uno dall’altro – Loro sono i tuoi nuovi amichetti, vero? Sul serio pensavi di liberarti di me così facilmente? Ti facevo più intelligente, nanetto.”
“Non… non volevo fare niente di male…” le lacrime iniziarono ad uscire dagli occhi scuri.
“Oh, povero nano, – fece il broncio Jean, rimettendolo a terra – tu non fai mai nulla di male, eh? Peccato che non sappia stare al tuo posto!”
E prima che Kain se ne potesse rendere conto gli arrivò una forte sberla sulla parte posteriore del collo. L’impatto fu così forte da farlo cadere in avanti, la tracolla che si apriva e tutto il suo contenuto che si sparpagliava nel sentiero; scoppiò a piangere e si portò una mano sulla parte lesa, sentendo la pelle bruciante per quel colpo così violento.
“Vediamo un po’ – mormorò Jean, chinandosi accanto a lui e scostandogli con strana gentilezza la mano dal collo – quanti amici ci siamo fatti in questi giorni? Uno è Roy e l’hai pagato. Poi vediamo, abbiamo quei due ragazzi di quarta superiore… e anche Riza, suvvia, sarebbe un peccato escluderla. Quanto fa due più uno?”
“Mi hai fatto male!” pianse il ragazzino.
“Non credo che questo lamento sia la risposta! Avanti, nano! – e lo prese per i ciuffi neri – Due più uno lo sa fare anche mia sorella che sta in prima elementare.”
“Tre! – singhiozzò Kain – Fa tre!”
“Che bravo che sei… sì esatto, fa tre. Ossia il numero di sberle che ti sto per dare!”
“No! No!” supplicò il bambino raggomitolandosi a terra, terrorizzato all’idea di ricevere altri colpi.
Jean alzò la mano pronto a colpire di nuovo il retro del collo…
“Fratellone!” una voce in lontananza lo bloccò.
Guardandosi attorno sgranò gli occhi azzurri, come se si stesse appena svegliando da una sorta di trance. Temette che Janet avesse visto la scena, ma subito capì che la bambina non aveva ancora raggiunto quel punto del sentiero e una curva provvidenziale li nascondeva ancora.
“Rialzati, idiota – sibilò – e se provi a dire qualcosa davanti a mia sorella ti anniento. Io ti ho solo aiutato perché eri caduto, chiaro?” e afferrando Kain per la camicia lo obbligò a rialzarsi proprio mentre Janet ed Heymans comparivano nel suo campo visivo..
“Fratellone! – esclamò Janet, correndo verso di lui – Ma perché sei andato via? Dobbiamo tornare a casa per pranzo!”
Jean lanciò un’occhiata irata ad Heymans, ma questi scrollò le spalle con fare noncurante.
“Era preoccupata e così mi sono offerto di accompagnarla da te.” si limitò a dire.
Grazie, amico.”
Figurati, amico.”
“Fratellone, chi è questo bambino? E perché piange?” chiese Janet, accostandosi a Kain che cercava pateticamente di asciugarsi le lacrime: impresa abbastanza difficile dato che continuavano a colargli dagli occhi, tanto che le lenti degli occhiali erano un vero e proprio disastro.
“Lui è il mio amico Kain: – spiegò Jean con disinvoltura – dovevo dirgli una cosa e mentre parlavamo è caduto e si è fatto male.”
“No, poverino! – simpatizzò subito Janet, mettendosi a frugare nella sua piccola tracolla e prendendo un fazzolettino – Tieni, asciugati le lacrime con questo.”
Kain era troppo paralizzato dal terrore e dalla sorpresa per accettare, ma una spinta di Jean gli fece allungare la mano tremante.
“Gra… grazie…” singhiozzò.
“Oh, guarda – notò la bambina – la tua roba di scuola è tutta a terra. Aspetta te la raccolgo io.”
E con un sorriso volenteroso iniziò a raccogliere i quaderni sparsi a terra, mettendoli poi a posto nella tracolla, anch’essa caduta. Nel frattempo Heymans raggiunse Kain e notò il retro del collo rosso per il colpo che aveva ricevuto… ed inaspettatamente gratificò il suo migliore amico di un’occhiata gelida.
“Che dici, Kain – mormorò – forse dovresi aiutare Janet, no?”
Annuendo, il ragazzino andò ad inginocchiarsi accanto alla bambina per aiutarla.
“Mi hai deluso, Jean Havoc – sibilò il rosso, guardando impassibile la scena – oggi non ti sei dimostrato migliore di mio fratello.”
Quella frase fece molto male al biondo, ma nulla trasparì dal suo volto, mentre pure lui osservava sua sorella e Kain che finivano di raccogliere i libri. Tutto il suo orgoglio ferito di quattordicenne gli impediva di dire qualsiasi cosa.
 “Allora, Janet, andiamo?” chiamò.
“Arrivo, fratellone! - esclamò la bimba rialzandosi in piedi e correndo verso i due amici – Allora ciao, Kain, buon pranzo!”
“Anche a te…” mormorò automaticamente il bambino, senza alzare lo sguardo da terra, limitandosi a sentire i passi che si allontanavano fino a scomparire del tutto, lasciando solo gli insetti e gli uccelli a farla da padrone.
Non era facile… non era per niente facile tenere lo sguardo alto come gli aveva suggerito Roy.
  
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