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Autore: Himenoshirotsuki    13/12/2013    15 recensioni
Il suo corpo era luce, la emanava come una stella nella volta celeste, i capelli simili a lingue di fiamma. Ledah guardò quell'anima splendente, mentre si faceva strada tra i rovi e le spine. In quel luogo opaco, a cavallo tra la realtà e il mondo dell'oltre, ogni suo passo era troppo corto, la sua voce non era sufficientemente forte perché lei si accorgesse che la stava febbrilmente rincorrendo. Per un tempo indistinto inseguì quelle tracce vermiglie, testimoni delle catene corporee che la tenevano ancorata a questo mondo. Poi lei si girò, incrociando lo sguardo disperato di Ledah, e in quell'istante egli capì: lei era il sole nell'inverno della sua anima, l'acqua che redimeva i suoi peccati, la terra che poteva definire casa. Lei era calore e fiamma bruciante. Lei era fuoco, fuoco nelle tenebre della sua esistenza.
Revisione completata
-Storia partecipante alla Challenge "L'ondata fantasy" indetta da _ovest_ su EFP-
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'Guardiani'
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9

Nella capitale

"Chi combatte con i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro. E se guarderai a lungo nell'abisso, l'abisso guardera dentro di te."
F. Nietzsche
 
- Hai trovato qualcosa? -
- No, nessuna traccia. - 
Ledah sospirò e si guardò nuovamente intorno, contemplando per l'ennesima volta la desolazione che li circondava.
Se non fosse stato per le immense costruzioni, tipicamente elfiche, intagliate dentro alberi millenari che si innalzavano fino al cielo, sarebbe stato difficile credere di trovarsi veramente nella capitale di Llanowar. Da quando erano giunti lì, circa tre giorni prima, non avevano fatto altro che girare per le silenziose strade di Alfheim, alla ricerca di un indizio che potesse fornire loro delle risposte. La città era devastata e semidistrutta, nient'altro che un'ombra rispetto al passato. Non c'erano mura a proteggerla, anche perché il fossato che girava tutto intorno era già una difesa di per sé assai efficiente, e solo pochissimi edifici erano stati costruiti facendo uso della pietra. Eccetto questi, le altre opere architettoniche erano tutte in legno, armoniche e amalgamate alla perfezione con la natura circostante. Sarebbe stato un posto da sogno se la rovina non fosse strisciata per le sue strade. Le case della parte bassa erano ammassate le une sulle altre, blocchi marroncini pieni di fenditure ricoperti da edere e licheni.
Passarono oltre alcune macerie, quando udirono un inquietante "crack" sotto i loro piedi, come di ossa rotte. Ledah fece un passo indietro, allontanandosi dal cadavere di un bambino, il cui viso presentava un gonfiore dovuto all'effetto dei gas sprigionati dal progredire della putrefazione. La mano sicura di Airis si posò sulla sua spalla e strinse appena per confortarlo, colpita tanto quanto lui da quell’orrore. Non importava che fossero di stirpe elfica o umana: quando i bambini morivano era sempre una tragedia. Camminarono ancora fino ad arrivare alla piazza del mercato, dove le sei strade principali confluivano a raggiera e si intersecavano. Peccato che l'avessero già attraversata poche ore prima. 
Si sedettero sui resti di un grande albero, esausti per la lunga passeggiata di ricognizione. Il loro fiato si condensava nell'aria gelida che era calata sulla città e finalmente l'inverno tornò ad essere reale, palpabile.
- Non possiamo continuare a girare a vuoto. - esordì Airis strofinandosi le mani, - Siamo qui da tre giorni e non abbiamo scoperto nulla. Sarebbe meglio se ci dirigessimo direttamente a Shelwood, prima di morire congelati. Qui non troveremo niente che possa esserci di aiuto e a te non fa bene indugiare ancora in questo cimitero. -
Ledah la fissò e studiò assorto la nuova armatura argentea che la guerriera aveva indossato. Durante il loro primo giorno di ricerca si erano imbattuti nella bottega di un armaiolo ed entrambi avevano potuto cambiarsi gli abiti logori che portavano addosso, sostituendoli con qualcosa di più adeguato. 
Lui aveva optato per una casacca nera che gli arrivava a metà coscia, stretta in vita da una cintura violacea dotata di cinghie per appendere le sue daghe, e abbinata ad un paio di pantaloni di tela. Gli schinieri di ferro e i guanti di ottima fattura calzavano a pennello, semplici e senza alcuna decorazione particolare, così come gli spallacci e la corazza che gli ricopriva il busto, di un metallo nero, leggero e flessibile, adatto alla corsa e al combattimento. Per ripararsi dal freddo aveva messo le mani su un mantello blu come la notte di doppia lana, famoso per essere resistente a qualsiasi intemperia. In più, aveva preso una nuova faretra e delle frecce, visto che, a parte l’arco, il resto del suo equipaggiamento era andato distrutto nell’esplosione.
Airis, invece, aveva quasi ritrovato i componenti del suo vecchio equipaggiamento: ogni parte della sua nuova armatura d'argento, dal pettorale agli schinieri, erano praticamente uguali a quelli che aveva prima, eccetto che la lavorazione elfica aveva reso il metallo molto più comodo e leggero per favorire i movimenti. Persino l'elmo raffigurante la testa di un lupo poteva essere lo stesso che aveva addosso il giorno della battaglia, più o meno.
- Lo so che non possiamo andare avanti così, però sono certo che qui ci sia qualcosa. Lo sento. - rispose a mezza voce, - La città è grande, come hai potuto constatare anche tu. Ci manca ancora la parte nord da esplorare. -
- Se pensi di trovare qualcuno vivo... -
- Non ho detto questo. - ringhiò, - Ho detto solo che non voglio andare via da qui senza prima aver appurato la causa di tale catastrofe. Come posso andarmene e far finta di niente?! -
- E con il cibo? Come faremo? Se rimaniamo qui ancora a lungo, diventeremo anche noi cadaveri. Qui è tutto morto, dannazione! Non possiamo nutrirci ancora per molto di bacche e radici. - sbottò Airis, esasperata.
A questo Ledah non aveva proprio pensato, anche perché aveva avuto lo stomaco chiuso e la fame era stata l'ultima delle sue preoccupazioni.
- Non possiamo rimanere qui un giorno di più, hai perfettamente ragione. - 
Con grande sorpresa di Airis, l'elfo si alzò. Il mantello svolazzò al vento, gonfiandosi al contatto con la corrente fredda. 
- Ci metteremo in viaggio ora, così da poter abbandonare la città per le prime luci dell'alba. -
- Quanto ci dovremmo impiegare, più o meno? -
- Qualche ora. Se potessimo seguire la strada principale, ci impiegheremmo anche meno, ma... - guardò alla sua destra, dove la via dalla quale erano giunti si inoltrava nell'intrico di case e palazzi, - ... non penso sia agibile. -
Anche Airis si volse nella stessa direzione: - Sì. Qualunque cosa sia successa, la maggior parte delle persone si sarà sicuramente ammassata su questo stradone per fuggire più in fretta. - 
Con un balzo si alzò anche lei, portandosi al suo fianco, e il suo profumo invase le narici di Ledah. La sera prima, quando si erano accampati nel giardino di una bellissima villa incassata nelle radici di un'enorme quercia, oltre a trovare dei viveri avevano anche avuto modo di lavarsi nel piccolo laghetto, la cui acqua si era conservata miracolosamente pulita e limpida. A turno si erano immersi, lavandosi via lo sporco e il sudore. Airis era andata per seconda, affondando le gambe nello specchio cristallino del laghetto, convinta che Ledah si fosse allontanato per concederle un po' di intimità, come lei aveva fatto a sua volta. Ma l'elfo non aveva resistito alla tentazione di spiarla e si era nascosto dietro un cespuglio particolarmente alto poco distante, col fogliame abbastanza fitto da celare la sua presenza. Da lì aveva accarezzato con gli occhi quella schiena nivea, i capelli color fuoco, i seni sodi e i capezzoli turgidi, bagnati dalla luce lunare. Un leggero rossore gli aveva imporporato il viso, mentre le osservava le mani passare lungo il corpo sinuoso, forte ma anche delicato. In quel momento gli era sovvenuta una strofa che aveva sentito cantare da un bardo. 
"Ho amato una fanciulla con il tramonto nei capelli e dalle labbra di petali."
Aveva scrollato il capo, per poi accennare a togliere il disturbo, ma la consapevolezza della natura del proprio desiderio l'aveva bloccato. Si era passato una mano sul volto, imbarazzato dai pensieri che gli avevano attraversato il cervello. Gli elfi non giacevano con gli umani, era un divieto non scritto, ma che entrambe le razze conoscevano.
- Mi stai ascoltando, Ledah? - la voce di Airis lo riscosse da quel ricordo.
- S-sì... certo, hai pienamente ragione. - balbettò, cercando di sfuggire a quegli occhi indagatori.
La donna incrociò le braccia al petto, senza distogliere l'attenzione da lui: - Quindi che cosa ho detto? -
Preso in contropiede da quella domanda, l'altro cominciò a guardarsi attorno, come alla ricerca di qualcuno che potesse aiutarlo a uscire da quella situazione. Peccato che loro due fossero le uniche forme di vita rimaste in tutta la città.
La guerriera parve leggergli nel pensiero: - Guarda, siamo solo io, te e i sassi, e da quel che so io questi ultimi non parlano. -
- Stavi... stavamo discutendo su quale strada prendere... - biascicò.
- Questo l'ho detto una decina di minuti fa. - lo fissò coi suoi occhi di un freddo verde smeraldo, - Mi stai dicendo che ho parlato a vuoto, per caso? - il tono sempre più duro non prometteva niente di buono.
Ledah si concentrò per riportare alla mente la conversazione, ma nella sua testa c'era il vuoto più totale. La ragazza sospirò, scostandosi una ciocca di capelli ribelli dietro l'orecchio.
L'elfo era già pronto a una scenata, ma lei parlò con estrema calma: - Dicevo... non hai idea di cosa possa aver causato tutto ciò? Non abbiamo trovato da nessuna parte i segni di una battaglia e i cadaveri sono ancora perfettamente intatti, salvo quelle strane piaghe infette e purulente. -
Scosse la testa: - E' sicuramente opera di un qualche incantesimo, ma che io ricordi nessuno di quelli usati dal Concilio prevede un apporto di energia così elevato da dover sacrificare delle vite o provocare un simile scempio. A meno che non abbiano usato la magia nera o una qualche formula proibita. -
Volse lo sguardo verso un punto preciso della città, pensieroso. 
- Dobbiamo andare verso il Signore della foresta. Lì troveremo sicuramente qualcosa. - aggiunse.
Prima che Airis potesse porre delle domande, Ledah si era già avviato verso un vicolo parallelo alla strada principale. Anche questo aveva alcuni cadaveri che lo ostruivano, ma sicuramente ci avrebbero messo molto di più se avessero deciso di proseguire su una delle vie maestre. Scivolarono attraverso passaggi secondari e spesso l'elfo dovette fermarsi ad aspettare la guerriera, che faticava a seguire i suoi movimenti rapidi e veloci.
- Ti ho ridato la vista per facilitarti la vita, sai? - la sfotté, mentre si destreggiava agilmente in quel labirinto di pietra ignorando gli improperi dell'altra, sussurrati a mezza voce.
Stava scartando nell'ennesimo vicolo, quando si bloccò sul posto. Erano in mezzo a un piccolo crocevia. Sui lati si ergevano i ruderi di antiche case e le carcasse di due grandiosi alberi, ai piedi dei quali giaceva l'ormai familiare massa di cadaveri. Ledah annusò l'aria, i sensi tesi a captare ogni singolo movimento.
Airis fece subito aderire le loro schiene, sfilando con un sibilo metallico la spada dal fodero: - Non siamo soli, vero? -
- Sono ovunque. Qualunque cosa siano, ci hanno circondati. - 
Ledah incoccò una freccia, studiando l'ambiente con circospezione.
La neve cominciò a cadere, coprendo ogni cosa con un leggero velo di bianco, e il loro respiro si condensò nell'aria gelida in piccole nuvolette. 
Un ringhio spezzò il silenzio. 
Dai resti di una casa incendiata emersero delle figure canine dal pelo irto e nero. Uno di loro li fissò, digrignando le zanne umide di bava mista a sangue. Erano quei lupi giganteschi, che gli elfi avevano sguinzagliato durante la battaglia.
La giovane scrutò quelle ombre scure e minacciose farsi sempre più vicine.
"Ma non dovrebbero essere alleati degli elfi? Perché ci sono ostili? Potrei capire la loro avversione verso di me, ma come mai vogliono attaccare anche Ledah?"
Sbuffò disinteressata e fece roteare l'arma, assumendo la posizione di difesa.
Uno di loro ringhiò e partì all'attacco insieme ai suoi compagni. 
Ledah scartò rapido verso una trave di legno poco distante, staccatasi dal muro di una casa, e riuscì per un soffio ad evitare le fauci di una di quelle bestie. Si accucciò, tese il filo dell'arco e pronunciò una singola parola, lasciando che la magia fluisse e illuminasse i simboli incisi nel legno. Una decina di frecce piovve dal cielo sugli animali impazziti, conficcandosi nelle loro schiene. Alcuni caddero trafitti in più punti, eppure non smisero di guaire e ringhiare feroci. Un lupo tentò di alzarsi, ma la sua testa, mozzata prontamente dalla lama della guerriera, rotolò di lato, infradiciando il terreno. Ledah scoccò ancora, perforando il torace ad un altro. Intanto, Airis brandiva la spada con una destrezza e un'eleganza senza eguali, mutilando e sfondando i corpi di quelle bestie, morte nera ammantata da una corazza di luna. Molti lupi, però, continuavano ad arrivare da ogni parte, attirati dall'odore del sangue.
L'elfo girò la testa a destra e a sinistra, tentando di mantenere il sangue freddo.
"Dannazione, sono troppi."
Si voltò e senza esitare scagliò un'altra freccia, diretta al cranio di quello più vicino. Airis stava tenendo testa a tutti, la sua abilità era degna di lode, ma Ledah si avvide presto che i suoi movimenti diventavano sempre più lenti, i colpi sempre più deboli. Non avrebbe resistito ancora per molto. Sfoderò una daga e si lanciò nella mischia, conficcando la lama nella schiena di una bestia alle spalle di lei.
- Andiamo! - l'afferrò per una mano e insieme corsero attraverso i vicoli. 
La neve li rallentava vistosamente e la fatica cominciò presto a morder loro gli arti. Ledah sentiva la daga pesante e il braccio gli doleva.
Un lupo sbucò dal nulla, ma con un colpo trasversale Airis gli aprì la gola e ripresero a correre.
- Siamo quasi arrivati! - la incitò l'elfo.
Si fecero strada in mezzo ai cadaveri, cercando di non scivolare sulla melma che ricopriva le stradine sterrate, una miscela di sangue, neve e fango. Alle loro spalle i richiami animaleschi dei loro inseguitori si facevano sempre più vicini. Giunsero in una piazza enorme, dove si ergeva un alto palazzo ancora in buona parte intatto.
- Ci siamo! Dai, non mollare! Ce l'abbiamo fatta. - 
Ledah rinforzò la presa intorno alla mano libera di Airis e tirò ancora di più, aumentando la velocità di quella folle fuga. Ma, improvvisamente, le dita della ragazza scivolarono via, mentre questa veniva atterrata da un altro lupo, che le fu subito addosso, le zanne snudate in un ringhio famelico. Impugnando anche la seconda daga, l'elfo conficcò questa nel collo della bestia, mentre la gemella si apriva un varco dalla spalla all'ascella.
Infine, raccolse la spada di Airis, l'aiutò ad alzarsi e, strattonandola, azzerò quei pochi passi che li separavano dal palazzo. Salì gli scalini e assestò una spallata al portone di legno massiccio che sbarrava loro la strada. I cardini cigolarono, ma non cedettero. Ignorando i crampi della fatica, Ledah ne diede un'altra e un'altra ancora. 
I lupi erano ormai dietro di loro, poteva sentirne i ringhi sommessi. Ancora qualche istante e li avrebbero dilaniati. All'ennesimo colpo, il portone si aprì e senza esitare si precipitarono dentro. Con un ultimo sforzo e un grugnito l'elfo spinse di nuovo le ante nella direzione opposta, chiudendole con un grande schianto. 
Si accasciò al suolo esausto, la schiena appoggiata al legno, che da fuori veniva raschiato dagli artigli dei loro irriducibili inseguitori.
Si trovavano in una specie di tempio a pianta rettangolare, diviso in tre navate. Il pavimento era cosparso di cocci e frammenti delle statue che una volta adornavano quel luogo sacro. Le colonne in marmo bianco che catturavano la debole luce proveniente dall'esterno sostenevano degli imponenti archi a sesto acuto, sui quali dovevano essere stati dipinti degli splendidi affreschi della storia elfica, ma che ora era stati ridotti a macchie scrostate. Ampie vetrate ricoprivano i due muri laterali, filtrando gli ultimi raggi del sole in un caleidoscopio di colori. Alla fine della navata centrale, si ergeva in tutta la sua maestosità un albero plurimillenario: il Signore della foresta, il cuore stesso di Llanowar.
Ledah si accostò ad Airis, preoccupato di non averla sentita ancora emettere un suono. La scoprì addossata a una colonna, con le palpebre serrate, il fiatone e le gambe tremanti, come se restare in piedi fosse l'impresa più ostica mai affrontata fino a quel momento.
- Ti senti bene? - indagò.
- Sì... il combattimento è stato estenuante. - gli sorrise debolmente, - E mi ha portato via tutte le forze... -
- Sicura sia stato solo questo? Sei così pallida... - allungò una mano per sfiorarle una guancia, ma lei si ritrasse.
- Sì, sto bene, non ti preoccupare. -
Ledah la scrutò a lungo, cercando di capire se stesse mentendo o meno. 
- Va bene. Ce la fai a proseguire?-
Lei annuì: - Dove siamo? -
- Ci troviamo nel tempio dedicato al Signore della foresta. - 
Ledah indicò un punto in fondo alla navata, godendosi lo sguardo meravigliato di Airis.
Non aveva mai visto un albero così immenso, le cui robuste radici affondavano nel terreno ancora fertile. I rami nodosi si dispiegavano su tutto il soffitto, intrecciandosi gli uni con gli altri a formare una rete di fiori e foglie. La guerriera fece un passo in avanti, come per riempirsi gli occhi di tutta quella bellezza.
- È il vero cuore di Llanowar, è lui che mantiene l'equilibrio nella foresta e che ci permette di vivere in armonia con essa. - spiegò con voce solenne.
- Ma... perché non è bruciato assieme al resto? -
Ledah sospirò e un'ombra gli oscurò lo sguardo. 
- Non è bruciato perché la magia che scorre in lui l'ha protetto. Ma ora sta soffrendo. Soffre per tutte le vite che sono state stroncate, come una madre piange la morte dei suoi figli. - abbassò lo sguardo pieno di contrizione e inspirò profondamente, cercando di scacciare la malinconia, - Dai, andiamo a vedere se riusciamo a trovare qualcosa. - 
Svelto, si diresse verso una delle panche di legno rovesciate, che un tempo dovevano essere state allineate in perfetto ordine di fronte all'albero, come per accogliere gli elfi che desideravano pregare. La superò, insieme alle altre, e Airis lo seguì a ruota.
- Cerchiamo qualcosa in particolare? - gli chiese.
- Cercherò di essere breve. In natura esistono due tipi di magie: quella cosiddetta bianca e quella nera. Noi elfi solitamente usiamo quella bianca, che ci permette di sfruttare la natura a nostro vantaggio, senza però sottometterla con la forza al nostro volere. Quella nera, invece, viola tutte le leggi che regolano l'universo e le sovverte. Spesso richiede un sacrificio per essere utilizzata. -
- Mi stai dicendo che l'ondata magica...? -
- Esattamente, è opera di un qualche incantesimo proibito. Ne sono quasi completamente sicuro. E tutti gli abitanti di Llanowar sono stati il prezzo da pagare per attivarla. - 
Avevano appena raggiunto le radici del Signore della foresta, quando un applauso riecheggiò sui muri di pietra del tempio, un suono talmente stonato e fuori luogo da farli ghiacciare e impallidire entrambi. 
- Ma bravi, ci siete arrivati finalmente! - li schernì una voce nell'ombra, che Airis trovò terribilmente familiare, - Generale Airis Lullabyon... quanto tempo. Sono felice di rivederti. -
- Ignus... tu... tu dovresti essere morto! - la guerriera fissò ostile un punto nell'oscurità, verso destra, e brandì la spada con fare minaccioso, nonostante stesse cadendo a pezzi per la stanchezza. 
Un ghigno di compiacimento si dipinse sul volto dell'uomo, un volto martoriato dalle fiamme e da molte ferite in suppurazione, ma la scarsa illuminazione celava tutti gli sfregi ai loro occhi. 
- Oh, sono morto tanto quanto lo sei tu, carissima. E vedo che sei in dolce compagnia. - gracchiò, strascicando le sillabe come se avesse qualche problema alla lingua, - Da quando ti scopi un elfo, mio stimato Cavaliere del Lupo? Non pensavo avessi un così grande amore per l'orrido. -
Ledah si frappose tra i due, infastidito dalle parole al vetriolo che erano state rivolte alla ragazza. Il suo istinto gli suggeriva di proteggerla e difenderla dalle accuse, ma al contempo era curioso di scoprire chi fosse il loro interlocutore. Il nome ''Ignus'' non gli diceva niente.
- Airis, chi è? -
Una risata sguaiata e roca ferì le loro orecchie: - Ma come, questa puttana non ti ha parlato di me? Peccato... allora mi dovrò presentare da solo. - 
Uscì dal cono d'ombra in cui era rimasto nascosto e avanzò con la spada sguainata, la cui lama era rovinata e scheggiata in più punti. L'elsa finemente lavorata con l'effige di un leone ruggente brillò quando un timido raggio di sole si riflettè su di essa.
Airis inorridì di fronte all'aspetto deforme di quello che un tempo era un suo compagno d'armi e, senza volere, arretrò a corto di fiato. Ledah, invece, lo riconobbe come uno dei due Generali che aveva ucciso in battaglia. Ne era certo, aveva visto chiaramente la sua freccia ferirlo a morte.
- Io sono Ignus, terzo Generale della cinquantesima legione, nonché Cavaliere del Leone. E adesso vengo a prendere le vostre testoline... - posò lo sguardo su Ledah, - Tanto lei ha detto che l'importante è che ti catturi, non ha specificato se dovessi condurti al suo cospetto vivo o morto. -
L'elfo impugnò entrambe le daghe e ribatté: - Mi dispiace, ma non so di cosa tu stia parlando e non abbiamo tempo da perdere con uno come te. -
Ignus si scostò il mantello con noncuranza ed estrasse un oggetto da una delle tasche interne. 
- Per caso, cercavate questo? - domandò beffardo e mostrò loro un libro dalla copertina consunta e dalle pagine ingiallite dal tempo.
Ledah strabuzzò gli occhi e osservò allibito il prezioso volume.
''Come fa ad avercelo lui? Nessuno può prenderlo, nessuno che non sia un elfo...''
Il Generale sghignazzò, poi lo nascose di nuovo sotto la stoffa. 
- Se volete le vostre risposte, venitevele a prendere! -
Ledah scambiò uno sguardo eloquente con Airis e poi, senza pensarci due volte, si avventò su Ignus.

 
  
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