* DOVE ERAVAMO RIMASTI *
Premo
il grilletto tentando di mirare il robusto corpo in movimento del mio vecchio
collega, nel caos riesco appena a vedere che il proiettile lo colpisce troppo
a destra per ferire il cuore. Il suo proiettile invece non lo vedo, ma sento
gli schizzi di sangue sulle mani, mentre mio fratello si piega sulle ginocchia e
crolla a terra. Quell' idiota si è trovato, come suo solito, al posto sbagliato
nel momento sbagliato, frapponendosi fra me ed il bersaglio, prendendosi in
pieno il colpo che doveva centrarmi..
Con sguardo orripilato lo guardo gemere sul terriccio brullo. Le sirene della polizia si avvicinano in fretta, sicuramente la ronda che gira per questo quartieraccio è stata allertata dagli spari, e con fatica sollevo gli occhi già lucidi dal pianto e dalla paura sull'Attore. Anche lui poggia le ginocchia a terra, ma la sua pistola è ancora puntata verso di me. Non un sorriso, non un ricordo. Che ne è stato del passato non saprei neanche dirlo. L’attore, la cui carriera è bruciata ancora prima di iniziare, sorride, in un modo che ormai non posso più conoscere, che non mi appartiene più.
“Tre persone possono mantenere un segreto, se due di loro sono morte. Ricordi?”
Poi, lo sparo.
E nella bocca stringevi parole, troppo gelate per
sciogliersi al sole… chissà come mai
quella canzone mi è tornata in mente in questo momento. Probabilmente, avendo a
disposizione una seconda possibilità, avrei un solo rammarico, nella mia vita:
cinque minuti fa avrei voluto mirare più a sinistra, centrando dritto nel cuore
quel pivello.
Ma non mi rimane nemmeno
il tempo per sorridere o per fare grandi discorsi, come in tutti quei film alla
televisione. Non posso fare una ramanzina strappalacrime al mio fratellino,
perché mettendosi in mezzo ha rischiato la vita. Non posso far finta di
dimenticare, in punto di morte, tutti i torti subiti o scusarmi per tutti i
casini combinati. Nemmeno scrivere una lettera di addio a mia madre.
Come tutto è stato,
nella mia vita, assolutamente mediocre, anche la mia scomparsa verrà presto
dimenticata.
Vedo
rosso…appannato…buio…
infine
il nulla
Morire,
alla fine, non è poi questo granché.
Il ritmico suono dei
macchinari scandisce i respiri del giovanotto seduto scompostamente sulla sedia,
accanto al letto candido. La luce è poca, la sera è vicina, e l’inverno ruba
volentieri i timidi raggi del sole che si ostinano a riscaldare la terra.
Stringe la mano di una ragazza, come nei finali dei migliori film, e quando è
sveglio le parla, così come dicono i medici. Lo dicono sempre anche in quel
telefilm alla tv, che parlare ad una persona in coma è la terapia più
indicata. Gli hanno detto che potrebbe svegliarsi domani, fra un mese, fra un
anno. Intanto la polizia aspetta, due uomini in borghese fanno la ronda in
corridoio. Un medico entra, controlla i suoi parametri e scuote la testa. È
tutto normale, come al solito. È sana, ma non si sveglia. È in coma. Poi esce,
accarezzando con lo sguardo il ragazzino che si ostina ad amare quella sorella
per cui ha rischiato la vita, rimediando una brutta ferita al braccio. Quella
sorella che è una criminale, un’assassina.
Uscendo saluta i due
poliziotti con un cenno.
“Serataccia brutta per
lavorare, vero?” si informa, sorridendo come un buon medico deve fare.
“Potrebbe andare
peggio…pensa a quei due poveretti che fra due ore devono darci il cambio e
rimanere qui tutta la nottata…” poi sorride al medico, come un buon
poliziotto in borghese deve fare. Volta il capo, alza gli occhi al cielo e
ricomincia il suo via vai per i corridoio. La donna non dà segni di vita,
il poliziotto dubita seriamente che si potrà più svegliare.
Il cambio della guardia
è alle 11:00. Le due squadre di poliziotti dovrebbero incontrarsi nel corridoio
e darsi il cambio, senza perdere di vista la camera della sospettata, ma quelli
del turno appena concluso hanno il pessimo vizio di raggiungere i colleghi al
piano terra, per prendersi un caffè in compagnia prima di tornare a casa,
lasciando il corridoio libero per una decina di minuti. Poco importa, visto che
la sospettata è una ragazzina gracile, macilenta e per di più in coma da mesi.
Nessuno fa caso ad una porta che si apre senza un suono scivolando sui cardini bene oliati, né di un ragazzino infagottato in un giubbotto di pelle nera, con un cappellino di lana a coprirgli il capo. Tuttavia un buon osservatore noterebbe con poca difficoltà le spalle troppo gracili e le maniche troppo lunghe. Così come le ciglia troppo lunghe o le labbra troppo sottili, per essere quelle di un uomo.
...
“E’ il momento!”sibilò il ragazzo quando sentì i passi pesanti dei poliziotti allontanarsi dalla porta e le loro voci farsi sempre più flebili.
“Era ora, quando il dottore è venuto a controllare come stavi, stavo quasi per scoppiare a ridere…voglio dire, credo stia impazzendo per capire come mai i tuoi valori sono regolari come quelli di una persona sanissima, mentre sei ancora in stato comatos..”
“Vuoi stare zitto?! Mi farai scoprire!” la ragazza si sollevò di scatto, afferrando il borsone nascosto sotto il letto ed estraendone degli indumenti maschili: un giubbotto di pelle e un cappellino di lana in primis.
“Quasi non ci credevo, il mese scorso, quando mi hai stretto la mano per farmi capire che eri sveglia. Mamma ti dava già per morta, sai?” sussurrò lui, incurante del precedente rimprovero.
La donna si fermò nell’atto di infilarsi i pantaloni neri che aveva trovato nella borsa “Spero tu non le abbia detto niente, sottospecie di mollusco. Meglio morta che criminale, non credi?”
“O, andiamo! Mamma non è mica stupida. Sono sicuro sarebbe ben felice di saperti viva.”
“Certo! Chi non desidera una figlia ricercata e criminale di cui poter parlare durante i tea con le amiche?” il ragazzo ridacchiò: “come vuoi…allora, dove andiamo?”
La donna, che si era alzata in piedi stringendo il borsone in una mano, sorrise indulgente “Dove andrò, pivello. Usa il singolare. Non voglio zavorre durante la mia fuga.”
Il moro ostentò un viso offeso “Non sono una zavorra!”
“Sveglia, sono una pericolosa criminale pluriomicida!” “esatto, come nei film.” “Bravissimo. E che succede nel finale dei film, al super cattivone?”
Il ragazzo ci riflettè un attimo, non accorgendosi dell’oggetto che la ragazza aveva estratto dalla borsa. “Viene catturato…ucciso…annientato.” “Esatto! E non voglio che tu faccia la stessa fine.” La donna si avvicinò lentamente, venendo investita dal profumo americano del fratello. “Ma io sarò con te, sorella maggiore! Voglio aiutarti nella tua fuga.” “Ma tu mi aiuterai nella mia fuga, pivello. Lo stai per fare.” Sorrise lei, avvicinandosi maggiormente con le mani nascoste dietro la schiena. “Davvero?” “Certo piccolo sciocco.” E nel dirlo lo abbracciò, sentendo subito le braccia di lui circondarle le spalle.
Per l’ennesima volta in quell’annata così stravagante, il ragazzo cadde a terra colpito alla testa dal calcio di una pistola. Poi la donna indossò il cappellino, alzando il bavero della giacca a coprirle il volto, e con un calciò spedì il borsone sotto al letto
“Ti voglio bene, fratellino.”
Aprì la porta, lasciandosi inondare dal candore del corridoio con un sospiro stanco. Poi si tuffò alla sua destra, in mezzo ad un gruppo di signore anziane in gita turistica, per la settima volta quell’anno, all’ospedale.
...
Il ragazzo è ancora
steso a terra, con un bernoccolo sempre più grosso a increspargli il cranio. È
così che lo trovano gli agenti di ronda, di ritorno dalla pausa caffè. Ad
aspettarli c’è anche il letto della sorvegliata, desolatamente vuoto, ad
eccezione di un piccolo messaggio in codice. Come alla fine dei migliori film.
Il gruppo del Gelso ha colpito ancora.
...ma ci guardiamo negli occhi non importa quanto tempo abbiamo
Non importa se il giorno lasciato indietro è stato come volevamo
Se alla fine del viaggio nessuna delle tue stelle ne avrà mai memoria
Perché i baci, gli abbracci, gli addii sono la nostra storia.
- Il più grande spettacolo del mondo (Vecchioni R.)
- Da allora non ebbi più notizie di mia figlia.-
La donna appoggia la tazzina con il tea ancora fumante sul tavolino in legno. Poi, nell’attonito silenzio generale, si rivolge alla donna alla sua destra“ Di tuo figlio che mi dici, invece, Elsa: ha terminato i suoi studi?” Dietro il disagio palpabile del salotto, due enormi stivali neri spuntano da una poltrona in stile Liberty, appoggiati di mala grazia su un tavolino di legno chiaro. Sorride, il ragazzo, stringendo fra le mani quello che resta di due manette pelose di un colore troppo stravagante.Ed un rametto di bacche di Gelso.
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Fine...
Alla prox, * Mamey *
ps: grazie mille