Phoebus
Adoro vagare per la
notte. Adoro quell’aria fresca e frizzantina
che la caratterizza… mi sveglia, mi fa sentire vivo… e mi rende capace di
capire la vita che mi circonda. Lo ammetto, non sono un santo, anzi, risulto
effettivamente molto affezionato a qualche peccato capitale… del resto, come
dico sempre, le aureole stanno bene solo in Paradiso, non qua sulla Terra.
Ma di notte, sotto la
luce delle stelle, cambio totalmente… E’una mutazione di cui mi sono sempre
reso conto, ma di cui non ho mai trovato causa.
Mi reputo figlio delle
tenebre… tra esse, riesco ad essere una creatura
celeste.
Essere un angelo dalle
ali di cera è stato il mio destino, e non lo rimpiango. Sono un ossimoro, una
contraddizione vivente, e per questo mi reputo superiore a tutti.
Sono nato nel caos, della
confusione sono figlio, e, anche non volendo, intorno a me riesco sempre e solo
a creare scompiglio.
Ironia della sorte, il
mio nome è Phoebus. Luminoso. Uno degli attributi
principali del greco Apollo, dio del
sole….
Ma la mia luce non è
quella che dà vita. La mia luce abbaglia, stordisce, rende vulnerabili.
Chissà che faceva mia madre quando mi diede questo nome…
Alzo gli occhi al cielo, sorridendo nel vedere lo splendido manto
stellato che lo copre.
Dicono che mia madre somigliasse ad una stella. Chissà perchè, allora, lei, così alta nel cielo, fu attratta da
un comune mortale… da un babbano che la portò al ripudio e alla morte….
Che creature sciocche
sono le stelle.
Inspiro, riempiendomi i
polmoni di aria fresca, sentendo ogni mia piccola cellula risvegliarsi a tal
gesto.
Sono un bastardo, in
tutti i sensi. Ma anche per me è giunto il momento di fare rientro a casa. Nonostante
tutto, lì c’è una donna che mi attende, una madre acquisita a
cui devo tutto… la mia vita, e l’esistenza del mio cuore.
Tre notti di assenza
possono non essere sufficienti per il mio animo libertino, ma per il suo sono
anche fin troppi.
E’ giunto il momento.
Torna a casa Phoebus.
Tre
del mattino.
La
gelida atmosfera della notte ricopre l’enorme tenuta dei Malfoy,
completamente addormentata.
Tuttavia,
nel vasto viale alberato circondato da scuri cipressi cammina tranquillo un
giovane dai superbi lineamenti gitani. I brillanti occhi lillà si guardano
attorno, riempiendosi dello splendore di quel paesaggio notturno.
Davanti
a lui, si erge in tutta la sua magnificenza Malfoy Manor, la reggia dei nobili purosangue più noti nell’isola.
La
sua casa.
Il
fedele elfo domestico, sentendolo arrivare, apre silenziosamente i battenti del
grande portone di legno.
La
padrona dorme, meglio non farla svegliare.
Con
passo felpato il moro raggiunge la sua stanza preferita al primo piano. Non ci
andava spesso, giusto le volte che tornava molto tardi e non voleva fare
baccano salendo le scale che conducevano al secondo
piano, dove si trovavano i suoi appartamenti… Narcissa
aveva un udito incredibilmente fine.
Quella
stanza, comunque, gli era sempre piaciuta, fin da piccolo. La chiamavano
Ma
una sorpresa lo attende.
Lì,
sdraiata nel suo letto, si trova una ragazza.
Dorme
tranquilla.
E
lui, incantato dalla sua aura pacifica, non riesce a far altro che sedersi al
suo fianco e osservarla riposare.
Narcissa entrò cauta nella camera buia.
Erano
appena passate le cinque del mattino, ma quella notte
aveva avuto un sonno molto disturbato. Ricordi di vita passata, paure per
quella futura avevano riempito di immagini tumultuanti la sua stanca mente. Alzarsi,
seppur a tale ora, era stata una scelta obbligata.
Nonostante
la luce del crepuscolo fosse più che lieve, e a malapena riuscisse a passare
dai lievi tendaggi che oscuravano le finestre nella stanza degli elfi, riuscì tuttavia a scorgere una figura seduta sul
bordo del materasso.
La
riconobbe all’istante, e si incupì.
“Che
ci fai tu qui?” Chiese sottovoce.
Il
ragazzo si voltò, incontrando gli occhi sconvolti della donna.
“Chi
è?” Chiese, atono, intendendo ovviamente la ragazza
che giaceva al suo fianco. Narcissa si avvicinò a
lui. Aveva gli occhi cupi, come mai glieli aveva visti. Non pareva arrabbiato… ma era strano. Aggrottò la fronte, e lanciò uno
sguardo alla nipote, che dormiva tranquilla. Poi fissò di nuovo Phoebus.
“Da
quanto sei arrivato?”
“Un
paio d’ore.”
“Gradirei
che facessi rientro in orari più accettabili. Possibilmente, quando sono ancora
sveglia.”
“Come
volete.”
“E
gradirei che tu stia alla larga da lei. Ora, vieni via.” Ordinò imperiosa,
stringendosi la vestaglia candida alla vita e avviandosi verso l’uscio, aspettandosi
di essere seguita da lui. Ma dopo qualche passo si accorse che, ovviamente,
così non era. Si voltò, trovandosi gli occhi seri del moro ad accoglierla.
“Non
chiedermi questo. Non ci riuscirei.”
Narcissa ispirò profondamente, abbassando lo
sguardo e deglutendo quel boccone amaro che, si aspettava, sarebbe arrivato. “Ti
voglio bene Phoebus… ma non voglio che le accada niente di male. La sua è già
una posizione difficile. E non ti posso permettere di distruggerla.”
Il
ragazzo sentì il cuore tremare a quelle parole… a quelle dette e alle altre
nascoste sotto di esse. Ma non fece una piega, perché Nacissa aveva ragione.
Si
voltò, e guardò incantato il volto serafico della dormiente sconosciuta.
“Allora,
se questo è un addio, lascia almeno che le dia un bacio.”
Narcissa sbarrò gli occhi, accorrendo verso di
lui. “No, Phoebus! Se si svegliasse e ti vedesse…”
“Non
accadrà. Dorme come un angelo.”
“Lasciala,
scordati di lei! Và via da questa stanza!” Gli ordinò, reprimendo a stento l’impulso
di gridargli contro, per timore di svegliare Mysteria
e fare ancor più danni.
Lui
non l’ascoltò. Sapeva di essere un mostro, ma quella
ragazza lo aveva stregato.
Si
chinò leggermente su di lei, poggiando le labbra sulle sue.
Morbide.
Dolci. Serene.
Sorrise
lievemente, e si riempì gli occhi della sua immagine.
Poi
si alzò in piedi e, col suo passo calmo e superbo, uscì dalla stanza, lasciando
Narcissa a reprimere a stento
lacrime di rabbia.
“Deve
starle alla larga.” Disse la bianca signora, camminando nervosamente su e giù
per la stanza.
Blaise, seduto davanti a lei, la guardava con
amarezza. Poco prima era rimasto allibito ascoltando il racconto di Narcissa. Seppur migliore amico di Draco,
lui non gli aveva detto nulla della sua relazione con la piccola Weasley… e tanto meno gli aveva parlato di una figlia.
Capiva
che questa era una situazione molto delicata. Davvero troppo. E capiva anche perché
la donna fosse così preoccupata della possibile intromissione nella faccenda di
Phoebus, anche se non accettava totalmente questo atteggiamento
così ostile nei suoi confronti.
Lui
non era cattivo… aveva solo un animo turbato da una vita troppo amara.
Ma
adesso Narcissa, accecata dal desiderio di ricreare
la famiglia che la guerra le aveva distrutto, non si accorgeva di questo
piccolo particolare.
“Lo
farà, gli parlerò.”
“Non
ascolta mai nessuno!”
“Non
è un ragazzo stupido, capirà.”
“Non
intendevo dire che è stupido, ma che è molto egoista!”
“E
da egoista qual è, cosa pensi farà?!”
Narcissa si fermò di botto, fissandolo. “La
circuirà, la farà innamorare, la lascerà e la farà soffrire! E un cuore
distrutto non è l’ideale per affrontare l’ingresso in una società piena di
nemici!”
Blaise scoppiò a ridere. “Suvvia, Cyssa,
stai esagerando ora! Sei decisamente iperprotettiva!
Lascia che la gentil fanciulla se la cavi da sola! Considerando i geni che ha,
non deve essere così indifesa e vulnerabile come la disegni! Anzi, tutt’altro!”
Lei
si portò una mano davanti agli occhi, rimanendo qualche attimo in silenzio. “Sì,
è vero. Ma preferisco essere previdente e prendere ora le giuste precauzioni,
piuttosto che piangere sopra una fossa dopo.
Sono
stanca di soffrire. Ora, voglio un lieto fine.”
Quelle
parole scossero l’animo del moro, che la fissò ad
occhi sbarrati mentre il sorriso se ne andava
celermente dal suo volto, e lei, con passo stanco ma sicuro, si allontanava dal
salotto, dandogli le spalle.
Qualche attimo prima pensava ancora di poter
porre un limite a quel fiume in piena. Ora, però, si rendeva pienamente conto
che era già straripato.
“Và
da tuo nipote e parlagli.
Questa
sera ci sarà un ballo. E lui non dovrà parteciparvi.”
Le
pesanti tende nere coprivano le grandi vetrate della camera, non permettendo alla
luce di entrare e illuminare l’ambiente, un vasto appartamento costruito con la
bicromia del bianco e nero.
Il
lettone, al centro della stanza, era gigantesco, e circondato da morbidi
tappeti e soffici cuscini. Nonostante l’apparenza rilassante, quel luogo
nascondeva una natura nervosa, vigile, instabile. Esattamente come il suo
proprietario, steso sul materasso a rimirare i raffinati stucchi del soffitto a
botte.
“Dovresti
dormire, ogni tanto.” Disse, pacato, come un padre che da consigli ad un
figlio.
“Non ci riesco.” Secco, deciso. Nulla su cui
ribattere.
Blaise si avvicinò. “Narcissa
è molto nervosa.”
“Lo
so.” Questa volta gli parve più scocciato. La faccenda lo infastidiva più di
quanto volesse far intendere.
“Vuole
che tu le stia alla larga.”
“So
anche questo.”
“Ed
io, come anche lei, so che non lo farai.”
“Starò
attento, zio.” Sospirò lui.
Lui
ridacchiò. “Lo farai ugualmente ma starai
attento?! Non mi pare che Narcissa fosse
dell’umore di accettare compromessi!”
“E’
tutto quello che le posso dare. E, per come sono, è già troppo.”
“Mi
ha detto che l’hai baciata.”
A
quelle parole, qualcosa si mosse nel petto del giovane. Si alzò a sedere di
scatto, fissando i rabbiosi occhi lillà su quelli identici,
ma pacati, del parente.
“Tu non l’hai ancora vista, vero? … Non ti rendi conto di come sia…”
“Ci
sono tante belle donne al mondo, và dietro a loro.”
“La
voglio conoscere.”
“Non
puoi. Non ora.”
“Perché?!
Chi è?! Da dove è venuta fuori?!
E’ mia sorella… è mia cugina?! Perché le devo stare alla larga?!?!
Chi è, dannazione!” Gridò, furioso.
“Non
te l’ha detto?”
“No,
mi ha cacciato via senza darmi risposte!”
“E’
la figlia di Draco Malfoy e
Ginevra Weasley.” Disse,
dopo aver sospirato pesantemente. Ancora faticava ad
adattarsi a quella verità che gli era cascata addosso tanto improvvisa quanto
inaspettata.
“Cosa?!”
Sussurrò, allibito.
“Ora
capisci perché Narcissa è così nervosa…”
“Non
sapevo che…”
“Non
lo sa nessuno. Fino a poco fa, neanche io…”
“Ma…
da dove è saltata fuori?! Così, all’improvviso? E’
venuta a riscuotere l’eredità?!”
“Narcissa l’ha incontrata ieri mattina al cimitero dei
caduti. E l’ha riconosciuta subito. Ha poi fatto il richiamo del sangue, per
sicurezza, e quello ha dato esito positivo.”
Phoebus si mise seduto, le braccia a stringere
le ginocchia piegate. A sguardo basso, analizzava la situazione. Senza dubbio,
era più delicata che mai.
Corrugò
la fronte. Non era per niente contento. Avere un muro a sbarrargli la strada
per la sua meta lo rendeva insofferente.
“Come
si chiama?”
“Mysteria.”
Scosse
la testa, vagamente divertito. “I Malfoy hanno sempre
avuto un gusto particolare per i nomi. Chissà se s’impegnano, o se gli viene
naturale storpiare il proprio prossimo!”
Lui
rise. “Hanno, tuttavia, la forza e la sfrontatezza necessaria per farlo sembrare
comunque più che adatto a loro!”
“Per
questo non posso darti torto.” Commentò con un nodo alla gola, sdraiandosi di
nuovo fra le nere coperte, l’immagine di lei che, prepotente, gli invadeva la
testa.
Blaise capì che era ora di andarsene, e lasciarlo solo
a pensare. “Un’ultima cosa Phoebus, stasera ci sarà
un ballo.”
“Ottima
mossa il ritorno alla mondanità, devo darne atto.” Mugugnò
lui, disinteressato.
“Già,
Narcissa è un’abile calcolatrice…”
“Io
non sono invitato, vero?”
“No.”
“Va
bene.”
Chiuse
la porta alle sue spalle, poggiando poi la fronte sopra di essa.
Anche se l’apparenza diceva tutt’altro, sapeva bene
che Phoebus era a dir poco furioso. Sia con Narcissa, che improvvisamente lo aveva
declassato da figlio prediletto a nemico di famiglia, sia con quella
straniera, che voleva e che non poteva avere. E, sicuramente, era adirato
perfino con se stesso, perché non riusciva ad essere diverso, a instillare
fiducia in quella che considerava una madre, e a non desiderare il suo tesoro
proibito.
Si
voltò, passandosi una mano fra i capelli.
E’
proprio vero che l’arrivo di un Malfoy genera sempre
scompiglio!
Ridacchiò,
avviandosi verso la scalinata principale, che lo avrebbe condotto ai piani
bassi. Era ora di conoscere la nuova venuta.
Aveva
appena girato l’angolo del lungo corridoio, quando, improvvisamente, qualcosa andò a sbattergli sopra.
“Ma che…” Mugugnò, chiedendosi cosa
potesse essere successo. Il respiro gli si bloccò in gola
mentre lo sguardo veniva imprigionato da due incredibili iridi azzurre.
Gli
occhi di Ginevra.
Con
uno sguardo veloce la squadrò dall’alto al basso, il cuore che martellava
ferocemente nel petto. Capelli lunghi, neri. Pelle diafana. Viso ovale, dal
naso diritto, le labbra grandi e due zaffiri ad impreziosire infine la sublime opera
d’arte.
Ed
ecco, qui,
“Mi scusi… non l’avevo vista…” Sussurrò
la fanciulla, dispiaciuta.