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Autore: EmmaStarr    21/12/2013    5 recensioni
01# Soldati
Sanji alzò la testa, lo sguardo perso nel vuoto. – Sei venuto qui perché ti piace il posto? Non è male.
Zoro si strinse nelle spalle. – Mah. Può darsi, se ti piace deprimerti in mezzo a tutte queste foglie morte.
02#Fratelli
– Sta' giù. – sibilò Ace, lo sguardo puntato in un luogo poco distante da loro, a destra.
In un istante, Rufy si materializzò al suo fianco, il fucile carico tra le braccia. – Che cos'è?
3# Universo
Kidd sbuffò. – Ti ho detto che non morirò.
Law si sdraiò di nuovo, accanto a lui. – È una questione di punti di vista, signor Eustass, mettiamola così. Se sopravvivi adesso, sopravviverai a tutto. – sussurrò, malizioso.
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La guerra non è uno scherzo, nella vita di questi ragazzi, e nemmeno un gioco. Sanji, Zoro, Rufy, Ace, Sabo, Kidd, Law, Nami e Robin si trovano al fronte, in trincea, faccia a faccia con la morte ogni singolo giorno.
Accompagnati dalle poesie di Giuseppe Ungaretti, questi ragazzi conosceranno la morte, la disperazione, e poi la calma dopo la tempesta. Perché la guerra, diceva il poeta, è come un naufragio senza fine.
Ma, come i nostri eroi potrebbero aggiungere, a volte devi solo capire a cosa aggrapparti.
Genere: Angst, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Monkey D. Rufy, Nami, Roronoa Zoro, Trafalgar Law, Un po' tutti, Z | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law, Rufy/Nami, Sanji/Zoro
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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SAN MARTINO DEL CARSO
Valloncello dell’Albero Isolato il 27 agosto 1916

 

Di queste case
non è rimasto

che qualche
brandello di muro
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
È il mio cuore
il paese più straziato

 

 

Robin sistemò la cinghia della borsa sulla spalla, guardandosi intorno. Era arrivata.

Fare la crocerossina non era mai rientrato nei suoi interessi principali, ma non è che avesse molte altre opzioni: non aveva nessun altro posto dove andare, e almeno al fronte avrebbe avuto cibo gratis e un tetto sopra la testa.

Appena entrata nell'edificio che presumeva fosse l'ospedale, un chirurgo dall'aria trasandata le si avvicinò. – Tu devi essere Nico Robin, dico bene? – chiese, sfoderando un sorriso stanco.

– È esatto. – rispose lei, guardinga. Non le piaceva essere riconosciuta così facilmente.

Il dottore inarcò un sopracciglio, sempre continuando a sorridere. – Bene, io mi chiamo Trafalgar Law. Ti stavamo aspettando, dolcezza. Hai già messo via le tue cose? – Robin annuì. La borsa che aveva in spalla era l'unica cosa alla quale non poteva permettersi di rinunciare.

– So già quale sarà il mio alloggio, pare che condividerò la stanza con una ragazza di nome Nami. Non l'ho ancora vista.

Law si limitò a precederla in silenzio attraverso una serie di corridoi. – Ah, sì, Nami. – commentò dopo un po'. – Forse è meglio se ti metto a lavorare con lei, che ne dici? Di recente ha dei pazienti davvero particolari. – sogghignò, come se avesse appena fatto una battuta di cui soltanto lui poteva cogliere il significato.

– Come desidera lei, dottore. – ribatté Robin, ubbidiente.

Law sorrise, un sorriso distante, un po' malinconico. – Allora siamo d'accordo. È qui. La tua pausa pranzo è dalle due alle due e un quarto, poi finisci il turno alle dieci di sera. Una notte a settimana avrai l'orario notturno e il martedì è il tuo giorno libero. Al mattino si comincia alle sette. Lo so che i turni sono un po' serrati, ma abbiamo, come dire... – sorrise, un lampo inquietante negli occhi. – Carenza di personale.

– Oh. – Robin non sapeva come ribattere, quindi rimase in silenzio.

– Allora, io ti saluto. – fece il dottore, spalancando la porta.

Dall'interno Robin sentì provenire strani rumori: urla allegre, il rumore di qualcosa che si rompeva, forse un vaso. Risate, grida... – Ehi, Nami! – gridò Law. – Hai un'assistente! Lei è Nico Robin! Ragazzi, siate gentili e non fatela incazzare, mi sono spiegato? E Rufy, se hai rotto un altro vaso ti giuro che stanotte pisci per terra, e non sto scherzando!

Le grida si interruppero di botto. – D'accordo, Traffy. – fece una voce ubbidiente.

– E chiamami dottor Trafalgar. – mugugnò quello, prima di ammiccare nella direzione di Robin. – Bé, se ti danno problemi chiamami, dolcezza.

Robin rimase sulla soglia finché l'ombra del chirurgo non si fu volatilizzata, poi fece qualche passo avanti. La stanza non era molto grande, ma tutto sommato aveva un'aria confortevole. Comprendeva tre letti, uno libero e due occupati: gli ospiti erano un ragazzo allegro e sorridente, probabilmente Rufy; l'altro era un ragazzo ombroso dai capelli verdi e un occhio bendato.

– Oh, sia lodato il cielo, un'assistente! – esultò l'infermiera dai capelli rossi, precipitandosi a stringerle la mano. – Io mi chiamo Nami, e sono di turno con questi due scapestrati per quattro ore al giorno. Al giorno, capisci? Meno male che sei arrivata tu, Nico Robin, giusto?

La ragazza sorrise gentilmente. – Sì, è il mio nome. Non preoccuparti, farò del mio meglio.

– Molto piacere, Nico Robin. – disse il primo ragazzo, quello dai capelli neri e dal sorriso esageratamente grande. – Io mi chiamo Rufy, lui invece è Zoro. Siamo entrambi qui da quasi due mesi, e manca poco che ci rilascino, quindi non dovrai soffrire troppo. – ridacchiò, allegro. – Il problema è che noi non siamo fatti per starmene sdraiati a letto tutto il giorno, vero, Zoro? È così noioso! – sbuffò, per sottolineare l'importanza di quel “noioso”.

Robin sorrise. – E allora cosa fate tutto il giorno?

Nami si passò una mano sulla fronte, sconfortata. – Mi fanno impazzire, ecco cosa fanno! Gridano, cercano di uscire, distruggono le cose, si fanno male da soli.

– No, aspetta, noi ci alleniamo. – puntualizzò Zoro, sollevando un sopracciglio.

Rufy sorrise. – Esatto! Con il corpo a corpo, perché la volta che abbiamo preso un fucile Nami ci ha-

– Nami vi ha presi a sberle per cinque ore! – gridò l'infermiera, inferocita. – Delle armi, capisci? – gemette poi, accasciandosi su una sedia.

Robin rise di cuore. – Siete davvero dei tipi interessanti! Non vi interesserebbe leggere qualcosa?

Rufy inarcò un sopracciglio, confuso. – Leggere? È da quando Ace non... – sul suo volto passò per un istante una smorfia di dolore, prima di tornare al consueto sorriso. – Insomma, è un bel pezzo che non leggo.

Il ragazzo lanciò un'occhiata a Zoro, che rispose con uno sguardo di profonda comprensione che parve rassicurarlo completamente, e che lasciò Robin un po' confusa.

– Cosa credi, io ci ho già provato. – sospirò Nami. – L'unico metodo per tenerli buoni è minacciarli e picchiarli di santa ragione.

Robin si concentrò un attimo, poi chiese noncurante: – Scommetto che qui non vi danno tanto cibo, vero?

Lo sguardo di Rufy e Zoro si incupì. – Io ne vorrei sempre di più... – mugugnò Rufy. Zoro annuì.

– È da quando siamo qui che non... sai... – tentò di spiegare Rufy. – Oh, pazienza. Non parliamo di quello che succedeva prima. – lanciò un'altra occhiata significativa a Zoro, che annuì silenziosamente. – Piuttosto: dicevi, a proposito del cibo?

Robin sorrise. – Se vi va, potrei procurarmene un po'... Basta che in cambio voi evitiate di fare alcune cosette.

Nami sollevò lo sguardo, entusiasta. A quell'idea non aveva ancora pensato!

– Quali cosette? – disse Zoro, inarcando un sopracciglio.

– Intanto, niente armi. – iniziò Robin, decisa.

Rufy annuì, impaziente. – Posso farlo. Poi?

– Non rompete nessun vaso. – il volto di Robin si aprì in un sorriso, alludendo alla scenetta di poco prima.

– Considerando che Traffy non me ne darà mai un altro... Continua. – commentò Rufy, lugubre.

– Per ultimo, finché ci siamo noi, evitate di uscire da questa stanza. Queste sono le condizioni.

Nami sembrava sul punto di saltarle addosso dalla felicità.

– Che dici, Zoro? Si può fare? Non è che ci ha chiesto di non allenarci. E poi non possiamo uscire solo finché ci sono loro. – rifletté Rufy, eccitato. – Ci darà più cibo! – gridò alla fine, incapace di contenersi, gli occhi luccicanti dall'entusiasmo.

Zoro sorrise, chiudendo l'unico occhio sano. – Si può fare.

Un coro di grida di giubilo (prevalentemente di Rufy e Nami) si alzò nella sala, e Robin sorrise. Era una compagnia interessante, non si sarebbe trovata poi male. Meglio di dove stava prima, sicuro.

 

* * *

 

– Che bello, non posso credere che saremo compagne di stanza! – esultò Nami, rientrando in camera e chiudendosi la porta dietro di sé.

Robin sorrise, gentile. – Anch'io sono felice di essere nella tua stessa camera, Nami.

– Hai già conosciuto qualcuno, qui? – chiese la ragazza, iniziando a togliersi la divisa.

– Solo te e il dottore. – rispose Robin, facendo altrettanto.

Nami ridacchiò. – Law... È il dottore più abile che abbia mai visto, sul serio. È così abile... Però a volte è davvero strano. Pensa che un giorno... sarà stato poco dopo che mi avevano assegnato Rufy e Zoro... L'ho visto sul retro dell'ospedale a spaccare la legna. No, non era legna, era... come una cassa. La stava proprio spaccando, capisci? Con tanto di ascia. E sorrideva in un modo... Poi è arrivato qualcuno gridando che non era necessario, e che bastava cambiare il nome o qualcosa di simile. Law l'ha mandato a quel paese e ha continuato a spaccare quella cassa con un sorriso che faceva davvero paura. A parte questo, è una brava persona. – concluse, sorridendo.

Robin annuì. – Spero di avergli fatto buona impressione.

La più giovane si buttò sul letto con aria esausta. – Ma certo che l'hai fatta, hai un'aria talmente affidabile... Mi hai anche dato una mano con quei due pazzi! Io davvero non so come ringraziarti, Robin.

Quella scosse la testa, dolcemente. – Oh, ma non c'è bisogno di ringraziarmi, ho fatto solo il mio dovere. Piuttosto... Non ti sembrano un po' strani, quei due? Ogni tanto si scambiavano certe occhiate, e Rufy ha tirato in ballo un nome, un certo Ace...

Lo sguardo di Nami si fece più scuro. – Oh, certo. Lo so, sono davvero strani sotto ogni punto di vista. Vedi, il giorno in cui sono finiti qui... Rufy è in ospedale da due mesi, è arrivato qua in fin di vita trasportando il cadavere di suo fratello Ace, morto in un imboscata per proteggerlo. Era distrutto, perché vedi, Ace era tutto quello che aveva. Quello stesso giorno è morto un cuoco del posto, un tumore ai polmoni, mi pare. Ed era l'unico amico di Zoro, che non si è concentrato abbastanza in combattimento ed è stato ferito molto gravemente alla testa. Ha perso un occhio, quel giorno. I due si sono ritrovati in stanza insieme, e non spiccicavano parola. Dovevi vederli: erano così provati, sia fisicamente che emotivamente! Io pensavo, insomma... temevo che non ce l'avrebbero fatta. – Nami tirò un profondo sospiro, affranta: la vita delle infermiere in fondo era anche questo. Veder morire i propri pazienti, uno dopo l'altro.

– Dev'essere stata dura, per loro. – commentò Robin, interessata. – Come è possibile che... – quell'immagine di Rufy e Zoro non si adattava per niente all'idea che si era fatta di loro solo poche ore prima, decisamente.

Nami sorrise, un sorriso radioso, speciale. – È stato per via di Rufy. A quanto pare, suo fratello prima di morire gli aveva fatto fare una promessa. Di... vivere, di essere felice anche per lui, di sorridere, insomma. E lui si è sforzato davvero tanto, sorrideva e cercava di fare amicizia con Zoro. Ma quello niente, non ne voleva sapere: se ne stava zitto e immusonito. Quanto mi dava sui nervi! Certo, ripensandoci, almeno ai tempi non facevano casino. – ridacchiò prima di continuare. – Poi, un giorno, Rufy gli ha chiesto per l'ennesima volta qualcosa di stupido, non so se era di scappare insieme in cucina o fare una gara di tiro a segno con le siringhe di Law, e Zoro non ci ha visto più. Gli ha detto di stare zitto, di lasciarlo in pace, che non poteva capire... Rufy non se l'è affatto presa. – Nami sorrise, questa volta un sorriso dolce e quasi ingenuo. – Rufy non se la prende mai. Invece, gli ha raccontato di suo fratello Ace e gli ha detto che... che quel Sanji non lo avrebbe di certo voluto vedere così. Zoro ha borbottato qualcosa su dei colori, rosa, giallo o che so io, e Rufy ha detto... Ha detto che a lui piaceva il rosso, e che sarebbe stato una grandissima macchia rossa nella vita di Zoro. Rosso come i lamponi e Babbo Natale, ha detto! – a Robin scappò una risatina.

– Davvero un tipo interessante. – commentò.

– Vero? Da allora, Zoro ha iniziato a lasciarsi coinvolgere. Sorrideva, prima poco, poi sempre più spesso. Io dico, dico... – sospirò. – Però stare con quei due alla fine fa bene. Insomma, siamo in guerra. Vedere gente che vive così tanto, dà speranza.

Quella frase colpì Robin più che tutto il resto. Speranza... Potesse averne anche lei, un po' di speranza!

Nami si stiracchiò, soddisfatta. – Ciò non toglie che facciano casino, e che senza di te sarei spacciata. Grazie davvero, Robin! Sai, è da quando sono in questo posto popolato solo da maschi che spero di trovare una migliore amica.

Robin volta la testa, sconvolta. Aveva detto...? Nami le sorrise, e lei non poté fare a meno di risponderle.

Migliore amica... Non poteva dire di averne avute tante, in passato.

 

* * *

 

Robin si agitava nel letto, il viso sudato.

Un altro incubo.

Nami era inginocchiata accanto a lei, e cercava di svegliarla. – Robin! Robin, ti prego, svegliati!

La donna si agitava, gemendo: stava sicuramente soffrendo, osservò Nami con rammarico. Avesse potuto fare qualcosa! Ma se non si svegliava... – Robin! Ti prego, dai, fatti forza! Sveglia! Sta succedendo un'altra volta, non mi piace... – un singhiozzo le scappò di bocca, e Robin spalancò gli occhi, completamente sveglia.

Ansimava leggermente.

– C-cosa...

Nami l'abbracciò di slancio. – H-hai avuto u-un altro incubo, i-io credo... Ti prego, dimmi cosa c'è che non va!

Robin rimase un attimo paralizzata dal gesto d'affetto dell'amica, anche se in fondo se l'aspettava. Erano quasi due settimane che Robin era arrivata al fronte, e subito aveva trovato in Nami quello che pensava non avrebbe mai potuto trovare: un'amica. Sin da quando era piccola, non ne aveva mai avuta una.

Forse era il momento di dirglielo, forse se l'avesse fatto avrebbe smesso di sognare quella scena tutte le notti.

– Non è un semplice incubo, Nami. – sospirò, prendendo a raccontare. L'altra la ascoltava attenta, gli occhi lucidi nel buio della stanza. – La verità è che... io vengo da un paesino lontano da qui, nella campagna. Quando vivevo lì non avevo un singolo amico, perché provenivo da una famiglia un po'... diversa, ecco. Mia madre era archeologa. Un tipo strano, eccentrico, ma in giro si dicevano cose orribili sul suo conto. Io però non ci credevo, perché con me era molto buona. Se ne andò che ero molto piccola, lasciandomi presso alcuni miei parenti. Mi... mi trattavano quasi come una serva, ma potevo sopportarlo.– Robin prese un bel respiro e continuò. – Successe quando avevo quindici anni. La guerra era appena iniziata, e il mio paese era molto vicino al confine nemico. Non avevo notizie di mia madre da tantissimo tempo, avevo una mia routine, quando arrivarono. Erano soldati del reggimento nemico, e portavano mia madre con sé. Quel giorno, mentre io ero andata a fare una passeggiata fuori dal paese... – la sua voce ebbe un tremito. – Iniziarono i bombardamenti. Fuoco, sangue, grida. Tornai indietro più in fretta che potei, ma... era troppo tardi. – la sua voce divenne un sussurro a malapena udibile. – Non c'era più nessuno in vita.

Nami si portò una mano alla bocca, sconvolta. – R-Robin, ma come...

L'altra sorrise, un sorriso stanco. – Pazienza, ho avuto il tempo di elaborare questa cosa. Solo che a volte me la sogno, tutto qua. Il mio intero paese è stato sterminato per ragioni che nemmeno conosco. Avresti dovuto vederlo... Cioè, no, non augurerei quella vista a nessuno. I muri erano completamente a brandelli, non puoi nemmeno immaginare la desolazione. Di tutto quello che conoscevo, non era rimasto nulla. Di tutti quelli che conoscevo, non è sopravvissuto nessuno. In seguito ho girato il mondo, cercando un posto dove vivere, e alla fine sono arrivata qui. Sono felice di aver trovato te, Nami.

La minore scoppiò a piangere, abbracciandola. – A-anch'io ho p-perso mia madre da piccola, Robin. – singhiozzò, stringendola. – T-tu sei davvero m-molto coraggiosa, sai?

Dopo un istante di confusione, Robin rispose alla stretta della compagna, lasciando che le lacrime inzuppassero la sua maglietta.

– Non piangere, Nami. – sussurrò. – Loro, tutti loro, sono nel nostro cuore. Non importa se non sono stati nemmeno seppelliti, capisci? Nel nostro cuore non può mancare neanche una croce.

Nami annuì, tirando su col naso. – Robin...

– Sì?

– Se hai un altro incubo svegliami, ok?

Robin aveva un groppo in gola. Non era mai stata così felice. – C-certo, Nami. Ma sai, ho come la sensazione che... che non ne avrò più.

 

 

 





Angolo autrice:
Vaaa bene. Questo capitolo doveva essere su Nami e Robin, e alla fine è diventato tutto su RUfy e Zoro con anche un paio di accenni al KiddLaw. PAZIENZA.
Volevo solo far notare che se storie su Nami e Robin scarseggiano. E non intendo in senso amoroso, ma semplicemente come si vedono tante Rufy/Zoro Nakamaship, anche tra le due donne della ciurma del Cappello di Paglia c'è un tipo di rapporto che sarebbe bello approfondire. Mi hanno sempre incuriosita, non c'è niente da fare ^^"
Voglio ringraziare di cuore tutti quelli che seguono questa raccolta (e che non mi hanno uccisa per lo scorso capitolo. Grazie). Sul serio, sono felicissima di poter condividere questa storia con persone così stupende! <3
Il prossimo sarà l'ultimo capitolo, e sarà più un riepilogo generale. La conta dei superstiti, in un certo senso, tutti insieme. Cosa ne verrà fuori? Ci vediamo sabato prossimo!
Nel frattempo auguro a tutti buon Natale e buone feste! ^^
Un bacione
Emma
  
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